GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE

15.6 Fattori e modelli di sviluppo delle OP

L’esame della presenza delle OP (Organizzazioni di Produttori) in Italia nei diversi settori produttivi, compreso l’ortofrutticolo, rileva che nell’agricoltura italiana coesistono diversi modelli organizzativi influenzati da fattori importanti:

■ il fattore territoriale, in base al quale la localizzazione delle attività in un contesto economico-produttivo dove vi è un forte tessuto associativo-cooperativo ha favorito il consolidamento di realtà imprenditoriali già organizzate;

■ il fattore manageriale, legato all’azione di coordinamento che l’OP, come struttura di governance, svolge rispetto alle imprese associate;

■ il fattore identitario, ossia come cultura e storia dell’impresa influenzano il patrimonio specifico di risorse e competenze.

Sulla base dell’evidenza dei dati analizzati, le OP si possono ricondurre a diversi modelli organizzativi, che presentano differenze sul piano funzionale, gestionale e delle strategie intraprese.

Un primo modello di OP, caratteristico soprattutto dell’area Nord-orientale, è rappresentato prevalentemente da imprese di grandi dimensioni, ben radicate nel territorio che traggono forza e ragione d’essere dalla cooperazione. Si tratta di OP che, nell’assumere una “missione di mercato”, svolgono funzioni di programmazione della produzione, concentrazione dell’offerta e immissione coordinata nel mercato della produzione dei soci. Tale categoria di OP può sviluppare una strategia di sistema in grado di “realizzare gli obiettivi di interesse collettivo previsti dalla politica nazionale e comunitaria” (Bertazzoli et al., 2004), ponendosi come un “motore” di sviluppo e un punto di riferimento per il territorio in cui opera. Tra i casi citati nell’analisi rientrano in questa categoria soprattutto i grandi consorzi cooperativi del lattiero-caseario, dell’ortofrutta e del bieticolo-saccarifero.

Un secondo modello è costituito da OP di piccole dimensioni, prevalentemente localizzate nel Mezzogiorno, con limitata capacità operativa e difficoltà nel relazionarsi sul mercato. In molti casi si tratta di OP costituite allo scopo di trarre vantaggio dalla politica comunitaria, per cui svolgono più che altro funzione di collettore di finanziamenti pubblici e gestione delle misure comunitarie. In questa categoria si possono collocare le OP dei settori olivicolo e tabacchicolo, nate grazie al sostegno della PAC, ma anche le OP del settore ortofrutticolo che sembrano privilegiare la stessa funzione e mostrare, dunque, minore attenzione alle necessità del mercato. Più in generale, la nascita di gran parte delle OP non ortofrutticole è strettamente legata alla possibilità di accedere a forme di sostegno pubblico rispetto alle quali la OP è sicuramente favorita.

Un terzo modello è individuabile in quelle OP la cui costituzione è stata sostenuta dalla politica regionale, come nel caso del settore cerealicolo in Emilia-Romagna, e che operano per rafforzare il tessuto produttivo della regione consolidando un modello di integrazione di filiera già esistente.

Lo sviluppo dei diversi sistemi produttivi verso forme di organizzazione economica dipende dall’evoluzione del quadro istituzionale nel quale essi operano. Le istituzioni, nell’elaborare le norme che indirizzano le scelte dei soggetti economici, definiscono gli interventi a sostegno delle OP. In questo senso la Politica Agricola Comunitaria ha sempre mostrato attenzione nei confronti del modello dell’associazionismo produttivo, favorendo e sostenendo la nascita e lo sviluppo delle OP nei diversi settori. Questo processo è partito dall’ortofrutta che, grazie al sostegno comunitario ai programmi operativi delle OP introdotto dalla riforma dell’OCM, costituisce da sempre un “modello organizzativo” cui ispirarsi, per poi coinvolgere anche altri settori, come quello olivicolo e il tabacchicolo.

Tuttavia, l’azione normativa si esplica più efficacemente in quelle realtà in cui è già presente una forma di organizzazione economica.

15.7 Valorizzazione dei prodotti agricoli

Il sistema agroalimentare italiano ha la necessità di puntare obbligatoriamente sulla qualità dei prodotti, in quanto i territori dove è possibile recuperare margini di competitività sul fronte della produttività e della riduzione e/o contenimento dei costi di produzione sono molto limitati.

Strategie operative

Per potere puntare sulla qualità è necessario:

■    definire gli indicatori qualitativi del prodotto;

■    individuare il target di mercato;

■    scegliere i canali commerciali;

■    svolgere un’attività di comunicazione.

Bisogna, quindi, applicare le strategie di marketing. Per far ciò, sono necessarie capacità manageriali e investimenti specifici che non sempre sono alla portata delle imprese che operano nel settore agroalimentare. Questa è la ragione per cui sono necessarie strategie operative collettive di valorizzazione della qualità.

Tali strategie di valorizzazione hanno l’obiettivo di rendere riconoscibile il prodotto, fornire informazioni ed assicurazioni in merito alla sua qualità, alla natura tradizionale dei prodotti e alla loro tipicità.

Vengono di seguito esaminate tre possibili strategie di valorizzazione dei prodotti agroalimentari.

Una prima strategia di valorizzazione dei prodotti agroalimentari può essere rappresentata dalla certificazione europea della tipicità, ovvero le Denominazioni di origine protetta (DOP) e le Indicazioni geografiche protette (IGP).

Una seconda strategia dalle diverse forme di associazione tra produttori che si possono realizzare sulla base di affinità territoriali e/o merceologiche (es: le strade del vino, le strade dell’olio, ecc.).

Una terza strategia dallo sviluppo di filiere corte nelle quali i produttori agricoli in cooperazione formano una rete per aggregare la loro offerta e proporla direttamente ai consumatori finali (es: vendita diretta associata).

Per effettuare un’attenta scelta della strategia di valorizzazione dei prodotti agricoli da adottare, occorre tenere in debito conto due aspetti comuni alle diverse strategie.

Il primo aspetto di cui tenere conto riguarda il fatto che i “consumatori consapevoli” per ridurre l’incertezza sulla qualità dei prodotti da acquistare preferiscono fare le loro scelte avendo un maggior numero di informazioni possibili, per questo le imprese agroalimentari devono attuare delle specifiche modalità di comunicazione e di assicurazione della qualità dei prodotti che offrono alla vendita.

Il secondo aspetto da considerare riguarda il fatto che queste attività di comunicazione richiedono la disponibilità di una congrua quantità di risorse finanziarie e, inoltre, affinché un prodotto agroalimentare sia riconoscibile da parte dei consumatori e si possa affermare con certezza sul mercato, occorrono delle quantità adeguate di prodotto da offrire. Sulla base dei due aspetti comuni esposti, risulta difficoltoso per le piccole imprese del settore agroalimentare affermarsi col proprio nome sul mercato. Per cui, per la valorizzazione dei prodotti è necessario adottare strategie di aggregazione delle imprese, in modo che possano acquisire una maggiore visibilità sul mercato e ripartire i costi da sostenere per le attività di comunicazione e di assicurazione della qualità dei prodotti offerti ai consumatori.

Per potere adottare strategie di aggregazione delle imprese, il presupposto è l’individuazione di un obiettivo comune da perseguire, e questo comporta l’accettazione di un compromesso e l’imposizione di regole che possono costituire un limite per l’autonomia decisionale delle singole imprese agroalimentari, limite che deve essere superato tenendo in considerazione l’obiettivo comune come orizzonte da raggiungere.

Inoltre, occorre considerare che in una aggregazione di imprese, i risultati conseguiti da ognuna dipendono anche dalle strategie e dai comportamenti delle altre imprese, questo obbliga le singole imprese agroalimentari ad adottare comportamenti e strategie comuni, al reciproco controllo della qualità immessa sul mercato e comunicata ai consumatori e alle comuni strategie di prezzo. È opportuno ricordare che quest’ultimo è frequentemente utilizzato dai consumatori come “indicatore” di qualità del prodotto da acquistare.

Passiamo a esaminare più in dettaglio le tre strategie di valorizzazione dei prodotti agroalimentari.


Prima strategia: la tipicità

La tipicità di un prodotto agroalimentare è un aspetto qualitativo al quale i consumatori attribuiscono un’importanza sempre maggiore.

Questo termine sta a indicare la specificità legata al territorio delle caratteristiche qualitative di un prodotto. Il termine “territorio”, in questo caso, bisogna intenderlo nel suo significato più vasto che comprende, oltre alle caratteristiche ambientali anche lo specifico patrimonio culturale e lo sviluppo di tecniche produttive peculiari.

La certezza dell’origine di un determinato prodotto agroalimentare deve essere assolutamente garantita e certificata. La certificazione è regolamentata da specifiche norme e comporta l’adozione e il rispetto di un sistema di norme vincolanti per i produttori i quali sono tenuti all’assoluta osservanza delle regole per la produzione e per l’informazione dei consumatori.

La regolamentazione della certificazione della tipicità di un prodotto ha il duplice obiettivo di garantire e tutelare sia i consumatori che esercitano la domanda di prodotti agroalimentari, sia i produttori che esercitano l’offerta.

Per la domanda, scopo della regolamentazione è quello di fornire assicurazioni sul valore dell’informazione fornita e sulla sua autenticità. Per l’offerta, la regolamentazione dei prodotti tipici riduce il rischio di comportamenti scorretti da parte di alcuni produttori, differenzia i prodotti agroalimentari riducendo gli effetti negativi della concorrenza di altri alimenti, riequilibra il peso sul mercato dei soggetti che operano lungo la filiera a favore della fase di produzione agricola e migliora la competitività delle imprese, condizione fondamentale che innesca processi di sviluppo locale nelle aree rurali.

I prodotti tipici agroalimentari sono quelli a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e a Indicazione Geografica Protetta (IGP), istituite con il Reg. CE 2081/92, sostituito con il Reg. UE 510/06 poi abrogato dal Reg. UE 1151/2012 attualmente in vigore. La quasi totalità del fatturato dei prodotti tipici deriva da formaggi e salumi, di cui circa i due terzi per i formaggi e il restante terzo a salumi e carni conservate. È necessario che ci sia un coinvolgimento attivo delle imprese che devono essere attente agli aspetti tecnico-economici e commerciali, tra i quali vi è, innanzitutto, la definizione dell’areale di produzione che sarà indicato nel disciplinare, altrimenti l’iniziativa sarà fallimentare in quanto l’ottenimento di una certificazione della tipicità del prodotto agroalimentare (DOP o IGP) non deve essere considerato la fine di un percorso strategico di valorizzazione ma piuttosto un punto di inizio. Infatti, una certificazione di tipicità da sola non è in grado in automatico di ampliare gli spazi di mercato, di incrementare le vendite aumentando la disponibilità ad acquistare dei consumatori, di ridurre la concorrenza di altri prodotti tipici provenienti da altre aree e di evitare eventuali falsificazioni. Purtroppo, la scarsa propensione da parte degli imprenditori agroalimentari italiani ad associarsi in cooperative o a trovare altre forme per gestire in comune fasi della produzione o della commercializzazione e le dimensioni medio-piccole delle nostre imprese, spesso costituiscono i principali fattori di limitazione all’uso delle denominazioni DOP e IGP come strategia di valorizzazione dei prodotti agroalimentari.


Seconda strategia: aggregazione dei produttori

Un’altra via possibile per la valorizzazione della qualità agroalimentare è l’aggregazione dei produttori finalizzata alla promozione dei prodotti agricoli. In alcuni casi, queste iniziative di aggregazione fanno parte di strategie più ampie e complesse di marketing territoriale, attraverso le quali, si punta a promuovere la conoscenza di un intero territorio con tutte le sue differenti attività insediate, con iniziative, anche molto diverse tra loro, come fiere, sagre, mercatini tematici, degustazioni, apertura delle aziende al pubblico, apertura di monumenti, ecc., che hanno in comune la complessità dovuta alla molteplicità degli obiettivi perseguiti e alla pluralità di soggetti portatori di interesse coinvolti. Perno di questo tipo di strategie è il territorio, col suo intimo legame con le diverse attività che in esso vengono svolte. Per l’attuazione di queste ampie e complesse strategie di marketing territoriale, è necessario che ci sia un’organizzazione, un coordinamento e un raccordo tra i vari livelli dei soggetti, anche molto diversi e lontani, coinvolti nelle attività di promozione del territorio. I soggetti coinvolti sono diversi: aziende agricole, ristoratori, albergatori, commercianti, soggetti pubblici che possono concorrere all’iniziativa come musei, riserve naturali, ecc.

APPROFONDIMENTO - I prodotti tipici: classificazione e riferimenti normativi

Dopo l’Unità d’Italia, l’agricoltura si presentava come un mosaico di realtà economiche, sociali e produttive diversificate, a causa delle diverse condizioni pedoclimatiche e dei differenti usi locali. Oggi, l’agricoltura è cambiata, si è industrializzata per potersi misurare col mercato, il quale uniforma e standardizza le produzioni. I prodotti tipici sono quelli sopravvissuti a questo processo di industrializzazione, sono portatori di una memoria storica, hanno una localizzazione geografica e vengono preparati secondo una specifica tecnica produttiva. Analizzando gli elementi che caratterizzano tali prodotti, possiamo dire che per memoria storica si intendono tutte quelle tradizioni legate al prodotto che rappresenta una tangibile eredità di una cultura contadina tramandata nel tempo e migliorata. La localizzazione geografica fa riferimento alla presenza storica di tale prodotto in un territorio circoscritto, dove le peculiari condizioni ambientali del luogo geografico imprimono caratteri di unicità. La tecnica produttiva, che assume maggiore rilevanza per i prodotti trasformati, fa riferimento all’esperienza tramandata nel corso delle generazioni sulle tecniche di coltivazione e di allevamento, sugli strumenti e sui metodi utilizzati, sui tempi e sulle condizioni di preparazione. La caratterizzazione dei prodotti tipici è stabilita dalla regolamentazione giuridica: infatti esiste una denominazione di tipicità regolamentata a livello europeo (DOP, IGP, STG, indicazioni facoltative di qualità), con un marchio che li identifica, allo scopo di salvaguardare produttori e consumatori, e una tipicità riconosciuta a livello nazionale con l’iscrizione nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Per potersi fregiare di un marchio comunitario d’origine, il prodotto deve rispondere ai canoni richiesti dagli specifici disciplinari di produzione e alle norme europee: prima il Regolamento CE 510/2006 per la Dominazione di Origine Protetta (DOP) e l’Indicazione Geografica Protetta (IGP), e il Regolamento CE 509/2006 per le Specialità Tradizionali Garantite (STG). Da gennaio 2013 il Reg. UE n. 1151/2012 ha abrogato e sostituito i regolamenti comunitari numero 509 e 510 del 2006. Quei prodotti agroalimentari che, pur presentando gli elementi della tipicità, non hanno i requisiti richiesti dai regolamenti comunitari per DOP, IGP e STG, possono essere iscritti nell’elenco nazionale dei prodotti tradizionali, secondo la procedura stabilità dalla normativa (D.Lgs. n. 173/1998, D.M. n. 350/1999). Tra i prodotti tipici, alcuni hanno notorietà sia a livello nazionale sia internazionale, come il Grana Padano e il Gorgonzola; altri, che per lopiù vengono apprezzati a livello regionale e nazionale, si trovano in una posizione intermedia, come il Bitto; altri ancora, conosciuti e apprezzati in un ristretto ambito locale, anche per la produzione limitata, assumono la connotazione di prodotti di nicchia. Lo sviluppo dei prodotti tipici prevede una strategia di tutela e di valorizzazione. Per la valorizzazione di un prodotto tipico, la strategia deve puntare sull’esaltazione degli aspetti favorevoli legati alla caratteristica di unicità delle proprietà organolettiche e della qualità. Gran parte delle imprese produttrici sono di piccola dimensione, per cui non hanno risorse sufficienti per adottare tecniche di marketing, quindi è opportuno utilizzare strategie collettive di produzione e di mercato. Il punto di forza dei prodotti tipici è che sono adatti alle forme di concorrenza non basate sul prezzo, ma sulla qualità; pertanto si prestano alla vendita presso punti specializzati o anche nei settori specifici dedicati alle specialità tradizionali della GDO. In conclusione, la tipicità è un valido strumento di valorizzazione oltre che dei prodotti agroalimentari anche del territorio rurale.

Terza strategia: la filiera corta

Una terza via possibile di valorizzazione dei prodotti agroalimentari è la commercializzazione mediante le filiere corte.

Queste possono essere di vario tipo:

■    vendita diretta in azienda;

■    vendita presso un punto esterno singolo o associato;

■    vendita presso mercati all’aperto;

■    vendita per corrispondenza;

■    l’e-commerce;

■    consegna a domicilio a singoli o a gruppi organizzati di consumatori.

Conoscere direttamente i produttori e la zona geografica di provenienza del prodotto

agroalimentare, per alcuni consumatori rappresenta una forma di garanzia della qualità stessa del prodotto.

Poi, alcuni consumatori accolgono favorevolmente la possibilità di potere sostenere le imprese agricole locali. Inoltre, l’acquisto di prodotti locali, per la riduzione del trasporto e del numero di passaggi tra più soggetti rispetto alla filiera tradizionale, può avere come effetto, non sempre a onore del vero, un contenimento dei prezzi dei prodotti agricoli.

Per i produttori, la filiera corta è un’opportunità in quanto può assicurare un maggiore valore aggiunto della produzione (= maggiore ricavo); inoltre, il contatto diretto con i consumatori può promuovere l’instaurarsi di un rapporto durevole di fiducia garantendo, così, gli sbocchi commerciali dei prodotti.

Alcuni agricoltori della filiera corta preferiscono gestire in comune il rapporto con i clienti e questo permette loro di aumentare il ventaglio dei prodotti offerti agli acquirenti e di poter proporre anche un servizio comune di consegna a domicilio. Questa modalità di vendita diretta associata permette agli agricoltori di ridurre i costi per il servizio di vendita dei propri prodotti e, contemporaneamente, facilita gli acquisti da parte dei consumatori che accolgono con favore tale opportunità.

In definitiva, e rispetto alle tre strategie, possiamo dire che, nell’effettuare le scelte più opportune in merito alle strategie di valorizzazione dei prodotti agricoli, i soggetti promotori devono tenere conto di diversi aspetti, tra questi la tipologia di configurazione della filiera, la possibilità di coordinamento tra gli attori coinvolti, le caratteristiche del mercato di riferimento.

Inoltre, è necessario affermare che le strategie esemplificative di valorizzazione dei prodotti agricoli che sono state esposte non sono necessariamente alternative, ovvero l’una non esclude l’altra, ma se scelte in modo opportuno possono essere attuate congiuntamente secondo forme diverse per agire in modo complementare e sinergico.

GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE
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