GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE

Boschi puri di conifere

Abetine: note di ecologia e selvicoltura

Le abetine sono formazioni vegetali dominate dell’abete bianco, una pianta idonea a costituire foreste miste, nelle quali svolge l’importante ruolo di stabilizzatore ecologico. Vicino a rari boschi puri ne esistono diversi costituiti in consociazione con altre essenze come abete rosso, faggio, (piceoabieteti, abieteti-piceo-faggeti) e larice.


Diffusione. Nelle aree montuose dell’Europa occidentale, centrale e meridionale; in Italia si insediano sulle Alpi, preferibilmente o esclusivamente nei versanti rivolti a settentrione del margine esterno del Trentino, del Cadore, nell’Altopiano di Asiago, nelle Alpi Carniche e sugli Appennini, dove formano nuclei sparsi e disgiunti, sull’Abetone e foreste Casentinesi; sui Monti della Laga e Gran Sasso; in Val di Sangro e nell’Appennino Molisano; sul Monte Pollino; Sila, Serra S. Bruno, e Aspromonte.

Sulle Alpi questi boschi si trovano in una fascia compresa tra i 600-800 m e i 1400-1600 m di altitudine, mentre lungo gli Appennini si sviluppano ad altitudini variabili tra gli 800 e i 1700 m, ma in condizioni particolari possono scendere anche a 400-500 m.

In definitiva l’abete bianco si trova generalmente nell’orizzonte del Fagetum, ma sulle Alpi penetra nel Picetum e negli Appennini scende nella sottozona del Castanetum.

I fattori climatici che favoriscono lo sviluppo di questo abete sono le piogge abbondanti, l’umidità atmosferica e del suolo, l’assenza di venti e una limitata escursione termica giornaliera e stagionale.

I limiti ecologici sono costituiti dalle temperature invernali troppo basse o dalla mancanza di sufficiente umidità, e nelle regioni meridionali da aridità estiva ed eccessivo allungamento del periodo vegetativo, che accelera notevolmente la senescenza.

La specie abbisogna di un lungo periodo di dormienza invernale, è molto sensibile alle gelate tardive, tollera l’ombreggiamento e preferisce terreni freschi e profondi. Vive su suoli sia acidi che basici e grazie a un apparato radicale profondo, è in grado di colonizzare anche suoli forestali pesanti e bagnati, contribuendo in questo modo a trattenere l’acqua nel terreno.

Il governo delle abetine avviene a fustaia, generalmente disetanea o coetanea, per gruppi più o meno ampi.

La propagazione avviene per seme mantenuto tra 0-5 °C per non più di 5 anni e conservato in contenitore ermetico previa disidratazione del 5-10% oppure per talea di ramo giovane. La semina in ogni caso deve avvenire in autunno con pacciamatura o in primavera previa vernalizzazione di circa 3-4 settimane.

La pianta raggiunge circa 100 cm nel giro di 4 anni circa e in fase giovanile non ha problemi a tollerare un certo ombreggiamento.

Dopo l’impianto i trattamenti necessari sono:

•    il taglio saltuario, con periodi di curazione di 10 anni;

•    il taglio a buche o a gruppi, su piccole superfici;

•    i tagli marginali o a orlo.

Il taglio di curazione, per mantenere la struttura disetanea, deve incidere in maniera più pesante sulle piante con diametro intermedio, mentre le piante di grandi dimensioni si prelevano a seconda delle esigenze economiche e delle necessità di liberare la rinnovazione.

La rinnovazione naturale è impossibile nelle abetine pure, mentre è facile in quelle miste. Nei boschi misti è anche consigliato il taglio raso (con rinnovazione artificiale posticipata), il taglio di sementazione contenuto (che ha un lungo periodo di rinnovazione) e il taglio saltuario (con un periodo di curazione di 10-15 anni).

Abete bianco: aspetti botanici

L’abete bianco (Abies alba) è una pianta molto antica, appartenente alla famiglia delle Pinacee. È una specie molto longeva che può vivere anche diversi secoli.

Ha portamento arboreo e a maturità il fusto può raggiungere i 50-55 m di altezza e i 2 m di diametro (in alcuni casi esso può arrivare anche a 3 m).

Il tronco, lungo e rettilineo, possiede una regolare ramificazione.

I rami principali hanno una disposizione molto regolare (partono tutti dallo stesso asse, cioè il tronco, e quelli dello stesso anno sono quasi sullo stesso piano) da cui si può calcolare l’età della pianta. I rami secondari sono orizzontali, quelli dell’anno presentano una peluria caratteristica.

La corteccia nelle piante giovani è di colore grigio chiaro, argentea, ricca di tasche resinifere profumate nelle popolazioni alpine, assenti o quasi in quelle appenniniche.

II ritidoma negli esemplari adulti si ispessisce e comincia a fessurarsi dal basso con scanalature e placche che diventano più scure.

L’apparato radicale, relativamente poco ramificato, è fit-tonante e raggiunge la profondità di 1,60 m, facendo sì che la pianta si ancori al terreno e sia poco soggetta a rotture o sradicamenti provocati dalle tempeste.

Durante la fase giovanile l’abete presenta una chioma conica che, con l’aumentare dell’età, assume una forma più appiattita e allargata, detta a “nido di cicogna”.

Le foglie sono costituite da aghi appuntiti, rigidi e inseriti singolarmente sui rametti che si dipartono dal ramo a spirale e restano sull’albero con una disposizione a pettine per 8-10 anni. Gli aghi sono lunghi circa 1,5-3 cm e larghi 1,5-2 mm, leggermente ristretti alla base, con punta arrotondata non pungente e margini lisci. La pagina superiore, di colore verde scuro, è lucida, mentre quella inferiore presenta due caratteristiche linee parallele, bianco-azzurrognole. Gli aghi presentano l’adattamento tipico delle piante che vivono alle alte latitudini e si muovono ruotando sul loro asse per raccogliere più luce possibile. Quelli più esposti alla luce sono più corti e rigidi di quelli che crescono all’ombra. La pagina inferiore degli aghi presenta 6-8 file di aperture stomatiche ed è argentata. Se l’albero è isolato mantiene i rami nella parte bassa del tronco, se invece cresce in un ambiente boschivo o circondato da altre piante, si spoglia fino ai tre quarti della sua altezza.

La fioritura avviene tra maggio e giugno, con coni a sessi separati presenti contemporaneamente sulla pianta. I microsporofilli maschili formano, sui rametti dell’anno precedente nella parte bassa dell’albero, coni gialli, contenenti moltissimo polline.

I macrosporofilli femminili costituiscono coni rosso-viola nella parte alta dell’albero, eretti e portati dai rami dell’anno.

I coni lignificati e maturi prendono il nome di strobili, possiedono squame dall’apice arrotondato e sono lunghi 10-18 cm, disposti verticalmente, verso l’alto e presenti quasi unicamente nei rami superiori della chioma.

Da immaturi sono di colore verde, diventano bruni e coperti di resina a maturità. All’inizio dell’autunno le scaglie squamose si aprono lasciando andare i semi bianchi, lunghi 6-9 mm che si disperdono nell’aria, mentre il rachide centrale rimane ancora a lungo sulla pianta.

La produzione di semi è abbondante ogni 2-3 anni e comincia quando la pianta raggiunge i 30 anni circa di età (40 anni in bosco). Un cono di abete contiene all’incirca 50 semi in grado di germinare. I semi di colore bruno scuro e di forma triangolare, presentano un’ala saldamente attaccata.

Peccete: note di ecologia e selvicoltura

Le peccete sono formazioni vegetali a netta prevalenza di abete rosso (Picea excelsa).


Diffusione. Questa conifera vegeta dalle Alpi Marittime, attraverso l’Europa centro-settentrionale, fino agli Urali. In Italia vive spontanea in tutto l’arco alpino, formando boschi puri o misti con larice, faggio e abete bianco, a quote superiori ai 1000 m, con clima continentale. Lo sviluppo ottimale viene raggiunto tra i 1400 e i 2000 m; i popolamenti maggiori si trovano nelle Alpi centro-orientali e in misura minore in Valle d’Aosta e Piemonte. Nell’Appennino settentrionale toscoemiliano, fra i 1500 e 1750 m di quota, si trovano peccete j che costituiscono nuclei relitti, isolati, misti ad abete bianco e situati su macereti o suoli poco evoluti, tutti al limite superiore della vegetazione.

Le peccete si sviluppano su suoli sciolti, freschi e profondi, ricchi di humus derivanti sia da rocce carbonatiche che siliciche, purché acidificati. Si adattano sia a condizioni di decisa aridità, a contatto con le pinete, che a stazioni igrofile tipiche dei suoli torbosi e paludosi, e alle fasce ripariali con ontano bianco. Essendo piuttosto esigenti dal punto di vista idrico, le peccete soffrono le scarse precipitazioni estive (inferiori a 300 mm), manifestando uno sviluppo limitato.


Le peccete vengono distinte in:

• pecceta montana (limite altitudinale a 900-1400 m) è un bosco denso con forte auto-potatura, di rapido sviluppo, che termina a 100-150 anni; mentre il culmine dell’incremento di altezza si verifica sotto i 50 anni. Confina in alto con le peccete subalpine e in basso con le abetine o con le faggete;

• pecceta subalpina (limite altitudinale a 1400-1800 m) è un bosco rado, con soggetti isolati, dotati di una chioma verde fino al piede, ha sviluppo lento che termina a 150-300 anni, mentre il culmine dell’incremento in altezza avviene attorno a 50-100 anni. Sui rilievi minori o più esterni può arrivare direttamente al limite della vegetazione arborea, nei rilievi maggiori confina con lariceti e cembreti, mentre in basso confina con le peccete montane o con le pinete di pino silvestre.

La differenza fra i due tipi di peccete si evidenzia anche negli interventi selvicolturali che devono tener conto delle funzioni protettive e protettivo-produttive dell’abete rosso. Esso, infatti, riveste un ruolo importante nella produzione del legno, è una specie preziosa per i rimboschimenti, è facilmente coltivabile in vivaio e attecchisce molto bene in bosco. Svoge un ruolo determinante nella regimazione delle precipitazioni che vengono intercettate dalla chioma.Viene piantato a gruppi, per interrompere la continuità del manto nevoso e scongiurare il rischio di valanghe che tuttavia lo travolgono facilmente una volta che la massa di neve si è staccata.

Il governo è a fustaia. Per cercare di favorire il rinnovo naturale, si applicano diversi metodi di taglio:

• taglio a strisce: tipico dell’Austria e dell’Alto Adige, si effettua lungo le linee di massima pendenza, per una larghezza di 40 m e una lunghezza di 80-110 m, andando ad asportare un’area totale di 0,20-0,30 ha;

• taglio raso a buche: si praticano tagliate del diametro di 1,5-2 volte l’altezza degli alberi;

• taglio a fratte: taglio raso di 1-3 ha, di forma rettangolare. Dopo alcuni anni viene effettuata la rinnovazione artificiale.

Abete rosso: aspetti botanici

L’abete rosso (Picea excelsa) è un albero slanciato, molto longevo, che riesce ad arrivare anche a cinque secoli di vita. Cresce molto velocemente, passando da 10 a 30 m d’altezza in un lasso di tempo decisamente molto breve, arrivando a raggiungere i 50 m di altezza. Presenta un tronco slanciato, cilindrico, dritto fino alla sommità, munito di rami che dalla base alla vetta assumono forma sempre più breve, conferendo alla pianta il tipico aspetto piramidale. Ha la corteccia di colore rossastro, sottile e assai squamosa al tatto che ha lo scopo di proteggere meglio il tronco dalle basse temperature ed è spesso rivestita da una sostanza resinosa, gommosa e cerosa.

Il legno è tenero, di colore bianco o giallognolo, con anelli annuali ben definiti, mentre durame e alburno si distinguono poco.

Le foglie sono aghiformi, verdi da entrambi i lati, pungenti, persistenti, solitarie, sessili, lineari, a sezione romboidale (lunghe 15-25 mm X 1-2 mm). Sono collocate sui rametti con una disposizione a spirale, all’interno di castoni. L’abete rosso è una specie mesofila, ama la piena luce, predilige climi continentali, tollera il freddo, ma meno del larice e del pino cembro.

La fioritura della pianta avviene da aprile a giugno. I microsporofilli maschili, di colore giallo-rossastro, con breve peduncolo, sono riuniti in gruppi da 2 a 6, disposti all’ascella degli aghi laterali. I macrosporofilli femminili, di colore rosso vivo, sono solitari, sessili, in gruppi di 3-4, prima eretti poi (dopo l’impollinazione) diventano penduli.

Gli strobili sono penduli, rivolti verso il basso, cilindrici, di colore in principio verdastro, con il tempo tendente al bruno chiaro quasi lucente e poi rosso scuro, con una lunghezza che arriva fino a 15 cm e un diametro di 3 cm circa. Essi

cadono interi a disseminazione avvenuta; hanno squame sempre strette tra loro, coriacee, per lo più di forma romboidale, che portano due semi.

I semi hanno forma ovoidale, di colore bruno, con un’ala lunga 16 mm che li avvolge da un lato.

Pinete: aspetti ecologici e silvocolturali

Le pinete sono tipiche zone boschive in cui l’elemento arboreo dominante è rappresentato da specie del genere Pinus. Diffusione. Molto diffuse nel mondo: centinaia di specie vivono nelle zone temperate dell’emisfero Nord e nelle regioni subtropicali di entrambi gli emisferi. In Italia le pinete occupano habitat differenti: dalle zone montane e alpine (pinete montane), alle zone litoranee (pinete mediterranee). I pini sono presenti anche in ambienti difficili perché sono alberi pionieri, resistenti all’aridità, in grado di colonizzare rupi, conoidi, antiche frane e anche dune litoranee e scogliere. Necessitano di molta luce, per cui si trovano normalmente sui versanti esposti a sud. Le pinete in natura rappresentano lo stadio evolutivo iniziale della vegetazione mediterranea, ma anche il primo passo verso la colonizzazione di terreni nudi o devastati dal passaggio del fuoco. I pini, infatti, essendo eliofili e a rapido accrescimento si insediano più facilmente in aree scoperte. L’uso delle pinete è prevalentemente finalizzato al rimboschimento delle zone montuose, in difesa del suolo da frane e valanghe o alla creazione di barriere frangivento, specialmente lungo le zone costiere.


Pinete termofile mediterranee

Queste pinete sono per la maggior parte formazioni favorite dall’uomo in epoche diverse e talora hanno assunto un notevole valore ecosistemico.

Diffusione. Le poche pinete ritenute naturali si rinvengono in Sardegna e sono utilizzate per produrre legno e pinoli, proteggere il suolo e anche per finalità turistiche e paesaggistiche. In Italia occupano 20.000 ha, soprattutto in Toscana (oltre 10000 ha) e Lazio (oltre 2000 ha), ma anche in Sicilia, Sardegna ed Emilia-Romagna (Ravenna). Il loro abbandono potrebbe comportare, in tempi più o meno lunghi, al ritorno del bosco di latifoglie.

Le pinete sono caratterizzate da copertura poco densa e discontinua, per cui la luce arriva abbastanza intensa nello strato inferiore che risulta costituito soprattutto da cespugli della macchia. Sono costituite prevalentemente da tre specie di pino: il pino domestico (Pinus pinea), il pino d’Aleppo (Pinus halepen-sis) e il pino marittimo (Pinus pinaster).

Le pinete a pino domestico sono diffuse soprattutto lungo il Tirreno (le formazioni più importanti sono in Toscana e Lazio) e nell’alto Adriatico (Ravenna).

Le pinete a pino d’Aleppo sono diffuse soprattutto in Liguria e in Puglia, anche se questa specie si ritrova su vari litorali dove colonizza i terreni più difficili ed è associata anche alle forme più degradate della macchia. In Umbria è presente l’unica stazione non costiera.

Le pinete a pino marittimo sono diffuse soprattutto in Liguria e nell’alto Tirreno, ma ne esiste anche un nucleo separato a Pantelleria e uno, quasi sicuramente indigeno, in Sardegna. Questa specie è la più esigente e la meno termoxerofila fra i pini mediterranei e può spingersi fino alla media collina. La gestione di queste tre pinete è a fustaia e prevede, dopo l’impianto con trapianto di semenzali di 1-2 anni, l’esecuzione delle cure colturali:

• tagli intercalari: sfolli, diradamenti, potature;

• tagli di maturità: taglio a raso e sostituzione delle piante a fine ciclo. Per ottenere questo risultato, è indispensabile provvedere al contenimento del sottobosco di latifoglie.

La gestione del pino domestico si differenzia a seconda della destinazione. Un rimboschimento a fini produttivi, presenta una scarsa densità da 100 a 200 piante/ha e un’estensione massima pari a 3 ha.

La densità influenza la durata della pineta, pinete più dense permetteranno di avere raccolte immediate più abbondanti, ma anticipato declino. Pinete più rade permetteranno una maggiore durata della produzione.

Il turno minimo è 80 anni, ma si può arrivare a 100-120 anni dopodiché viene effettuato un taglio raso e la conseguente rinnovazione artificiale. Se la pineta è solo naturalistica e deriva dall’abbandono della gestione a fini produttivi, si forma un sottobosco di latifoglie. Il passaggio alla fustaia mista disetanea avviene con il mantenimento di pini stramaturi nel piano dominante attraverso tagli intercalari, e questa situazione può durare diversi decenni. Il taglio di maturità, da definirsi per ogni popolamento, provoca il passaggio alla fustaia mista disetanea a gruppi. Anche il pino marittimo e il pino d’Aleppo vengono trattati con il taglio raso con rinnovazione naturale o artificiale.

La rinnovazione naturale può essere indotta anche tramite l’abbruciamento di ramaglia, che simulando l’effetto di un incendio stimola la germinazione del seme. Si possono effettuare inoltre tagli a strisce di 30-40 m e a buche di 0,5 ha. Il turno del pino d’Aleppo è di 60-70 anni, quello del pino marittimo di 80 anni.

Pino domestico: aspetti botanici

Il pino domestico (Pinus pinea L.), detto anche pino da pinoli o pino italico, insieme al pino marittimo è una specie tipica delle zone costiere dove veniva coltivato per i pinoli e per la formazione di pinete.

È una specie eliofila e si adatta a suoli molto diversi. L’albero può raggiungere anche 30 m di altezza.

Il fusto è generalmente diritto, con palchi laterali presenti solo nella parte alta dove la chioma diventa espansa e globosa, formando un tipico ombrello.

Ha corteccia solcata, a placche grigio-brune.

Le foglie sono persistenti, di colore verde scuro, non pungenti, aghiformi, riunite a due a due in gruppi abbastanza radi sui rametti, lunghi 10-15 cm.

I microsporofilli maschili sono piccoli, con coni ovoidali di colore giallo-arancio, in posizione terminale sui rami; i macrosporofilli femminili sono lunghi 1-2 cm di colore verdechiaro. I frutti sono pigne singole o doppie, grandi 12-15 cm, con apice arrotondato che costituisce una caratteristica differenza rispetto al pino marittimo, che ha invece pigne affusolate. A maturità (3 anni) liberano i tipici semi detti pinoli.


Pino marittimo: aspetti botanici

Il pino marittimo (Pinus pinasterAit.) è originario del Mediterraneo occidentale, dove vive spontaneo ed è stato piantato in Italia sin dai tempi antichi.

È una specie eliofila, termofila e xerofila, e sopporta il freddo più degli altri due pini mediterranei.

Si spinge sino a 1000 m di altitudine. È utilizzato per l’estrazione di resina e nei rimboschimenti di conifere o in consociazione con le latifoglie in difesa dall’erosione del vento di zone litoranee.

Cresce abbastanza rapidamente e può raggiungere un’altezza di circa 30 m (anche se più spesso si stabilizza intorno ai 20 m) e una larghezza di 5-10 m. Ha un apparato radicale fittonante e si adatta a diversi tipi di terreno, pur preferendo substrati acidi si adegua anche a terreni molto poveri (sabbiosi o brughiera).

Produce pochi rami e il suo fusto appare dritto o lievemente curvo, con una corteccia spessa, molto rugosa, di colore marrone scuro-ruggine e sfumature tendenti al viola. Ha una bella chioma di colorazione verde scuro, maggiormente espansa verso la cima, più rada nella parte inferiore. La chioma giovanile è di forma conica, con rami che salgono curvi verso l’alto, mentre nelle piante adulte diventa più appiattita e densa e poiché invecchiando si spoglia dei palchi inferiori, assume la classica forma a cappello.

Le foglie persistenti, aghiformi con una guaina alla base di 1-2 cm, sono di colore verde chiaro, rigide e pungenti, lunghe 15-20 cm, disposte a fascetti di 2 sui brachiblasti. Restano sull’albero fino a 4 anni.

Si tratta di albero monoico e la fioritura avviene a marzo-aprile. I coni maschili sono ovoidali, di colore dorato; quelli femminili sono formati da macrosporofilli riuniti in uno strobilo color porpora di 1-2 cm, posti all’estremità dei giovani rametti e maturano nel secondo anno. Di consistenza legnosa, restano sui rami per alcuni anni prima di aprirsi. In seguito all’impollinazione che è anemofila, si generano le tipiche pigne coniche (spesso asimmetriche) e affusolate, della dimensione di 15-20 cm e di colore nocciola che maturano nel secondo anno.

Riunite a gruppi di 2-3, rimangono sui rami per alcuni anni. Il seme è molto piccolo e alato.

Pino d’Aleppo: aspetti botanici

Il pino d’Aleppo (Pinus halepensis), è presente in tutti i paesi che si affacciano sul bacino del mediterraneo dal Nord Africa all’Europa meridionale e all’Asia minore. Occupa una superficie stimata in più di 3,5 milioni di ettari. Esso vegeta nella zona fitoclimatica del Lauretum e in Italia raggiunge i limiti altitudinali di 700-800 m in Liguria e di 400-700 m nell’entroterra della Penisola e sul Gargano.

È una pianta termofila, xerofila e lucivaga, molto resistente al clima caldo-arido; molto frugale, predilige i terreni calcarei litoranei; può formare boschi puri o misti associandosi al pino domestico, al leccio, alla roverella, con un sottobosco basso di macchia mediterranea. Ha grande capacità di rinnovarsi dopo il passaggio del fuoco poiché gli strobili che restano chiusi sulla pianta per più anni, si aprono contemporaneamente con il calore dell’incendio e seminano abbondantemente il terreno.

Il pino d’Aleppo è un albero che raramente supera i 20-22 m di altezza, con diametro che può misurare anche 1,20 m. Non molto longevo, può tuttavia raggiungere i 150-200 anni; gli individui più vecchi conosciuti hanno una età vicina ai 340 anni e si trovano in Algeria.

Ha portamento tortuoso sia per quanto riguarda il fusto che i grossi rami.

Il legno ha alburno chiaro e duramen scuro e duro, resinoso e pesante, di scarso pregio, usato per tavolame e imballaggi. La corteccia è liscia di colore grigio-cenerino da giovane, poi bruno-rossastra, fessurata e screpolata profondamente a maturità. La chioma nella pianta giovane ha aspetto conico o globoso che diviene ombrelliforme col passare degli anni. Ha colorazione più chiara rispetto agli altri pini mediterranei, poco densa e luminosa a causa della scarsità e della ridotta durata degli aghi e non è intera, ma costituita da alcuni grossi lobi in base alla disposizione delle branche principali che sono abbastanza sottili e distese.

I rametti dell’anno sono glabri, di colore grigio chiaro, con riflessi verdognoli che divengono poi quasi argentei.

Le foglie sono aghiformi, di colore verde chiaro, riunite in fascetti di 2, con guaina persistente di 7-8 mm.

Gli aghi tendenzialmente ricurvi, sono lunghi 7-10 cm, molto sottili e non rigidi, con margini minutamente dentati, apice acuto e linee stomatifere su entrambe le facce. Gli aghi cadono generalmente durante la seconda estate.

È una specie monoica e la fioritura avviene da marzo a maggio. I coni maschili sono numerosi e gialli; quelli femminili di colore verde violaceo.

I frutti (strobili) sono solitari, a volte appaiati, e rivolti verso il basso con un peduncolo legnoso breve, di colore rosso scuro e umbone poco rilevato. Hanno forma ovato-conica (6-12 x 3,5-4,5 cm), maturano in 2 anni, in autunno, e permangono sulla pianta per alcuni anni; la fruttificazione è precoce e avviene a 8-10 anni.

La produzione di seme è abbondante; i semi di forma ovoidale sono piccoli, scuri, con ala lunga 15-20 mm.

Pinete montane e alpine: aspetti ecologici e silvoculturali

Diffusione. Le pinete abbondano in moltissime zone dell’en-troterra, soprattutto sui terreni poco fertili formati da recenti disfacimenti della roccia.

Essendo i pini, in genere, specie pioniere, sopravvivono per lungo tempo solo in condizioni del suolo primitive, con scarse possibilità di evoluzione verso suoli più profondi, capaci di supportare specie più esigenti.

Sviluppano boschi puri o si mescolano ad altre specie, a seconda delle condizioni ambientali o della specificità morfologica.

In particolare, in relazione ai piani altitudinali si incontrano pinete dominate da specie diverse. Sui fianchi delle montagne, infatti, è possibile osservare una successione di piani, ciascuno caratterizzato da condizioni climatiche proprie e da un particolare tipo di vegetazione.

Tralasciando il piano mediterraneo (che va da 0 a 200 m) e il piano nivale (a quota 2500/2800-3100 m in cui la copertura vegetale si dirada lasciando scoperte pareti rocciose, detriti, nevai e ghiacciai), essi sono:

1.    piano collinare: (da 200 fino a 800-900 m), luogo caratteristico delle colture di vite, cereali, alberi da frutto e ortaggi. Ricoperto da bosco di latifoglie decidue e da pinete prevalentemente di pino nero e di altri pini mediterranei;

2.    piano montano: (da 800-900 m a 1500-1700 m), è ricoperto da bosco di latifoglie sui versanti freschi e ombreggiati, mentre superiormente crescono le aghifoglie. Le pinete sono costituite da pino silvestre.

In Calabria sul Monte Pollino, sui Monti di Orsomarso e su alcuni massicci della Campania sono presenti pinete di pino loricato (Pinus leucodermis), che si trova fino a una quota di 2000 m. Si tratta di una pianta robusta, con chioma verde brillante non folta, tronco tozzo e corteccia molto spessa che si fessura in ampie scaglie. Si calcola che in Italia ne esistano poche migliaia di esemplari, mentre è diffuso in Europa sudorientale;

3.    piano alpino: (da 2000 m a 2900 m, al limite delle montagne dove ci sono le praterie), in questa zona crescono il pino cembro e il pino mugo che origina una particolare pineta detta mugheta.

Gli aspetti silvocolturali di queste pinete consistono in fustaie governate a taglio raso o a tagli successivi e/o saltuari, con turni da 70 a 100 anni.

Le cure colturali sono finalizzate alla protezione e conservazione dei popolamenti interessanti dal punto di vista naturalistico: tagli fitosanitari e tagli di liberazione del novellame insediatosi spontaneamente. Vengono gestite facendo tagli rasi di ridotte dimensioni che favoriscono la rinnovazione naturale, a strisce di 3000 m2 e a buche dal diametro pari al doppio dell’altezza delle piante.

Per il pino nero, usato diffusamente per rimboschimenti in tutta la Penisola, si gestiscono allo stesso modo i popolamenti naturali della Sila e della Sicilia e i popolamenti artificiali transitori e che verranno rimpiazzati da specie originali. Il pino nero esercita un effetto favorevole sulla copertura e sulla protezione del suolo e produce una discreta lettiera in tempi brevi.

Pino nero: aspetti botanici

Diffusione. Il pino nero (Pinus nigra) si trova in Europa meridionale e in Asia Minore. È una specie molto variabile e se ne riconoscono almeno 5 razze geografiche (sottospecie), tra le quali la nigra, detta anche pino austriaco, che vive in Austria e Italia centrosettentrionale e la laricio tipica di Corsica, Calabria e Sicilia. Essendo specie eliofila e pioniera si adatta ad ambienti estremi (costoni rocciosi, pareti sub-verticali) e a condizioni di aridità purché compensata da una elevata umidità atmosferica. Non presenta particolari esigenze di suolo e si trova su suoli sabbiosi, ghiaiosi alluvionali o limoso argillosi anche compatti, sia di natura calcarea che silicea. In particolare, il pino austriaco cresce su suoli calcarei o dolomitici, ma tollera anche suoli marnosi e argillosi compatti purché con falda profonda e mai sommersi, il pino laricio vive su suoli acidi, granitici o sabbiosi e sopporta le estati secche.

Il pino nero è un albero alto fino a 40 m, con diametro che può raggiungere e superare 1 m.

Il tronco è particolarmente dritto nella subsp. laricio, mentre nella sottospecie nigra, anche a causa dell’ambiente di crescita, è spesso rastremato, a volte breve e contorto e anche diviso.

L’apparato radicale nella pianta adulta è ampio e robusto, con un fittone molto sviluppato e grosse radici laterali, che si allungano all’interno di fessure nelle rocce e ancorano al suolo la pianta che raramente viene allettata dal vento.

La corteccia giovane è scura, bruno-grigiastra, scagliosa, con gli anni diviene rugosa e fessurata suddividendosi in larghe placche subrettangolari, con i solchi di colore scuro. Il legno ha alburno bianco-giallognolo e ampio e duramen più scuro e rossastro, con anelli ben evidenti e netta distinzione tra legno primaverile e legno tardivo (che è ricco di numerosi e larghi canali resiniferi).

La chioma di colore verde scuro è a forma piramidale in gioventù, ma diviene irregolare ed espansa con l’età. I rami sono disposti orizzontalmente, con la parte terminale rivolta verso l’alto e distribuiti in evidenti verticilli nella pianta giovane, ma col passare del tempo mostrano minore regolarità.

Quelli dell’anno sono glabri e lucenti, bruno-rossastri e sottili nel pino laricio, bruno-grigiastri, grossi e nodosi quelli della subsp. nigra.

Le gemme sono ovoidali, appuntite e resinose.

Le foglie sono costituite da aghi, a coppie, più o meno rigidi, lunghi 4-19 cm e spessi 1-2 mm, diritti o leggermente incurvati, di colore verde scuro, con sezione semicircolare, margini denticolati e apice appuntito, ma non sempre pungente. Sulle due facce si trovano 12-14 linee stomatifere. La fioritura avviene in primavera da aprile a giugno. I microsporofilli, che a maturità sono di colore giallo, sono portati alla base del ramo dell’anno e compaiono all’inizio della fase di allungamento.

I macrosporofilli di colore bruno-ocra a maturazione, sono sorretti da un breve peduncolo in gruppi di 2-4 e portati eretti all’apice del ramo dell’anno; compaiono quando si evidenzia la gemma apicale.

Gli strobili lunghi 5-8 cm e larghi 2-4 cm, sono lucenti e hanno colore bruno chiaro o giallastro; giungono a maturità nell’autunno del secondo anno e cadono nella primavera successiva, di solito dopo aver già disseminato durante l’inverno. I semi sono molto grandi 5-7 mm di lunghezza, cuneiformi, di colore grigio, con ala lunga.

Pino silvestre: aspetti botanici

Diffusione. Il pino silvestre (Pinus sylvestris) è una specie tipicamente continentale, con un vastissimo areale eurasiatico, dalla Scozia alla Siberia orientale e a nord fino alla Scandinavia. In Italia è spontaneo solo sulle Alpi (fino a 2000 m), maggiormente nel settore centro-occidentale, dove il clima è più continentale, e in poche zone dell’Appennino ligure ed emiliano in popolamenti relitti.

Predilige le grandi valli continentali aride e solatie, con substrati poveri dove riesce a colonizzare vasti territori perché, essendo specie eliofila,xerofila e frugale è adatta ai climi freddi, non teme il gelo né il vento e sopporta molto bene i periodi siccitosi anche durante la stagione vegetativa. Grazie a queste proprietà riesce a vivere anche su terreni difficili, come i ghiaioni e gli accumuli detritici. Il pino silvestre (Pinus sylvestris) è una conifera sempreverde che può raggiungere i 40 m di altezza, molto longeva e resinosa.

Possiede un apparato radicale che all’inizio è sempre fitto-nante, ma che in base al tipo di terreno in cui vive può continuare ad approfondirsi oppure diventare più superficiale, con radici secondarie robuste.

Il fusto può essere diritto e slanciato, se la pianta si sviluppa in boschi densi, e basso e tozzo nei boschi radi.

La corteccia delle piante giovani e dei rami ha un caratteristico colore arancione ed è ricoperta da sottili pellicole, mentre sui fusti delle piante adulte il colore varia dal grigio al bruno ed è screpolata in placche grossolane. Dalla corteccia si ricava tannino per la concia delle pelli.

I rami, di colore grigio-rossastro, sono grossi e nodosi, verticillati e orizzontali, con l’apice rivolto in alto, i rametti, glabri, sono di colore giallo-verdognolo che diventa grigio-rossastro al secondo anno.

II legno con alburno bianco e duramen rosato è resinoso e di facile lavorazione, viene impiegato in falegnameria per la fabbricazione di infissi e serramenti, imballaggi, tavolame e cellulosa per industria cartaria. Gli aghi lunghi da 3 a 7 cm, sono di colore grigio-verdastro, riuniti in fascetti di 2 e contorti a spirale, rigidi e pungenti, con margini finemente dentati e persistono sulla pianta per 3 anni. Appaiono addensati alla base dei germogli, quelli femminili, generalmente isolati, non hanno peduncolo. Prima globosi e verdastri, diventano in seguito strettamente conici, a volte un po’ ricurvi, di colore bruno chiaro, lunghi non oltre i 4 cm. I microsorofilli maschili sono gialli, piccoli e posizionati alla base dei ramoscelli annuali; i macrosporofilli femminili sono isolati o in gruppi di 2-3 e di colore rossastro.

La fioritura va da aprile a giugno e l’impollinazione è ane-mofila. I coni fecondati sono prima verdi, poi grigio-bruni, a volte curvi, lunghi fino a 8 cm, conici, con squame opache, lunghe e strette, scudo convesso e umbone ottuso, maturano nel giro di 2 anni e disperdono i semi tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera seguenti. I semi piccoli (4-5 mm) e bruni, di forma ovoidale, sono provvisti di una lunga ala lunga 15-20 mm.

Pino mugo: aspetti botanici

Diffusione. È una conifera presente sulle montagne europee (Alpi, Appennini, Carpazi, Balcani, Pirenei) dove vegeta alle quote più elevate. In Italia si trova sulle Alpi dai 1500 ai 2700 m di quota e su alcune cime dell’Appennino ligure, tosco-emiliano, abruzzese e campano.

Predilige suoli calcarei o di medio impasto, leggeri, ben drenati, preferibilmente neutri, in pieno sole. Può vivere su suoli anche molto poveri e aridi, incoerenti e franosi, comprese le pietraie, in località anche molto ventose ed esposte, ma non su suoli con poco drenaggio. È completamente rustico.

Si riconoscono due forme geografiche: pino mugo (Pinus mugo) a portamento prostrato, cespuglioso e il pino uncinato (Pinus mugo var. uncinata) a portamento eretto, che può raggiungere i 20 m di altezza. Il pino mugo, in forma arbustiva, vive fino a oltre il limite della vegetazione forestale arborea, dove svolge un’importante azione protettiva, consolidando ghiaioni e impedendo i movimenti delle valanghe.

I rami sono molto flessibili e si dipartono dalla base.

La chioma può essere densa, strisciante o eretta, a seconda del luogo in cui cresce la pianta, ma di solito è più ampia che alta.

La corteccia è grigio-bruna a placche romboidali.

II legno tenero, elastico e facilmente lavorabile non è generalmente utilizzabile date le modeste dimensioni raggiunte e quindi non ha grande valore commerciale. Dai rametti si ottiene un olio essenziale: l’olio di mugo.

Le foglie del pino mugo, aghiformi, sono riunite a 2, lunghe 3-8 cm, di colore verde scuro. Restano sulla pianta per un massimo di 9 anni.

La fioritura avviene tra maggio e luglio. I coni maschili del pino mugo sono numerosi, gialli, molto più vistosi di quelli femminili che sono più piccoli e di colore rosso-violaceo. I frutti sono pigne di forma ovale-conica, lunghe 3-5 cm, prima verdi e poi rosso violetti, solitari o accoppiati all’apice dei rami; contengono piccoli semi nerastri muniti di ala che si disperdono in ottobre.

Pino cembro: aspetti botanici

Diffusione. Il pino cembro o cirmolo (Pinus cembra) è una specie tipicamente continentale e vive alle quote estreme della vegetazione arborea, formando boschi puri o misti con altre conifere dell’ambiente alpino: larice, abete rosso e pino mugo. In Italia.

il pino cembro è presente solo sulle Alpi, tra i 1400 e i 2200 m nel settore orientale e tra i 1600 e i 2400 m in quello occidentale; i popolamenti migliori si trovano in Valle d’Aosta, Piemonte (Val Maira), Lombardia e Trentino Alto Adige. È un albero prezioso per i rimboschimenti ad alta quota, per il grande effetto paesaggistico e soprattutto per la grande utilità nella difesa dalle valanghe.

Le giovani piantine sono sicuramente sciafite e microterme, quelle più adulte possono adattarsi anche a situazioni aperte con una certa aridità estiva. Non sono esigenti in fatto di terreno, pur prediligendo quelli fertili, freschi e profondi. Il pino cembro è una conifera alta fino a 20 m e larga 1 m, molto longeva e di lenta crescita.

Ha tronco diritto e robusto, molto rastremato, con rami curvati verso l’alto che formano una chioma a profilo piramidale o ovato che si arrotonda con l’età, presenta rametti sottili, con peli color ruggine.

Le giovani piante hanno corteccia liscia e grigiastra che con l’età diventa rugosa e fessurata in placche sottili e strette, di colore rosso-bruno all’interno.

Ha un apparato radicale molto sviluppato che si spinge nelle fessure delle rocce. Il legno presenta alburno biancastro e duramen giallognolo, ad anelli annuali finissimi. Essendo tenero e di facile lavorazione è adatto ad essere scolpito, intagliato e impiegato per lavori di falegnameria. Le foglie sono costituite da aghi lineari con sezione triangolare, persistenti sull’albero per 3-5 anni, abbastanza rigidi, di colore verde scuro nella parte superiore, verde glauco in quella inferiore. La caratteristica, unica tra i pini italiani, è che sono riuniti in fascetti di cinque, lunghi 5-9 cm, inseriti sui brachiblasti.

È una specie monoica. In estate, da giugno a luglio, sui rami dell’anno nella parte superiore della chioma, compaiono i coni: i maschili sono cilindrici, riuniti in gruppi di 3-4, sessili, di colore rosso; i femminili sono solitari o in gruppo fino a 6, con breve peduncolo, di forma ovata allungata e colore violaceo.

Gli strobili sono solitari o in gruppo di 2-3, lunghi fino a 8 cm, hanno forma ovata ottusa e maturazione biennale, squame poco lignificate, con scudo piatto dapprima violaceo, poi bruno rossastro, finemente pelose sul lato esterno e lievemente mucronate.

Ogni squama porta 2 semi grossi obovati (grandi 1-1,5 cm), non alati, con guscio rosso bruno che vengono liberati solo dopo essere caduti a terra, sono commestibili e ricercati dagli scoiattoli e dalla nocciolaia che provvede alla disseminazione.

GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE
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