GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE

15.4 Rapporti e strategie tra i soggetti della filiera

L’agricoltura cede il 65% dei propri prodotti all’industria di trasformazione la quale alimenta con il 41% dei suoi prodotti la ristorazione; il 42% delle vendite al dettaglio ed il 70% delle vendite della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) riguardano i prodotti alimentari, questo per evidenziare la rilevanza dei rapporti interni alla filiera agroalimentare. Per lo sviluppo del settore agroalimentare, sarebbe auspicabile che i diversi soggetti che costituiscono la filiera perseguissero delle strategie e obiettivi comuni e, inoltre, che avessero lo stesso peso contrattuale. Attualmente i diversi soggetti della filiera hanno strategie, obiettivi e peso contrattuale diversi ed ogni parte tende a prevaricare sull’altra per far valere i propri interessi, in ragione della propria forza contrattuale.

Una delle principali criticità del sistema agroalimentare è dovuta ai differenti obiettivi che perseguono i principali anelli della filiera: l’agricoltura ha l’interesse a valorizzare l’origine delle materie prime come riconoscimento della qualità dei prodotti; l’industria di trasformazione, potendo approvvigionarsi delle materie prime sul mercato globale, non vuole associare il concetto di qualità a quello dell’origine dei prodotti, ma mira a valorizzare il processo produttivo ed il marchio; la distribuzione è interessata soltanto ai prezzi che possano garantirle un adeguato assortimento di prodotti sugli scaffali di vendita.

Per quanto concerne le strutture della distribuzione, si distinguono imprese che effettuano il commercio all’ingrosso da quelle che praticano il commercio al dettaglio. Per ciascuna di queste categorie esiste una ulteriore articolazione: per il commercio all’ingrosso si distinguono le figure degli intermediari da quelle dei grossisti; per il commercio al dettaglio si riconoscono quello in sede fissa e quello ambulante.

Nell’ultimo ventennio l’evoluzione dei canali distributivi ha portato alla concentrazione delle vendite presso la grande distribuzione a scapito dei tradizionali negozi e alla comparsa di altre forme di vendita come quella diretta da parte degli agricoltori.

Per accrescere il proprio potere contrattuale, i singoli gruppi della GDO si sono organizzati mediante centrali di acquisto, ovvero strutture deputate ad acquistare grandi quantitativi di prodotti per conto di più acquirenti, costituite dalle stesse imprese distributrici; in questo modo hanno ovviato al problema delle ridotte dimensioni d’impresa ed incrementato il loro peso contrattuale.

L’agricoltura paga il prezzo della sua frammentazione e insufficiente organizzazione nei rapporti con l’industria e la distribuzione. Tale elemento di debolezza del settore agricolo si evidenzia anche nei confronti del mercato dei fattori produttivi i cui prezzi crescono molto di più di quelli dei prodotti agricoli rispetto a quanto accade in altri Paesi europei. Una strada da percorrere per ovviare alle insufficienti dimensioni economiche delle aziende agricole italiane e limitare, quindi, gli effetti dello squilibrato peso contrattuale nei confronti delle altre componenti del sistema agroalimentare, è l’associazionismo. La cooperazione in agricoltura svolge sicuramente un ruolo strategico sia nell’approvvigionamento dei fattori produttivi che nelle diverse fasi di gestione dell’offerta del settore agricolo. Gli interventi legislativi della UE in favore dell’associazionismo agricolo furono emanati con il Regolamento 1360/1978, seguito dal Regolamento 2200/1996 e dal Regolamento 1182/2007.

In Italia il tema dell’associazionismo è stato oggetto nel tempo di numerose norme anche in tempi antecedenti l’istituzione della Cee; in tempi più recenti è stato riordinato e disciplinato dal d. legisl. 228/2001 e successivamente dal d. legisl. 102/2005. In quest’ultima norma vengono anche individuati alcuni strumenti affinché gli organismi associativi possano svolgere azioni per l’integrazione delle filiere e della regolamentazione del mercato. Tali strumenti sono le intese di filiera e il contratto quadro. Il principale obiettivo delle prime è quello di favorire, mediante accordo tra i soggetti della filiera, la valorizzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari, tenendo conto degli interessi di filiera e dei consumatori. Le intese di filiera sono stipulate dagli organismi maggiormente rappresentativi dei diversi settori e sono approvate con decreto del Mipaaf. Il contratto quadro ha come obiettivo quello di sviluppare gli sbocchi commerciali nel mercato interno ed estero, mediante l’orientamento della produzione agricola verso le esigenze della domanda. I contratti quadro vengono sottoscritti dalle organizzazioni dei produttori, delle industrie di trasformazione e della distribuzione; i contenuti definiscono il modello che deve essere adottato nella stipula dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura.

La filiera agroalimentare italiana è caratterizzata da:
1. elevata polverizzazione dell’offerta produttiva e ridotta organizzazione commerciale delle imprese;
2. notevole concentrazione nella fase distributiva, anche se non è ancora allineata ai principali Paesi europei;
3. limitata presenza di imprese agricole e alimentari medio-grandi.
In merito alle aree di intervento e agli strumenti per migliorare l’organizzazione di filiera, si può senz’altro affermare che la concentrazione dell’offerta agricola favorisce guadagni di efficienza lungo la filiera; del resto le economie di scala e di scopo che ne derivano riducono i costi logistici, di trasporto, ecc. Un incremento di efficienza della filiera certamente favorisce, ma non garantisce del tutto, l’aumento della redditività in quanto essa dipende molto dal potere negoziale degli agricoltori nei confronti degli altri attori della filiera. Per questo motivo diventa così importante la diffusione di strumenti aggregativi, quali le organizzazioni di produttori, le cooperative, le reti di impresa e, contestualmente, per la crescita dimensionale delle imprese, anche gli interventi di regolazione delle transazioni commerciali. Strumenti di gestione del rischio, come i fondi mutualistici, assieme a forme di aggregazione delle imprese, possono tutelare maggiormente il reddito e agevolare l’accesso al credito degli associati, favorendo così il processo di miglioramento organizzativo dell’intero sistema produttivo. Lo sviluppo di rapporti consolidati tra agricoltori, imprese industriali e commerciali mediante lo sviluppo di forme contrattuali standardizzate rappresenta una tutela nei confronti dell’aleatorietà dei mercati e della volatilità dei prezzi. Infine, un importante contributo al rafforzamento dell’organizzazione della filiera agroalimentare deriverebbe dall’attuazione di politiche per lo sviluppo dei servizi logistici, di assistenza tecnica, di trasferimento dell’innovazione e di riduzione del carico burocratico e fiscale. Il rafforzamento degli strumenti di organizzazione e concentrazione dell’offerta agricola attuato con lo sviluppo delle Organizzazioni di Produttori (OP) rappresenta una delle azioni strategiche attraverso le quali la Commissione europea intende contrastare lo squilibrio del potere negoziale esistente nella filiera alimentare ed è anche uno dei temi chiave della proposta di riforma della PAC; l’esperienza delle OP nel settore ortofrutticolo viene presa a modello per tutti gli altri settori produttivi, tanto da estendere il riconoscimento delle OP e delle loro associazioni (AOP) all’intera gamma delle produzioni agricole. A differenza delle OP ortofrutticole che, in virtù del sostegno comunitario rappresentano una realtà consolidata, le organizzazioni create negli altri settori produttivi hanno un’origine recente, favorita da decreti legislativi (n. 228/2001 e n. 102/2005) che hanno posto le basi di un processo di riordino dell’associazionismo agricolo. Le prime esperienze di associazioni di produttori agricoli in Italia risalgono alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando la politica nazionale e le linee guida comunitarie avevano ritenuto necessario riconoscere le associazioni dei produttori agricoli a livello giuridico, definendone anche le funzioni. I dati presi in considerazione sono quelli dell’albo nazionale istituito presso il Mipaaf e rappresentano la sola fonte ufficiale disponibile. Nel caso delle OP ortofrutticole il Mipaaf ha l’obbligo di raccogliere ed elaborare ogni anno tutti i dati aggiornati sulla base di uno schema redatto dalla Commissione europea.
15.21 SCHEMA I canali di vendita delle aziende agricole italiane (da Nomisma - modificato 2012).

Organizzazioni di produzione non ortofrutticola

In Italia, al 31 marzo 2011, si contano 164 OP non ortofrutticole, alle quali aderiscono più di 270 mila produttori agricoli, per un valore complessivo della produzione commercializzata (VPC) che supera i 1500 milioni di euro (15.22). Purtroppo non è possibile risalire alla quota che tale produzione ha rispetto alla produzione agricola italiana, poiché i dati sul VPC sono incompleti, mancando il valore della produzione corrispondente a ben 34 OP. Tra i molteplici settori produttivi organizzati, due terzi delle OP si concentrano in quattro settori (olivicolo, lattiero-caseario, tabacchicolo e pataticolo), che comprendono l’86% dei produttori associati, realizzando il 60% del VPC totale. Fra tutti si distinguono il settore olivicolo, per numero di OP e ampiezza della base sociale, e il lattiero-caseario per il VPC; segue il settore “cerealicolo-riso-oleaginose” che, pur contando 10 OP, ha dimensioni apprezzabili come numero di soci e valore della produzione commercializzata.

Il valore complessivo della produzione commercializzata (VPC) totale corrisponde a 130 OP. Le 34 OP per le quali non è indicato il VPC sono relative ai settori: apistico (1); avicunicolo (1); cerealicolo-riso-oleaginoso (1); lattiero-caseario (9); olivicolo (7); pataticolo (4); suinicolo (3); bovino (3); ovicaprino (3); tabacchicolo (2).

Per il settore olivicolo (15.14), al consistente numero delle OP e della loro base sociale, corrisponde in realtà un VPC piuttosto ridotto, con il risultato che la loro dimensione media risulta molto contenuta sotto il profilo economico, nonostante vi aderisca un discreto numero di produttori. Prendendo in considerazione le OP per le quali sono disponibili i dati sul numero di soci e sull’ammontare di VPC, a ciascuna organizzazione aderiscono in media circa 7 mila soci per un valore della produzione commercializzata che supera di poco i 3 milioni di euro.


Settore

OP (N.)

Soci (N.)

Vpc TOTALE (.000)

Agroenergetico

2

98

1.762

Apistico

3

259

7.918

Avicunicolo

5

53

94.521

Bieticolo-saccarifero

1

4.388

82.696

Cerealicolo-riso-oleaginose

10

24.918

192.993

Florovivaistico

3

34

14.452

Foraggero

1

770

8.075

Lattiero-caseario

32

7.386

630.604

Olivicolo

36

216.991

92.560

Pataticolo

19

1.928

65.675

Prodotti biologici certificati

3

153

2.550

Produzioni suine

6

550

47.426

Produzioni bovine

8

1.504

102.911

Produzioni ovicaprine

3

248

-

Sementiero

4

2.890

38.922

Tabacchicolo

23

7.072

157.453

Vitivinicolo

5

3.380

42.080

Totale

164

272.622

1.582.598

15.22 Situazione delle OP non ortofrutticole al 31 marzo 2011, riconosciute ai sensi dei decreti legislativi n. 228/2001 e n. 102/2005.


In particolare, le OP della Puglia (21), che concentrano quasi il 90% del VPC complessivo delle OP del settore, vantano una maggiore disponibilità economica corrispondente, in media, a poco più di 4 milioni di euro. Tuttavia, tali OP riescono ad aggregare, nel complesso, solo il 19% della produzione olivicola regionale. Per quanto riguarda la Calabria, le OP sono 10 e quelle per cui è disponibile il VPC (5), la dimensione economica media è di circa 1,2 milioni di euro. Lo sviluppo delle OP nel settore olivicolo è avvenuto soprattutto tra il 2006 e il 2008, un triennio nel quale la quasi totalità delle organizzazioni ha ottenuto il riconoscimento. Questo risultato in parte dipende dal processo di riorganizzazione del settore, legato alla riforma dell’OCM entrata in vigore nella campagna 2005/2006. La riforma, infatti, aveva attuato programmi di attività di durata triennale, da parte delle organizzazioni di operatori (tra cui le Organizzazioni di Produttori) riconosciute in base alla nuova normativa, permettendo agli Stati membri di utilizzare una parte degli aiuti del settore (in Italia il 5%) per finanziare alcune attività previste nei programmi triennali. Nel caso del settore lattiero-caseario le OP mostrano una dimensione economica media più elevata (27,4 milioni di euro di VPC/OP), a fronte della quale la base sociale conta mediamente 274 produttori associati. Anche per questo settore i dati fanno riferimento alle organizzazioni per le quali erano disponibili i dati sia del numero dei soci sia dell’ammontare del VPC. Le OP di maggiori dimensioni si trovano soprattutto nelle regioni settentrionali (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) e in Sardegna, dove è attiva una OP, la “3A Cooperativa Assegnatari Associati Arborea”, con 225 soci e un ammontare di circa 133 milioni di euro di VPC, il più elevato al momento del riconoscimento tra tutte le organizzazioni non ortofrutticole. Si tratta, infatti, di una realtà imprenditoriale che vanta una lunga storia nel panorama della produzione lattiero-casearia nazionale e risale agli anni Cinquanta del secolo scorso come cooperativa di trasformazione. La “3A” opera prevalentemente in ambito regionale, raccoglie il 90% circa di latte vaccino prodotto in Sardegna, vantando il primo riconoscimento come OP (2001), tra quelli conseguiti in base al d. legisl. n. 228/2001.

Un’altra OP è il Consorzio cooperativo “Granlatte”, che è espressione di una delle più rappresentative realtà cooperative agroindustriali nel nostro Paese; essa, alla data del riconoscimento nel 2003, contava 671 soci per un VPC di poco inferiore a 100 milioni di euro. Questo consorzio è nato negli anni Cinquanta come Consorzio Bolognese Produttori Latte (CBPL) e dopo diverse riorganizzazioni di carattere industriale e societario è diventato il Consorzio “Granlatte”, holding del Gruppo Granarolo, operando come OP con sede in Emilia-Romagna, con una rete di produttori e cooperative di raccolta che si espande fino a coprire numerose regioni italiane (15.23). Un terzo delle OP lattiero-casearie è concentrato in Lombardia ed Emilia-Romagna. Questo dato da un lato riflette la vocazione produttiva dell’area, dall’altro testimonia la lunga tradizione cooperativa tipica di questi territori che ha permesso di intraprendere un percorso di sviluppo e riorganizzazione sfociato poi nella nascita di OP di grandi dimensioni economiche. Per quanto riguarda il settore cerealicolo, le OP che esprimono un’elevata dimensione (pari, nella media nazionale, a 2.491 produttori associati e a oltre 21 milioni di euro di VPC) sono situate anch’esse nella zona settentrionale (Emilia-Romagna e Piemonte) e in quella centrale (Toscana e Marche). In Emilia-Romagna si contano due OP che hanno raggiunto notevoli dimensioni e sono state le prime a ottenere il riconoscimento tra quelle cerealicole. È il caso, ad esempio, dell’OP “Cereali Emilia-Romagna”, nata nel 2009 dalla fusione di tre grandi OP del settore già prima del 2004. La nuova struttura è la più grande in Italia e concentra, con oltre 10.000 produttori associati e un VPC di circa 107 milioni di euro, il 25% della produzione regionale e il 4% circa di quella nazionale.

Nel settore del tabacco lo sviluppo delle OP è stato favorito dalla decisione, in ambito nazionale, di limitare l’erogazione dei fondi resi disponibili dall’articolo 68 del regolamento (Ce) n. 73/2009 (sotto forma di pagamenti annuali supplementari) ai produttori che stipulano un contratto di coltivazione con un’impresa di prima trasformazione, purché si associno in OP riconosciute sulla base del decreto legislativo n. 102/2005. Nel settore operano 23 OP e di queste 19 sono state riconosciute nel biennio 2009-2010, con una forte crescita nell’ultimo anno. Le OP tabacchicole sono localizzate per lo più in Campania (13), Umbria (6) e Veneto (2), ma hanno carattere interegionale. Le OP nel settore pataticolo, pur essendo presenti in diverse regioni, hanno una maggiore concentrazione numerica in Campania (6): qui recentemente ha preso avvio il processo di aggregazione dei produttori e si sono diffuse strutture di dimensioni abbastanza modeste. Viceversa, in Emilia-Romagna, un’altra regione a forte vocazione produttiva, risiedono due sole OP, ma di notevoli dimensioni; una, in particolare, “ASSO.PA.”, rappresenta una realtà economica importante con un VPC di poco inferiore a 30 milioni di euro, che concentra il 45% circa del valore della produzione organizzata di patate a livello nazionale. Questa struttura è nata alla fine degli anni Settanta e oggi ricopre un ruolo significativo nel settore, ponendosi come uno degli attori principali nella stipula dell’accordo interprofessionale e partecipando alla “Borsa Patate di Bologna” dove vengono decisi i prezzi di vendita del prodotto fresco. Altre realtà produttive esprimono valori significativi per quanto riguarda le dimensioni economiche della componente organizzata: si tratta del settore “produzioni bovine”, all’interno del quale una sola OP, la lombarda “Unipeg”, realizza il 90% circa del valore della produzione organizzata; lo stesso risultato è raggiunto nel settore “avicunicolo”, dove l’abruzzese OP “ALL.COOP” raggruppa anche produttori di altre regioni (Marche e Molise), detenendo più del 70% del valore della produzione commercializzata dalle OP del settore.

Per quanto riguarda il settore vitivinicolo le dimensioni economiche delle OP sono più limitate, ma la base sociale è significativa dal punto di vista numerico. Tra tutte si distingue l’OP “Terre Cortesi Moncaro”, che è nata negli anni Sessanta come cantina cooperativa, opera nelle Marche realizzando quasi il 40% del valore della produzione organizzata. Un caso a parte è rappresentato dal settore bieticolo-saccarifero, che conta un’unica OP, la “CO.PRO.B.”, che annovera 4.388 produttori associati provenienti dall’Emilia-Romagna, dove l’organizzazione ha sede, e anche dal Veneto. L’OP, nata nei primi anni Sessanta, è stata riconosciuta nel 2010 e realizza un VPC superiore a 82 milioni di euro; essa, grazie a una mirata serie di alleanze e acquisizioni/fusioni societarie, è diventata leader nella produzione nazionale di zucchero. Alla luce di quanto esposto emerge chiaramente che la situazione delle OP nell’agricoltura italiana è molto variabile sia a livello di settore che di territorio. Il processo di aggregazione dei produttori agricoli presenta limiti e contraddizioni, e i risultati non sono ancora del tutto soddisfacenti. La componente organizzata è ancora debole, poco significativa e, soprattutto, le analisi dei dati evidenziano che le OP, tranne alcune eccezioni, hanno dimensioni ridotte, insufficienti per potersi confrontare sui mercati in maniera competitiva e per avere la forza contrattuale necessaria a relazionarsi con tutti gli attori della filiera. Inoltre, appare evidente che in ciascun settore il VPC realizzato si concentra, di fatto, in una o due OP, che hanno in comune la localizzazione nell’area settentrionale o in un territorio con una forte esperienza di cultura cooperativa. Del resto, la forma cooperativa si adatta perfettamente alle OP integrandosi nel loro stesso sistema, assumendone le funzioni e rendendo possibile la concentrazione dell’offerta. Certamente la tradizione cooperativa ha svolto un ruolo importante nello sviluppo, non solo quantitativo delle OP, ma bisogna riconoscere che le istituzioni locali hanno giocato un ruolo altrettanto rilevante consolidando il processo di aggregazione dei produttori agricoli. La regione Emilia-Romagna, ad esempio, ha promosso alcune iniziative che hanno favorito la nascita e il successivo consolidamento di importanti realtà imprenditoriali. Da qualche anno la diffusione delle OP ha conosciuto un incremento rilevante grazie, soprattutto in alcuni settori come l’olivicolo e il tabacchicolo, agli interventi di politica comunitaria che hanno spinto nella direzione tracciata dalla normativa nazionale.

GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE
GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE