GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE

17.2 Etichettatura degli alimenti: normativa e finalità

Le principali finalità dell’etichettatura alimentare sono:

1. descrivere correttamente le caratteristiche del prodotto;

2. non ingannare il consumatore su caratteristiche che il prodotto non possiede;

3. valutare il rapporto tra qualità del prodotto e prezzo di vendita;

4. garantire la correttezza delle operazioni commerciali e la libera circolazione dei prodotti alimentari nei mercati comunitari e internazionali;

5. promuovere il prodotto a livello commerciale.

Regione

Prodotti dop

Prodotti igp

Totale

Valle d’Aosta

4

0

4

Piemonte

13

7

20

Liguria

2

1

3

Lombardia

17

9

26

Veneto

17

18

35

Trentino-Alto Adige

8

3

11

Friuli-Venezia Giulia

5

1

6

Emilia-Romagna

18

18

36

Toscana

13

11

24

Marche

6

4

10

Umbria

4

3

7

Lazio

14

9

23

Abruzzo

6

2

8

Molise

5

1

6

Campania

13

8

21

Puglia

11

5

16

Basilicata

5

4

9

Calabria

11

4

15

Sicilia

17

11

28

Sardegna

6

1

7

17.9 Quadro dei prodotti DOP e dei prodotti IGP per Regione (Aggiornato al 15 marzo 2013).


Per quanto riguarda l’etichettatura alimentare esistono due Regolamenti: il CE 1924/2006 che si occupa della pubblicità e dell’informazione relative agli aspetti nutrizionali e salutistici dei prodotti alimentari, e il Regolamento UE n. 1169/2011 che ha regolarizzato l’intera materia dell’etichettatura. L’etichettatura dei prodotti alimentari deve riportare le menzioni obbligatorie. Esse devono essere facilmente comprensibili e visibili, chiaramente leggibili e indelebili. Alcune di esse devono figurare nello stesso campo visivo. La Direttiva 2000/13/CE sostituisce la Direttiva 79/112/CEE sull’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

Le indicazioni obbligatorie sono riportate di seguito.

1. Denominazione di vendita.

2. Elenco degli ingredienti in ordine decrescente di peso e indicazione del loro nome. L’indicazione degli ingredienti non è richiesta per:

■ gli ortofrutticoli freschi;

■ le acque gassificate;

■ gli aceti di fermentazione;

■ i formaggi, il burro, il latte e la crema fermentata;

■ i prodotti costituiti da un solo ingrediente con la stessa denominazione di vendita del prodotto.

Alcuni additivi ed enzimi non sono considerati come ingredienti; si tratta di quelli utilizzati come ausiliari tecnologici o che sono contenuti in un ingrediente senza svolgere una funzione tecnologica nel prodotto finito.

3. Quantità di un ingrediente o di una categoria di ingredienti espressa in percentuale. Questo quando l’ingrediente o la categoria di ingredienti fanno parte della denominazione di vendita o sono evidenziati in etichetta.

4. Quantità netta espressa in unità di volume per i prodotti liquidi e in unità di massa per gli altri prodotti. Disposizioni particolari sono, tuttavia, previste per i prodotti alimentari venduti al pezzo e per quelli solidi presentati in un liquido di copertura.

5. Termine minimo di conservazione. Con indicazione del giorno, del mese e dell’anno, salvo per gli alimenti la cui conservazione è inferiore a 3 mesi (sono sufficienti giorno e mese), per gli alimenti con termine massimo di conservazione di 18 mesi (sono sufficienti il mese e l’anno) o aventi un termine di conservazione superiore a 18 mesi (è sufficiente l’anno). Il termine è preceduto dalla dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro il ...” quando la data comporta l’indicazione del giorno oppure “Da consumarsi preferibilmente entro fine . ” negli altri casi. L’indicazione del termine minimo di conservazione non è richiesta per:

■ gli ortofrutticoli freschi non trattati;

■ i vini e le bevande con un contenuto di alcol pari o superiore al 10% in volume;

■ le bevande rinfrescanti non alcoliche;

■ i succhi di frutta e le bevande alcoliche in recipienti individuali di oltre 5 litri, destinati alle collettività;

■ i prodotti della panetteria e della pasticceria consumati normalmente entro le 24 ore successive alla fabbricazione;

■ l’aceto;

■ il sale da cucina;

■ gli zuccheri allo stato solido;

■ i prodotti di confetteria consistenti quasi unicamente in zuccheri aromatizzati e/o colorati;

■ le gomme da masticare;

■ le porzioni individuali di gelati.

(Nel caso di prodotti alimentari rapidamente deperibili, il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza).

6. Condizioni particolari di conservazione e di utilizzazione.

7. Nome o ragione sociale e indirizzo del fabbricante o del condizionatore o di un venditore. Quanto al burro prodotto nel territorio di uno Stato membro, lo Stato membro può richiedere soltanto l’indicazione del fabbricante, del condizionatore o del venditore.

8. Luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore.

9. Istruzioni per l’uso devono essere indicate in modo tale da consentire un uso appropriato del prodotto alimentare.

10. Indicazione del titolo alcolometrico-vo-lumico effettivo per le bevande con contenuto alcolico superiore all’1,2% in volume.

Sono previste alcune disposizioni particolari per quanto riguarda:

■ le bottiglie di vetro riutilizzabili e gli imballaggi di piccole dimensioni;

■ gli alimenti preimballati: quando i prodotti preimballati vengono commercializzati a un livello anteriore alla vendita al consumatore finale o sono consegnati a collettività per essere trattati, le indicazioni possono figurare soltanto sui documenti

commerciali purché la denominazione di vendita, la data di durata minima e il nome e l’indirizzo del fabbricante o del confezionatore figurino sull’imballaggio esterno del prodotto alimentare;

■ gli alimenti presentati non preimballati alla vendita o gli alimenti imballati in occasione della vendita su richiesta del compratore.

La commercializzazione dei prodotti alimentari conformi alla direttiva può essere vietata soltanto da disposizioni nazionali specifiche, giustificate da ragioni particolari come: la protezione della salute pubblica, la repressione delle frodi ovvero la protezione della proprietà industriale e commerciale.


Regioni

2009

2010

2011

Var. % 2011/10

Peso % 2011

Emilia-Romagna

2.214

2.585

2.860

10,6

44,5

Lombardia

1.235

1.409

1.586

12,6

24,7

Trentino-Alto Adige

304

418

449

7,3

7,0

Veneto

270

322

366

13,6

5,7

Friuli-Venezia Giulia

349

335

332

-1,0

5,2

Campania

246

283

277

-2,2

4,3

Piemonte

175

178

196

10,4

3,1

Sardegna

177

162

110

-31,8

1,7

Toscana

93

93

98

5,6

1,5

Lazio

46

45

42

-8,0

0,6

Puglia

16

22

33

49,4

0,5

Valle d'Aosta

28

27

21

-19,6

0,3

Umbria

33

35

14

-60,3

0,2

Sicilia

9

24

13

-45,3

0,2

Marche

17

16

11

-28,1

0,2

Calabria

6

11

9

-22,5

0,1

Liguria

5

5

5

0,5

0,1

Abruzzo

3

3

3

-12,0

0,0

Basilicata

0

2

2

12,1

0,0

Molise

0

1

1

-22,4

0,0

17.12 Fatturato alla produzione delle DOP e IGP per Regione nel triennio 20092011 (in milioni di euro). (Fonte: elaborazione Ismea su dati degli Organismi di Controllo, rete di rilevazione Ismea e Consorzi di tutela).

17.3 Le aree montane nella legislazione

La salvaguardia e la valorizzazione delle zone montane, ai sensi dell’art. 44 della Costituzione, rivestono carattere di preminente interesse nazionale. Ad esse concorrono, per quanto di rispettiva competenza, lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli Enti locali.

LEGISLAZIONE
Comunitaria: Direttiva 75/268 EEC agricoltura di montagna e talune zone svantaggiate (inglese: mountain areas and less favoured areas LFA)

Istituisce una mappatura delle zone svantaggiate in tutti i Paesi membri individuando per l’Italia le aree montane e le aree alto-collinari

Regionale (es. Marche): L.R. n. 57/1997

Nazionale: Legge 97/94 - Legge sulla montagna

17.15 Articolazione legislativa delle norme per le aree montane.

Le zone montane garantiscono la multifunzionalità attraverso i seguenti elementi:
■ biodiversità e la complessità ecologica cioè la varietà di habitat e di ecosistemi;
■ tutela ambientale (es. idrogeologica);
■ prodotti tipici e sicurezza alimentare;
■ riserve idriche;
■ risorse forestali anche a scopi energetici;
■ tradizioni e cultura popolare.

Tra gli aspetti negativi che caratterizzano tali aree vi sono:

a. verticalità delle montagne (altitudine e ripidità dei versanti);

b. instabilità e fragilità strutturali;

c. estrema variabilità climatica;

d. attività agricole e forestali fortemente condizionate, limitate (periodo vegetativo breve) e difficoltose, scarsamente produttive e con costi di produzioni nettamente superiori rispetto alle zone di pianura e bassa collina.


Il problema maggiore, che rappresenta la debolezza strutturale, è dato dall’abbandono generalizzato delle aree montane da parte delle popolazioni residenti. Tale debolezza ha diverse componenti:

1. l’abbandono vero e proprio della montagna da parte dei giovani con conseguente calo demografico;

2. l’abbandono delle attività agro-forestali e di presidio del territorio rurale e montano da parte dei residenti, con impiego in altre attività più remunerative;

3. l’aumento della pressione sul territorio montano per l’adozione di modelli di sviluppo poco sostenibili;

4. politiche limitate e, a volte, poco efficaci per la valorizzazione delle specificità di tali aree. Per descrivere le zone montane si fa riferimento al concetto di marginalità applicandolo a tutte le componenti del sistema socioeconomico.

A tal fine si parla di:

■ marginalità sul piano economico-produttivo;

■ isolamento commerciale, per difficoltà nei trasporti e, in generale, problemi nelle comunicazioni;

■ marginalità sul piano sociale e culturale.

Politiche e strategie di sviluppo e valorizzazione

Gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile delle aree montane devono tenere conto dei seguenti aspetti:

1. il ripristino e il mantenimento della qualità di vita delle popolazioni locali;

2. lo svolgimento di una funzione ecologica salvaguardando gli ecosistemi montani.

Le principali attività interessate alla gestione sostenibile delle aree montane sono

l’attività forestale e quella agricola comprendente gli allevamenti zootecnici estensivi. Il mantenimento di queste peculiari attività permette di garantire una redditività per i residenti ed esplica anche una funzione di utilità sociale tutelando le zone montane dal dissesto idrogeologico. A livello comunitario non esiste ancora una politica specifica per le aree montane, rispetto a quanto avviene per le regioni marittime. Esistono, comunque, strumenti utili allo sviluppo della montagna sia all’interno della politica di coesione per lo sviluppo regionale, sia all’interno di altre politiche settoriali.

La prima politica comunitaria che ha preso in considerazione le problematiche delle aree montane fu la Politica Agricola Comune (PAC ), che introdusse delle indennità compensative per gli agricoltori che operano in zone svantaggiate.

Anche per la conservazione e valorizzazione del paesaggio la politica agricola comunitaria incide in modo diretto sulle scelte degli agricoltori, sia in termini di ordinamenti colturali che di tecniche produttive (Politica agricola comunitaria e interventi paesaggistici).

Un’altra politica con notevole impatto sui territori montani è la politica di coesione, ovvero quella politica dell’Unione Europea che ha come fine lo sviluppo armonico ed equilibrato al suo interno: favorendo la crescita delle Regioni e Stati meno sviluppati (obiettivo convergenza), rafforzando la competitività e l’occupazione (obiettivo competitività regionale e occupazione) e stimolando la cooperazione territoriale (obiettivo cooperazione territoriale europea).

Questi obiettivi vengono perseguiti mediante il finanziamento di progetti di sviluppo per mezzo di due fondi (fondi strutturali), il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) che finanzia infrastrutture e progetti di sviluppo locale prevalentemente negli ambiti della ricerca, innovazione, tutela dell’ambiente e prevenzione dei rischi, e il Fondo Sociale Europeo (FSE) che finanzia progetti in grado di migliorare l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese, l’accesso e la partecipazione al mondo del lavoro e l’inclusione sociale delle categorie più svantaggiate. La gestione di questi fondi, definiti a gestione indiretta, implica una ripartizione delle competenze tra Commissione europea e Stati membri, in quanto la Commissione è responsabile del quadro normativo comune, mentre spetta agli Stati membri declinarlo in Quadri Strategici Nazionali (QSN) dai quali le Regioni devono derivare i propri piani operativi, i Piani Operativi Regionali (POR). Sempre alle Regioni spetta il compito di selezionare e controllare i singoli progetti che ricevono i finanziamenti, motivo per il quale molto spesso questi finanziamenti vengono percepiti come regionali e non di emanazione europea.

Un’ulteriore politica comunitaria di sicuro interesse per la montagna è quella ambientale, che interviene sia tramite i fondi strutturali (finanziando progetti di tutela dell’ambiente e prevenzione dei rischi), sia tramite il fondo LIFE+. Questo fondo prevede tre assi di intervento: natura e biodiversità (progetti rivolti alla conservazione di specie e habitat e alla definizione di misure atte a preservare la biodiversità), politica ambientale e governance (progetti di innovazione di processo inerenti tematiche quali aria, acqua, suolo, risorse naturali, cambiamento climatico, ecc.), informazione e comunicazione (progetti di divulgazione della legislazione ambientale, di sensibilizzazione per la prevenzione degli incendi, ecc.). A differenza dei fondi a gestione indiretta, questo fondo viene gestito direttamente dalla Commissione europea, ovvero i progetti da finanziare vengono selezionati e controllati dalla Commissione, anche se una prima selezione viene effettuata dal Ministero dell’ambiente italiano.

Alcune Regioni si sono mosse sul tema della montagna sviluppando politiche specifiche, ma con una visione trasversale inserendo tali politiche in un quadro di riferimento più ampio (Documenti Strategici Regionali, Piani di Sviluppo Territoriale). Questi provvedimenti regionali hanno in comune un approccio integrato tra diverse politiche regionali ed interventi settoriali (es. sanità e montagna; trasporti e montagna; impresa e montagna), ma anche con i programmi di sviluppo regionali promossi dalla Commissione europea per garantire un flusso finanziario aggiuntivo. Altri aspetti che accomunano le diverse politiche regionali in tema di montagna sono legati a:

1. identificazione del territorio montano come ambito di opportunità di sviluppo e valorizzazione delle peculiarità locali, in linea anche con i recenti orientamenti europei;

2. crescente consapevolezza dell’esistenza di un sistema montagna che racchiude in sé situazioni territoriali diversificate, con problematiche ed aspetti peculiari anche molto diversi tra loro.

Il problema della governance territoriale è stato affrontato con modalità differenti e con linee di intervento che integrano lo sviluppo montano con la realtà regionale considerata nel suo complesso. Ogni Regione si è posta obiettivi e strategie differenti. Di seguito vengono esaminati alcuni esempi.


Regione Piemonte

Si è dotata di un documento normativo specifico per la montagna rappresentato dal Testo Unico sulla Montagna approvato con legge regionale n. 16 del 2 luglio 1999. Con la medesima legge la Regione Piemonte si è dotata di uno specifico strumento statistico: la Banca Dati Decisionale sulla Montagna (BDDM), un applicativo finalizzato ad assicurare i data base e le elaborazioni necessarie all’attività di analisi e studio dei territori montani e collinari piemontesi.


Regione Lombardia

ha adottato, nel 2009, un documento strategico denominato Piano d’Azione per la Montagna (PAM). In tale documento viene fatta una breve panoramica della normativa europea e nazionale in materia di montagna ed un rimando ai documenti programmatici regionali (PRS, DPERF, PTR) per quanto riguarda la definizione delle azioni strategiche di intervento. La struttura del Piano comprende:

a. 3 obiettivi di sistema: I) l’attrattività e la qualità della vita, II) lo sviluppo socioeconomico, III) l’innovazione e l’accessibilità (infrastrutture);

b. 17 linee prioritarie di intervento che toccano principalmente aspetti quali: prevenzione e mitigazione dei rischi naturali; difesa del suolo; conservazione e valorizzazione del territorio; incremento della qualità delle foreste; patrimonio culturale delle identità locali; miglioramento dell’accessibilità ai beni culturali; sfruttamento delle risorse energetiche alternative e rinnovabili; ampliamento dell’offerta turistica (con particolare attenzione alla sostenibilità e alla destagionalizzazione dei flussi turistici); sostegno al comparto agro-forestale; competitività delle imprese;

c. relative azioni strategiche.

Il PAM rappresenta un interessante esempio di strumento di riferimento regionale per le aree montane a partire dal quale sono definite politiche e orientamento degli investimenti in base alle azioni strategiche e alle risorse allocate.


Regione Emilia-Romagna

Si è dotata di un documento programmatico di riferimento per le aree montane: il Programma Regionale per la Montagna, istituito con L.R. n. 2/2004. Con tale strumento, la Regione ha introdotto un sistema di programmazione negoziata: sono state siglate otto intese istituzionali a livello provinciale, ognuna delle quali contiene una strategia di sviluppo diversa, legata alle specificità territoriali di ogni singola Provincia. Sulla base di tali intese sono stati siglati degli accordi-quadro che si propongono come strumenti di concertazione tra Regione, Province ed Enti locali associativi di Comuni montani territorialmente interessati, con lo scopo di individuare misure di intervento specifiche in base alle esigenze territoriali.


Regione Toscana

Ha sviluppato una propria politica per la montagna e il tema “montagna” ha avuto un impatto trasversale, concertato a più livelli e legato a molteplici temi e settori di intervento. Questo approccio ha portato nel 2002 alla sottoscrizione della “ Carta delle montagne toscane ” da parte dei vari Enti presenti al tavolo di concertazione regionale. Il Piano di indirizzo prodotto è entrato in vigore nel 2004. Il documento prevede cinque strategie d’intervento: migliorare la qualità della vita e dei servizi; orientare le attività alla sostenibilità; valorizzare le risorse montane; proteggere la peculiarità dell’ecosistema montano; sostenere le capacità progettuali delle Comunità montane. In vista di una maggiore integrazione tra politiche regionali sul tema montagna, nel 2006 si è deciso di trattare tale materia nell’ambito di un atto di programmazione generale: il Programma Regionale di Sviluppo (PRS) 2006-2010, ora sostituito dal PRS 2011-2015. Pur rimanendo in vigore l’attuale programmazione (Piano d’indirizzo per le montagne toscane/Documento attuativo annuale), la L.R. n. 67/2011 ha introdotto strumenti di semplificazione per quanto riguarda la creazione di piani di sviluppo locali.


Regione Veneto

È stata la prima in Italia ad aver elaborato, negli anni Ottanta del secolo scorso, un suo originario approccio alla questione montana: il “progetto montagna”. Il primo organico provvedimento intersettoriale per lo sviluppo della montagna è stata la L.R. n. 29/1983 “Interventi a favore dei territori montani e approvazione del progetto montagna”. Prendeva così forma un pensiero utile sia negli anni successivi fino all’approvazione della legge quadro nazionale del 1994, sia in sede comunitaria: risale infatti al 15 dicembre 1983 la risoluzione Colleselli al Parlamento europeo per un’azione comunitaria specifica al rilancio dell’attività agricola e silvopastorale, attraverso il recupero del territorio soggetto a dissesto idrogeologico nell’area montana e dolomitica della Regione Veneto. Un altro intervento normativo si deve al Programma regionale di sviluppo 1988-1990 per garantire lo sviluppo e nello stesso tempo la residenzialità delle zone montane venete. Ancora prima della legge-quadro statale n. 97/1994 il Veneto aveva istituito un proprio Fondo regionale per la montagna (art. 17 L.R. n. 19/1992), alimentato solo da risorse statali azzeratesi dopo il 2010, rendendo inoperativo lo strumento pensato per finanziare gli interventi speciali a favore delle zone montane. Le Intese Programmatiche d’Area (IPA) sono strumenti di programmazione decentrata disciplinati dalla L.R. n. 35/2001 “Nuove norme sulla programmazione”, frutto dell’esperienza maturata con i patti territoriali. Le IPA rappresentano momenti di concertazione tra soggetti pubblici e parti economiche e sociali, con funzioni di analisi e proposte delle azioni di sviluppo prioritarie per l’area di riferimento. Per mezzo delle IPA la Regione offre la possibilità agli Enti pubblici locali e alle parti economiche e sociali di partecipare alla programmazione attraverso accordi finalizzati allo sviluppo economico e sociale di aree territoriali sub-regionali. In territorio montano, al 31 dicembre 2010 risultano costituite 7 IPA. Le tipologie di intervento finora finanziate riguardano prevalentemente opere pubbliche e percorsi tematici.


Regione Calabria

La L.R. n. 45/2012 “Gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio forestale regionale” regola il riassetto degli Enti che si occupano delle politiche sulla montagna, riordina le competenze, elimina le criticità del sistema e sopprime le Comunità montane. Con tale norma regionale si intende attuare una politica di sviluppo appropriata a perseguire l’effettivo miglioramento delle funzioni produttive e sociali, la valorizzazione delle attività ricadenti nelle aree collinari e montane, la tutela dell’ambiente e del territorio, le migliori condizioni di vita e la sicurezza delle popolazioni interessate.


Provincia autonoma di Trento

La Legge provinciale n. 17/1998 concernente “Interventi per lo sviluppo delle zone montane”, ha inteso valorizzare le attività economiche nelle zone montane nel pieno rispetto delle risorse ambientali, perseguendo l’obiettivo di assicurare lo sviluppo sociale e la salvaguardia dell’identità culturale delle popolazioni locali. L’aspetto più innovativo introdotto consiste nell’istituzione di uno specifico fondo provinciale per lo sviluppo delle zone montane. Tale strumento è destinato a finanziare, nel tempo, le politiche di sostegno speciale per la montagna. La L.P. n. 17/1998, unitamente agli interventi già previsti da altre leggi provinciali, mira a valorizzare gli elementi che caratterizzano la realtà montana, cercando di dare corpo ad un modello di sviluppo civile, sociale nonché economico. L’obiettivo è di fermare il progressivo degrado conseguente all’abbandono delle aree montane, sviluppando un insieme di politiche e di interventi che siano in grado di dare risposte adeguate ai bisogni della montagna nel suo complesso.

17.4 Marketing: principi, obiettivi, strategie

L’esigenza principale delle imprese è quella d’individuare i canali di distribuzione dei beni e dei servizi prodotti, e sviluppare tecniche di vendita efficaci. L’attività di marketing ha inizio nel momento in cui l’impresa si chiede a chi, che cosa e come vendere. La finalità del marketing non è solo quella di convincere i consumatori della qualità di un prodotto, ma è soprattutto quella d’individuare in anticipo i prodotti più soddisfacenti per il potenziale consumatore. Il consumatore assume un ruolo centrale e strategico per le imprese, le quali modificano la loro ottica di produzione: non cercano di vendere ciò che fabbricano, ma di fabbricare ciò che possono vendere.

Il marketing si pone come obiettivo quello di esplorare il mercato per misurare i bisogni dei consumatori, il loro grado di soddisfazione e la loro capacità di consumo. Soddisfare i bisogni dei clienti è l’obiettivo centrale per le imprese, non certo per altruismo, ma perché questo permette loro di crescere e incrementare la redditività.

Il marketing è la funzione cardine di tutte le imprese, indipendentemente dal tipo di bene o di servizio che esse producono.

Il marketing mix

La combinazione degli strumenti predisposti per l’ottenimento degli obiettivi di mercato rappresenta il marketing mix (17.16). Tali strumenti o leve del marketing (le 4 “P” di base) sono i seguenti:

1. prodotto;

2. prezzo;

3. promozione;

4. place-piazza (luogo dove vengono venduti i prodotti).

Questi elementi che lo costituiscono sono sintetizzati secondo la letteratura anglosassone con le quattro “P”: Product, Price, Promotion, Place. La corretta miscela di queste leve consente l’ingresso, lo sviluppo ed il consolidamento di un prodotto sul mercato.

Il prodotto va inteso, oltre che in senso fisico, anche dall’insieme delle caratteristiche che lo identificano quali la funzione, la varietà commerciale, la qualità, il nome (brand name), il packaging e i servizi postvendita. Il prezzo di vendita è condizionato da fattori esterni all’impresa, quali l’andamento della domanda e il comportamento delle aziende concorrenti che ne determinano il prezzo massimo, e da fattori interni, quali i costi di produzione che ne determinano il prezzo minimo.


La promozione riguarda l’insieme di attività che mirano ad incentivare l’acquisto attraverso un giusto messaggio in grado di comunicare l’immagine aziendale. Il place (il luogo o i luoghi come ambiti operativi) comprende i canali di distribuzione, i punti vendita e la logistica di rifornimento, ovvero rappresenta l’insieme degli ambiti, dei mezzi e delle attività che trasferiscono il prodotto dalla fonte di produzione al consumatore finale. È possibile anche estendere il concetto delle 4 “P” e portarlo a 7 “P” per una visione più completa dell’ambito operativo di processo verso la clientela e l’ambiente fisico (17.17).

GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE
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