GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE

Prodotto locale e sistemi alternativi di vendita

Le forme di vendita alternativa che incontriamo sono numerose e possono essere classificate a seconda di diversi parametri:

1. natura del canale di vendita, per esempio, farmers’ market;

2. caratteristiche del prodotto venduto, caso in cui le iniziative di vendita riguardano prodotti alimentari che racchiudono delle caratteristiche naturali e culturali distintive di un’area locale.

Generalmente, i consumatori associano ai prodotti locali le caratteristiche di freschezza e genuinità, legame con il paesaggio, adozione di metodi di produzione sostenibili, origine geografica del prodotto (tracciabilità), cibo non omologato e socialità legata all’acquisto locale. La freschezza e la genuinità dei prodotti sono messe in risalto dai cicli di produzione stagionali della natura. Anche la bellezza del paesaggio nel quale è inserita l’azienda contribuisce a enfatizzare l’immagine di qualità dei prodotti. L’elevato impatto ambientale, causato dalle tecniche agricole di produzione intensiva e dai trasporti su grandi distanze, porta il consumatore ad apprezzare i metodi di produzione sostenibili, che consistono in un minor uso dell’energia e nel contenimento delle emissioni di gas a effetto serra.

La filiera corta, ad esempio, garantisce una riduzione degli imballaggi, limitando l’impatto ambientale legato alla produzione e allo smaltimento del packaging; inoltre essa consente al consumatore di trovare prodotti di varietà locali non sempre reperibili attraverso la grande distribuzione organizzata. Importante è anche l’aspetto relativo alla socialità legata all’acquisto locale e che consiste nella relazione diretta che si instaura tra produttore e cliente. I produttori vedono i consumatori non più soltanto come semplici clienti, ma come persone, che hanno diritto a una sana alimentazione e a conoscere il lavoro e la qualità alla base dei prodotti offerti, con la possibilità di fornire suggerimenti, critiche ed esprimere esigenze. I produttori agricoli che fanno capo a Coldiretti e aderiscono al Progetto Campagna Amica hanno scelto, per esempio, di aderire a un regolamento volontario che prevede il controllo dei prezzi praticati. Il risparmio per i consumatori legato all’acquisto a chilometro zero (15.10) è un esempio significativo. La filiera corta offre ai produttori l’opportunità di decidere il prezzo dei prodotti offerti, svincolandoli dalle oscillazioni del mercato e garantendo così una maggiore remunerazione. Per la collettività, l’interesse per i prodotti locali va ben oltre le singole motivazioni dei consumatori e dei produttori perché la filiera corta favorisce lo sviluppo economico di aree rurali marginali, riduce il potere di mercato dei grossisti e può creare nuove opportunità di lavoro per vari soggetti, anche non appartenenti al settore agricolo. Il consumo di prodotti locali può rappresentare un mezzo per preservare il territorio rurale, poiché consente l’insediamento di aziende in aree altrimenti destinate all’abbandono. Il prodotto locale si caratterizza per il luogo di produzione e di consumo; infatti una caratteristica della vendita diretta è il legame con un luogo particolare che identifica e circoscrive la zona di coltivazione, allevamento, trasformazione, distribuzione e consumo. Per molti, il concetto di “sistemi alternativi di vendita” si riferisce a prodotti legati a luoghi specifici e agli occhi del consumatore, il prodotto locale è anche sinonimo di “piccola azienda agricola”.

I termini “prodotto locale” e “sistema di produzione locale” sono spesso usati in modo intercambiabile, in contrapposizione con il sistema alimentare convenzionale, per indicare alimenti prodotti vicino al punto di consumo. Per quanto riguarda la realtà italiana, i punti vendita della Rete Nazionale di Campagna Amica, secondo il progetto di Coldiretti per la costruzione di filiere di prodotti agroalimentari esclusivamente italiani, possono vendere alimenti prodotti anche da aziende localizzate in altre Regioni (Campagna Amica, 2012), purché sia citata l’origine geografica. Una scuola di pensiero individua il “prodotto locale” negli alimenti prodotti, trasformati, venduti e consumati entro una determinata area geografica, mentre una seconda scuola di pensiero si focalizza sul termine “locale”, considerando la “località” come valore aggiunto per un mercato più ampio. Il consumatore associa al “prodotto locale” anche aspetti relativi ai metodi di coltivazione, all’allevamento e alla trasformazione sostenibili, e caratteristiche quali un’adeguata remunerazione del lavoro, il rispetto delle norme di benessere animale e la storia da cui è stato originato, la personalità e l’etica del produttore, l’attrattività dell’azienda agricola e del territorio rurale. Per filiere corte si intendono quindi quelle modalità di commercializzazione dei prodotti alimentari caratterizzate sia dalla riduzione, o eliminazione, degli intermediari fra i produttori agricoli e i consumatori sia dalla dimensione locale delle transazioni commerciali. I prodotti che passano attraverso la filiera corta sono comunemente definiti dalla località o da un produttore specifico. È possibile distinguere le forme di vendita in cui è presente un produttore individuale e quelle in cui più produttori si uniscono in consorzio o in associazione (rete). Quando è presente un solo produttore esistono due tipi di consumatori: quello coinvolto attivamente nel processo produttivo agricolo e quello non coinvolto. Il tipo di vendita più diffuso è quello in cui il cliente non è coinvolto nel processo produttivo (15.11) e si distingue nelle seguenti forme:
1. consumatore che acquista i prodotti direttamente presso l’azienda;
2. vendita con strutture mobili (ad esempio camioncino, roulotte, tenda) sulla strada confinante con l’azienda oppure vendita ambulante in aree urbane, vendita che può essere permanente o limitata durante il periodo di raccolta dei prodotti, in occasione di sagre, manifestazioni locali;
3. negozio appena fuori dall’area dell’azienda agricola;
4. distributori automatici fissi, come quelli del latte crudo;
5. vendita diretta organizzata;
6. consumatore che acquista e/o consuma i prodotti presso le strutture di turismo rurale;
7. farmers’ markets, eventi periodici locali, almeno una volta al mese, all’aperto, riservati ai produttori della zona interessata;
8. consegna del prodotto al domicilio del consumatore;
9. gruppi di acquisto solidale (GAS), organizzazioni di consumatori che acquistano i prodotti direttamente dal produttore o da gruppi di produttori organizzati con piccole o medie piattaforme, contando su una forte riduzione sul prezzo;
10. consumatore online.
15.11 SCHEMA Principali forme dei sistemi alternativi di vendita.
Le forme di vendita in cui il cliente è coinvolto attivamente nel processo produttivo agricolo sono descritte di seguito:
1. reti di produttori e consumatori, che si basano sulla collaborazione tra comunità rurali e urbane e aziende agricole. Queste reti rafforzano la vitalità delle comunità rurali favorendo la nascita di un sistema di produzione locale;
2. consumatore che partecipa alla raccolta dei prodotti, tra i quali quelli che richiedono un’elevata mole di lavoro per unità di superficie e una limitata abilità di raccolta;
3. comunità che sostengono l’agricoltura, per collegare i produttori con i consumatori locali e favorire così lo sviluppo economico della comunità locale.
Le principali forme di vendita basate sull’aggregazione di produttori (consorzio, associazione, rete) consistono nella vendita associata dei prodotti per mezzo di un negozio (punto vendita o bottega) situato presso un mercato urbano e/o di gruppi di acquisto solidali (GAS). In Italia le filiere corte rappresentano una realtà importante che coinvolge circa il 30% delle aziende italiane. Il canale di vendita filiera corta (15.12) prevede però almeno un passaggio intermedio tra il produttore e il consumatore; il produttore individuale infatti vende al piccolo dettagliante di generi alimentari, ai negozi specializzati, alle cooperative di consumatori, alla ristorazione privata e a quella pubblica (scuole, mense delle istituzioni pubbliche, ospedali) e al segmento Ho.Re.Ca. (hotel, ristorazione, catering, self-service, ecc.). La filiera corta offre al produttore agricolo l’opportunità di aumentare il reddito, opportunità che si dimostra utile soprattutto quando l’agricoltore non ha la possibilità di ampliare la superficie coltivabile e di accrescere i capitali aziendali e dispone di una notevole quantità di lavoro. Nella filiera lunga, il produttore agricolo vende prodotti senza poter intervenire sul prezzo. Con la vendita diretta i produttori trattengono il valore aggiunto dei prodotti venduti, hanno un margine commerciale per unità di prodotto venduto molto più alto rispetto a quello offerto dalla vendita della materia prima all’industria agroalimentare, ottengono un flusso di cassa veloce e continuo che consente all’azienda di limitare il ricorso al credito bancario. Naturalmente, la quantità che può essere venduta direttamente è di molto inferiore a quella che può acquistare il trasformatore o il commerciante. In generale, le aziende che vendono direttamente sono caratterizzate dalla presenza di agricoltori con uno spiccato carattere innovativo e sono localizzate nelle vicinanze di un mercato, ad esempio in zone periurbane o in prossimità di strade molto frequentate. Inoltre le aziende che hanno la possibilità di trasformare le materie prime agricole in alimenti finali, beneficiano più di altre del sistema di vendita alternativo. La trasformazione aziendale e la vendita diretta non sono semplici integrazioni dell’attività agricola, ma una nuova modalità di impresa autonoma e indipendente che si aggiunge a quella agricola e il cui risultato economico dipende dal livello di competenza tecnica dell’attività di trasformazione e dall’abilità commerciale. Per le piccole aziende, le difficoltà risiedono soprattutto nell’eventuale scarso quantitativo e nella ridotta variabilità di offerta dei prodotti. Per le aziende di maggiori dimensioni, con un indirizzo produttivo specializzato e manodopera salariata, la vendita diretta rappresenta una nuova attività di impresa che comporta notevoli costi di produzione, soprattutto a causa del ricorso al lavoro salariato.
Queste aziende trovano più conveniente ridurre, attraverso la specializzazione produttiva, il costo di produzione del loro prodotto principale e/o associarsi con altri produttori agricoli per gestire insieme un punto vendita, attraverso il quale vendere il prodotto principale. Questa scelta imprenditoriale, richiede al produttore agricolo notevoli qualità professionali e spiccate abilità di vendita e, pertanto, non può rappresentare una via percorribile per tutte le aziende. Le aziende che non sono in grado di investire in attività di trasformazione, assicurando un flusso di prodotti sufficiente e costante, e che mancano di capacità commerciali possono, invece, aderire a una associazione di agricoltori delegando la preparazione dei prodotti a un laboratorio extra-aziendale e adottando così un comportamento collaborativo. Il laboratorio infatti ha le competenze per evitare i rischi tecnici di produzione; inoltre i prodotti trasformati possono tornare presso le aziende per la vendita diretta oppure essere venduti all’interno di una bottega comune.

La vendita diretta

Rappresenta l’opportunità per i consumatori di acquistare i prodotti agroalimentari direttamente dall’agricoltore, senza alcun intermediario; si parla quindi di “filiera corta: dal produttore al consumatore”. Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità, possono vendere direttamente al dettaglio in tutto il Paese i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende. La finanziaria per il 2007, al fine di promuovere l’aggregazione e, in particolare, lo sviluppo dei mercati degli imprenditori agricoli che effettuano vendita diretta, ha approvato il decreto ministeriale emanato il 20/11/2007, introducendo le Linee guida per la realizzazione dei mercati agricoli e fissando i requisiti, gli standard di realizzazione, la trasparenza dei prezzi, ecc. Mediante la vendita diretta, l’imprenditore agricolo può cedere i propri prodotti direttamente al consumatore finale, senza intermediazioni di natura commerciale che determinano un aggravio di costi. Il D.M. del 2007, non essendo di natura regolamentare in quanto, per competenza, la disciplina legislativa in materia agricola spetta alle Regioni, prevede che di seguito le Regioni emanino delle circolari per definire tutti gli aspetti operativi (per la Regione Lombardia vale la circolare del 11/12/2008). La norma di riferimento è l’art. 4, d. legisl. 228/2001 e successive modificazioni. La vendita diretta è esclusa dalla normativa sul commercio ad alcune condizioni: essa deve essere svolta da “imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel Registro delle imprese di cui all’art. 8”. Per impresa agricola si intende il soggetto, singolo o collettivo, che svolge attività agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c. In particolare, il Ministero dello sviluppo economico, con la risoluzione n. 4363/2006 (avente valore di parere non vincolante), non considera necessaria l’iscrizione dei piccoli produttori nel Registro delle imprese purché intendano esercitare la vendita diretta “sul fondo di produzione”. Gli imprenditori agricoli sono generalmente obbligati a iscriversi alla sezione speciale del Registro delle imprese a meno che non siano piccoli produttori, esonerati IVA, cioè aventi un basso volume d’affari annuo. Secondo il Ministero, i piccoli produttori devono iscriversi al Registro delle imprese solo se intendono esercitare la vendita diretta dei propri prodotti fuori dalla propria azienda; quindi la vendita diretta non implica l’iscrizione alla Camera di commercio se viene svolta in azienda. Poiché per vendita diretta si intende quella relativa a “prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità” è sufficiente solo il 51% dei prodotti propri e il parametro per valutarlo concretamente sono i ricavi. Inoltre, l’attività di vendita al dettaglio, può essere operata per prodotti ottenuti direttamente dalla propria azienda senza lavorazione o per prodotti derivati da lavorazione o trasformazione. In generale, le vendite extra aziendali possono avvenire in piazze o su strade, facilmente visibili dal consumatore, oppure all’interno di supermercati o in prossimità dei negozi di articoli per l’agricoltura e anche in punti vendita al dettaglio o all’interno di spacci di produttori.
L’art. 4, d. legisl. 228/2001, individua varie modalità di vendita:
1. vendita in locali aperti al pubblico, occorre inviare una comunicazione preventiva al Sindaco del Comune dove si vuole operare;
2. vendita su aree pubbliche con posteggio (vendita non in forma itinerante, con posteggio), occorre inviare una comunicazione preventiva al Sindaco del Comune in cui si intende esercitare la vendita contenente anche la richiesta di posteggio;
3. vendita presso l’azienda agricola o altre aree disponibili (vendita in forma non itinerante).
Nel caso di vendita esercitata su superfici all’aperto nell’ambito dell’azienda agricola o di altre aree private di cui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità, non è richiesta la comunicazione di inizio attività. Quindi, la vendita cosiddetta “a cielo aperto” su aree private è esercitabile liberamente, senza alcuna necessità di comunicazione preventiva al Comune. Da questo consegue il legittimo esercizio dell’attività di vendita anche qualora non siano utilizzati locali attrezzati per tale scopo. In tal senso, d’altronde, si era già espressa la l. 976/1965 che, nell’interpretare la precedente l. 59/1963 di disciplina della vendita diretta, aveva precisato che tale vendita non comportava per il produttore-venditore “obbligatoriamente il possesso e l’uso di locali, chioschi, baracche e simili stabilmente fissati al suolo”. L’imprenditore agricolo che partecipa ai mercati di vendita diretta è stimolato dal progressivo aumento della domanda e, per rispondere con un’offerta adeguata, spesso decide di convertire totalmente la propria attività, giungendo alla diversificazione della produzione, con beneficio nei confronti di un maggiore impiego di manodopera e del miglioramento della capacità produttiva del terreno (es. parte dell’azienda potrebbe trasformarsi da monoculturale a policolturale).
I principali vantaggi della vendita diretta sono:
1. recupero del valore aggiunto che si perde nelle fasi di commercializzazione e distribuzione (filiera corta);
2. redditività anche per aziende marginali e di piccole dimensioni;
3. responsabilizzazione maggiore nei confronti dei consumatori finali;
4. influenza sul comportamento e sulle abitudini sociali relative a una maggiore attenzione alla provenienza dei prodotti, alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità ambientale dei processi di distribuzione e al sostegno dell’economia locale;
5. opportunità di confronto diretto con il consumatore;
6. vendita di prodotti locali e di stagione, anche non collocabili nel mercato convenzionale.

APPROFONDIMENTO - Vendita diretta (il caso della Regione Lombardia)

La Regione Lombardia ha semplificato le procedure relative alla vendita diretta (art. 4, D.Lgs. n. 228/2001). Gli atti necessari per l’apertura, il trasferimento di sede o la modifica dell’attività di vendita diretta, come previsti dalla norma nazionale, sono sostituiti dalla presentazione di Dichiarazione di Inizio Attività Produttiva (DIAP). La DIAP deve essere inoltrata al Sindaco del Comune in cui si intende esercitare la vendita diretta in sede stabile. Nel caso in cui si tratti di vendita diretta itinerante la DIAP deve essere inviata al Comune del luogo dove risiede l’azienda di produzione ed è valida in tutto il territorio nazionale. Quando un mercato agricolo è gestito da un’Associazione la richiesta può essere unica per tutti i soggetti iscritti all’Associazione stessa. Prima di inoltrare la DIAP è necessario che l’azienda abbia ricevuto l’autorizzazione sanitaria da parte dei Comuni e delle ASL che attesta l’idoneità igienico-sanitaria di locali e attrezzature. Per ogni attività di trasformazione, preparazione, confezionamento, deposito, vendita e/o somministrazione di alimenti devomo essere indicate le fasi che potrebbero essere critiche per la sicurezza degli alimenti. Spetta, quindi, all’imprenditore garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed aggiornate le adeguate procedure di sicurezza, avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei pericoli e dei punti di controllo critici HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points). Pertanto, è necessario un manuale aziendale di autocontrollo, specifico per ogni singola realtà e attuare procedure semplici, essenziali e compatibili con le dimensioni economiche dell’azienda agrituristica. Fatta eccezione per le aziende che operano in regime di esenzione, perché non superano i limiti di fatturato previsti dalla legge e conseguentemente non iscritte al Registro delle imprese, per la vendita diretta in azienda alle cessioni di prodotti agricoli, ottenuti in maniera prevalente dalla coltivazione del fondo e dall’allevamento di animali, effettuate da imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 2135 c.c. si applica il regime speciale in termini di IVA (detrazione forfetizzata con percentuali di compensazione). I piccoli produttori, devono comunque iscriversi al Registro delle imprese qualora intendano esercitare attività di vendita diretta dei prodotti aziendali al di fuori della propria azienda. Alla vendita diretta al pubblico dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori non si applica la normativa sul commercio neanche per quanto riguarda i requisiti di accesso all’attività, alla programmazione della rete distributiva e agli orari di apertura e di chiusura degli esercizi di vendita, quindi non ci sono obblighi di chiusura domenicale o festiva. La DIAP è una dichiarazione di conformità sia per i requisiti igienico-sanitari dei locali sia per i requisiti di sicurezza delle attrezzature utilizzate. La modulistica è stata predisposta dalla Regione Lombardia il 2 febbraio 2009 con il decreto n. 790 (il DDC n. 10863 del 26/10/2009 aggiorna ulteriormente i modelli e le schede). Infine, il Ministero delle attività produttive ritiene che le autorizzazioni rilasciate ai sensi della legge n. 59 del 9 febbraio 1963 siano tuttora valide.

15.3 Condizionamenti mercantili e packaging

Una volta esaurite le diverse operazioni che permettono di trasformare le materie prime in un dato prodotto alimentare, esso deve essere confezionato per consentire la suddivisione in porzioni, la distribuzione e la protezione dagli agenti esterni durante tutto il periodo che va dal confezionamento al consumo. Determinare quali materiali sono più adatti e quali sono le condizioni migliori per conservare, trasportare e commercializzare gli alimenti così come pure stabilire l’esatta shelf-life (vita di scaffale o data di scadenza) di una confezione o lo sviluppo di tecniche che consentano di prevenire o rallentare l’insorgere dei fenomeni di degrado, sono attività scientifiche che ricadono nell’ambito del food packaging. Questo settore di ricerca è spiccatamente interdisciplinare e implica una profonda conoscenza delle proprietà dei materiali e la capacità descrittiva e predittiva dei fenomeni di natura fisica, chimica e biologica che decorrono dal momento in cui i prodotti sono confezionati al momento in cui essi vengono consumati (15.14). Per affrontare queste problematiche, ci si avvale di tecniche investigative di avanguardia proprie della scienza dei materiali che permettono di misurare la permeabilità dei gas attraverso film polimerici, il loro comportamento meccanico e le eventuali interazioni con gli alimenti con cui entrano in contatto. Particolare importanza è data allo studio delle alterazioni di natura chimica, fisica e biologica degli alimenti e all’influenza che su tali fenomeni ha l’involucro gassoso che circonda l’alimento racchiuso nella confezione.
Appartengono a questa area anche le problematiche relative allo sviluppo di nuovi sensori per il controllo online della composizione dell’atmosfera dello spazio di testa delle confezioni e di rilevatori in grado di monitorare la storia termica delle confezioni durante le fasi di distribuzione e commercializzazione.

L’imballaggio

È un’operazione unitaria centrale nel ciclo di preparazione e commercializzazione di ogni prodotto alimentare. I materiali di uso più frequente sono le plastiche, l’alluminio, il vetro, la latta, la carta e il cartone. La normativa italiana, rappresentata dal D.M. del 21/3/1973 e dal D.M. del 6/2/1997, in linea con quella europea, prevede che tutti i materiali impiegati per la fabbricazione di contenitori per alimenti siano approvati dal Ministero della Salute. Negli anni, la legislazione ha subito costanti integrazioni e aggiornamenti fino alla definizione a livello europeo di regolamenti specifici come ad esempio i Regolamenti 1935 del 2004 e il Regolamento 2023 del 2006, l’ultimo Regolamento 10 del 2011, riguardante i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari. Fino a qualche tempo fa l’imballaggio era costituito da un recipiente che, nel rispetto di determinate caratteristiche estetiche e funzionali, conteneva un prodotto. Oggi il vecchio “contenitore” ha cambiato ruolo e ha assunto una valenza strategica per gli operatori del largo consumo: l’imballaggio definito col termine inglese packaging assume un’accezione più ampia riferendosi non solo all’involucro materiale e al complesso di operazioni attraverso cui la merce vi viene racchiusa, ma anche all’insieme di simboli, parole, caratteristiche, disegni in grado di offrire una percezione di valori intangibili legati al prodotto. Tale insieme, presentato in modo diverso da azienda ad azienda, è definito con il termine inglese brand e contribuisce a creare un’immagine di un prodotto in grado di distinguerlo dai concorrenti. In questo modo il packaging le cui funzionalità oltre quelle di contenitore sono efficacia nella comunicazione, efficienza nelle dimensioni, resistenza agli urti, sostenibilità, riciclabilità e flessibilità, risulta il primo, rilevante anello di congiunzione tra prodotto, brand e cliente finale (15.16).
Il packaging rappresenta uno degli elementi fondamentali della strategia di marketing in quanto custode comunicativo del prodotto e del brand: di tutti i prodotti innovativi lanciati nell’alimentare nel 2010, per fare un esempio, il 68% sono guidati dalla formulazione del prodotto ed il 15% dai benefici del packaging.

Finalità e caratteristiche del condizionamento

1

Contenere adeguatamente il prodotto alimentare

6

Proteggere l’alimento dai danni meccanici

2

Rappresentare un’adeguata barriera ai gas e ai vapori

7

Prevenire o ritardare la degradazione biologica

3

Prevenire o ritardare la degradazione fisica

8

Facilitare movimentazione e magazzinaggio

4

Presentare il prodotto in forma attraente

9

Rappresentare un’opportunità di informazione

5

Consentire l’identificazione sicura del prodotto

10

Essere degradabile e facilmente riciclabile


15.16 Finalità specifiche e caratteristiche funzionali del condizionamento dei prodotti alimentari.

L’innovazione degli imballaggi per alimenti

Nell’industria alimentare l’imballaggio del prodotto gioca un ruolo sempre più importante nell’orientamento delle scelte di acquisto dei consumatori finali. Pertanto, lo sviluppo di un “packaging innovativo” (15.17) è una strategia irrinunciabile per aziende grandi e piccole, che oggi possono contare su macchine e impianti di confezionamento sempre più versatili e personalizzabili.

L’idoneità al contatto con gli alimenti migliorando l’accettabilità del prodotto confezionato è tematica che trasversalmente riguarda tutti coloro che operano in questo settore, sia riguardo ai materiali (es. polimeri e film plastici, vetri più resistenti, rivestimenti e trattamenti), sia riguardo alle tecnologie applicate (es. sistemi di riempimento e di stabilizzazione). Grazie agli sviluppi della ricerca e agli investimenti delle aziende interessate al settore, sono state sviluppate tecniche di packaging innovativo dette imballaggi funzionali o functional packaging (15.18).

Vengono utilizzati materiali, contenitori o accessori di imballaggio capaci di svolgere una funzione aggiuntiva rispetto a quella generica e tradizionale di contenimento e protezione del prodotto e di adattare le prestazioni della confezione alle esigenze dello specifico prodotto alimentare mediante il controllo di fenomeni chimici, microbiologici, enzimatici, chimico-fisici e meccanici.


Un’innovazione di materiale può derivare da:

Industria chimica (polimeri plastici, ecc.)

Industria metallurgica (trattamenti e rivestimenti, ecc.)

Industria vetraria (rafforzamenti del vetro, ecc.)

Industria di trasformazione (stampa, accoppiamento, ecc.)

Un’innovazione della tecnologia può derivare da:

Industria meccanica (sistemi di riempimento, ecc.)

Industria alimentare (sistemi di stabilizzazione, ecc.)

Centri di ricerca (active packaging, ecc.)

15.17 Probabili evoluzioni del packaging in funzione dei materiali o della tecnologia.


15.18 SCHEMA (a) Functional packaging, la pratica confezione valorizza il contenuto. (b) Active packaging, preserva il prodotto dalle anomalie ambientali. (c) Intelligent packaging comunica tutte le informazioni sul prodotto.

Per salvaguardare le caratteristiche nutrizionali, igieniche e sensoriali degli alimenti, evitando contaminazioni e alterazioni, ritardando i decadimenti qualitativi e consentendo di ottenere il prolungamento della vita commerciale (shelf life) del prodotto si riconoscono vari tipi di functional packaging: gli imballaggi attivi (active packaging), gli imballaggi intelligenti (intelligent packaging) e gli smart packaging. Gli imballaggi attivi (active packaging) hanno la funzione di interagire con l’atmosfera interna di una confezione e con il prodotto mediante il rilascio di sostanze utili o l’assorbimento di quelle indesiderate da parte di antimicrobici, antiossidanti o altre sostanze che servono ad aumentare la qualità e la sicurezza dei prodotti. I più importanti sono: assorbitori di ossigeno, assorbitori e regolatori di umidità, assorbitori di etilene ed emettitori di etanolo. I primi sono sostanze inorganiche come polvere di ferro o composti a base di ferro o organiche, come acido ascorbico, fenoli e catecolo che assorbono l’ossigeno entrato nella confezione per permeabilità dei materiali impiegati. Vengono commercializzati in piccole bustine inserite direttamente nella confezione. Gli assorbitori di umidità rimuovono attivamente l’acqua che può accumularsi nelle confezioni per effetto della traspirazione dei prodotti ortofrutticoli freschi o dell’essudazione di liquidi dalla carne fresca o della fusione del ghiaccio durante il trasporto di prodotti ittici o degli sbalzi della temperatura di conservazione di vari prodotti alimentari. Sono costituiti generalmente da due strati di polimero plastico microporoso tra i quali viene posizionato un polimero superassorbente in forma granulare. I regolatori di umidità hanno invece il compito di ridurre l’attività dell’acqua nell’ambiente in cui si trova il prodotto alimentare creando condizioni sfavorevoli alla crescita microbica (muffe e batteri) e prolungando la conservabilità dell’alimento. Sono formati da due film di polivinilalcol (PVA), contenenti glicole propilenico, Gli assorbitori di etilene hanno il compito di bloccare tutti i fenomeni correlati alla maturazione: respirazione, traspirazione, idrolisi di pectine e di carboidrati. La rimozione dell’etilene avviene utilizzando permanganato di potassio chiuso in sacchetti (vista la sua pericolosità) o materiali ceramici diversamente attivati, inglobati nella matrice polimerica del materiale di confezionamento. Gli emettitori di etanolo utilizzano questa sostanza come agente antimicrobico applicandolo allo stato liquido (per sprayzzazione) e soprattutto attraverso sacchetti o strisce di materiale in grado di rilasciare etanolo. Gli imballaggi intelligenti (intelligent packaging) forniscono indicazioni sulle condizioni di conservazione o sulla qualità del prodotto, interagendo sia con il prodotto che col consumatore al quale danno notizie sulle variazioni di temperatura, umidità, pressione parziale di ossigeno che avvengono all’interno della confezione. A questo scopo sono impiegati degli indicatori interni o esterni alla confezione, capaci di registrare e segnalare al consumatore le eventuali alterazioni per mezzo di evidenti variazioni cromatiche. Le forme di intelligent packaging più diffuse commercialmente sono rappresentate dagli Indicatori Tempo-Temperatura (TTI) che vengono applicati sulla superficie esterna delle confezioni e gli indicatori di ossigeno e di anidride carbonica che variano il loro colore per effetto di reazioni chimiche ed enzimatiche e vengono impiegati in forma di tavolette o strisce da inserire nelle confezioni. Gli smart packaging hanno la funzione di garantire agevoli condizioni di uso, trasformazione e consumo dei prodotti e, di conseguenza, offrire vantaggi per il consumatore. Ne sono esempi i contenitori capaci di sviluppare calore al momento del consumo per riscaldare il contenuto, le valvole per espellere la CO2 da alimenti fermentati o torrefatti, le valvole per percepire aromi e le valvole per espellere il vapore che si forma all’interno della confezione di alimenti cotti in microonde.

GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE
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