1 Evoluzione della meccanizzazione

Generalità

La "prima rivoluzione agricola" avvenne circa diecimila anni fa, quando l'uomo scoprì il modo di coltivare la terra e allevare gli animali. In realtà non si trattò di una vera e propria scoperta, almeno non una scoperta come la intendiamo al giorno d'oggi. Infatti sia il processo di messa a punto delle tecniche di coltivazione sia quello di domesticazione furono più simili a un'evoluzione congiunta tra uomo e vegetali coltivati e animali allevati (fenomeno che i genetisti chiamano coevoluzione) che non una scelta consapevole da parte dell'uomo.

1.1 Coevoluzione e messa a punto dei primi attrezzi agricoli

Nella monumentale opera sull'evoluzione del settore primario edita dall'Accademia dei Georgofili di Firenze Gaetano Forni, noto storico dell'agricoltura, racconta che i cacciatori mesolitici creavano con il fuoco radure, dove era favorita la crescita di essenze arbustive ricche di gemme e foglie, al fine di attirare un numero elevato di cervi. In questo modo si riducevano gli spostamenti e le fatiche della caccia perché con tale pratica anche gli animali ottenevano dei vantaggi. Il tutto, quindi, per impiegare da entrambe le parti meno lavoro fisico a parità di reciproci risultati positivi. Il medesimo Autore parla di civiltà dei "foraggiatori", successiva a quella dei "cacciatori-raccoglitori" e antecedente a quella degli "orticoltori-pastori". La simbiosi creata in tal modo si evolse fino a forme di protoallevamento, senza che si pervenisse alla domesticazione vera e propria di questa specie (Forni definisce il cervo "domesticoide"). La transizione neolitica, che portò in Europa altre specie più facili da allevare (ovicaprini), rese inutili ulteriori tentativi di domesticazione; resta comunque molto interessante questo concetto dei foraggiatori che, per migliorare le strategie di caccia, selezionarono inconsapevolmente le specie vegetali più adatte ad attirare gli animali cacciabili. La successiva evoluzione delle tecniche di raccolta dei foraggi comportò l'impiego di attrezzi e macchine sempre più sofisticati e complessi che furono messi in atto, e via via sempre più specializzati, al fine di consentire l'alimentazione degli animali nei periodi di scarsa o totale assenza di foraggi freschi (Fig. 1.1).

Sempre secondo il medesimo Autore, la prima forma di orticoltura non fu il risultato di una messa a punto consapevole di una serie di nuove tecniche, ma di un sinergismo che si produsse involontariamente tra l'uomo e le prime specie orticole a causa del fatto che, per mantenere un minimo di pulizia nelle aree in cui egli viveva, egli prese l'abitudine di accumulare i rifiuti organici in aree dedicate (come del resto fanno anche alcuni animali). Così la creazione di letamai-aiuole (molto simili a quelli che oggi potremmo chiamare "orti sinergici") portò alla selezione di piante alimentari, che man mano diventarono sempre più esigenti in termini di fertilità del terreno richiedendo che lo stesso venisse smosso frequentemente e, quindi, lavorato. L'impiego di attrezzi a punta (denti di animali o simili) facilitava questa operazione. Quindi, in un certo senso, gli attrezzi non sono nient'altro che una forma di adeguamento delle pratiche a questo inconsapevole processo di coevoluzione
Numerose sono le forme di coevoluzione uomo-specie vegetali, tra le quali sicuramente quella inerente uomo e cereali (tipo frumento) è tra le più note (si veda in proposito il bel libro di Stefano Bocchi:
Zolle. Storie di tuberi, graminacee e terre coltivate).

Ma tra tutti questi eventi coevolutivi che si realizzarono (e si realizzano) tra uomo e specie coltivate, quelli coinvolgenti mais e patata, magistralmente descritti dallo scrittore americano Michael Pollan nel suo libro La Botanica del desiderio, sono i più interessanti. Secondo la sua visione, queste due piante si sono comportate, e si comportano, come le più "astute del mondo" usando tutta la loro versatilità (in campo e nell'industria) per farsi portare dall'uomo ovunque e ricoprire un posto preminente tra le superfici coltivate. In questo modo, aiutate dall'uomo, hanno ormai raggiunto l'obiettivo di conquistare il mondo.

Pollan racconta tutto questo in modo scientificamente corretto ma anche antropologicamente intrigante e affascinante; ecco un assaggio: "Sono stato io a scegliere di piantare questa patata, o è lei che ha scelto me ? Ricordo il momento preciso in cui quel tubero mi ha sedotto, ostentando il proprio fascino bitorzoluto tra le pagine di un catalogo di sementi. Credo che la definizione fatale sia stata: "polpa gialla e burrosa". Si è trattato di un evento banale, solo in parte consapevole, non pensavo che il nostro incontro via catalogo avesse una qualche conseguenza evolutiva". In questo contesto, anche la messa a punto dei primi attrezzi agricoli non fu sicuramente un'attività che discese da una consapevole ricerca di nuove soluzioni, almeno non nel senso di una programmatica attività scientifica che comportasse come risultato la produzione di innovazioni. I primi attrezzi possono essere pensati come una estensione degli organi umani: denti più lunghi, unghie più taglienti, braccia più robuste, ecc. Tutte soluzioni che, in pratica, avevano essenzialmente lo scopo di aumentare l'efficienza del lavoro per stancarsi di meno e avere, quindi, meno fame. Ma è stato l'uomo a scegliere le forme degli attrezzi oppure sono state le forme già a disposizione negli oggetti che si trovavano attorno a lui a guidare inconsapevolmente la direzione verso una determinata via tecnologica? E questa via tecnologica, che al momento risulta essersi affermata, nel futuro rimarrà valida oppure sarà soppiantata da altre soluzioni più adatte alla sopravvivenza delle specie viventi? Nel mondo infinito delle idee inespresse, dal quale la nostra civiltà ha attinto in una percentuale infinitesima, ci sono indubbiamente delle risposte anche per queste domande.

1.2 L'epoca romana

Per assistere alla prima vera rivoluzione in termini di messa a punto di macchine agricole si debbono attendere, almeno per quanto ci dice la documentazione storica, i tempi dello sviluppo della civiltà romana (che peraltro si evolse per più di un millennio). Infatti la città di Roma, nel tardo Impero, arrivò ad avere anche 1,5 milioni di abitanti e potè crescere solo per il fatto che furono messe a punto tecniche basate sul lavoro prodotto da animali ed esseri umani, in grado di produrre e trasportare verso di essa cibo sufficiente per il mantenimento di un enorme numero di persone. Ancora oggi, a circa duemila anni dai tempi in cui si realizzò, il risultato delle centuriazioni effettuate dai Romani per rendere coltivabili i territori via via conquistati con le guerre appare evidente in cartografia. Infatti, già a partire dalla realizzazione degli accampamenti, i tecnici romani impiegando uno strumento topografico detto "groma", provvedevano a tracciare il cardo e il decumano (Fig. 1.2).

Questi erano assi perpendicolari orientati geograficamente, dai quali i legionari partivano per completare la suddivisione del terreno da mettere a coltivazione in appezzamenti quadrati della dimensione di uno iugero (circa 2500 m2). La dimensione di uno iugero e la forma regolare di questi appezzamenti erano particolarmente adatte a rendere agevole il lavoro manuale e degli animali. In particolare alcuni studiosi sostengono che lo iugero sia la dimensione di terreno agrario dominabile giornalmente dal lavoro di un bue. Inizialmente, ai tempi di Roma repubblicana, al singolo soldato-contadino venivano assegnate solo 1-3 parcelle; questo perché il medesimo legionario provvedeva poi direttamente, con la sua famiglia, alla coltivazione in modo autonomo. Dimensioni superiori avrebbero richiesto manodopera aggiuntiva e ciò non era negli obiettivi della Repubblica romana che voleva consolidare sul territorio la sua presenza mantenendo i propri uomini su di esso in modo stabile nel tempo.

Le macchine agricole ai tempi dei Romani

Con la nascita e lo sviluppo dell'Impero, si accentuò il fenomeno di concentrazione delle attività agricole nelle ville romane, vere e proprie imprese agricole capitalistiche basate sull'utilizzazione degli schiavi e degli animali come principale fonte di energia meccanica. Le ville erano di proprietà dell'aristocrazia romana e avevano scopo mercantile in quanto pensate per produrre alimenti da immettere sull'enorme mercato di Roma capitale. In esse si misero a punto tecniche e macchine per rendere le medesime il più remunerative possibile per i loro proprietari.

Numerose sono le opere degli autori romani che trattano di ciò. Inoltre, in tutti i musei si possono trovare esempi di macchine messe a punto per facilitare le operazioni di irrigazione, molitura e lavorazione del terreno con aratri come quello rappresentato in Figura 1.3 (ovviamente a chiodo o puntale in quanto quelli a versoio nasceranno più tardi), che con il passar del tempo furono sempre più perfezionati. Ma la palma della soluzione tecnica più originale va sicuramente al vallus. Si tratta di una vera e propria mietitrice per cereali che è raffigurata in numerosi bassorilievi e descritta da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia (XVIII, 296). È molto interessante notare come ci si trovi di fronte a una vera e propria macchina, costituita da elementi motori (l'animale e l'uomo) che forniscono il moto, da sistemi di trasmissione dell'energia e da organi meccanici in movimento. Come è rappresentato nella Figura 1.4, il vallus era costituito da un pianale, con funzione di raccolta delle spighe, montato su un telaio a ruote. In posizione posteriore era sistemato il motore animale (bue o asino in genere) che forniva l'energia per l'avanzamento del mezzo sulle ruote (trasformazione del moto rettilineo in moto rotatorio). In posizione anteriore era montato l'organo di raccolta vero e proprio, costituito da una serie di denti che svolgevano la funzione di inforcare e staccare le spighe del cereale dal culmo, lasciando la paglia in campo per essere successivamente raccolta o bruciata. L'operatore, a bordo del pianale o da terra, con uno speciale rastrello adduceva le spighe all'organo di lavoro e, eventualmente, facilitava il loro distacco impiegando un falcetto. Da notare come, con la caduta dell'Impero, la macchina fu completamente dimenticata. Tecnicamente è poi interessante sottolineare come il vallus sia concettualmente molto simile alla testata per mietitrebbia detta stripper (in cui l'organo per il distacco delle spighe è costituito da una serie di rastrelli - simili a quello montato in testa al vallus - inseriti su un rullo in rotazione), brevettata da una ditta inglese negli anni '90 del secolo scorso. Tuttavia nessuno ha mai pensato di contestare il brevetto inglese sulla base della ben documentata preesistenza del vallus.

1.3 L'evoluzione del XVIII e del XIX secolo conseguente alla rivoluzione industriale

Dopo la caduta dei Romani, nel Medioevo, con la nascita di una società strettamente gerarchica in cui i contadini erano legati alla terra (servi della gleba), non si ebbe nessun interesse a uno sviluppo tecnico. Infatti non era più necessario avere a disposizione soluzioni tecniche sofisticate, in quanto la maggior parte degli alimenti ritornò ad essere prodotta per il mero autoconsumo e per essere impiegata in contesti territorialmente limitati. In generale, quindi, se si esclude la parentesi della civiltà romana, dagli albori dell'agricoltura fino all'inizio del 1700, ossia per circa 10.000 anni, la popolazione mondiale aumentò molto lentamente, portandosi, fra alterne vicende, a poco più di 600 milioni con un incremento medio annuo di 60 mila persone. Per la quasi totalità essa viveva in ambito rurale e non si verificò, quindi, nessuna reale necessità di incrementare tumultuosamente le quantità di cibo a disposizione del mercato. È solo con la nascita della borghesia, prima, e con la rivoluzione industriale, poi, che si ebbe il vivacizzarsi degli scambi e si assistette a un nuovo stimolo per la creazione di macchine dotate di maggiore efficienza produttiva. In Italia paradigmatico è il caso evolutivo


Il ruolo delle Accademie di Agricoltura e dei concorsi nell'evoluzione delle macchine agricole

L'Accademia dei Georgofili nasce a Firenze nel 1753 con lo scopo di promuove studi e concorsi per lo sviluppo dell'agricoltura. Infatti: "Utili, comode e necessarie son tutte le arti che tendono alla prosperità, o alla ricchezza di una Nazione, ma più utili e necessarissime sono quelle che si rivolgono alla soddisfazione dei primitivi bisogni". Con queste parole, che sono un manifesto dello spirito del tempo, Michele Gareani apriva la sua Breve memoria economico-agraria sulla necessità delle scienze meccaniche in rapporto all'agricoltura, presentata ai Georgofili nel febbraio del 1804. L'agricoltura "eccelsa fra tutte le arti" era considerata, assieme al commercio ("arti ambedue necessarie e utili ad ogni nazione"), fonte principale "di ogni ricchezza e potere". Le scienze meccaniche favorivano grandemente l'una e l'altra attività; l'uso delle macchine, sosteneva Gareani, non era soltanto utile all'uomo poiché alleviava la fatica del suo lavoro quotidiano, ma aveva anche una positiva ricaduta sull'attività commerciale grazie al minor costo dei prodotti derivato dai diminuiti tempi di produzione. Le macchine, scriveva Gareani, potevano essere raggruppate secondo le loro funzioni: 1. per migliorare e accelerare i lavori delle terre; 2. per sementare con risparmio di semenza e con migliore distribuzione dei granelli; 3. per segare e ricogliere; 4. per triturare; 5. per agevolare il trasporto delle derrate; 6. per conservare i generi delle biade.

Simbolo di questa filosofia legata all'epoca dei lumi fu la proposta fatta dall'Accademico Cosimo Ridolfi di un aratro rovesciatore, sostitutivo di quelli a chiodo, in grado di offrire prestazioni agronomiche rivoluzionarie (Fig. 1.5).

In metallo, ovviamente a trazione animale, era stato pensato per aumentare la produttività del lavoro umano effettuato fino ad allora con le vanghe, specie nei pesanti terreni della Toscana. Tale attrezzo, poi, venne perfezionato dal Ridolfi qualche annodopo, unitamente alla realizzazione di un modello voltaorecchio, insieme a Raffaello Lambruschini, che fu premiato all'Esposizione Internazionale di Parigi del 1855. Altre invenzioni verificatesi attorno alla metà dell'Ottocento, riguardano macchine operatrici diverse quali: seminatrici, falciatrici, spandiconcime, mietilegatrici, le prime macchine per l'escavo di tuberi e radici, e trebbiatrici. Anche negli altri Paesi europei si assiste a una evoluzione similare. Si hanno Accademie che discutono, manifestazioni con concorsi a premio, brevetti a non finire. Osservando lo schema della seminatrice proposta in Inghilterra nel 1860 rappresentata nella Figura 1.5b, non si può non ammirare la precisione meccanica con cui è pensata, precisione che deriva dell'evoluzione tecnica mutuata da altri settori industriali, come quello tessile, allora in tumultuoso sviluppo. Le macchine, in questo periodo, assumono un aspetto meno "artigianale" e più "industriale".

Del resto le prime industrie italiane di macchine agricole si sviluppano proprio a partire dalla necessità di adattare le macchine di importazione alla situazione del nostro Paese.

Il dibattito sui nuovi "strumenti" e sulle nuove "macchine" non fu tuttavia scevro di difficoltà per la resistenza che molti opposero alla loro introduzione in considerazione dei riflessi sull'economia e sulla società. Eco di questa preoccupazione può leggersi nella memoria di Giovan Battista Lapi, presentata ai Georgofili il 4 gennaio 1824 che, se nelle intenzioni dell'Autore doveva costituire un'analisi del grave e persistente ristagno economico del momento, finì per essere una condanna delle macchine, accusate di eccesso di produzione e riduzione di attività per l'uomo, con conseguenti fenomeni di prolungata disoccupazione. Si tratta di una discussione che, nei contenuti, sembra richiamare molte di quelle che caratterizzano l'attuale rivoluzione elettronico-informatica, che sta producendo effetti analoghi come, appunto, la diminuzione del lavoro salariato.


dell'agricoltura del Granducato di Toscana che si sintetizza nella creazione, a livello territoriale, di un paesaggio rurale che rappresenta un compromesso, come dice il Sereni, tra le "trenta ville" del popolo grasso (frutto del reinvestimento dei proventi derivanti dai commerci), e i "dodici castelli" della piccola e media aristocrazia (di derivazione feudale). Le aziende agricole nobiliari erano guidate per lo più da aristocratici assenteisti che non avevano nessun interesse a investire e migliorare le loro aziende. Ciò a differenza di quanto avveniva in Inghilterra (vedi Approfondimento). Al contrario, le aziende agricole connesse alle ville diedero origine, invece, attraverso i nuovi contratti di mezzadria che coinvolgevano i lavoratori, a un duraturo crescere degli investimenti in macchine e attrezzi e a una intensivizzazione della produzione attraverso la policoltura e i cosiddetti "campi a pigola" (
campi a spigolo). Ai giorni nostri questo processo ha lasciato quello che noi chiamiamo il "bel paesaggio italiano" (o il "Chiantishire", come lo definiscono i turisti anglosassoni). Fu sulla spinta di queste realtà economiche che nacquero in Europa le Accademie di Agricoltura e si svilupparono manifestazioni espositive per incentivare la creazione di nuove soluzioni tecniche. Tuttavia, per avere una vera e propria svolta nell'evoluzione della meccanizzazione, si deve attendere l'introduzione dei motori esotermici, prima, ed endotermici, poi. In Figura 1.6 è proposta una idea di cosa potesse significare eseguire una operazione di aratura profonda con i nuovi attrezzi messi a disposizione dalla tecnica ottocentesca. Le otto coppie di buoi, nonostante la loro massa, sono in grado di sviluppare una potenza in trazione di soli 8 kW circa, a una velocità di 0,5 m/s, troppo pochi per avere un reale mutamento paradigmatico del fare agricolo. I primi motori impiegati furono quelli esotermici (macchine a vapore). Infatti, mentre le operazioni di campo svolgevano con la trazione animale, quelle a punto fisso si stavano evolvendo verso l'uso di motori esotermici collegati, come nelle trebbiatrici, alle operatrici mediante lunghe trasmissioni a cinghia. Essi diedero origine anche alle locomobili, utilizzate in campo soprattutto - dato il loro grande peso - a punto fisso, per l'aratura cosiddetta funicolare (Fig. 1.7).


Il ruolo dell'aristocrazia inglese nella rivoluzione industriale del 1700

"Ciò che invece meglio caratterizza la figura del signore inglese rispetto ai suoi omologhi europei è il fatto che fiuta il vento economico più degli altri e non ritiene l'attività economica indegna del nobile; infatti, non si tratta solo di un vento economico agrario, ma economico in tutti i sensi, in quanto direttamente o indirettamente il signore di campagna non è estraneo al commercio, ai traffici, alle compagnie mercantili e alle nascenti industrie". Queste considerazioni, sempre tratte dalla documentazione dei Georgofili di Firenze, rafforzano l'idea che l'evoluzione agricola inglese nella seconda metà del Settecento sia stata determinata in gran parte da fattori esterni all'agricoltura e che essi abbiano agito in relazione a questi caratteri specifici del signore inglese. Anche le principali novità tecniche, come gli strumenti meccanici,

la tecnica degli allevamenti o i principi scientifici della nutrizione delle piante sono frutto di ciò. Le “enclousures" del Settecento ebbero quindi solo esternamente caratteri simili a quelli di due secoli e mezzo prima. In pratica, furono espressione della volontà del signore di eliminare ciò che ostacolava la redditizia agricoltura. Furono, ad esempio, aboliti i contratti ereditari e di lunga durata e si affermò la tendenza verso le forme annuali di affitto della terra ai coloni, che ancora oggi caratterizzano l'agricoltura inglese. Nello stesso tempo si svilupparono gli allevamenti su larghi pascoli e tutte le terre sparse, frammentate e irregolari furono ridotte sotto un'unica disciplina, inoltre furono superate le tradizionali economie di villaggio e vennero recintati i campi a testimonianza del diritto di proprietà del signore.


Alla fine del secolo, slegati dal contesto agricolo, nascevano i primi motori a combustione interna: nel 1853, quelli ad accensione per scintilla, ad opera di E. Barsanti e F. Matteucci, poi perfezionati attorno al 1875 da N.A. Otto; circa quarantanni più tardi, attorno al 1893, quelli ad accensione per compressione, merito di R. Diesel, come futura alternativa rispetto agli esistenti motori esotermici a vapore. Il motore a scoppio era meno pesante di quello a vapore, era dotato di un'autonomia molto maggiore e risultava di facile conduzione da parte di un solo operatore, mentre la locomobile ne richiedeva almeno un paio se non di più. Secondo le poche informazioni del tempo, alla fine del 1900, si ha un panorama desolante, in termini di meccanizzazione:

  • erano presenti su tutto il territorio nazionale solo poche decine di locomobili;

  • l'energia elettrica nelle aziende era in pratica sconosciuta, anche se già si iniziava a parlare di trazione elettrica applicata all'aratura.

1.4 II boom della meccanizzazione nel Novecento

All'inizio del 1900 l'Italia non aveva un vero e proprio mercato che richiedesse macchine agricole e le poche che venivano vendute arrivavano dall'estero. Pochissime, infatti, erano le ditte costruttrici (spesso poco più che artigianali) e al contempo importatrici e miglioratrici delle tecnologie stesse.

La maggioranza di esse (originaria delle regioni del Nord Italia, con preferenza per l'Emilia-Romagna e la Lombardia, anche se non mancavano alcune realtà nell'Italia centrale), ha cessato da tempo l'attività e si contano ormai sulle dita quelle sviluppatesi e tuttora presenti nel mercato nazionale e internazionale.

Alcuni esempi di quelle ancora esistenti al Nord sono:

  • nel settore degli aratri, le ditte Dondi nel 1850, Nardi nel 1895, Scalmana, subito dopo il 1900;

  • nel settore delle trebbiatrici a punto fisso, le ditte Tonutti nel 1860 e Feraboli nel 1890.

In parallelo, poi, attorno al 1900 iniziava, per merito di G. Landini, la costruzione dei primi motori a testa calda. Landini poco più tardi diede inizio a una fiorente attività nel campo trattoristico. Nel Sud Italia, Cicoria iniziò la propria attività nel 1927, dopo aver importato e gestito per alcuni anni trebbiatrici destinate al tavoliere pugliese. In Romagna, invece, Gallignani cominciò la sua attività nel 1922 assemblando operatrici straniere, mentre in Lombardia, Castoldi diede vita alla produzione di motofalciatrici, con la BCS, nel 1942. Dal 1928, poi, sempre per continuare nella esemplificazione, si sviluppò - per merito di Slanzi e Lombardini - la fabbricazione di motori endotermici. Giorno dopo giorno, così, maturavano i problemi e si sviluppavano le esigenze. Si continuò ancora per alcuni anni nella fabbricazione delle macchine di Ceresa Costa per l'aratura funicolare (aratri a bilanciere e locomobili) fino a che, nel 1911, Pavesi-Tolotti (Fig. 1.8) e Baroncelli proposero i loro primi trattori. Dopo di essi Fiat presentò un primo modello nel 1918 e passò alla realizzazione industriale dei trattori nel 1928. Più tardi ci furono Bubba che, dopo la costruzione nel 1896 di una sgusciatrice, passò nel 1921 alla costruzione di trattori, Landini (Fig. 1.9), con la sua produzione di trattori dotati di motori a testa calda negli anni '28-'30 del secolo scorso e SAME che iniziò nel 1927 col primo trattore dotato di motore Diesel ecc. In definitiva, è dalla fine degli anni Venti che può parlarsi di inizio, lento e graduale, dello sviluppo della meccanizzazione e della motorizzazione italiana. Questo sviluppo - frenato da seri motivi socio-economici e strutturali - esploderà solo all'inizio degli anni Cinquanta, quando l'esodo degli addetti agricoli, in conseguenza della crescita economica del Paese, imporrà l'uso di macchine atte a sopperire, con un forte incremento di produttività del lavoro, alla carenza di manodopera. Allo sviluppo numerico della meccanizzazione, ha fatto fronte anche una analoga e graduale evoluzione delle operazioni agricole svolte meccanicamente.

Queste, che inizialmente si riferivano solo alle aree di piano e alle principali colture erbacee, inclusero - una trentina di anni dopo la fine della seconda guerra mondiale - le produzioni arboree e orticole, nonché le aree declivi.


Anno

Evento

1860

Macchina a vapore per trainare un aratro da bordo campo - Germania

1878

Trattore a vapore della CASE - USA

1890

Trattore a vapore a cingoli

1892

Primo trattore a benzina - Froelich - USA

1904

Ivel trattore a tre ruote - UK

1904

Trattore Caterpillar a cingoli (B. Holt) - USA

1914

Primo trattore JD ("Waterloo Boy")

1917

Fordson, trattore a chassis a blocco unico, prima produzione di massa

1918

Prima p.d.p. della International Harvester

1920

Inizio dei Nebraska tests

1922

Primo trattore con motore a ciclo Diesel (Benz) - Germania

1925

Brevetto di Ferguson per un attacco a tre punti - UK

1927

Primo standard per p.d.p. ASAE - USA

1932

Primo trattore con pneumatici (Allis Chalmers - Good Year) - USA

1938

Primo trattore con motore a ciclo Diesel a iniezione diretta (MAN) - Germania

1938

UNIMOG (20 kW, 50 km/h) (Benz) - Germania

1948

Caricatore frontale (Hanomaag) - Germania

1950

Primo trattore sperimentale con trasmissione idrostatica (NIAE) - UK

1954

Primo cambio HIGH-LOW-IH-USA

1954

Primo trattore a 4 ruote giapponese - Kubota - Giappone

1959

Primo test sui telai di sicurezza - Svezia

1960

Primo circuito idraulico a pressione costante - JD - USA

1963

Primo cambio Power-Shift - JD - USA

1965

Primo trattore 4 RM con albero di trasmissione centrale - SAME - Italia

1972

Primo test ufficiale di cabina insonorizzata - USA

1973

Primo controllo elettronico del sistema idraulico - Allis Chalmers - USA

1973

Portattrezzi Intrac della Deutz - Germania

1973

Trattore speciale ad alta efficienza di accoppiamento MB Track Benz - Germania

1978

Controllo elettronico del sollevatore - Bosch Deutz - Germania

1980

Primo trattore standard con velocità a 40 km/h - Fendt - Germania

1987

Sospensione passiva della cabina - Renault - Francia

1992

Chassis a telaio - JD - USA

1996

Trasmissione mista meccanico-idrostatica a variazione continua della velocità, Fendt Germania

Tab. 1.1. Sintesi dei principali eventi che hanno riguardato l'evoluzione del trattore agricolo.

Evoluzione tecnica dei trattori

Come si è detto, i trattori hanno iniziato a essere prodotti, in Italia, all'inizio del secolo scorso ma, in termini industriali, solo dalla fine degli anni Venti. Si trattava di modelli pesanti, di bassa potenza, con modesti rendimenti, dotati di ruote metalliche sulle quali si montavano i primi organi di aggrappamento a ruote, in metallo, oppure cingolature. Per quanto il mercato fosse assai modesto, ancora alla fine degli anni Quaranta l'importazione superava la produzione nazionale. È della seconda metà degli anni Trenta la prima timida introduzione e sperimentazione di ruote gommate pneumatiche, che poi si espansero dopo gli anni Cinquanta.

Pure della metà degli anni Trenta è l'introduzione, da parte di Ferguson, del sollevatore idraulico e dell'attacco a tre punti per consentire l'uso di macchine operatrici portate e con gli organi di lavoro azionati tramite la presa di potenza (p.d.p.). Anche in questo caso, tuttavia, la trattorizzazione italiana utilizzò l'indispensabile componente solo a partire dagli anni Sessanta. Il trattore allora era pensato e progettato ai soli fini di trazione, in maniera essenziale e con scarsa o nulla attenzione agli aspetti ergonomici e di sicurezza. Più in generale, in Tabella 1.1 è proposta una sintesi dei principali eventi che hanno riguardato complessivamente l'evoluzione del trattore non solo a livello italiano, ma anche nel contesto internazionale. La Figura 1.9 riepiloga il processo di meccanizzazione descritto, confrontando gli andamenti delle diverse variabili (con i dati espressi in valori indice per poterli confrontare sulla medesima scala) messe a confronto nei 60 anni intercorrenti tra l'inizio della prima guerra mondiale e l'anno 2000. Dalla Figura 1.9a si evince che:

  • il numero di trattori era inizialmente molto basso e sale di circa 160 volte;

  • le mietitrebbie fino al 1960 non sono praticamente presenti e poi si incrementano in numero di 50 volte;

  • il numero di addetti diminuisce di 6 volte;

  • gli ettari coltivati praticamente si dimezzano;

  • l'impiego di manodopera per la coltivazione dei cereali diminuisce di 30-50 volte.

In particolare, può essere utile fornire specifici dati relativi ai trattori in quanto sono i più eclatanti: nel 1928, si avevano 18.000 trattori in cifra tonda, il 72% dei quali operanti nell'Italia settentrionale. Questi divennero, nel 1932, 28.000 per salire nel 1935 a 33.000 e nel 1940 a 42.000. Tale cifra è rimasta - come è ovvio - quasi invariata sino alla fine di quel decennio. Il parco balzò, poi, a 300.000 unità nel 1960, a 600.000 unità nel 1970, a 1.200.000 nel 1990 e a circa 1.700.000 unità nel 2000.

Ovviamente i trattori del 1940 erano macchine tecnicamente molto differenti da quelle degli anni 2000, non solo per quanto riguarda la struttura e le funzioni, ma anche per la dotazione motoristica.


L'evoluzione dei motori endotermici

Nei primi anni del Novecento, i modelli a testa calda consistevano in monocilindri dotati anteriormente di una calotta in ghisa (la testa calda, appunto), che veniva riscaldata da una fiamma esterna prima del l'avviamento del motore al fine di favorire la vaporizzazione del combustibile. Con velocità di rotazione, in genere, non superiore ai 300 giri/min (che, alla fine degli anni Venti, crebbero a 500-600 giri/ min), esprimevano una potenza per unità di cilindrata dell'ordine di 0,5-0,6 kW/dm3, offrendo rendimenti non superiori al 15%. Solo verso gli anni Cinquanta un testa calda operava a un regime di 800-900 giri/min, esprimendo una potenza per unità di cilindrata 4-5 volte superiore al valore di cui sopra (2-2,5 kW/dm3). Ad essi hanno fatto seguito i motori ad accensione per scintilla che vennero prodotti in Italia già a partire dagli anni Dieci. Nel corso degli anni questi motori a ciclo Otto si svilupparono notevolmente: nel 1920 erano montati, sui trattori Pavesi P4, motori a 4 cilindri in linea, ruotanti a 700 giri/min e sviluppanti 12 kW di potenza massima, mentre alcuni esemplari già raggiungevano i 40 kW.

Il rendimento era salito così al 18%. Alla fine degli anni Venti ebbe inizio l'era dei motori a ciclo Diesel, il primo dei quali fu progettato dall'ing. F. Cassani nel 1927 e destinato a essere montato, in primis, sui trattori Same. In seguito, e fino agli 2000, i motori Diesel hanno visto l'evoluzione riportata sinteticamente in Tabella 1.2.


Evoluzione dei motori Diesel

Incremento considerevole della potenza

4 cilindri dominanti fino agli anni Settanta

I motori turbo compressi diventano molto importanti in quanto consentono maggiori potenze specifiche, minori emissioni e migliori prestazioni alle alte altitudini

Il regime di rotazione si è innalzato fino agli anni Settanta per realizzare motori a maggiore potenza specifica, ma da allora non ha più avuto grossi incrementi (restando attorno ai 2000-2500 giri/min) per limitare la rumorosità e contenere i consumi

Il consumo specifico minimo è sceso. I migliori modelli hanno Cs > 200 g/k Wh

Il riscaldamento della cabina è realizzato utilizzando le perdite di calore del motore

I motori con un'elevata riserva di coppia sono diventati popolari

La manutenzione è stata semplificata

La vita utile si è innalzata per le macchine professionali a circa 6000 ore per il 90% della popolazione di motori

I motori a raffreddamento ad acqua hanno preso sempre più fette di mercato, anche grazie all'innalzamento della potenza

I controlli elettronici dell'iniezione e l'innalzamento della pressione fin sopra i 100 MPa sono stati consegnati a partire dagli anni Novanta

Il controllo delle emissioni è diventato molto importante

Tab. 1.2. Fattori alla base dell’evoluzione dei motori Diesel agricoli.


È impressionante il salto di superficie coltivata da ogni singolo trattore (
Fig. 1.10a). Poiché dal 1940 al 2000 la prima è passata da poco meno di 24 milioni di ha a poco più di 12 milioni di ha, la superficie dominata dal singolo trattore è scesa da circa 670 ha a soli 7,5 ha. In termini di disponibilità di macchine per addetto impiegato, in Figura 1.10b si nota che nel 1940 si aveva 1 trattore ogni 235 addetti, mentre nel 2000 il numero di trattori superava quello degli addetti. Una delle conseguenze macroscopiche legate a tale evoluzione complessiva delle superfici coltivate e della meccanizzazione è relativa al fatto che la superficie dominata da ogni singolo addetto risulta triplicare da meno di 3 ha nel 1940 a 9 ha circa negli anni 2000 (Fig. 1.10c). Per meglio capire la rivoluzione avvenuta, si tenga poi conto che nel 1940 le coltivazioni offrivano rese produttive che, fatto il debito confronto, a seconda dei casi corrispondevano da circa la metà a un quinto di quelle registrate negli anni 2000.

1.5 Evoluzione dagli anni 2000 a oggi

Come visto nei paragrafi precedenti, la meccanizzazione ha comportato fino al 2000 una sostituzione del lavoro fisico umano e animale con il lavoro meccanico prodotto dai motori che, per quanto riguarda il settore agricolo, sono al momento di tipo endotermico. A partire essenzialmente dall'ultimo decennio del secolo scorso, le macchine hanno assunto anche altre funzioni, tra le quali quella fondamentale in termini tecnologici di andare a sostituire non solo il lavoro fisico dell'uomo, ma anche quote sempre maggiori del suo lavoro intellettuale. Di tutto questo si parlerà diffusamente altrove in quest'opera. In questo capitolo è sufficiente ricordare che tale forma di evoluzione della meccanizzazione non ha avuto nei primi anni del XXI secolo un enorme effetto sui numeri riportati nel paragrafo precedente (essenzialmente il numero delle macchine, la superficie coltivata è rimasta costante, il numero degli addetti è solo leggermente diminuito). Quello che è fondamentalmente cambiato è il modo di lavorare degli addetti, con un maggiore rispetto della loro sicurezza e della loro salute, la riduzione della fatica, l'incremento della "qualità" delle conoscenze che i medesimi devono avere per governare i processi produttivi, sulla base dei concetti della cosiddetta agricoltura di precisione. Inoltre, non bisogna dimenticare la nuova percezione che nella società si è andata formando riguardo al rapporto tra tecnologie produttive e difesa dell'ambiente e del paesaggio, che ha portato da una parte alla definizione di vincoli legislativi (che hanno indirizzato l'evoluzione delle macchine verso soluzioni a minore impatto ambientale in termini di produzione, dispersione ed emissioni di inquinanti) e dall'altra al ricorso a forme di lavorazione in grado di mantenere e migliorare il paesaggio rurale difendendo la biodiversità. Anche le macchine agricole, così come tutto il sistema produttivo in generale, si sono evolute per soddisfare una serie di bisogni individuali a complessità crescente.

Confronti tecnologici con altri settori produttivi

Le evoluzioni tecnologiche avvenute nelle civiltà occidentali dalla rivoluzione industriale in poi possono essere anche sommariamente viste come il tentativo da parte dell'uomo di creare agenti esecutori artificiali sempre più complessi, cui demandare i requisiti delle attività di controllo, cioè la parte più squisitamente intellettuale del lavoro, in coerenza con lo schema di Figura 1.11. In tutti i settori, agricoltura inclusa, lo sviluppo della meccanizzazione ha proprio comportato la sostituzione del lavoro umano mediante macchine. Con ciò intervenendo innanzitutto sui livelli (1) (Fatica) e (2) (Prontezza) di Figura 1.11, mediante dispositivi in grado di fornire, rispettivamente, potenza e rapidità di intervento attraverso opportuni dispositivi meccanici (motori, rotismi, regolatori meccanici).

Per l'evoluzione verso livelli superiori del controllo, la meccanica si è dovuta integrare dapprima con l'elettronica e poi, progressivamente, sempre più con componenti informatici in grado di svolgere complesse analisi computazionali in frazioni di secondo.

Ormai ovunque non esiste innovazione tecnologica di processo che non includa sistemi meccatronici (in cui componenti meccanici, elettronici e informatici si integrano quasi senza soluzione di continuità). Le soluzioni commerciali per l'automazione hanno da tempo raggiunto il livello (5) (Valutazione). La ricerca, specie nei settori avanzati dell'industria (soprattutto militare), si sta concentrando sul livello (6) (Apprendimento), tentando di inserire in automi elementi di logica deduttiva autogestita. La frontiera dell'evoluzione tecnologica si colloca oggi proprio tra i livelli (6) e (7) del controllo (Apprendimento e Ragionamento) (Fig. 1.11): le applicazioni che richiedono l'implementazione di processi logici induttivi rimangono ancora un obiettivo limitato alla sfera della ricerca sull'intelligenza artificiale. E ciò vale, ovviamente, per tutti i livelli di controllo superiori, i cui esempi applicativi rimangono confinati nei campi della letteratura o cinematografia fantascientifica: da Hal-9000 di "2001 Odissea nello Spazio" (1968), allo Skynet di "Terminator" (1984), o al Cyberspazio di "Matrix" (1999). Al di là dei loro contenuti avventurosi ed emotivi, a queste opere va il merito di aver saputo anticipare aspetti poi diventati in varie discipline trasversali oggetto di studi concreti, tutti accomunati dall'obiettivo della riproducibilità su agenti artificiali del comportamento degli esseri umani (cibernetica).

In concreto, l'attuale livello di evoluzione tecnologica è conscio dell'impossibilità di pervenire alla totale "automazione" della mente umana; tuttavia, è altrettanto consapevole della possibilità di aumentarne le potenzialità cognitive agendo dall'esterno: operando su grandi moli di dati con logiche di inferenza, selezione e sintesi per agevolare decisioni rapide; favorendo la connettività tra informazioni e sistemi distribuiti, superando i limiti fisici degli spazi di lavoro; modificando le potenzialità sensoriali degli agenti umani aggiungendo informazioni in tempo reale, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi (concetto di realtà aumentata).

In merito, da diverso tempo nel settore industriale, si parla della frontiera della cosiddetta Industria 4.0 (Moeller, 2016; Wan et al., 2015), così denominata poiché evoca una "quarta rivoluzione industriale", cioè una nuova evoluzione tecnologica che porterà la produzione industriale a essere del tutto automatizzata e interconnessa.

Gli elementi del contesto produttivo dell'impresa industriale che hanno reso possibile queste trasformazioni sono sinteticamente riconducibili a:

a) disponibilità finanziarie di una certa entità, che consentono di affrontare le spese in investimenti tecnologici con adeguata flessibilità;

b) possibilità di svolgere processi ripetitivi in spazi contenuti e circoscritti, altamente controllabili (nelle modalità esecutive e organizzative) e soggetti a limitate cause aleatorie di variabilità;

c) presenza di personale professionale e tecnico con alta specializzazione, soprattutto senza particolari limitazioni (e timori) nel dover gestire attrezzature e procedure informatiche.

È un dato di fatto, invece, che tali condizioni hanno costituito un serio ostacolo per il settore agricolo, ove lo stesso concetto di "impresa" si presenta qui con caratteri molto più "sfumati", passando da realtà aziendali poco più grosse dei semplici orti familiari, a vere e proprie "industrie della terra" a gestione capitalistica. Indipendentemente dalla dimensione dell'impresa, tuttavia, il contesto produttivo del settore agricolo è caratterizzato da aspetti diametralmente opposti rispetto a quello industriale: a) limitate disponibilità finanziarie, b) ambienti estesi ad alta variabilità strutturale, non controllabili e soggetti all'aleatorietà meteorologica, c) maggiori difficoltà nel reperire personale tecnico specializzato, anche per un diffuso profilo culturale degli stessi imprenditori agricoli che solo negli ultimi decenni ha avuto significative evoluzioni con aperture mentali dovute alle nuove generazioni.

Tutto ciò, se da un lato ha permesso una rapida evoluzione della meccanizzazione favorita anche dalla riduzione della forza-lavoro nelle campagne dell'immediato dopoguerra, dall'altro ha causato enormi difficoltà a procedere con soluzioni destinate a sostituire il lavoro intellettuale, evidenziate dai notevoli ritardi (tuttora palesi) con cui le tecnologie Informatiche risultano applicate nelle imprese del settore. Non è un caso che le aziende che per prime hanno vissuto le trasformazioni informatiche siano state quelle zootecniche, dato che esse per loro natura hanno caratteristiche strutturali e funzionali molto più simili al settore industriale che non a quello agricolo (specie per gli aspetti A e B di cui sopra). In conclusione, oggi l'industria 4.0 rappresenta per il settore secondario ciò che l'agricoltura di precisione rappresenta per il settore primario.


BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO PER L’APPROFONDIMENTO DEGLI ASPETTI STORICI

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Le macchine che hanno rivoluzionato il lavoro nei campi. Rassegna storica dalla fondazione dei Georgofili all'invenzione del motore a scoppio - Rivisita di Storia dell'agricoltura, n. XL, 2000, 2, pagg. 87-127, Accademia dei Georgofili, Firenze.

Bocchi S. (2015) - Zolle. Storie di tuberi, graminacee e terre coltivate - Edizioni Libreria Cortina, Milano.

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Moeller D.P.F. (2016) - Digital Manufacturing/Industry 4.0. Guide to Computing Fundamentals in Cyber-Physical Systems, Part of the series Computer Communications and Networks, pagg. 307-375.

Pellizzi G. (2000) - Sull'evoluzione della meccanizzazione agricola in Italia nelXXsecolo - Rivisita di Storia dell'agricoltura, n. XL, 2000, 2, pagg. 53-85, Accademia dei Georgofili, Firenze.

Pollan M. (2009) - La botanica del desiderio. Il mondo visto dalle piante - Ed. Il Saggiatore, Milano.

Sereni E. (1961) - Storia del paesaggio agrario italiano - Laterza, Bari.

Wan J., Cai H., Zhou K. (2015) - Industrie 4.0: Enabling technologies - Proceedings of 2015 International Conference on Intelligent Computing and Internet of Things, ICIT 2015, art. no. 7111555, 135-140.

MECCANICA E MECCANIZZAZIONE DEI PROCESSI PRODUTTIVI AGRICOLI 
MECCANICA E MECCANIZZAZIONE DEI PROCESSI PRODUTTIVI AGRICOLI 
VOLUME 2 - PARTE QUINTA