CONCETTI CHIAVE
- Nuova PAC e multifunzionalità
- PAC 2014-2020
- OCM Unica
- Mercato interno ed esterno
- Filiere agroalimentari: agricoltura, industria, GDO
- Imprenditori agricoli
- Packaging e strategia di marketing
- Organizzazioni di Produttori (OP)
- Forme di vendita alternativa
15.1 PAC, i principi e le riforme
La Politica Agricola Comune, prevista dal trattato di Roma del 1957, dal suo avvio (1962) è stata impostata in senso protezionistico, assicurando un sostegno agli agricoltori mediante la fissazione di prezzi per i loro prodotti, e la difesa dalla concorrenza estera attraverso un sistema di prelievi sulle importazioni e sussidi alle esportazioni.Nel primo ventennio di attuazione, applicando il principio della garanzia automatica e illimitata, la PAC ha sostenuto la produzione interna; gli agricoltori potevano consegnare la totalità delle loro produzioni agli organismi nazionali di intervento che erano tenuti ad acguistarli a un prezzo minimo garantito stabilito in sede comunitaria.
Le garanzie di collocazione dei propri prodotti ad un prezzo minimo garantito spinse gli agricoltori ad orientare le proprie scelte produttive verso guei prodotti beneficiari dei livelli di sostegno più elevato, guali cereali, carni bovine, zucchero e lattiero-caseari, determinando elevate eccedenze produttive ed elevati costi per la PAC. La correzione di guesti sguilibri fu inizialmente affrontata mediante l’adozione di alcune misure, guali il prelievo di corresponsabilità, i limiti di garanzia e le guote.
Nel 1977 fu istituito il prelievo di corresponsabilità che consisteva in una riduzione dei prezzi garantiti, allo scopo di recuperare risorse per sostenere le spese di gestione delle eccedenze produttive, rendendo, guindi, gli stessi agricoltori, corresponsabili rispetto ad esse.
Nel 1981, il principio originario della garanzia automatica e illimitata fu modificato dall’introduzione dei limiti di garanzia, superati i guali non sarebbe stato più possibile usufruire dei prezzi garantiti.
Nel 1984, furono introdotte le quote che rappresentarono una restrizione di tali limiti attraverso l’assegnazione di un quantitativo di produzione di riferimento, superato il quale potevano essere applicate sanzioni a carico del produttore.
A partire dalla metà degli anni Ottanta, contestualmente agli interventi sui prezzi e sui mercati, venne avviata una nuova politica in favore delle strutture produttive, consistente in un insieme di interventi in grado di delineare la cosiddetta Politica di Sviluppo Rurale (PSR), che fu integrata in un più ampio contesto delle politiche socio-strutturali finalizzate alla riduzione degli squilibri economici e sociali all’interno della UE. La prima sostanziale modifica della PAC si ebbe nel 1992 attraverso la riforma Mac Sharry, con la graduale sostituzione degli interventi sui prezzi e sui mercati e con gli attuali aiuti sul reddito. Questa riforma ha introdotto gli aiuti disaccoppiati che si caratterizzano per non essere concessi automaticamente, ma a condizione che gli agricoltori rispettino alcune regole in tema di tutela dell’ambiente, del suolo e del benessere degli animali (principio della condizionalità). Dal 2003 con la riforma Fishler, gli agricoltori sono sottoposti anche al meccanismo di modulazione (importi degli aiuti diretti sottoposti a riduzione per ricavare risorse da destinare alle politiche di sviluppo rurale) (15.1).
A completamento della riforma Mac Sharry, sono state necessarie ulteriori modifiche, Agenda 2000 del 1999, la riforma Fishler del 2003 e l’Health Check del 2008.
La nuova PAC è improntata ad orientare l’agricoltura verso un modello fondato sul concetto della multifunzionalità, nel guale la funzione produttiva è subordinata rispetto ad altre funzioni che l’agricoltura è in grado di svolgere.
L’attuale PAC si fonda su due pilastri (15.2): il primo è costituito essenzialmente dagli aiuti al reddito degli agricoltori, concessi attraverso il pagamento unico aziendale; il secondo è rappresentato dalle misure di sviluppo rurale, che mirano a sostenere l’ammodernamento delle aziende agrarie e lo svolgimento di attività multifunzionali come guella ambientale.
Il pagamento unico aziendale si applica ai seguenti settori: seminativi, leguminose da granella, foraggi essiccati, carni ovi-caprine, carni bovine, olio di oliva, tabacco, latte, zucchero, pomodoro da industria, agrumi. Tale pagamento è indipendente dalla produzione, ma è condizionato al rispetto, da parte degli agricoltori, di alcune pratiche per il mantenimento della fertilità del suolo, di rispetto dell’ambiente e di benessere degli animali. L’erogazione degli aiuti comunitari in Italia avviene attraverso AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura).
Il secondo pilastro della PAC, attuato attraverso il meccanismo della modulazione, articola i propri interventi in guattro assi:
1. miglioramento della competitività del settore agricolo-forestale, finalizzato all’ammodernamento delle strutture produttive delle aziende agricole;
2. miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale;
3. gualità della vita e diversificazione dell’economia rurale;
4. sviluppo locale.
Gli ultimi tre assi sono rivolti al ruolo multifunzionale e territoriale dell’agricoltura.
L’attuazione degli interventi avviene nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale (PSR), cofìnanziati dalla Unione Europea, e messi a punto e gestiti direttamente dalle regioni. Questa politica è finanziata in parte dal bilancio centrale dell’UE ed in parte dai bilanci nazionali o regionali degli Stati membri.
Le nuove regole della PAC 2014-2020 sono entrate in vigore da gennaio 2014, a eccezione per guelle relative al nuovo regime dei pagamenti diretti, la cui decorrenza sarà dal 2015. I beneficiari delle nuove politiche agricole saranno gli agricoltori attivi.

15.1 Evoluzione della PAC e del processo di semplificazione in ambito tecnico, finanziario e politico.

15.2 Regolamento e normativa per il finanziamento della PAC.
15.2 La nuova PAC
La nuova riforma si articola su guattro regolamenti:1. i pagamenti diretti (15.3);
2. l’organizzazione comune di mercato unica (OCM);
3. lo sviluppo rurale;
4. il regolamento orizzontale sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della PAC.
Le diverse riforme della Politica Agricola Comunitaria che si sono succedute nel tempo hanno interessato anche le OCM, la protezione nei confronti di Paesi terzi e il sostegno del mercato interno.
Le Organizzazioni Comuni di Mercato (OCM), come strumento operativo della PAC, sono rappresentate da un insieme di norme e misure che realizzano un dispositivo che permette all’Unione Europea di gestire il mercato di un determinato prodotto agricolo (produzione e scambi) (15.4).
Lo scopo della gestione del mercato è, da un lato, guello di assicurare agli agricoltori uno sbocco per la loro produzione e la stabilità dei redditi e, dall’altro, garantire ai consumatori la sicurezza dell’approvvigionamento di prodotti alimentari a prezzi ragionevoli.
Le OCM hanno consentito, innanzitutto, di fissare prezzi unici di prodotti agricoli per tutti i mercati europei (prezzo indicativo, prezzo d’entrata, prezzo d’intervento), di concedere aiuti ai produttori o agli operatori del settore, di istituire meccanismi di controllo della produzione e disciplinare gli scambi con i Paesi terzi.
|
Tipo di pagamento |
Condizione di obbligatorietà per gli Stati membri |
% sul massimale nazionale |
Criterio adottato |
1 |
Base |
Obbligatorio |
Max 70% |
Condizionalità di base |
2 |
Ridistributivo (per i primi ettari) |
Facoltativo |
Fino al 30% |
Sui primi 30 ettari |
3 |
Ecologico (greening) |
Obbligatorio |
30% |
Per pratiche agricole rispettose del clima e dell’ambiente |
4 |
Per aree svantaggiate |
Facoltativo |
Fino al 5% |
Per aree con forti vincoli naturali |
5 |
Per giovani agricoltori |
Obbligatorio |
Fino al 2% |
Non oltre un max di 25 ettari |
6 |
Per piccoli agricoltori |
Facoltativo |
Fino al 10% |
Max 1250 €/azienda |
7 |
Accoppiato |
Facoltativo |
Fino al 15% |
Non concesso per tabacco e patate |
15.3 Le diverse tipologie per i pagamenti diretti.
|
Regolamenti |
OCM |
1 |
(Cee) n. 234/1968 |
Piante vive e prodotti della floricoltura |
2 |
(Cee) n. 827/1968 |
Scampoli (prodotti non contemplati in altre OCM) |
3 |
(Cee) n. 2759/1975 |
Carni suine |
4 |
(Cee) n. 2771/1975 |
Uova |
5 |
(Cee) n. 2777/1975 |
Pollame |
6 |
(Cee) n. 2075/1992 |
Tabacco greggio |
7 |
(Cee) n. 404/1993 |
Banane |
8 |
(Ce) n. 2200/1996 |
Ortofrutticoli freschi |
9 |
(Ce) n. 2201/1996 |
Ortofrutticoli trasformati |
10 |
(Ce) n. 1254/1999 |
Carni bovine |
11 |
(Ce) n. 1255/1999 |
Latte e prodotti lattiero-caseari |
12 |
(Ce) n. 1493/1999 |
Vino |
13 |
(Ce) n. 1673/2000 |
Lino e canapa |
14 |
(Ce) n. 2529/2001 |
Carni ovine e caprine |
15 |
(Ce) n. 1784/2003 |
Cereali |
16 |
(Ce) n. 1785/2003 |
Riso |
17 |
(Ce) n. 1786/2003 |
Foraggi essiccati |
18 |
(Ce) n. 865/2004 |
Olio d’oliva e olive da tavola |
19 |
(Ce) n. 1947/2005 |
Sementi |
20 |
(Ce) n. 1952/2005 |
Luppolo |
21 |
(Ce) n. 318/2006 |
Zucchero |
|
Misure settoriali | |
a |
(Ce) n. 670/2003 |
Alcol etilico di origine agricola |
b |
(Ce) n. 797/2004 |
Apicoltura |
c |
(Ce) n. 1544/2006 |
Bachicoltura |
15.4 OCM e misure settoriali (regolamenti di base).
Prezzi, misure e meccanismi
Il prezzo indicativo (o di orientamento) per i prodotti agricoli è quello fissato annualmente dalla Unione Europea ed è superiore al prezzo d’intervento.Il prezzo di entrata è il prezzo minimo al quale possono essere venduti i prodotti importati.
Il prezzo di intervento è quello che viene garantito ai produttori e che prevede l’intervento dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA) per ritirare (acquistare) prodotti agricoli dal mercato e per sostenerne il prezzo riducendo il rischio di una sua diminuzione.
Per il contenimento della quantità di produzione si sono messe in atto misure quali, ad esempio, l’assegnazione di quote di produzione, la messa a riposo dei terreni (set-aside), ecc.
La regolazione degli scambi con i Paesi terzi avviene mediante il meccanismo del prelievo per le importazioni e delle restituzioni per le esportazioni, ovvero nel pagamento della differenza tra il prezzo interno alla UE ed il prezzo sul mercato mondiale, se quest’ultimo è inferiore al precedente. Inoltre, viene anche promossa la costituzione di organizzazioni di produttori.
Tra le misure contemplate dalle organizzazioni comuni di mercato troviamo i pagamenti diretti agli agricoltori, istituiti inizialmente per compensare in certi settori le perdite di reddito subite dagli agricoltori a causa della diminuzione dei prezzi di sostegno.
Prima della riforma del giugno 2003 (riforma Fishler) tali pagamenti erano generalmente versati in base al numero di capi di bestiame allevati o di ettari coltivati dall’agricoltore.
Attualmente, in linea generale, tali aiuti sono disaccoppiati dalla produzione e inglobati nel regime di pagamento unico.
Fino al 31 dicembre del 2007 la politica dei mercati nell’ambito della Politica Agricola Comunitaria è stata rappresentata dalle 21 OCM istituite tra il 1962 ed il 1970. Dal 1° gennaio 2008, le 21 OCM esistenti sono state soppresse e sostituite da un unico regolamento (reg. Ce 1234/2007). In guesto unico regolamento sono state riunite e armonizzate tutte le norme dei settori classici della politica di mercato.
Per gli agricoltori l’OCM Unica non ha comportato cambiamenti rilevanti se non quelli della semplificazione il cui impatto è probabilmente percepito di più dalle amministrazioni pubbliche che dagli stessi operatori.
Formalmente, l’OCM Unica si articola in sette punti che ricalcano da vicino la struttura dei regolamenti base delle preesistenti OCM (Frascarelli, 2008):
1. disposizioni introduttive;
2. gestione del mercato interno;
3. gestione commercio con Paesi terzi;
4. norme sulla concorrenza;
5. disposizioni specifiche su singoli settori;
6. disposizioni generali;
7. disposizioni applicative e norme transitorie.
La riforma delle OCM rappresenta uno dei capisaldi dell’ultima grande riforma della politica agricola europea avviata nel 2003 e ancor più del complesso processo di semplificazione della PAC.
Dopo la creazione di una OCM Unica, l’architettura giuridica della PAC si regge ora su due pilastri e su quattro regolamenti del Consiglio. Il primo pilastro si occupa di due temi: gli interventi di mercato, che riguardano la stabilizzazione dei redditi degli agricoltori tramite la gestione dei mercati agricoli e i pagamenti diretti agli agricoltori. Il secondo pilastro promuove lo sviluppo rurale.
Il primo regolamento riguarda il finanziamento della PAC (Reg. Ce n. 1290/2005) e stabilisce le norme per il funzionamento dei due fondi agricoli:
1. il FEAGA (Fondo Europeo Agricolo di Garanzia): fondo strutturale dell’UE che finanzia il sostegno dell’attuazione della Politica Agricola Comune e interviene essenzialmente nella parte di mercato della PAC;
2. il FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale): fondo strutturale dell’UE a sostegno dell’attuazione della Politica Agricola Comune che finanzia la politica di sviluppo rurale e interviene nell’attuazione dei PSR.
Il secondo regolamento stabilisce le norme per gli interventi di mercato: è il regolamento dell’OCM Unica (Reg. Ce n. 1234/2007).
Il terzo regolamento riguarda i pagamenti diretti (Reg. Ce n. 73/2009) e stabilisce le norme per tutti i pagamenti accoppiati e disaccoppiati della PAC.
Il quarto regolamento è quello sullo sviluppo rurale (Reg. Ce n. 1698/2005), che detta le regole per il secondo pilastro della PAC e per la programmazione e gestione dei Programmi di Sviluppo Rurale.
15.3 Norme commerciali e condizionamenti mercantili
I due parametri di riferimento per l’agricoltura e le industrie alimentari, al fine di organizzare la loro produzione, sono il commercio estero e i consumi interni.II mercato interno ha volumi cinque volte superiori rispetto a quelli delle esportazioni. Anche se stagnante, la domanda interna tende ad evolversi esprimendo bisogni nuovi, come la salubrità dei prodotti e la possibilità di disporre di informazioni sull’origine delle materie prime.
Il mercato interno è il principale riferimento dell’agricoltura che tende a valorizzare le proprie produzioni mediante l’origine delle materie prime. Le possibilità di sviluppo offerte dalla domanda estera riguardano prevalentemente l’industria alimentare che interessa più dell’80% dell’export. Una delle principali peculiarità del nostro export agroalimentare è che si fonda su prodotti trasformati e non sul commercio di materie prime, ad eccezione della frutta fresca che è riconducibile al settore agricolo.
Riguardo all’importazione, rilevante è il peso dei prodotti di origine animale e quelli della pesca, che sono rappresentati da materie prime o beni intermedi destinati ad ulteriori trasformazioni industriali (15.5).
Le tre componenti delle filiere agroalimentari sono l’agricoltura, l’industria e la grande distribuzione. Ogni singola componente persegue obiettivi propri, spesso in contrasto con quelli degli altri, portando, in alcuni casi, all’affermazione di una componente sull’altra a discapito dello sviluppo del sistema nel suo complesso. I prodotti agroalimentari vengono, innanzitutto, distinti in prodotti del settore agricolo e prodotti dell’industria di trasformazione che, secondo il sistema ATECO 2007, si articola in tre divisioni: industrie alimentari, industrie delle bevande e industrie del tabacco.
Prodotti |
2008 |
2009 |
2010 |
|||
Valore |
% |
Valore |
% |
Valore |
% | |
Categorie dei principali prodotti esportati | ||||||
Conserve di pomodoro - pelati |
1220,0 |
4,6 |
1323,4 |
5,4 |
1301,6 |
4,6 |
Pasta non farcita - pasta senza uova |
1484,0 |
5,6 |
1299,4 |
5,3 |
1259,3 |
4,5 |
Vini rossi, rosati (VQPRD), confezionati |
1042,7 |
3,9 |
976,7 |
4,0 |
1144,0 |
4,1 |
Prodotti dolciari a base di cacao |
849,1 |
3,4 |
884,2 |
3,6 |
1008,5 |
3,6 |
Olio di oliva (extravergine e vergine) |
81 1,1 |
3,1 |
727,3 |
2,9 |
856,0 |
3,1 |
Totale prime 5 categorie di prodotti (import) |
5406,9 |
20,6 |
5211,0 |
2,1,2 |
5569,4 |
19,9 |
Categorie dei principali prodotti importati | ||||||
Pesci lavorati |
1496,1 |
4,4 |
1493,2 |
4,8 |
1554,7 |
4,4 |
Panelli farine e mangimi |
1204,7 |
3,6 |
1 1 1 3,8 |
3,6 |
1193,4 |
3,4 |
Carni suine fresche e refrigerate |
1076,3 |
3,2 |
1000,2 |
3,2 |
1163,6 |
3,3 |
Crostacei e molluschi congelati |
1026,8 |
3,0 |
931,0 |
3,0 |
1 109,1 |
3,1 |
Olio di oliva extravergine e vergine |
991,3 |
2,9 |
- |
- |
973,2 |
2,8 |
Altri prodotti |
- |
- |
913,5 |
2,9 |
- |
- |
Totale prime 5 categorie di prodotti (export) |
5795,2 |
17,1 |
5451,7 |
17,5 |
5994,0 |
17,0 |
15.5 Principali prodotti agroalimentari del commercio con l’estero (2008-2010) (Dati INEA).
15.4 Le regole di compravendita
La normativa che detta le nuove regole per la compravendita di prodotti agricoli e alimentari, già dal 25 ottobre 2012, ha il merito di riequilibrare il potere contrattuale lungo la filiera agroalimentare tra distribuzione e produttori, in riferimento al rispetto dei termini di pagamento. Tale normativa prevede l’obbligo della stesura del contratto in forma scritta e il rispetto di specifici e determinati termini di pagamento nei rapporti commerciali per la compravendita di prodotti agricoli e alimentari destinati al consumo umano. Nel contratto occorre indicare: la durata; la quantità di prodotto; le caratteristiche del prodotto; il prezzo pattuito; la modalità di consegna; il tipo di pagamento.Questi elementi, oltre che in un contratto vero e proprio, possono essere contenuti anche nel documento di trasporto o di consegna, oppure nella fattura o nell’ordine di acquisto fatto dall’acquirente. In questi ultimi casi il documento deve contenere la seguente dicitura: "Assolve agli obblighi di cui all’alt. 62, comma 1, del d. legisl. n. 1/2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2012".
Il contratto può essere trasmesso con qualsiasi modalità, anche in forma elettronica o via fax, con la conferma dell’awenuta ricezione. In caso di inosservanza delle presenti disposizioni le sanzioni previste vanno da 516,00 a 20.000,00 euro. I termini di pagamento, normativamente ed obbligatoriamente stabiliti, sono di 30 giorni per i prodotti agricoli e alimentari deteriorabili e di 60 giorni per gli altri prodotti agricoli e alimentari, decorrenti dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura. In presenza di contemporanea cessione di prodotti deteriorabili e non, occorre predisporre due distinte fatture. Sono prodotti definiti deteriorabili quelli agricoli, ittici ed alimentari preconfezionati che riportano una data di scadenza o un termine minimo di conservazione non superiore a 60 giorni. La norma considera deteriorabili anche i prodotti agricoli, ittici e alimentari sfusi; in tal senso non è chiaro se una partita di animali vivi o di cereali provenienti dall’azienda agricola siano o meno deteriorabili. Si attendono in proposito chiarimenti ufficiali. In caso di inosservanza sono previste sanzioni da 500,00 a 500.000. 00 euro.
Sono vietate le condotte commerciali sleali quali la previsione, a carico di una parte, di un servizio o di una prestazione accessoria rispetto alla fornitura principale, senza alcuna connessione logica. In caso di inosservanza sono previste sanzioni da 516,00 a 3.000. 00 euro. Le suddette nuove norme sono attive dal 24 ottobre 2012. Le disposizioni relative ai termini di pagamento e alle clausole sleali e/o vessatorie, si applicano automaticamente a tutti i contratti a partire da tale data e cioè con riferimento alle cessioni effettuate da tale data. Sono esclusi dalla norma: i conferimenti di prodotti, agricoli e ittici, alle società cooperative agricole e alle Organizzazioni dei Produttori (OP) di cui il produttore è socio; le cessioni immediate, con pagamento contestuale alla consegna; le cessioni nei confronti di privati consumatori.
Non sono previste franchigie, pertanto le forniture di prodotti agricoli e alimentari di qualsiasi importo devono essere sottoposte alle nuove regole. In particolare, le nuove disposizioni considerano pratica commerciale sleale le condizioni contrattuali che determinano "prezzi palesemente al di sotto del costo di produzione medio" dei prodotti agricoli. Si tratta di un principio che trova sostegno nel recente regolamento comunitario sui rapporti contrattuali nel settore del latte laddove si evidenzia che bisogna risolvere il problema della trasmissione del prezzo lungo la filiera, in particolare per quanto riguarda i prezzi franco azienda, il cui livello non evolve, generalmente, in linea con l’aumento dei costi di produzione. È anche importante che la normativa richieda l’obbligatorietà della forma scritta dei contratti di cessione e della presenza di elementi essenziali in vista della realizzazione dei principi di trasparenza, correttezza e lealtà commerciale e che fìssi dei termini di pagamento legali, trenta o sessanta giorni dal ricevimento della fattura che, a differenza di prima, sono tolti dalla disponibilità contrattuale delle parti.
Approfondimento
Esempio di contratto di fornitura di prodotti agricoli
Con la presente scrittura privata da valere ad ogni effetto tra le parti:l'impresa agricola..............................................................................................................................................................................,
con sede in........................................................, via...................................................................
CF e partita IVA:....................................................................................................................................................................................
in persona del titolare/rappresentante legale Sig.:..........................................................................,
nato a........................................, il giorno................................., CF:....................................................
e residente in.........................................., via.......................................................................................
si stipula e si conviene quanto segue:
1) la parte venditrice vende alla parte acquirente I, che accetta, i seguenti quantitativi di prodotti agricoli:
- quantità: ..........................................................................;
- natura: ..........................................................................;
- caratteristiche: ..........................................................................;
- deteriorabile / non deteriorabile;
3) i prodotti agricoli su indicati, dovranno essere consegnati con le seguenti modalità: ................................................. ;
4) il prezzo di vendita dei prodotti agricoli di cui al punto 1, viene così concordemente determinato dalle parti (si segna il criterio scelto):
- euro/tonnellata ...................................................................................................... ;
- sulla base del listino prezzi della parte venditrice, che si allega al presente contratto; sulla base dei prezzi di mercato rilevati dalla CCIAA di ........... nella settimana di consegna dei prodotti;
- ................................................................................................................................. ; maggiorato dell’IVA di legge;
- 30 giorni;
- 60 giorni,
si precisa, che il termine indicato decorre dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura;
6) trattandosi di cessione soggetta ad IVA non sussiste l'obbligo della registrazione del presente contratto;
7) per tutto quanto non espressamente disciplinato dalla presente scrittura troveranno applicazione le norme di cui agli artt. 1470 e seg. del codice civile, nonché dell'art. 62 della l. 27/2012.
Luogo .................................. Data ...............................
Firme dei contraenti per accettazione:
Parte venditrice Parte acquirente
La vendita diretta
Rappresenta l’opportunità per i consumatori di acquistare i prodotti agroalimentari direttamente dall’agricoltore, senza alcun intermediario; si parla quindi di "filiera corta: dal produttore al consumatore". Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità, possono vendere direttamente al dettaglio in tutto il Paese i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende.La finanziaria per il 2007, al fine di promuovere l’aggregazione e, in particolare, lo sviluppo dei mercati degli imprenditori agricoli che effettuano vendita diretta, ha approvato il decreto ministeriale emanato il 20/11/2007, introducendo le Linee guida per la realizzazione dei mercati agricoli e fissando i requisiti, gli standard di realizzazione, la trasparenza dei prezzi, ecc.
Mediante la vendita diretta, l’imprenditore agricolo può cedere i propri prodotti direttamente al consumatore finale, senza intermediazioni di natura commerciale che determinano un aggravio di costi.
Il d.m. del 2007, non essendo di natura regolamentare in guanto, per competenza, la disciplina legislativa in materia agricola spetta alle Regioni, prevede che di seguito le Regioni emanino delle circolari per definire tutti gli aspetti operativi (per la Regione Lombardia vale la circolare del 11/12/2008).
La norma di riferimento è l’art. 4, d. legisl. 228/2001 e successive modificazioni. In particolare, la vendita diretta è esclusa dalla normativa sul commercio ad alcune condizioni: essa deve essere svolta da "imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel Registro delle imprese di cui all’art. 8".
Per impresa agricola si intende il soggetto, singolo o collettivo, che svolge attività agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c. In particolare, il Ministero dello sviluppo economico, con la risoluzione n. 4363/2006 (avente valore di parere non vincolante), non considera necessaria l’iscrizione dei piccoli produttori nel Registro delle imprese purché gli stessi intendano esercitare la vendita diretta dei loro prodotti "sul fondo di produzione". Del resto gli imprenditori agricoli sono generalmente obbligati a iscriversi alla sezione speciale del Registro delle imprese a meno che non siano piccoli produttori, esonerati IVA, cioè aventi un basso volume d’affari annuo. Secondo il Ministero, i piccoli produttori devono iscriversi al Registro delle imprese solo se intendono esercitare la vendita diretta dei propri prodotti fuori dalla propria azienda; guindi la vendita diretta non implica l’iscrizione alla Camera di commercio se viene svolta in azienda.
Poiché per vendita diretta si intende guella relativa a "prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità" è sufficiente solo il 51% dei prodotti propri e il parametro per valutarlo concretamente sono i ricavi. Inoltre, l’attività di vendita al dettaglio, può essere operata per prodotti ottenuti direttamente dalla propria azienda senza lavorazione o per prodotti derivati da lavorazione o trasformazione.
In generale, le vendite extra aziendali possono avvenire in piazze o su strade, facilmente visibili dal consumatore, oppure all’interno di supermercati o in prossimità dei negozi di articoli per l’agricoltura e anche in punti vendita al dettaglio o all’interno di spacci di produttori.
L’art. 4, d. legisl. 228/2001, individua varie modalità di vendita:
1. vendita in locali aperti al pubblico, occorre inviare una comunicazione preventiva al Sindaco del Comune, dove si vuole operare;
2. vendita su aree pubbliche con posteggio (vendita non in forma itinerante, con posteggio), occorre inviare una comunicazione preventiva al Sindaco del Comune, in cui si intende esercitare la vendita, contenente anche la richiesta di posteggio;
3. vendita presso l’azienda agricola o altre aree disponibili (vendita in forma non itinerante).
Nel caso di vendita esercitata su superfìci all’aperto nell’ambito dell’azienda agricola o di altre aree private di cui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità, non è richiesta la comunicazione di inizio attività. Quindi, la vendita cosiddetta "a cielo aperto" su aree private è esercitabile liberamente, senza alcuna necessità di comunicazione preventiva al Comune.
Da questo consegue il legittimo esercizio dell’attività di vendita anche qualora non siano utilizzati locali attrezzati per tale scopo. In tal senso, d’altronde, si era già espressa la 1. 976/1965 che, nell’interpretare la precedente L. 59/1963 di disciplina della vendita diretta, aveva precisato che tale vendita non comportava per il produttore-venditore "obbligatoriamente il possesso e l’uso di locali, chioschi, baracche e simili stabilmente fìssati al suolo". L’imprenditore agricolo che partecipa ai mercati di vendita diretta è stimolato dal progressivo aumento della domanda e, per rispondere con un’offerta adeguata, spesso decide di convertire totalmente la propria attività, giungendo alla diversificazione della produzione, con benefìcio nei confronti di una maggiore manodopera e miglioramento della capacità produttiva del terreno (es. parte dell’azienda potrebbe trasformarsi da monoculturale a policolturale).
I principali vantaggi della vendita diretta sono:
1. recupero del valore aggiunto che si perde nelle fasi di commercializzazione e distribuzione (filiera corta);
2. redditività anche per aziende marginali e di piccole dimensioni;
3. responsabilizzazione maggiore nei confronti dei consumatori finali;
4. influenza sul comportamento e sulle abitudini sociali relative a una maggiore attenzione alla provenienza dei prodotti, alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità ambientale dei processi di distribuzione e al sostegno dell’economia locale;
5. opportunità di confronto diretto con il consumatore;
6. vendita di prodotti locali e di stagione, alle volte non collocabili nel mercato convenzionale.
Riferimenti normativi nazionali | ||
1 | Legge n. 59 del 1963 |
Limita la vendita diretta alla sola produzione aziendale, può essere utilizzata per i produttori in regime di esonero IVA che vogliono avvalersi della non obbligatorietà dell’iscrizione al Registro delle imprese (legge 77/77, art. 2, comma 3) |
2 | D.P.R. 633/1972 (art. 34) |
Disciplina sulle imposte del valore aggiunto |
3 | D.legisl. 228/2001 (art. 4) |
Legge di orientamento |
4 | D. legisl. 99/2004 (art. 1) |
Semplificazione amministrativa in agricoltura |
5 | D.m.del 20/1 1/2007 |
Indicazioni per lo sviluppo dei mercati agricoli |
15.6 Quadro base legislativo di riferimento in ambito nazionale.
Approfondimento
Vendita diretta (il caso della Regione Lombardia)
La Regione Lombardia ha semplificato le procedure relative alla vendita diretta (art. 4, d. legisl. 228/2001). Gli atti necessari per l’apertura, il trasferimento di sede o la modifica dell’attività di vendita diretta, come previsti dalla norma nazionale, sono sostituiti dalla presentazione di Dichiarazione di Inizio Attività Produttiva (DIAP).La DIAP deve essere inoltrata al Sindaco del Comune in cui si intende esercitare la vendita diretta in sede stabile. Nel caso in cui si tratti di vendita diretta itinerante la DIAP deve essere inviata al Comune del luogo dove risiede l’azienda di produzione ed è valida in tutto il territorio nazionale.
Quando un mercato agricolo è gestito da un’Associazione la richiesta può essere unica per tutti i soggetti iscritti all’Associazione stessa.
Prima di inoltrare la DIAP è necessario che l’azienda abbia ricevuto l’autorizzazione sanitaria da parte dei Comuni e delle ASL che attesta l’idoneità igieni co-sanitaria di locali e attrezzature.
Per ogni attività di trasformazione, preparazione, confezionamento, deposito, vendita e/o somministrazione di alimenti devomo essere indicate le fasi che potrebbero essere critiche per la sicurezza degli alimenti.
Spetta, quindi, all’imprenditore garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed aggiornate le adeguate procedure di sicurezza, avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei pericoli e dei punti di controllo critici HACCP (Hazard Analysis and Criticai Control Points).
Pertanto, è necessario un manuale aziendale di autocontrollo, specifico per ogni singola realtà e attuare procedure semplici, essenziali e compatibili con le dimensioni economiche dell’azienda agrituristica. Fatta eccezione per le aziende che operano in regime di esenzione, perché non superano i limiti di fatturato previsti dalla legge e conseguentemente non iscritte al Registro delle imprese, per la vendita diretta in azienda alle cessioni di prodotti agricoli, ottenuti in maniera prevalente dalla coltivazione del fondo e dall’allevamento di animali, effettuate da imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 2135 c.c. si applica il regime speciale in termini di IVA (detrazione forfetizzata con percentuali di compensazione).
I piccoli produttori, devono comunque iscriversi al Registro delle imprese qualora intendano esercitare attività di vendita diretta dei prodotti aziendali al di fuori della propria azienda.
Alla vendita diretta al pubblico dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori non si applica la normativa sul commercio neanche per quanto riguarda i requisiti di accesso all’attività, alla programmazione della rete distributiva e agli orari di apertura e di chiusura degli esercizi di vendita, quindi non ci sono obblighi di chiusura domenicale o festiva. La DIAP è una dichiarazione di conformità sia per i requisiti igienico-sanitari dei locali sia per i requisiti di sicurezza delle attrezzature utilizzate.
La modulistica è stata predisposta dalla Regione Lombardia il 2 febbraio 2009 con il decreto n. 790 (il DDC n. 10863 del 26/10/2009 aggiorna ulteriormente i modelli e le schede). Infine, il Ministero delle attività produttive ritiene che le autorizzazioni rilasciate ai sensi della legge n. 59 del 9 febbraio 1963 siano tuttora valide.
15.5 Condizionamenti mercantili e packaging
Una volta esaurite le diverse operazioni che permettono di trasformare le materie prime in un dato prodotto alimentare, esso deve essere confezionato per consentire la suddivisione in porzioni, la distribuzione e la protezione dagli agenti esterni durante tutto il periodo che va dal confezionamento al consumo.Determinare quali materiali sono più adatti e quali sono le condizioni migliori per conservare, trasportare e commercializzare gli alimenti così come pure stabilire l’esatta shelf-life (vita di scaffale) di una confezione o lo sviluppo di tecniche che consentano di prevenire o rallentare l’insorgere dei fenomeni di degrado, sono attività scientifiche che ricadono nell’ambito del food packaging. Questo settore di ricerca è spiccatamente interdisciplinare e implica una profonda conoscenza delle proprietà dei materiali e la capacità descrittiva e predittiva dei fenomeni di natura fìsica, chimica e biologica che decorrono dal momento in cui i prodotti sono confezionati al momento in cui essi vengono consumati.
Per affrontare queste problematiche, ci si avvale di tecniche investigative di avanguardia proprie della scienza dei materiali che permettono di misurare la permeabilità dei gas attraverso film polimerici, il loro comportamento meccanico e le eventuali interazioni con gli alimenti con cui entrano in contatto.
Particolare importanza è data allo studio delle alterazioni di natura chimica, fìsica e biologica degli alimenti e all’influenza che su tali fenomeni ha l’involucro gassoso che circonda l’alimento racchiuso nella confezione. Appartengono a questa area anche le problematiche relative allo sviluppo di nuovi sensori per il controllo online della composizione dell’atmosfera dello spazio di testa delle confezioni e di rilevatori in grado di monitorare la storia termica delle confezioni durante le fasi di distribuzione e commercializzazione.
L’imballaggio
È un’operazione unitaria centrale nel ciclo di preparazione e commercializzazione di ogni prodotto alimentare. I materiali di uso più frequente sono le plastiche, l'allumi -nio, il vetro, la latta, la carta e cartone. La normativa italiana, rappresentata dal d.m. del 21/3/1973 e dal d.m. del 6/2/1997, in linea con quella europea, prevede che tutti i materiali impiegati per la fabbricazione di contenitori per alimenti siano approvati dal Ministero della Salute. Negli anni, la legislazione ha subito costanti integrazioni e aggiornamenti fino alla definizione a livello europeo di regolamenti specifici come ad esempio i regolamenti 1935 del 2004 e il regolamento 2023 del 2006, l’ultimo regolamento 10 del 2011, riguardante i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari.Fino a qualche tempo fa l’imballaggio era costituito da un recipiente che, nel rispetto di determinate caratteristiche estetiche e funzionali, conteneva un prodotto. Oggi il vecchio "contenitore" ha cambiato ruolo e ha assunto una valenza strategica per gli operatori del largo consumo: l’imballaggio definito col termine inglese packaging assume un’accezione più ampia riferendosi non solo all’involucro materiale e al complesso di operazioni attraverso cui la merce vi viene racchiusa, ma anche all’insieme di simboli, parole, caratteristiche, disegni in grado di offrire una percezione di valori intangibili legati al prodotto. Tale insieme, presentato in modo diverso da azienda ad azienda, è definito con il termine inglese brand e contribuisce a creare un’immagine di un prodotto in grado di distinguerlo dai concorrenti. In questo modo il packaging le cui funzionalità oltre quelle di contenitore sono efficacia nella comunicazione, efficienza nelle dimensioni, resistenza agli urti, sostenibilità, riciclabilità e flessibilità, risulta il primo, rilevante anello di congiunzione tra prodotto, brand e cliente finale (15.9).
Il packaging rappresenta uno degli elementi fondamentali della strategia di marketing in quanto custode comunicativo del prodotto e del brand: di tutti i prodotti innovativi lanciati nell’alimentare nel 2010, per fare un esempio, il 68% sono guidati dalla formulazione del prodotto ed il 15% dai benefìci del packaging (fonte: Accenture).
Finalità e caratteristiche del condizionamento | |
Contenere adeguatamente il prodotto alimentare |
Proteggere l’alimento dai danni meccanici |
Rappresentare un’adeguata barriera ai gas e ai vapori |
Prevenire o ritardare la degradazione biologica |
Prevenire o ritardare la degradazione fìsica |
Facilitare la movimentazione ed il magazzinaggio |
Presentare il prodotto in forma attraente |
Rappresentare un’opportunità di informazione |
Consentire l'identificazione sicura del prodotto |
Essere degradabile e facilmente riciclabile |
15.9 Finalità specifiche caratteristiche funzionali del condizionamento dei prodotti alimentari.
L’innovazione nel settore degli imballaggi per alimenti
Nell’industria alimentare l’imballaggio del prodotto gioca un ruolo sempre più importante nell’orientamento delle scelte di acquisto dei consumatori finali. Pertanto, lo sviluppo di un "packaginginnovativo" (15.10) è una strategia irrinunciabile per aziende grandi e piccole, che oggi possono contare su macchine ed impianti di confezionamento sempre più versatili e personalizzabili.L’idoneità al contatto con gli alimenti migliorando l’accettabilità del prodotto confezionato è tematica che trasversalmente riguarda tutti coloro che operano in guesto settore, sia riguardo ai materiali (es. polimeri e film plastici, vetri più resistenti, rivestimenti e trattamenti), sia riguardo alle tecnologie applicate (es. sistemi di riempimento e di stabilizzazione).
Grazie agli sviluppi della ricerca e agli investimenti delle aziende interessate al settore, sono state sviluppate tecniche di packaging innovativo dette imballaggi funzionali o functional packaging.
Vengono utilizzati materiali, contenitori o accessori di imballaggio capaci di svolgere una funzione aggiuntiva rispetto a guella generica e tradizionale di contenimento e protezione del prodotto e di adattare le prestazioni della confezione alle esigenze dello specifico prodotto alimentare mediante il controllo di fenomeni chimici, microbiologici, enzimatici, chimico-fìsici e meccanici.
Per salvaguardare le caratteristiche nutrizionali, igieniche e sensoriali degli alimenti, evitando contaminazioni e alterazioni, ritardando i decadimenti gualitativi e consentendo di ottenere il prolungamento della vita commerciale (shelf life) del prodotto si riconoscono vari tipi di functional packaging: gli imballaggi attivi (active packaging), gli imballaggi intelligenti (intelligent packaging) e gli smart packaging.
Gli imballaggi attivi (active packaging) hanno la funzione di interagire con l’atmosfera interna di una confezione e con il prodotto mediante il rilascio di sostanze utili o l’assorbimento di guelle indesiderate da parte di antimicrobici, antiossidanti o altre sostanze che servono ad aumentare la gualità e la sicurezza dei prodotti. I più importanti sono: assorbitori di ossigeno, assorbitori e regolatori di umidità, assorbitori di etilene ed emettitori di etanolo.
I primi sono sostanze inorganiche come polvere di ferro o composti a base di ferro o organiche, come acido ascorbico, fenoli e catecolo che assorbono l’ossigeno entrato nella confezione per permeabilità dei materiali impiegati. Vengono commercializzati in piccole bustine inserite direttamente nella confezione.
Gli assorbitori di umidità rimuovono attivamente l’acgua che può accumularsi nelle confezioni per effetto della traspirazione dei prodotti ortofrutticoli freschi o dell’essudazione di liguidi dalla carne fresca o della fusione del ghiaccio durante il trasporto di prodotti ittici o degli sbalzi della temperatura di conservazione di vari prodotti alimentari. Sono costituiti generalmente da due strati di polimero plastico microporoso tra i guali viene posizionato un polimero superassorbente in forma granulare.
I regolatori di umidità hanno invece il compito di ridurre l’attività dell’acgua nell’ambiente in cui si trova il prodotto alimentare creando condizioni sfavorevoli alla crescita microbica (muffe e batteri) e prolungando la conservabilità dell’alimento. Sono formati da due film di polivinilalcol (PVA), contenenti glicole propilenico,
Gli assorbitori di etilene hanno il compito di bloccare tutti i fenomeni correlati alla maturazione: respirazione, traspirazione, idrolisi di pectine e di carboidrati. La rimozione dell’etilene avviene utilizzando permanganato di potassio chiuso in sacchetti (vista la sua pericolosità) o materiali ceramici diversamente attivati, inglobati nella matrice polimerica del materiale di confezionamento.
Gli emettitori di etanolo utilizzano guesta sostanza come agente antimicrobico applicandolo allo stato liguido (per sprayzzazione) e soprattutto attraverso sacchetti o strisce di materiale in grado di rilasciare etanolo.
Gli imballaggi intelligenti (intelligent packaging) forniscono indicazioni sulle condizioni di conservazione o sulla gualità del prodotto, interagendo sia con il prodotto che col consumatore al guale danno notizie sulle variazioni di temperatura, umidità, pressione parziale di ossigeno che avvengono all’interno della confezione. A guesto scopo sono impiegati degli indicatori interni o esterni alla confezione, capaci di registrare e segnalare al consumatore le eventuali alterazioni per mezzo di evidenti variazioni cromatiche. Le forme di intelligent packaging giù diffuse commercialmente sono rappresentate dagli Indicatori Tempo-Temperatura (TTI) che vengono applicati sulla superfìcie esterna delle confezioni e gli indicatori di ossigeno e di anidride carbonica che variano il loro colore per effetto di reazioni chimiche ed enzimatiche e vengono impiegati in forma di tavolette o strisce da inserire nelle confezioni.
Gli smart packaging hanno la funzione di garantire agevoli condizioni di uso, trasformazione e consumo dei prodotti e, di conseguenza, offrire vantaggi per il consumatore. Ne sono esempi i contenitori capaci di sviluppare calore al momento del consumo per riscaldare il contenuto, le valvole per espellere la C02 da alimenti fermentati o torrefatti, le valvole per percepire aromi e le valvole per espellere il vapore che si forma all’interno della confezione di alimenti cotti in microonde.
Un’innovazione di materiale può derivare da: | |
Industria chimica (polimeri plastici, ecc.) |
Industria metallurgica (trattamenti e rivestimenti, ecc.) |
Industria vetraria (rafforzamenti del vetro, ecc.) |
Industria di trasformazione (stampa, accoppiamento, ecc.) |
Un’innovazione della tecnologia può derivare da: | |
Industria meccanica (sistemi di riempimento, ecc.) |
Industria alimentare (sistemi di stabilizzazione, ecc.) |
Centri di ricerca (active packaging, ecc.) |
15.10 Probabili evoluzioni del packaging in funzione dei materiali o della tecnologia.
15.6 Organizzazioni di settore: criteri di produzione e qualità
L’agricoltura cede il 65% dei propri prodotti all’industria di trasformazione la guale alimenta con il 41% dei suoi prodotti la ristorazione; il 42% delle vendite al dettaglio ed il 70% delle vendite della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) riguardano i prodotti alimentari, guesto per evidenziare la rilevanza dei rapporti interni alla filiera agroalimentare. Per lo sviluppo del settore agroalimentare, sarebbe auspicabile che i diversi soggetti che costituiscono la filiera perseguissero delle strategie e obiettivi comuni e, inoltre, che avessero lo stesso peso contrattuale.Attualmente i diversi soggetti della filiera hanno strategie, obiettivi e peso contrattuale diversi ed ogni parte tende a prevaricare sull’altra per far valere i propri interessi, in ragione della propria forza contrattuale.
Una delle principali criticità del sistema agroalimentare è dovuta ai differenti obiettivi che perseguono i principali anelli della filiera: l’agricoltura ha l’interesse a valorizzare l’origine delle materie prime come riconoscimento della gualità dei prodotti; l’industria di trasformazione, potendo approvvigionarsi delle materie prime sul mercato globale, non vuole associare il concetto di gualità a guello dell’origine dei prodotti, ma mira a valorizzare il processo produttivo ed il marchio; la distribuzione è interessata soltanto ai prezzi che possano garantirle un adeguato assortimento di prodotti sugli scaffali di vendita.
Per guanto concerne le strutture della distribuzione, si distinguono imprese che effettuano il commercio all’ingrosso da guelle che praticano il commercio al dettaglio.
Per ciascuna di queste categorie esiste una ulteriore articolazione: per il commercio all’ingrosso si distinguono le figure degli intermediari da quelle dei grossisti; per il commercio al dettaglio si riconoscono quello in sede fìssa e quello ambulante.
Nell’ultimo ventennio l’evoluzione dei canali distributivi ha portato alla concentrazione delle vendite presso la grande distribuzione a scapito dei tradizionali negozi e alla comparsa di altre forme di vendita come quella diretta da parte degli agricoltori.
Per accrescere il proprio potere contrattuale, i singoli gruppi della GDO si sono organizzati mediante centrali di acquisto, ovvero strutture deputate ad acquistare grandi quantitativi di prodotti per conto di più acquirenti, costituite dalle stesse imprese distributrici; in questo modo hanno ovviato al problema delle ridotte dimensioni d’impresa ed incrementato il loro peso contrattuale.
L’agricoltura paga il prezzo della sua frammentazione e insufficiente organizzazione nei rapporti con l’industria e la distribuzione. Tale elemento di debolezza del settore agricolo si evidenzia anche nei confronti del mercato dei fattori produttivi i cui prezzi crescono molto di più di quelli dei prodotti agricoli rispetto a quanto accade in altri Paesi europei.
Una strada da percorrere per ovviare alle insufficienti dimensioni economiche delle aziende agricole italiane e limitare, quindi, gli effetti dello squilibrato peso contrattuale nei confronti delle altre componenti del sistema agroalimentare, è l’associazionismo. La cooperazione in agricoltura svolge sicuramente un ruolo strategico sia neH’approvvigionamento dei fattori produttivi che nelle diverse fasi di gestione dell’offerta del settore agricolo. Gli interventi legislativi della UE in favore dell’associazionismo agricolo furono emanati con il regolamento 1360/1978, seguito dal regolamento 2200/1996 e dal reg. 1182/2007.
In Italia il tema defi’associazionismo è stato oggetto nel tempo di numerose norme anche in tempi antecedenti l’istituzione della Cee; in tempi più recenti è stato riordinato e disciplinato dal d. legisl. 228/2001 e successivamente dal d. legisl. 102/2005. In quest’ultima norma vengono anche individuati alcuni strumenti affinché gli organismi associativi possano svolgere azioni per l’integrazione delle filiere e della regolamentazione del mercato. Tali strumenti sono le intese di filiera e il contratto quadro. Il principale obiettivo delle prime è quello di favorire, mediante accordo tra i soggetti della filiera, la valorizzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari, tenendo conto degli interessi di filiera e dei consumatori. Le intese di filiera sono stipulate dagli organismi maggiormente rappresentativi dei diversi settori e sono approvate con decreto del Mipaaf.
Il contratto quadro ha come obiettivo quello di sviluppare gli sbocchi commerciali nel mercato interno ed estero, mediante l’orientamento della produzione agricola verso le esigenze della domanda.
I contratti quadro vengono sottoscritti dalle organizzazioni dei produttori, delle industrie di trasformazione e della distribuzione; i contenuti definiscono il modello che deve essere adottato nella stipula dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura.
La filiera agroalimentare italiana è caratterizzata da:
1. elevata polverizzazione dell’offerta produttiva e ridotta organizzazione commerciale delle imprese;
2. notevole concentrazione nella fase distributiva, anche se non è ancora allineata ai principali paesi europei;
3. limitata presenza di imprese agricole e alimentari medio-grandi.
In merito alle aree di intervento e agli strumenti per migliorare l’organizzazione di filiera, si può senz’altro affermare che la concentrazione dell’offerta agricola favorisce guadagni di efficienza lungo la filiera; del resto le economie di scala e di scopo che ne derivano riducono i costi logistici, di trasporto, ecc.
Un incremento di efficienza della filiera certamente favorisce, ma non garantisce del tutto, l’aumento della redditività in quanto essa dipende molto dal potere negoziale degli agricoltori nei confronti degli altri attori della filiera.
Per questo motivo diventa così importante la diffusione di strumenti aggregativi, quali le organizzazioni di produttori, le cooperative, le reti di impresa e, contestualmente, per la crescita dimensionale delle imprese, anche gli interventi di regolazione delle transazioni commerciali.
Strumenti di gestione del rischio, come i fondi mutualistici, assieme a forme di aggregazione delle imprese, possono tutelare maggiormente il reddito e agevolare l’accesso al credito degli associati, favorendo così il processo di miglioramento organizzativo dell’intero sistema produttivo.
Lo sviluppo di rapporti consolidati tra agricoltori, imprese industriali e commerciali mediante lo sviluppo di forme contrattuali standardizzate rappresenta una tutela nei confronti dell’aleatorietà dei mercati e della volatilità dei prezzi.
Infine, un importante contributo al rafforzamento dell’organizzazione della filiera agroalimentare deriverebbe dall’attuazione di politiche per lo sviluppo dei servizi logistici, di assistenza tecnica, di trasferimento dell’innovazione e di riduzione del carico burocratico e fiscale.
II rafforzamento degli strumenti di organizzazione e concentrazione dell’offerta agricola attuato con lo sviluppo delle Organizzazioni di Produttori (OP) rappresenta una delle azioni strategiche attraverso le quali la Commissione europea intende contrastare lo squilibrio del potere negoziale esistente nella filiera alimentare ed è anche uno dei temi chiave della proposta di riforma della PAC; l’esperienza delle OP nel settore ortofrutticolo viene presa a modello per tutti gli altri settori produttivi, tanto da estendere il riconoscimento delle OP e delle loro associazioni (AOP) all’intera gamma delle produzioni agricole.
A differenza delle OP ortofrutticole che, in virtù del sostegno comunitario rappresentano una realtà consolidata, le organizzazioni create negli altri settori produttivi hanno un’origine recente, favorita da decreti legislativi (n. 228/2001 e n. 102/2005) che hanno posto le basi di un processo di riordino dell’associazionismo agricolo.
Le prime esperienze di associazioni di produttori agricoli in Italia risalgono alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, guando la politica nazionale e le linee guida comunitarie avevano ritenuto necessario riconoscere le associazioni dei produttori agricoli a livello giuridico, definendone anche le funzioni.
I dati presi in considerazione sono quelli dell’albo nazionale istituito presso il Mipaaf e rappresentano la sola fonte ufficiale disponibile.
Nel caso delle OP ortofrutticole il Mipaaf ha l’obbligo di raccogliere ed elaborare ogni anno tutti i dati aggiornati sulla base di uno schema redatto dalla Commissione europea.

15.12 Polverizzazione dell’agricoltura italiana, dell’industria alimentare e concentrazione della GDO.

15.13 I canali di vendita delle aziende agricole italiane (2010). Da Nomisma - modificato (2012).
15.7 Organizzazioni di produzione non ortofrutticola
In Italia, al 31 marzo 2011, si contano 164 OP non ortofrutticole, alle quali aderiscono più di 270 mila produttori agricoli, per un valore complessivo della produzione commercializzata (VPC) che supera i 1500 milioni di euro (15.14). Purtroppo non è possibile risalire alla quota effettiva che tale produzione riveste nel complesso della produzione agricola italiana, poiché i dati sul VPC sono incompleti, mancando il valore della produzione corrispondente a ben 34 OP.Tra i molteplici settori produttivi organizzati, due terzi delle OP si concentrano in quattro settori (olivicolo, lattiero-caseario, tabacchicelo e pataticolo), che comprendono l’86% dei produttori associati, realizzando il 60% del VPC totale. Fra tutti si distinguono il settore olivicolo, per numero di OP e ampiezza della base sociale, e il lattiero-caseario per ammontare del VPC; segue il settore "cerealicolo-riso-oleaginose" che, pur contando 10 OP, ha dimensioni apprezzabili come numero di soci e valore della produzione commercializzata.
Il valore complessivo della produzione commercializzata (VPC) totale corrisponde a 130 OP. Le 34 OP per le quali non è indicato il VPC sono relative ai settori: apistico (1); avicunicolo (1); cerealicolo-riso-oleaginoso (1); lattiero-caseario (9); olivicolo (7); pataticolo (4); suinicolo (3); bovino (3); ovicaprino (3); tabacchicelo (2).
Per il settore olivicolo (15.14), al consistente numero delle OP e della loro base sociale, corrisponde in realtà un VPC piuttosto ridotto, con il risultato che la loro dimensione media risulta molto contenuta sotto il profilo economico, nonostante vi aderisca un discreto numero di produttori. Prendendo in considerazione le OP per le quali sono disponibili i dati sul numero di soci e sull’ammontare di VPC, a ciascuna organizzazione aderiscono in media circa 7 mila soci per un valore della produzione commercializzata che supera di poco i 3 milioni di euro.
In particolare, le OP della Puglia (21), che concentrano quasi il 90% del VPC complessivo delle OP del settore, vantano una maggiore disponibilità economica corrispondente, in media, a poco più di 4 milioni di euro.
Tuttavia, tali OP riescono ad aggregare, nel complesso, solo il 19% della produzione olivicola regionale. Per quanto riguarda la Calabria, le OP sono 10 e quelle per cui è disponibile il VPC (5), la dimensione economica media è di circa 1,2 milioni di euro.
Lo sviluppo delle OP nel settore olivicolo è avvenuto soprattutto tra il 2006 e il 2008, un triennio nel quale la quasi totalità delle organizzazioni ha ottenuto il riconoscimento. Questo risultato in parte dipende dal processo di riorganizzazione del settore, legato alla riforma dell’OCM entrata in vigore nella campagna 2005/2006.
La riforma, infatti, aveva attuato programmi di attività di durata triennale, da parte delle organizzazioni di operatori (tra cui le Organizzazioni di Produttori) riconosciute in base alla nuova normativa, permettendo agli Stati membri di utilizzare una parte degli aiuti del settore (in Italia il 5%) per finanziare alcune attività previste nei programmi triennali.
Nel caso del settore lattiero-caseario le OP mostrano una dimensione economica media più elevata (27,4 milioni di euro di VPC/OP), a fronte della quale la base sociale conta mediamente 274 produttori associati. Anche per questo settore i dati fanno riferimento alle organizzazioni per le quali erano disponibili i dati sia del numero dei soci sia dell’ammontare del VPC.
Le OP di maggiori dimensioni si trovano soprattutto nelle regioni settentrionali (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) e in Sardegna, dove è attiva una OP, la "3^ Cooperativa Assegnatari Associati Arborea", con 225 soci e un ammontare di circa 133 milioni di euro di VPC, il più elevato al momento del riconoscimento tra tutte le organizzazioni non ortofrutticole. Si tratta, infatti, di una realtà imprenditoriale che vanta una lunga storia nel panorama della produzione lattiero-casearia nazionale e risale agli anni Cinquanta del secolo scorso come cooperativa di trasformazione.
La "3^" opera prevalentemente in ambito regionale, raccoglie il 90% circa di latte vaccino prodotto in Sardegna, vantando il primo riconoscimento come OP (2001), tra quelli conseguiti in base al d. legisl. n. 228/2001.
Un’altra OP è il Consorzio cooperativo "Granlatte", che è espressione di una delle più rappresentative realtà cooperative agroindustriali nel nostro Paese; essa, alla data del riconoscimento nel 2003, contava 671 soci per un VPC di poco inferiore a 100 milioni di euro. Questo consorzio è nato negli anni Cinquanta come Consorzio Bolognese Produttori Latte (CBPL) e dopo diverse riorganizzazioni di carattere industriale e societario è diventato il Consorzio "Granlatte", holding del Gruppo Granarolo, operando come OP con sede in Emilia-Romagna, con una rete di produttori e cooperative di raccolta che si espande fino a coprire numerose regioni italiane.
Un terzo delle OP lattiero-casearie è concentrato in Lombardia ed Emilia-Romagna. Questo dato da un lato riflette la vocazione produttiva dell’area, dall’altro testimonia la lunga tradizione cooperativa tipica di questi territori che ha permesso di intraprendere un percorso di sviluppo e riorganizzazione sfociato poi nella nascita di OP di grandi dimensioni economiche.
Per quanto riguarda il settore cerealicolo, le OP che esprimono un’elevata dimensione (pari, nella media nazionale, a 2.491 produttori associati e a oltre 21 milioni di euro di VPC) sono situate anch’esse nella zona settentrionale (Emilia-Romagna e Piemonte) e in quella centrale (Toscana e Marche).
In Emilia-Romagna si contano due OP che hanno raggiunto notevoli dimensioni e sono state le prime a ottenere il riconoscimento tra quelle cerealicole. È il caso, ad esempio, dell’OP "Cereali Emilia-Romagna", nata nel 2009 dalla fusione di tre grandi OP del settore già prima del 2004.
La nuova struttura è la più grande in Italia e concentra, con oltre 10.000 produttori associati e un VPC di circa 107 milioni di euro, il 25% della produzione regionale e il 4% circa di quella nazionale.
Nel settore del tabacco lo sviluppo delle OP è stato favorito dalla decisione, in ambito nazionale, di limitare l’erogazione dei fondi resi disponibili dall’articolo 68 del regolamento (Ce) n. 73/2009 (sotto forma di pagamenti annuali supplementari) ai produttori che stipulano un contratto di coltivazione con un’impresa di prima trasformazione, purché si associno in OP riconosciute sulla base del decreto legislativo n. 102/2005.
Nel settore operano 23 OP e di queste 19 sono state riconosciute nel biennio 20092010, con una forte crescita nell’ultimo anno. Le OP tabacchicele sono localizzate per lo più in Campania (13), Umbria (6) e Veneto (2), ma hanno carattere interegionale.
Le OP nel settore pataticolo, pur essendo presenti in diverse regioni, hanno una maggiore concentrazione numerica in Campania (6): gui recentemente ha preso avvio il processo di aggregazione dei produttori e si sono diffuse strutture di dimensioni abbastanza modeste.
Viceversa, in Emilia-Romagna, un’altra regione a forte vocazione produttiva, risiedono due sole OP, ma di notevoli dimensioni; una, in particolare, "ASSO.PA.", rappresenta una realtà economica importante con un VPC di poco inferiore a 30 milioni di euro, che concentra il 45% circa del valore della produzione organizzata di patate a livello nazionale.
Questa struttura è nata alla fine degli anni Settanta e oggi ricopre un ruolo significativo nel settore, ponendosi come uno degli attori principali nella stipula dell’accordo interprofessionale e partecipando alla "Borsa Patate di Bologna" dove vengono decisi i prezzi di vendita del prodotto fresco.
Altre realtà produttive esprimono valori significativi per guanto riguarda le dimensioni economiche della componente organizzata: si tratta del settore "produzioni bovine", all’interno del guale una sola OP, la lombarda "Unipeg", realizza il 90% circa del valore della produzione organizzata; lo stesso risultato è raggiunto nel settore "avicunicolo", dove l’abruzzese OP "ALL.COOP" raggruppa anche produttori di altre regioni (Marche e Molise), detenendo più del 70% del valore della produzione commercializzata dalle OP del settore.
Per guanto riguarda il settore vitivinicolo le dimensioni economiche delle OP sono più limitate, ma la base sociale è significativa dal punto di vista numerico. Tra tutte si distingue l’OP "Terre Cortesi Moncaro", che è nata negli anni Sessanta come cantina cooperativa, opera nelle Marche realizzando guasi il 40% del valore della produzione organizzata.
Un caso a parte è rappresentato dal settore bieticolo-saccarifero, che conta un’unica OP, la "CO.PRO.B.", che annovera 4.388 produttori associati provenienti dall’Emilia-Romagna, dove l’organizzazione ha sede, e anche dal Veneto. L’OP, nata nei primi anni Sessanta, è stata riconosciuta nel 2010 e realizza un VPC superiore a 82 milioni di euro; essa, grazie a una mirata serie di alleanze e acguisizioni/fusioni societarie, è diventata leader nella produzione nazionale di zucchero.
Alla luce di guanto esposto emerge chiaramente che la situazione delle OP nell’agricoltura italiana è molto variabile sia a livello di settore che di territorio. Il processo di aggregazione dei produttori agricoli presenta limiti e contraddizioni, e i risultati non sono ancora del tutto soddisfacenti.
La componente organizzata è ancora debole, poco significativa e, soprattutto, le analisi dei dati evidenziano che le OP, tranne alcune eccezioni, hanno dimensioni ridotte, insufficienti per potersi confrontare sui mercati in maniera competitiva e per avere la forza contrattuale necessaria a relazionarsi con tutti gli attori della filiera.
Inoltre, appare evidente che in ciascun settore il VPC realizzato si concentra, di fatto, in una o due OP, che hanno in comune la localizzazione nell’area settentrionale o in un territorio con una forte esperienza di cultura cooperativa. Del resto, la forma cooperativa si adatta perfettamente alle OP integrandosi nel loro stesso sistema, assumendone le funzioni e rendendo possibile la concentrazione dell’offerta.
Certamente la tradizione cooperativa ha svolto un ruolo importante nello sviluppo, non solo guantitativo delle OP, ma bisogna riconoscere che le istituzioni locali hanno giocato un ruolo altrettanto rilevante consolidando il processo di aggregazione dei produttori agricoli.
La regione Emilia-Romagna, ad esempio, ha promosso alcune iniziative che hanno favorito la nascita e il successivo consolidamento di importanti realtà imprenditoriali.
Da gualche anno la diffusione delle OP ha conosciuto un incremento rilevante grazie, soprattutto in alcuni settori come l’olivicolo e il tabacchicelo, agli interventi di politica comunitaria che hanno spinto nella direzione tracciata dalla normativa nazionale.
Settore |
OP (n.) |
Soci (n.) |
VPC totale (.000) |
Agroenergetico |
2 |
98 |
1762 |
Apistico |
3 |
259 |
7918 |
Avicunicolo |
5 |
53 |
94.521 |
Bieticolo-saccarifero |
1 |
4388 |
82.696 |
Cerealicolo-riso-oleaginose |
IO |
24.918 |
192.993 |
Florovivaistico |
3 |
34 |
14.452 |
Foraggero |
1 |
770 |
8.075 |
Lattiero-caseario |
32 |
7386 |
630.604 |
Olivicolo |
36 |
216.991 |
92.560 |
Pataticolo |
19 |
1928 |
65.675 |
Prodotti biologici certificati |
3 |
153 |
2550 |
Produzioni suine |
6 |
550 |
47.426 |
Produzioni bovine |
8 |
1504 |
102.91 1 |
Produzioni ovicaprine |
3 |
248 |
- |
Sementiero |
4 |
2890 |
38.922 |
Tabacchicolo |
23 |
7072 |
157.453 |
Vitivinicolo |
5 |
3380 |
42.080 |
Totale |
164 |
272.622 |
1.582.598 |
15.14 Situazione delle OP non ortofrutticole al 31 marzo 2011, riconosciute ai sensi dei decreti legislativi n. 228/2001 e n. 102/2005.

15.15 Andamento del numero di OP attive nei principali settori di riconoscimento, 2002-2010.
15.8 Organizzazioni di produzione nel settore ortofrutticolo
La situazione delle OP nel settore ortofrutticolo è notevolmente differente perché esse sono sottoposte alla disciplina comunitaria dell’OCM che, con la riforma del 1996, ha avviato un processo di crescita e riorganizzazione del sistema produttivo che ha coinvolto tutte le aree del nostro Paese.La OCM ortofrutta, approvata con il regolamento (Ce) n. 1182/2007, ha ampliato le misure previste dal programma operativo, includendo la prevenzione e la gestione delle crisi, e ha sancito la possibilità di portare al 4,6% l’aiuto finanziario comunitario, a condizione che la guota sia destinata solo alla realizzazione di tale misura. Secondo i dati del Ministero, al 30 giugno 2012, le organizzazioni riconosciute sono 289, di cui 277 OP e 12 Associazioni di Organizzazioni di Produttori (AOP). Più della metà delle OP (157) è concentrata nell’area meridionale, mentre al Nord, dove si trova meno del 30% delle OP ortofrutticole riconosciute a livello nazionale, sono riconosciute 8 delle 12 AOP presenti in Italia.
Per guanto riguarda il valore della produzione commercializzata (VPC) (passato da 3,7 miliardi di euro nel 2006 a 4,6 miliardi di euro nel 2009), si è verificato un aumento considerevole (+24,3%) in un arco temporale molto limitato. Lo sviluppo delle OP nell’ortofrutta italiana sta comportando un processo di ampliamento e consolidamento delle strutture associative preesistenti; inoltre la crescita della componente organizzata della produzione ortofrutticola ha assunto una connotazione più gualitativa rispetto a guella che aveva caratterizzato il suo sviluppo nel primo decennio.
Questa dinamica è avvalorata dai dati relativi ai programmi operativi presentati dalle organizzazioni: a fronte di una situazione immutata nel numero complessivo di OP tra il 2006 e il 2009, si è registrato un aumento delle organizzazioni che hanno costituito un fondo di esercizio (15.18). In particolare la possibilità di accedere alla guota aggiuntiva dell’aiuto comunitario per le misure di prevenzione e gestione delle crisi ha incoraggiato le OP a dotarsi di un programma operativo. L’analisi del territorio mette in luce realtà diverse tra Nord e Sud del Paese. Le OP dell’area settentrionale confermano, nell’anno 2006, una maggiore efficienza gestionale e mostrano una elevata capacità di spesa: l’aiuto comunitario erogato alle OP del Nord, escludendo la guota destinata alle misure di prevenzione e gestione delle crisi, raggiunge mediamente nel 2009 (come nel 2006) il tetto massimo del 4,1% rispetto al VPC del periodo di riferimento.
Tale percentuale si riduce mano a mano che ci si sposta verso il Centro e il Sud, dove rimane al di sotto del 3,8%. Nelle OP del Centro-Sud, anche sommando la quota destinata alle misure di prevenzione e gestione delle crisi, il rapporto tra aiuto percepito e VPC di riferimento non raggiunge il 4%. Le organizzazioni del Nord, e in particolare quelle aderenti ad AOP, hanno gestito meglio l’ulteriore possibilità di finanziamento prevista dal nuovo regolamento con percentuali di aiuto comunitario mediamente superiori al 4,4%. Anche l’analisi di altri indicatori, come il livello di organizzazione e il processo di crescita dell’associazionismo ortofrutticolo, conferma l’esistenza di realtà diverse tra Nord e Sud del Paese; nelle Regioni centro-meridionali, infatti, le OP non si sono sviluppate sotto il profilo dell’aggregazione dell’offerta: a un elevato numero di organizzazioni spesso non corrisponde un altrettanto rilevante livello di concentrazione della produzione. È il caso, ad esempio, delle prime tre regioni per numero di OP, cioè Sicilia, Lazio e Puglia, che assorbono quasi il 40% delle organizzazioni riconosciute in Italia, ma rappresentano una quota in termini di VPC inferiore al 15% del valore della produzione ortofrutticola organizzata a livello nazionale (15.19 e 15.20).
Il diverso sviluppo delle OP sembra aver accentuato le divergenze esistenti tra le aree del Paese: le strutture associative del Nord sono sempre più grandi, con una dimensione media che raggiunge 45 milioni di euro (l’aumento registrato nel triennio 2006-2009 è di guasi 5 milioni); sono invece ancora troppo ridotte le dimensioni delle OP nel Centro-Sud che non superano, nella media, i 7,5 milioni di euro (appena 0,5 milioni in più rispetto al 2006).
Questi risultati dimostrano come anche gli strumenti e gli elementi di flessibilità della riforma dell’OCM siano stati efficaci soprattutto nelle aree a forte tradizione cooperativa e contemporaneamente mettono in luce i limiti delle aree economicamente meno sviluppate. La politica infatti non è riuscita a intervenire dove fattori culturali, comportamenti opportunistici e scarse capacità imprenditoriali continuano a ostacolare lo sviluppo di OP in grado di confrontarsi con il mercato e di attuare strategie competitive. Emerge, inoltre, l’importante ruolo svolto dalle AOP, come organismo di livello superiore, nel realizzare un’effettiva concentrazione dell’offerta produttiva e nel manifestare una maggiore efficienza gestionale derivante dall’azione di coordinamento attuata sul piano operativo.

15.18 Aiuto comunitario erogato alle OP/AOP rapportato al VPC di riferimento (%), 2006-2009.

15.19 Numero di OP ortofrutticole e peso % del VPC delle OP della Regione sul valore della produzione ortofrutticola organizzata in Italia, 2009.

15.20 Peso % del valore della produzione organizzata sul valore complessivo della produzione ortofrutticola della Regione, 2009. I valori molto elevati di incidenza della produzione commercializzata dalle OP dell’Emilia-Romagna, della Lombardia e del Trentino-Alto Adige sono in parte dovuti alla presenza, in queste organizzazioni, di una quota significativa di soci produttori provenienti da altre Regioni
15.9 Fattori e modelli di sviluppo delle OP
L’esame della presenza delle OP nei diversi settori produttivi, compreso l’ortofrutticolo, rileva che nell’agricoltura italiana coesistono diversi modelli organizzativi influenzati da fattori importanti:- il fattore territoriale, in base al guale la localizzazione delle attività in un contesto economico-produttivo dove vi è un forte tessuto associativo-cooperativo ha favorito il consolidamento di realtà imprenditoriali già organizzate;
- il fattore manageriale, legato all’azione di coordinamento che TOP, come struttura di governance, svolge rispetto alle imprese associate;
- il fattore identitario, ossia come cultura e storia dell’impresa influenzano il patrimonio specifico di risorse e competenze.
Sulla base dell’evidenza dei dati analizzati, le OP si possono ricondurre a diversi modelli organizzativi, che presentano differenze sul piano funzionale, gestionale e delle strategie intraprese.
Un primo modello di OP, caratteristico soprattutto dell’area Nord-orientale, è rappresentato prevalentemente da imprese di grandi dimensioni, ben radicate nel territorio che traggono forza e ragione d’essere dalla cooperazione. Si tratta di OP che, nell’assumere una "missione di mercato", svolgono funzioni di programmazione della produzione, concentrazione dell’offerta e immissione coordinata nel mercato della produzione dei soci.
Tale categoria di OP può sviluppare una strategia di sistema in grado di "realizzare gli obiettivi di interesse collettivo previsti dalla politica nazionale e comunitaria" (Ber-tazzoli et al., 2004), ponendosi come un "motore" di sviluppo e un punto di riferimento per il territorio in cui opera. Tra i casi citati nell’analisi rientrano in guesta categoria soprattutto i grandi consorzi cooperativi del lattiero-caseario, dell’ortofrutta e del bieticolo-saccarifero.
Un secondo modello è costituito da OP di piccole dimensioni, prevalentemente localizzate nel Mezzogiorno, con limitata capacità operativa e difficoltà nel relazionarsi sul mercato. In molti casi si tratta di OP costituite allo scopo di trarre vantaggio dalla politica comunitaria, per cui svolgono più che altro funzione di collettore di finanziamenti pubblici e gestione delle misure comunitarie. In guesta categoria si possono collocare le OP dei settori olivicolo e tabacchicelo, nate grazie al sostegno della PAC, ma anche le OP del settore ortofrutticolo che sembrano privilegiare la stessa funzione e mostrare, dungue, minore attenzione alle necessità del mercato. Più in generale, la nascita di gran parte delle OP non ortofrutticole è strettamente legata alla possibilità di accedere a forme di sostegno pubblico rispetto alle guali la OP è sicuramente favorita.
Un terzo modello è individuabile in quelle OP la cui costituzione è stata sostenuta dalla politica regionale, come nel caso del settore cerealicolo in Emilia-Romagna, e che operano per rafforzare il tessuto produttivo della regione consolidando un modello di integrazione di filiera già esistente.
Lo sviluppo dei diversi sistemi produttivi verso forme di organizzazione economica dipende dall’evoluzione del quadro istituzionale nel quale essi operano. Le istituzioni, nell’elaborare le norme che indirizzano le scelte dei soggetti economici, definiscono gli interventi a sostegno delle OP.
In questo senso la Politica Agricola Comunitaria ha sempre mostrato attenzione nei confronti del modello dell’associazionismo produttivo, favorendo e sostenendo la nascita e lo sviluppo delle OP nei diversi settori.
Questo processo è partito dall’ortofrutta che, grazie al sostegno comunitario ai programmi operativi delle OP introdotto dalla riforma dell’OCM, costituisce da sempre un "modello organizzativo" cui ispirarsi, per poi coinvolgere anche altri settori, come quello olivicolo e il tabacchicelo. Tuttavia, l’azione normativa si esplica più efficacemente in quelle realtà in cui è già presente una forma di organizzazione economica.
Prodotto locale e sistemi alternativi di vendita
Le forme di vendita alternativa che incontriamo sono numerose e possono essere classificate a seconda di diversi parametri:1. natura del canale di vendita, per esempio, farmers’ market;
2. caratteristiche del prodotto venduto, caso in cui le iniziative di vendita riguardano prodotti alimentari che racchiudono delle caratteristiche naturali e culturali distintive di un’area locale.
Generalmente, i consumatori associano ai prodotti locali le caratteristiche di freschezza e genuinità, legame con il paesaggio, adozione di metodi di produzione sostenibili, origine geografica del prodotto (tracciabilità), cibo non omologato e socialità legata all’acquisto locale. La freschezza e la genuinità dei prodotti sono messe in risalto dai cicli di produzione stagionali della natura. Anche la bellezza del paesaggio nel quale è inserita l’azienda contribuisce a enfatizzare l’immagine di qualità dei prodotti. L’elevato impatto ambientale, causato dalle tecniche agricole di produzione intensiva e dai trasporti su grandi distanze, porta il consumatore ad apprezzare i metodi di produzione sostenibili, che consistono in un minor uso dell’energia e nel contenimento delle emissioni di gas a effetto serra.
La filiera corta, ad esempio, garantisce una riduzione degli imballaggi, limitando l’impatto ambientale legato alla produzione e allo smaltimento del packaging-, inoltre essa consente al consumatore di trovare prodotti di varietà locali non sempre reperibili attraverso la grande distribuzione organizzata.
Importante è anche l’aspetto relativo alla socialità legata all’acguisto locale e che consiste nella relazione diretta che si instaura tra produttore e cliente. I produttori vedono i consumatori non più soltanto come semplici clienti, ma come persone, che hanno diritto a una sana alimentazione e a conoscere il lavoro e la gualità alla base dei prodotti offerti, con la possibilità di fornire suggerimenti, critiche ed esprimere esigenze. I produttori agricoli che fanno capo a Coldiretti e aderiscono al Progetto Campagna Amica hanno scelto, per esempio, di aderire a un regolamento volontario che prevede il controllo dei prezzi praticati.
Il risparmio per i consumatori legato all’acguisto a chilometro zero è un esempio significativo. La filiera corta offre ai produttori l’opportunità di decidere il prezzo dei prodotti offerti, svincolandoli dalle oscillazioni del mercato e garantendo così una maggiore remunerazione. Per la collettività, l’interesse per i prodotti locali va ben oltre le singole motivazioni dei consumatori e dei produttori perché la filiera corta favorisce lo sviluppo economico di aree rurali marginali, riduce il potere di mercato dei grossisti e può creare nuove opportunità di lavoro per vari soggetti, anche non appartenenti al settore agricolo.
Il consumo di prodotti locali può rappresentare un mezzo per preservare il territorio rurale, poiché consente l’insediamento di aziende in aree altrimenti destinate all’abbandono.
Il prodotto locale si caratterizza per il luogo di produzione e di consumo; infatti una caratteristica della vendita diretta è il legame con un luogo particolare che identifica e circoscrive la zona di coltivazione, allevamento, trasformazione, distribuzione e consumo. Per molti, il concetto di "sistemi alternativi di vendita" si riferisce a prodotti legati a luoghi specifici e agli occhi del consumatore, il prodotto locale è anche sinonimo di "piccola azienda agricola".
I termini "prodotto locale" e "sistema di produzione locale" sono spesso usati in modo intercambiabile, in contrapposizione con il sistema alimentare convenzionale, per indicare alimenti prodotti vicino al punto di consumo. Per guanto riguarda la realtà italiana, i punti vendita della Rete Nazionale di Campagna Amica, secondo il progetto di Coldiretti per la costruzione di filiere di prodotti agroalimentari esclusivamente italiani, possono vendere alimenti prodotti anche da aziende localizzate in altre Regioni (Campagna Amica, 2012), purché sia citata l’origine geografica. Una scuola di pensiero individua il "prodotto locale" negli alimenti prodotti, trasformati, venduti e consumati entro una determinata area geografica, mentre una seconda scuola di pensiero si focalizza sul termine "locale", considerando la "località" come valore aggiunto per un mercato più ampio.
II consumatore associa al "prodotto locale" anche aspetti relativi ai metodi di coltivazione, all’allevamento e alla trasformazione sostenibili, e caratteristiche guali un’adeguata remunerazione del lavoro, il rispetto delle norme di benessere animale e la storia da cui è stato originato, la personalità e l’etica del produttore, l’attrattività dell’azienda agricola e del territorio rurale.
Per filiere corte si intendono guindi guelle modalità di commercializzazione dei prodotti alimentari caratterizzate sia dalla riduzione, o eliminazione, degli intermediari fra i produttori agricoli e i consumatori sia dalla dimensione locale delle transazioni commerciali.
I prodotti che passano attraverso la filiera corta sono comunemente definiti dalla località o da un produttore specifico. È possibile distinguere le forme di vendita in cui è presente un produttore individuale e guelle in cui più produttori si uniscono in consorzio o in associazione (rete). Quando è presente un solo produttore esistono due tipi di consumatori: guello coinvolto attivamente nel processo produttivo agricolo e guello non coinvolto.
Il tipo di vendita più diffuso è quello in cui il cliente non è coinvolto nel processo produttivo e si distingue nelle seguenti forme (15.22):
1. consumatore che acquista i prodotti direttamente presso l’azienda;
2. vendita con strutture mobili (ad esempio camioncino, roulotte, tenda) sulla strada confinante con l’azienda oppure vendita ambulante in aree urbane, vendita che può essere permanente o limitata durante il periodo di raccolta dei prodotti, in occasione di sagre, manifestazioni locali;
3. negozio appena fuori dall’area dell’azienda agricola;
4. distributori automatici fìssi, come quelli del latte crudo;
5. vendita diretta organizzata;
6. consumatore che acquista e/o consuma i prodotti presso le strutture di turismo rurale ;
7. farmers’ markets, eventi periodici locali, almeno una volta al mese, all’aperto, riservati ai produttori della zona interessata;
8. consegna del prodotto al domicilio del consumatore;
9. gruppi di acquisto solidale (GAS), organizzazioni di consumatori che acquistano i prodotti direttamente dal produttore o da gruppi di produttori organizzati con piccole o medie piattaforme, contando su una forte riduzione sul prezzo;
10. consumatore online.
Le forme di vendita in cui il cliente è coinvolto attivamente nel processo produttivo agricolo sono descritte di seguito:
1. reti di produttori e consumatori, che si basano sulla collaborazione tra comunità rurali e urbane e aziende agricole. Queste reti rafforzano la vitalità delle comunità rurali favorendo la nascita di un sistema di produzione locale;
2. consumatore che partecipa alla raccolta dei prodotti, tra i quali quelli che richiedono un’elevata mole di lavoro per unità di superfìcie e una limitata abilità di raccolta;
3. comunità che sostengono l’agricoltura, per collegare i produttori con i consumatori locali e favorire così lo sviluppo economico della comunità locale.
Le principali forme di vendita basate sull’aggregazione di produttori (consorzio, associazione, rete) consistono nella vendita associata dei prodotti per mezzo di un negozio (punto vendita o bottega) situato presso un mercato urbano e/o di gruppi di acquisto solidali (GAS).
In Italia le filiere corte rappresentano una realtà importante che coinvolge circa il 30% delle aziende italiane. Il canale di vendita filiera corta prevede però almeno un passaggio intermedio tra il produttore e il consumatore; il produttore individuale infatti vende al piccolo dettagliante di generi alimentari, ai negozi specializzati, alle cooperative di consumatori, alla ristorazione privata e a guella pubblica (scuole, mense delle istituzioni pubbliche, ospedali) e al segmento Ho.Re.Ca. (hotel, ristorazione, catering, self-service, ecc.).
La filiera corta offre al produttore agricolo l’opportunità di aumentare il reddito, opportunità che si dimostra utile soprattutto guando l’agricoltore non ha la possibilità di ampliare la superfìcie coltivabile e di accrescere i capitali aziendali e dispone di una notevole guantità di lavoro. Nella filiera lunga, il produttore agricolo vende prodotti senza poter intervenire sul prezzo. Con la vendita diretta i produttori trattengono il valore aggiunto dei prodotti venduti, hanno un margine commerciale per unità di prodotto venduto molto più alto rispetto a guello offerto dalla vendita della materia prima all’industria agroalimentare, ottengono un flusso di cassa veloce e continuo che consente all’azienda di limitare il ricorso al credito bancario. Naturalmente, la guantità che può essere venduta direttamente è di molto inferiore a guella che può acguistare il trasformatore o il commerciante. In generale, le aziende che vendono direttamente sono caratterizzate dalla presenza di agricoltori con uno spiccato carattere innovativo e sono localizzate nelle vicinanze di un mercato, ad esempio in zone periurbane o in prossimità di strade molto freguentate. Inoltre le aziende che hanno la possibilità di trasformare le materie prime agricole in alimenti finali, beneficiano più di altre del sistema di vendita alternativo.
La trasformazione aziendale e la vendita diretta non sono semplici integrazioni dell’attività agricola, ma una nuova modalità di impresa autonoma e indipendente che si aggiunge a guella agricola e il cui risultato economico dipende dal livello di competenza tecnica dell’attività di trasformazione e dall’abilità commerciale. Per le piccole aziende, le difficoltà risiedono soprattutto nell’eventuale scarso guantitativo e nella ridotta variabilità di offerta dei prodotti.
Per le aziende di maggiori dimensioni, con un indirizzo produttivo specializzato e manodopera salariata, la vendita diretta rappresenta una nuova attività di impresa che comporta notevoli costi di produzione, soprattutto a causa del ricorso al lavoro salariato. Queste aziende trovano più conveniente ridurre, attraverso la specializzazione produttiva, il costo di produzione del loro prodotto principale e/o associarsi con altri produttori agricoli per gestire insieme un punto vendita, attraverso il guale vendere il prodotto principale.
Questa scelta imprenditoriale, richiede al produttore agricolo notevoli qualità professionali e spiccate abilità di vendita e, pertanto, non può rappresentare una via percorribile da parte di ogni azienda.
Le aziende che non sono in grado di investire in attività di trasformazione, assicurando un flusso di prodotti sufficiente e costante, e che mancano di capacità commerciali possono, invece, aderire a una associazione di agricoltori delegando la preparazione dei prodotti a un laboratorio extra-aziendale e adottando così un comportamento collaborativo. Il laboratorio infatti ha le competenze per evitare i rischi tecnici di produzione; inoltre i prodotti trasformati possono tornare presso le aziende per la vendita diretta oppure essere venduti all’interno di una bottega comune.

15.22 Principali forme dei sistemi alternativi di vendita.

15.23 La filiera corta realizza tutta una serie di vantaggi funzionali, per il produttore e per il consumatore.
RIASSUMENDO
• L’attuale PAC si fonda su due pilastri: I.aiuti al reddito degli agricoltori, concessi attraverso il pagamento unico aziendale, 2. misure di sviluppo rurale, per sostenere l'ammodernamento delle aziende agrarie e lo svolgimento di attività multifunzionali come quella ambientale.• Il mercato interno è il principale riferimento dell’agricoltura che tende a valorizzare le produzioni con le materie prime.
• Riguardo all’importazione, è rilevante il peso dei prodotti di origine animale e della pesca; rappresentati da materie prime o beni intermedi destinati ad ulteriori trasformazioni industriali.
• Ogni componente delle filiere agroalimentari persegue obiettivi propri, spesso in conflitto tra loro, che portano all’affermazione di una componente sull'altra a discapito dello sviluppo del sistema.
• Il food packaging determina i materiali più adatti e le condizioni migliori per conservare, trasportare e commercializzare gli alimenti, stabilire l’esatta shelf-life (vita di scaffale) di una confezione, sviluppare tecniche che consentano di prevenire o rallentare l’insorgere dei fenomeni di degrado degli alimenti.
• Il packaging rappresenta uno degli elementi fondamentali della strategia di marketing in quanto custode comunicativo del prodotto e del brand.
• Fattori caratterizzanti la filiera agroali menta re italiana sono: elevata polverizzazione dell’offerta e ridotta organizzazione commerciale; significativo grado di concentrazione della distribuzione; scarsa presenza di imprese agricole e alimentari di dimensioni medio-grandi.
• Rafforzare l’organizzazione e la concentrazione dell’offerta agricola attraverso lo sviluppo delle Organizzazioni di Produttori (OP) rappresenta una delle azioni strategiche della Commissione europea per contrastare l'asimmetria nel potere negoziale all’Interno della filiera alimentare e stimolarne la competitività.
• Il fattore territoriale è importante perché influenza lo sviluppo dei differenti modelli organizzativi dell’agricoltura italiana.
• Il consumo di prodotti locali è una strada per preservare il territorio rurale consentendo l’insediamento di aziende in aree altrimenti destinate all’abbandono.
• Nella filiera lunga il produttore agricolo vende i prodotti senza avere alcuna influenza sul prezzo. Con la vendita diretta i produttori trattengono il valore aggiunto dei prodotti venduti, incassano un margine commerciale per unità di prodotto venduto estremamente più alto rispetto alla vendita della materia prima all'industria agroalimentare.
SUMMING UP
• There are two pillars in the current PAC. The fìrst Comes from the development of multi fu nctional activities such as the environmental one, the other Comes from fmancial benefits to agricultural workers for farm modernization. The internai market is the main agricultural landmark which appraises productions with raw materials.• Taking import into account, products of animai origin and ftshing are relevant and they are represented by raw materials or goods which are going to be subjected to additional industriai transformations.
• Each component in the production line has a precise rote which is often in conflict with the others, prejudicing the development of the whole System.
• Food Packaging deals with choosing the most suitable material and the best conditions for storing, transporting and marketing food products. It also establishes the shelf life of a product and decides on anti-deterioration techniques.
• Packaging is fundamental in marketing strategies because it introduces the product and its brand in an attractive way.
• What is specific in the Italian agro-food market is a high fragmentation of the offer, a poor commercial organization and few medium-large sized agricultural and food companies.
• One of the strategie actions of the European Commission is to strenghten the organization and the concentration of the farming offer through the development of Producers’ Organizations (PO). In this way, counteracting the asymmetry in the negotiation power of the production line becomes possible, driving competitivity.
• The territorioI factor is relevant because it affeets the development of the different organizational models of Italian agriculture.
• Consumption of locai products is a means of protecting rural territory and thus encourage firms to settle in disused areas.
• In the long chain, the agricultural producer usually sells products without influencing the final price. Through direct sale, producers hold the difference gained from the products sold and, for each unit sold, producers receive a percentage which is much higher than their gain in case they sell the sanie items to the food industry.