Traccia dei contenuti
• Boschi puri di conifere (abetine, piccete e pinete)• Boschi puri di latifoglie (castagneti, faggeti, lecceti, sughereti, querceti, pioppeti, saliceti, robinieti)
• Boschi misti di latifoglie (querco-carpineti, acero-frassineti, querco-ulmeti, orno-ostrieti, alneti)
Le superfìci boschive rappresentano un’importantissima chiave di lettura del paesaggio e un importante aspetto strutturale e funzionale del territorio.
Esse forniscono indicazioni sulle caratteristiche climatiche, sulla natura del suolo e sottosuolo, sulla presenza di falde freatiche e sorgenti, sul tipo di attività umana che insiste (o ha insistito nel passato) in un dato luogo.
L’insieme delle essenze vegetali prende il nome dalla specie dominante che ne influenza la composizione floristica e va a costituire vari tipi di boschi che si distribuiscono lungo il territorio nazionale in base a latitudine e altitudine dell’ambiente nel quale si sono insediate.
La conoscenza delle caratteristiche ecologiche e botaniche di ciascuna delle principali essenze forestali consente di comprendere le esigenze del patrimonio forestale e attuare tecniche appropriate di selvicoltura.
Boschi puri di conifere
Abetine: note di ecologia e selvicoltura
Le abetine sono formazioni vegetali dominate dell’abete bianco, una pianta idonea a costituire foreste miste, nelle quali svolge l'importante ruolo di stabilizzatore ecolo-gico.Vicino a rari boschi puri ne esistono diversi costituiti in consociazione con altre essenze come abete rosso, faggio, (piceoabieteti, abieteti-piceo-faggeti) e larice.Diffusione. Nelle aree montuose dell’Europa occidentale, centrale e meridionale; in Italia si insediano sulle Alpi, preferibilmente o esclusivamente nei versanti rivolti a settentrione del margine esterno del Trentino, del Cadore, nell’Altopiano di Asiago, nelle Alpi Carniche e sugli Appennini, dove formano nuclei sparsi e disgiunti, sull’Abetone e foreste Casentinesi; sui Monti della Laga e Gran Sasso; in Val di Sangro e nell’Appennino Molisano; sul Monte Pollino; Sila, Serra
S. Bruno, e Aspromonte.
Sulle Alpi questi boschi si trovano in una fascia compresa tra i 600-800 m e i 1400-1600 m di altitudine, mentre lungo gli Appennini si sviluppano ad altitudini variabili tra gli 800 e i 1700 m, ma in condizioni particolari possono scendere anche a 400-500 m.
In definitiva l’abete bianco si trova generalmente nell’orizzonte del Fagetum, ma sulle Alpi penetra nel Picetum e negli Appennini scende nella sottozona del Castanetum.
I fattori climatici che favoriscono lo sviluppo di questo abete sono le piogge abbondanti, l’umidità atmosferica e del suolo, l’assenza di venti e una limitata escursione termica giornaliera e stagionale.
I limiti ecologici sono costituiti dalle temperature invernali troppo basse o dalla mancanza di sufficiente umidità, e nelle regioni meridionali da aridità estiva ed eccessivo allungamento del periodo vegetativo, che accelera notevolmente la senescenza. 3
La specie abbisogna di un lungo periodo di dormienza invernale, è molto sensibile alle gelate tardive, tollera l’ombreggiamento e preferisce terreni freschi e profondi. Vive su suoli sia acidi che basici e grazie a un apparato radicale profondo, è in grado di colonizzare anche suoli forestali pesanti e bagnati, contribuendo in questo modo a trattenere l’acqua nel terreno.
Il governo delle abetine avviene a fustaia, generalmente disetanea o coetanea, per gruppi più o meno ampi.
La propagazione avviene per seme mantenuto tra 0-5 °C per non più di 5 anni e conservato in contenitore ermetico previa disidratazione del 5-10% oppure per talea di ramo giovane. La semina in ogni caso deve avvenire in autunno con pacciamatura o in primavera previa vernalizzazione di circa 3-4 settimane.
La pianta raggiunge 4-6 cm nel giro di 4 anni circa e in fase giovanile non ha problemi a tollerare un certo ombreggiamento.
Dopo l’impianto i trattamenti necessari sono:
La rinnovazione naturale è impossibile nelle abetine pure, mentre è facile in quelle miste. Nei boschi misti è anche consigliato il taglio raso (con rinnovazione artificiale posticipata), il taglio di sementazione contenuto (che ha un lungo periodo di rinnovazione) e il taglio saltuario (con un periodo di curazione di 10-15 anni).
Abete bianco: aspetti botanici
L’abete bianco (Abies alba) è una pianta molto antica, appartenente alla famiglia delle Pinacee. E una specie molto longeva che può vivere anche diversi secoli.
Ha portamento arboreo e a maturità il fusto può raggiungere i 50-55 m di altezza e i 2 m di diametro (in alcuni casi esso può arrivare anche a 3 m).
Il tronco, lungo e rettilineo possiede una regolare ramificazione.
I rami principali hanno una disposizione molto regolare (partono tutti dallo stesso asse, cioè il tronco, e quelli dello stesso anno sono quasi sullo stesso piano) da cui si può calcolare l’età della pianta. I rami secondari sono orizzontali, quelli dell’anno presentano una peluria caratteristica.
La corteccia nelle piante giovani è di colore grigio chiaro, argentea, ricca di tasche resinifere profumate nelle popolazioni alpine, assenti o quasi in quelle appenniniche.
Il ritidoma negli esemplari adulti si ispessisce e comincia a fessurarsi dal basso con scanalature e placche che diventano più scure.
L’apparato radicale, relativamente poco ramificato, è fìttonante e raggiunge la profondità di 1,60 m, facendo sì che la pianta si ancori al terreno e sia poco soggetta a rotture o sradicamenti provocati dalle tempeste.
Durante la fase giovanile l’abete presenta una chioma conica che, con l’aumentare dell’età, assume una forma più appiattita e allargata, detta a “nido di cicogna”.
Le foglie sono costituite da aghi appuntiti, rigidi e inseriti singolarmente sui rametti che si dipartono dal ramo a spirale e restano sull’albero con una disposizione a pettine per 8-10 anni. Gli aghi sono lunghi circa 1,5-3 cm e larghi 1,5-2 mm, leggermente ristretti alla base, con punta arrotondata non pungente e margini lisci. La pagina superiore, di colore verde scuro, è lucida, mentre quella inferiore presenta due caratteristiche linee parallele, bianco-azzurrognole. Gli aghi presentano l’adattamento tipico delle piante che vivono alle alte latitudini e si muovono ruotando sul loro asse per raccogliere più luce possibile. Quelli più esposti alla luce sono più corti e rigidi di quelli che crescono all’ombra. La pagina inferiore degli aghi presenta 6-8 file di aperture stomatiche ed è argentata. Se l’albero è isolato mantiene i rami nella parte bassa del tronco, se invece cresce in un ambiente boschivo o circondato da altre piante, si spoglia fino ai tre quarti della sua altezza.
La fioritura avviene tra maggio e giugno, con coni a sessi separati presenti contemporaneamente sulla pianta. I microsporofìlli maschili formano, sui rametti dell’anno precedente nella parte bassa dell’albero, coni gialli, contenenti moltissimo polline.
I macrosporofilli femminili costituiscono coni rossoviola nella parte alta dell’albero, eretti e portati dai rami dell’anno. I coni lignificati e maturi prendono il nome di strobili, possiedono squame dall’apice arrotondato e sono lunghi 10-18 cm, disposti verticalmente, verso l’alto e presenti quasi unicamente nei rami superiori della chioma.
Da immaturi sono di colore verde, diventano bruni e coperti di resina a maturità. All’inizio dell’autunno le scaglie squamose si aprono lasciando andare i semi bianchi, lunghi 6-9 mm che si disperdono nell’aria, mentre il rachide centrale rimane ancora a lungo sulla pianta.
La produzione di semi è abbondante ogni 2-3 anni e comincia quando la pianta raggiunge i 30 anni circa di età (40 anni in bosco). Un cono di abete contiene all’incirca 50 semi in grado di germinare. I semi di colore bruno scuro e di forma triangolare, presentano un’ala saldamente attaccata.
Peccete: note di ecologia e selvicoltura
Le peccete sono formazioni vegetali a netta prevalenza di abete rosso (Picea excelsa).Diffusione. Questa conifera vegeta dalle Alpi Marittime, attraverso l’Europa centro-settentrionale,fino agli Urali. In Italia vive spontanea in tutto l’arco alpino, formando boschi puri o misti con larice, faggio e abete bianco, a quote superiori ai 1000 m, con clima continentale. Lo sviluppo ottimale viene raggiunto tra i 1400 e i 2000 m; i popolamenti maggiori si trovano nelle Alpi centro-orientali e in misura minore in Valle d’Aosta e Piemonte. Nell’Appen-nino settentrionale tosco-emiliano, fra i 1500 e 1750 m di quota, si trovano peccete che costituiscono nuclei relitti, isolati, misti ad abete bianco e situati su macereti o suoli poco evoluti, tutti al limite superiore della vegetazione.
Le peccete si sviluppano su suoli sciolti, freschi e profondi, ricchi di humus derivanti sia da rocce carbona-tiche che siliciche, purché acidificati. Si adattano sia a condizioni di decisa aridità, a contatto con le pinete, che a stazioni igrofìle tipiche dei suoli torbosi e paludosi, e alle fasce riparlali con ontano bianco. Essendo piuttosto esigenti dal punto di vista idrico, le peccete soffrono le scarse precipitazioni estive (inferiori a 300 mm), manifestando uno sviluppo limitato.
Le peccete vengono distinte in:
• pecceta montana (limite altitudinale a 900-1400 m) è un bosco denso con forte auto-potatura, di rapido sviluppo, che termina a 100-150 anni; mentre il culmine dell’incremento di altezza si verifica sotto i 50 anni. Confina in alto con le peccete subalpine e in basso con le abetine o con le faggete;
• pecceta subalpina (limite altitudinale a 1400-1800 m) è un bosco rado, con soggetti isolati, dotati di una chioma verde fino al piede, ha sviluppo lento che termina a 150-300 anni, mentre il culmine dell’incremento in altezza avviene attorno a 50-100 anni. Sui rilievi minori o più esterni può arrivare direttamente al limite della vegetazione arborea, nei rilievi maggiori confina con lariceti e cembreti, mentre in basso confina con le peccete montane o con le pinete di pino silvestre.
La differenza fra i due tipi di peccete si evidenzia anche negli interventi selvicolturali che devono tener conto delle funzioni protettive e protettivo-produttive dell’abete rosso. Esso, infatti, riveste un ruolo importante nella produzione del legno, è una specie preziosa per i rimboschimenti, è facilmente coltivabile in vivaio e attecchisce molto bene in bosco. Svoge un ruolo determinante nella regimazione delle precipitazioni che vengono intercettate dalla chioma.Viene piantato a gruppi, per interrompere la continuità del manto nevoso e scongiurare il rischio di valanghe che tuttavia lo travolgono facilmente una volta che la massa di neve si è staccata.
Il governo è a fustaia. Per cercare di favorire il rinnovo naturale, si applicano diversi metodi di taglio:
• taglio a strisce: tipico dell’Austria e dell’Alto Adige, si effettua lungo le linee di massima pendenza, per una larghezza di 40 m e una lunghezza di 80-110 m, andando ad asportare un’area totale di 0,20-0,30 ha;
• taglio raso a buche: si praticano tagliate del diametro di 1,5-2 volte l’altezza degli alberi;
• taglio a fratte: taglio raso di 1 - 3 ha, di forma rettangolare. Dopo alcuni anni viene effettuata la rinnovazione artificiale.
Abete rosso: aspetti botanici
L’abete rosso (Picea excelsa) è un albero slanciato, molto longevo, che riesce ad arrivare anche a cinque secoli di vita. Cresce molto velocemente, passando da 10 a 30 m d’altezza in un lasso di tempo decisamente molto breve, arrivando a raggiungere i 50 m di altezza. Presenta un tronco slanciato, cilindrico, dritto fino alla sommità, munito di rami che dalla base alla vetta assumono forma sempre più breve, conferendo alla pianta il tipico aspetto piramidale. Ha la corteccia di colore rossastro, sottile e assai squamosa al tatto che ha lo scopo di proteggere meglio il tronco dalle basse temperature ed è spesso rivestita da una sostanza resinosa, gommosa e cerosa.
Le foglie sono aghiformi, verdi da entrambi i lati, pungenti, persistenti, solitarie, sessili, lineari, a sezione romboidale (lunghe 15-25 mm x 1-2 mm). Sono collocate sui rametti con una disposizione a spirale, all'Interno di castoni. L’abete rosso è una specie mesofila, ama la piena luce, predilige climi continentali, tollera il freddo, ma meno del larice e del pino cembro.
La fioritura della pianta avviene da aprile a giugno. I microsporofìlli maschili, di colore giallo-rossastro, con breve peduncolo, sono riuniti in gruppi da 2 a 6, disposti all’ascella degli aghi laterali. I macrosporofìlli femminili, di colore rosso vivo, sono solitari, sessili, in gruppi di 3-4, prima eretti poi (dopo l'impollinazione) diventano penduli.
Gli strobili sono diritti o leggermente incurvati, cilindrici, di colore in principio verdastro, con il tempo tendente al bruno chiaro quasi lucente e poi rosso scuro, con una lunghezza che arriva fino a 15 cm e un diametro di 3 cm circa. Essi cadono interi a disseminazione avvenuta; hanno squame sempre strette tra loro, coriacee, per lo più di forma romboidale, che portano due semi.
I semi hanno forma ovoidale, di colore bruno, con un’ala lunga 16 mm che li avvolge da un lato.
Pinete: aspetti ecologici e silvocolturali
Le pinete sono tipiche zone boschive in cui l’elemento arboreo dominante è rappresentato da specie del genere Pinus.Diffusione. Molto diffuse nel mondo: centinaia di specie vivono nelle zone temperate dell’emisfero Nord e nelle regioni subtropicali di entrambi gli emisferi. In Italia le pinete occupano habitat differenti: dalle zone montane e alpine (pinete montane), alle zone litoranee (pinete mediterranee). I pini sono presenti anche in ambienti diffìcili perché sono alberi pionieri, resistenti all’aridità, in grado di colonizzare rupi, conoidi, antiche frane e anche dune litoranee e scogliere. Necessitano di molta luce, per cui si trovano normalmente sui versanti esposti a Sud. Le pinete in natura rappresentano lo stadio evolutivo iniziale della vegetazione mediterranea, ma anche il primo passo verso la colonizzazione di terreni nudi o devastati dal passaggio del fuoco. I pini, infatti, essendo eliofili e a rapido accrescimento si insediano più facilmente in aree scoperte. L’uso delle pinete è prevalentemente finalizzato al rimboschimento delle zone montuose, in difesa del suolo da frane e valanghe o alla creazione di barriere frangivento, specialmente lungo le zone costiere.
Pinete termofile mediterranee
Queste pinete sono per la maggior parte formazioni favorite dall’uomo in epoche diverse e talora hanno assunto un notevole valore ecosistemico.
Diffusione. Le poche pinete ritenute naturali si rinvengono in Sardegna e sono utilizzate per produrre legno e pinoli, proteggere il suolo e anche per finalità turistiche e paesaggistiche. In Italia occupano 20.000 ha, soprattutto in Toscana (oltre 10000 ha) e Lazio (oltre 2000 ha), ma anche in Sicilia, Sardegna ed Emilia Romagna (Ravenna). Il loro abbandono potrebbe comportare, in tempi più o meno lunghi, al ritorno del bosco di latifoglie.
Le pinete sono caratterizzate da copertura poco densa e discontinua, per cui la luce arriva abbastanza intensa nello strato inferiore che risulta costituito soprattutto da cespugli della macchia. Sono costituite prevalentemente da tre specie di pino: il pino domestico (Pinus pinea), il pino d’A-leppo (Pinus halepensis) e il pino marittimo (Pinus pinaster).
Le pinete a pino domestico sono diffuse soprattutto lungo il Tirreno (le formazioni più importanti sono in Toscana e Lazio) e nell’alto Adriatico (Ravenna).
Le pinete a pino d’Aleppo sono diffuse soprattutto in Liguria e in Puglia, anche se questa specie si ritrova su vari litorali dove colonizza i terreni più diffìcili ed è associata anche alle forme più degradate della macchia. In Umbria è presente l’unica stazione non costiera.
Le pinete a pino marittimo sono diffuse soprattutto in Liguria e nell’alto Tirreno, ma ne esiste anche un nucleo separato a Pantelleria e uno, quasi sicuramente indigeno, in Sardegna. Questa specie è la più esigente e la meno termo-xerofìla fra i pini mediterranei e può spingersi fino alla media collina.
La gestione di queste tre pinete è a fustaia e prevede, dopo l’impianto con trapianto di semenzali di I -2 anni, l’esecuzione delle cure colturali:
• tagli intercalari: sfolli, diradamenti, potature;
• tagli di maturità: taglio a raso e sostituzione delle piante a fine ciclo. Per ottenere questo risultato, è indispensabile provvedere al contenimento del sottobosco di latifoglie.
La gestione del pino domestico si differenzia a seconda della destinazione. Un rimboschimento a fini produttivi, presenta una scarsa densità da 100 a 200 piante/ha e un’estensione massima pari a 3 ha.
La densità influenza la durata della pineta, pinete più dense permetteranno di avere raccolte immediate più abbondanti, ma anticipato declino. Pinete più rade permetteranno una maggiore durata della produzione.
Il turno minimo è 80 anni, ma si può arrivare a 100 -120 anni dopodiché viene effettuato un taglio raso e la conseguente rinnovazione artificiale. Se la pineta è solo naturalistica e deriva dall’abbandono della gestione a fini produttivi, si forma un sottobosco di latifoglie. Il passaggio alla fustaia mista disetanea avviene con il mantenimento di pini stramaturi nel piano dominante attraverso tagli intercalari, e questa situazione può durare diversi decenni. Il taglio di maturità, da definirsi per ogni popolamento, provoca il passaggio alla fustaia mista disetanea a gruppi. Anche il pino marittimo e il pino d’Aleppo vengono trattati con il taglio raso con rinnovazione naturale o artificiale.
La rinnovazione naturale può essere indotta anche tramite l’abbruciamento di ramaglia, che simulando l’effetto di un incendio stimola la germinazione del seme. Si possono effettuare inoltre tagli a strisce di 30-40 m e a buche di 0,5 ha. Il turno del pino d’Aleppo è di 60-70 anni, quello del pino marittimo di 80 anni.
Pino domestico: aspetti botanici
Il pino domestico (Pinus pinea L.), detto anche pino da pinoli o pino italico, insieme al pino marittimo è una spe-eie tipica delle zone costiere dove veniva coltivato per i pinoli e per la formazione di pinete.
E' una specie eliofila e si adatta a suoli molto diversi. L’albero può raggiungere anche 30 m di altezza.
Il fusto è generalmente diritto, con palchi laterali presenti solo nella parte alta dove la chioma diventa espansa e globosa, formando un tipico ombrello.
Ha corteccia solcata, a placche grigio-brune.
Le foglie sono persistenti, di colore verde scuro, non pungenti, aghiformi, riunite a due a due in gruppi abbastanza radi sui rametti, lunghi 10-15 cm.
I microsporofìlli maschili sono piccoli, con coni ovoidali di colore giallo-arancio, in posizione terminale sui rami; i macrosporofìlli femminili sono lunghi 1-2 cm di colore verde-chiaro. I frutti sono pigne singole o doppie,grandi 12-15 cm, con apice arrotondato che costituisce una caratteristica differenza rispetto al pino marittimo, che ha invece pigne affusolate. A maturità (3 anni) liberano i tipici semi detti pinoli.
Pino marittimo: aspetti botanici
Il pino marittimo (Pinus pinasterAit.) è originario del Mediterraneo occidentale, dove vive spontaneo ed è stato piantato in Italia sin dai tempi antichi.
È una specie eliofila, termofila e xerofila, e sopporta il freddo più degli altri due pini mediterranei.
Si spinge sino a 1000 m di altitudine. E utilizzato per l’estrazione di resina e nei rimboschimenti di conifere o in consociazione con le latifoglie in difesa dall’erosione del vento di zone litoranee.
Cresce abbastanza rapidamente e può raggiungere un’altezza di circa 30 m (anche se più spesso si stabilizza intorno ai 20 m) e una larghezza di 5-10 m.
Ha un apparato radicale fìttonante e si adatta a diversi tipi di terreno, pur preferendo substrati acidi si adegua anche a terreni molto poveri (sabbiosi o brughiera).
Produce pochi rami e il suo fusto appare dritto o lievemente curvo, con una corteccia spessa, molto rugosa, di colore marrone scuro-ruggine e sfumature tendenti al viola.
Ha una bella chioma di colorazione verde scuro, maggiormente espansa verso la cima, più rada nella parte inferiore. La chioma giovanile è di forma conica, con rami che salgono curvi verso l’alto, mentre nelle piante adulte diventa più appiattita e densa e poiché invecchiando si spoglia dei palchi inferiori, assume la classica forma a cappello.
Le foglie persistenti, aghiformi con una guaina alla base di 1 -2 cm, sono di colore verde chiaro, rigide e pungenti, lunghe 15-20 cm, disposte a fascetti di 2 sui brachiblasti. Restano sull’albero fino a 4 anni.
Si tratta di albero monoico e la fioritura avviene a marzo-aprile. I coni maschili sono ovoidali, di colore dorato; quelli femminili sono formati da macrosporofìlli riuniti in uno strobilo color porpora di 1 -2 cm, posti all’estremità dei giovani rametti e maturano nel secondo anno. Di consistenza legnosa, restano sui rami per alcuni anni prima di aprirsi. In seguito all' impollinazione che è anemofìla, si generano le tipiche pigne coniche (spesso asimmetriche) e affusolate, della dimensione di 15-20 cm e di colore nocciola che maturano nel secondo anno.
Riunite a gruppi di 2-3, rimangono sui rami per alcuni anni. Il seme è molto piccolo e alato.
Pino d’Aleppo: aspetti botanici
Il pino d’Aleppo (Pinus halepensis), è presente in tutti i paesi che si affacciano sul bacino del mediterraneo dal Nord Africa all’Europa meridionale e all’Asia minore. Occupa una superfìcie stimata in più di 3,5 milioni di ettari. Esso vegeta nella zona fìtoclimatica del Lauretum e in Italia raggiunge i limiti altitudinali di 700-800 m in Liguria e di 400-700 m nell’entroterra della Penisola e sul Gargano.È una pianta termofila, xerofila e lucivaga, molto resistente al clima caldo-arido; molto frugale, predilige i terreni calcarei litoranei; può formare boschi puri o misti associandosi al pino domestico, al leccio, alla roverella, con un sottobosco basso di macchia mediterranea. Ha grande capacità di rinnovarsi dopo il passaggio del fuoco poiché gli strobili che restano chiusi sulla pianta per più anni, si aprono contemporaneamente con il calore dell’incendio e seminano abbondantemente il terreno.
Il pino d’Aleppo è un albero che raramente supera i 20-22 m di altezza, con diametro che può misurare anche 1,20 m. Non molto longevo, può tuttavia raggiungere i 150-200 anni; gli individui più vecchi conosciuti hanno una età vicina ai 340 anni e si trovano in Algeria.
Ha portamento tortuoso sia per quanto riguarda il fusto che i grossi rami.
Il legno ha alburno chiaro e duramen scuro e duro, resinoso e pesante, di scarso pregio, usato per tavolame e imballaggi.
La corteccia è liscia di colore grigio-cenerino da giovane, poi bruno-rossastra, fessurata e screpolata profondamente a maturità. La chioma nella pianta giovane ha aspetto conico o globoso che diviene ombrelliforme col passare degli anni. Ha colorazione più chiara rispetto agli altri pini mediterranei, poco densa e luminosa a causa della scarsità e della ridotta durata degli aghi e non è intera, ma costituita da alcuni grossi lobi in base alla disposizione delle branche principali che sono abbastanza sottili e distese.
I rametti dell’anno sono glabri, di colore grigio chiaro, con riflessi verdognoli che divengono poi quasi argentei. Le foglie sono aghiformi, di colore verde chiaro, riunite in fascetti di 2, con guaina persistente di 7-8 mm.
Gli aghi tendenzialmente ricurvi, sono lunghi 7-10 cm, molto sottili e non rigidi, con margini minutamente dentati, apice acuto e linee stomatifere su entrambe le facce. Gli aghi cadono generalmente durante la seconda estate.
È una specie monoica e la fioritura avviene da marzo a maggio. I coni maschili sono numerosi e gialli; quelli femminili di colore verde violaceo.
I frutti (strobili) sono solitari, a volte appaiati, e rivolti verso il basso con un peduncolo legnoso breve, di colore rosso scuro e umbone poco rilevato. Hanno forma ovato-conica (6-12 x 3,5-4,5 cm), maturano in 2 anni, in autunno, e permangono sulla pianta per alcuni anni; la fruttificazione è precoce e avviene a 8-10 anni.
La produzione di seme è abbondante; i semi di forma ovoidale sono piccoli, scuri, con ala lunga 15-20 mm.
Pinete montane e alpine: aspetti ecologici e silvoculturali
Diffusione. Le pinete abbondano in moltissime zone dell’entroterra, soprattutto sui terreni poco fertili formati da recenti disfacimenti della roccia.
Essendo i pini, in genere, specie pioniere, sopravvivono per lungo tempo solo in condizioni del suolo primitive, con scarse possibilità di evoluzione verso suoli più profondi, capaci di supportare specie più esigenti. Sviluppano boschi puri o si mescolano ad altre specie, a seconda delle condizioni ambientali o della specificità morfologica.
In particolare, in relazione ai piani altitudinali si incontrano pinete dominate da specie diverse. Sui fianchi delle montagne, infatti, è possibile osservare una successione di piani, ciascuno caratterizzato da condizioni climatiche proprie e da un particolare tipo di vegetazione.
Tralasciando il piano mediterraneo (che va da 0 a 200 m) e il piano nivale (a quota 2500/2800-3100 m in cui la copertura vegetale si dirada lasciando scoperte pareti rocciose, detriti, nevai e ghiacciai), essi sono:
1. piano collinare: (da 200 fino a 800-900 m), luogo caratteristico delle colture di vite, cereali, alberi da frutto e ortaggi. Ricoperto da bosco di latifoglie decidue e da pinete prevalentemente di pino nero e di altri pini mediterranei;
2. piano montano: (da 800-900 m a 1500-1700 m), è ricoperto da bosco di latifoglie sui versanti freschi e ombreggiati, mentre superiormente crescono le aghifoglie. Le pinete sono costituite da pino silvestre.
In Calabria sul Monte Pollino, sui Monti di Orsomarso e su alcuni massicci della Campania sono presenti pinete di pino loricato (Pinus leucodermis), che si trova fino a una quota di 2000 m. Si tratta di una pianta robusta, con chioma verde brillante non folta, tronco tozzo e corteccia molto spessa che si fessura in ampie scaglie. Si calcola che in Italia ne esistano poche migliaia di esemplari, mentre è diffuso in Europa sudorientale;
3. piano alpino: (da 2000 m a 2900 m, al limite delle montagne dove ci sono le praterie), in questa zona crescono il pino cembro e il pino mugo che origina una particolare pineta detta mugheta.
Gli aspetti silvocolturali di queste pinete consistono in fustaie governate a taglio raso o a tagli successivi e/o saltuari, con turni da 70 a 100 anni.
Le cure colturali sono finalizzate alla protezione e conservazione dei popolamenti interessanti dal punto di vista naturalistico: tagli fìtosanitari e tagli di liberazione del novellarne insediatosi spontaneamente.Vengono gestite facendo tagli rasi di ridotte dimensioni che favoriscono la rinnovazione naturale, a strisce di 3000 m2 e a buche dal diametro pari al doppio dell’altezza delle piante.
Per il pino nero, usato diffusamente per rimboschimenti in tutta la Penisola, si gestiscono allo stesso modo i popolamenti naturali della Sila e della Sicilia e i popolamenti artificiali transitori e che verranno rimpiazzati da specie originali. Il pino nero esercita un effetto favorevole sulla copertura e sulla protezione del suolo e produce una discreta lettiera in tempi brevi.
Pino nero: aspetti botanici
Diffusione. Il pino nero (Pinus nigra) si trova in Europa Meridionale e in Asia Minore. E una specie molto variabile e se ne riconoscono almeno 5 razze geografiche (sottospecie), tra le quali la nigra, detta anche pino austriaco che vive in Austria e Italia centrosettentrionale e la lancio tipica di Corsica, Calabria e Sicilia.
Essendo specie eliofila e pioniera si adatta ad ambienti estremi (costoni rocciosi, pareti sub-verticali) e a condizioni di aridità purché compensata da una elevata umidità atmosferica. Non presenta particolari esigenze di suolo e si trova su suoli sabbiosi, ghiaiosi alluvionali o limoso argillosi anche compatti, sia di natura calcarea che silicea. In particolare, il pino austriaco cresce su suoli calcarei o dolomitici, ma tollera anche suoli marnosi e argillosi compatti purché con falda profonda e mai sommersi, il pino laricio vive su suoli acidi,granitici o sabbiosi e sopporta le estati secche.
Il pino nero è un albero alto fino a 40 m, con diametro che può raggiungere e superare 1 m.
Il tronco è particolarmente dritto nella subsp. lancio, mentre nella sottospecie nigra, anche a causa dell’ambiente di crescita, è spesso rastremato, a volte breve e contorto e anche diviso. L’apparato radicale nella pianta adulta è ampio e robusto, con un fìttone molto sviluppato e grosse radici laterali, che si allungano all'Interno di fessure nelle rocce e ancorano al suolo la pianta che raramente viene allettata dal vento.
La corteccia giovane è scura, bruno-grigiastra, scagliosa, con gli anni diviene rugosa e fessurata suddividendosi in larghe placche subrettangolari, con i solchi di colore scuro.
Il legno ha alburno bianco-giallognolo e ampio e duramen più scuro e rossastro, con anelli ben evidenti e netta distinzione tra legno primaverile e legno tardivo (che è ricco di numerosi e larghi canali resiniferi).
La chioma di colore verde scuro è a forma piramidale in gioventù, ma diviene irregolare ed espansa con l’età. I rami sono disposti orizzontalmente, con la parte terminale rivolta verso l’alto e distribuiti in evidenti verticilli nella pianta giovane, ma col passare del tempo mostrano minore regolarità. Quelli dell’anno sono glabri e lucenti, bruno-rossastri e sottili nel pino laricio, bruno-grigiastri, grossi e nodosi quelli della subsp. nigra.
Le gemme sono ovoidali, appuntite e resinose.
Le foglie sono costituite da aghi, a coppie, più o meno rigidi, lunghi 4-19 cm e spessi 1 - 2 mm, diritti o leggermente incurvati, di colore verde scuro, con sezione semicircolare, margini denticolati e apice appuntito, ma non sempre pungente. Sulle due facce si trovano 12-14 linee stomatifere.
La fioritura avviene in primavera da aprile a giugno. I mi-crosporofìlli, che a maturità sono di colore giallo, sono portati alla base del ramo dell’anno e compaiono all’inizio della fase di allungamento. I macrosporofìlli di colore bruno-ocra a maturazione, sono sorretti da un breve peduncolo in gruppi di 2-4 e portati eretti all’apice del ramo dell’anno; compaiono quando si evidenzia la gemma apicale.
Gli strobili lunghi 5-8 cm e larghi 2-4 cm, sono lucenti e hanno colore bruno chiaro o giallastro; giungono a maturità nell’autunno del secondo anno e cadono nella primavera successiva, di solito dopo aver già disseminato durante l’inverno. I semi sono molto grandi 5-7 mm di lunghezza, cuneiformi, di colore grigio, con ala lunga.
Pino silvestre: aspetti botanici Diffusione. Il pino silvestre (Pinus sylvestris) è una specie tipicamente continentale, con un vastissimo areale eurasiatico, dalla Scozia alla Siberia orientale e a Nord fino alla Scandinavia. In Italia è spontaneo solo sulle Alpi (fino a 2000 m), maggiormente nel settore centro-occidentale, dove il clima è più continentale, e in poche zone dell’Ap-pennino ligure ed emiliano in popolamenti relitti.
Predilige le grandi valli continentali aride e solatie, con substrati poveri dove riesce a colonizzare vasti territori perché, essendo specie eliofila, xerofila e frugale è adatta ai climi freddi, non teme il gelo né il vento e sopporta molto bene i periodi siccitosi anche durante la stagione vegetativa. Grazie a queste proprietà riesce a vivere anche su terreni diffìcili, come i ghiaioni e gli accumuli detritici. Il pino silvestre (Pinus sylvestris) è una conifera sempreverde che può raggiungere i 40 m di altezza, molto longeva e resinosa.
Possiede un apparato radicale che all’inizio è sempre fìttonante, ma che in base al
tipo di terreno in cui vive può continuare ad approfondirsi oppure diventare più superficiale, con radici secondarie robuste.
Il fusto può essere diritto e slanciato, se la pianta si sviluppa in boschi densi, e basso e tozzo nei boschi radi.
La corteccia delle piante giovani e dei rami ha un caratteristico colore arancione ed è ricoperta da sottili pellicole, mentre sui fusti delle piante adulte il colore varia dal grigio al bruno ed è screpolata in placche grossolane. Dalla corteccia si ricava tannino per la concia delle pelli.
I rami, di colore grigio-rossastro, sono grossi e nodosi, verticillati e orizzontali, con l’apice rivolto in alto, i rametti, glabri, sono di colore giallo-verdognolo che diventa grigiorossastro al secondo anno. Il legno con alburno bianco e duramen rosato è resinoso e di facile lavorazione, viene impiegato in falegnameria per la fabbricazione di infìssi e serramenti, imballaggi, tavolame e cellulosa per industria cartaria. Gli aghi lunghi da 3 a 7 cm, sono di colore grigioverdastro, riuniti in fascetti di 2 e contorti a spirale, rigidi e pungenti, con margini finemente dentati e persistono sulla pianta per 3 anni. Appaiono addensati alla base dei germogli, quelli femminili, generalmente isolati, non hanno peduncolo. Prima globosi e verdastri, diventano in seguito strettamente conici, a volte un po’ ricurvi, di colore bruno chiaro, lunghi non oltre i 4 cm. I microsorofìlli maschili sono gialli, piccoli e posizionati alla base dei ramoscelli annuali; i macrosporofìlli femminili sono isolati o in gruppi di 2-3 e di colore rossastro. La fioritura va da aprile a giugno e l'impollinazione è anemofìla. I coni fecondati sono prima verdi, poi grigio-bruni, a volte curvi, lunghi fino a 8 cm, conici, con squame opache, lunghe e strette, scudo convesso e umbone ottuso, maturano nel giro di 2 anni e disperdono i semi tra la fine dell'Inverno e l’inizio della primavera seguenti. I semi piccoli (4-5 mm) e bruni, di forma ovoidale, sono provvisti di una lunga ala lunga 15-20 mm.
Pino mugo: aspetti botanici
Diffusione. E una conifera presente sulle montagne europee (Alpi, Appennini, Carpazi, Balcani, Pirenei) dove vegeta alle quote più elevate. In Italia si trova sulle Alpi dai 1500 ai 2700 m di quota e su alcune cime dell’Appennino ligure, tosco-emiliano, abruzzese e campano.
Predilige suoli calcarei o di medio impasto, leggeri, ben drenati, preferibilmente neutri, in pieno sole. Può vivere su suoli anche molto poveri e aridi, incoerenti e franosi, comprese le pietraie, in località anche molto ventose ed esposte, ma non su suoli con poco drenaggio. E completamente rustico.
Si riconoscono due forme geografiche: pino mugo (Pinus mugo) a portamento prostrato, cespuglioso e il pino uncinato (Pinus mugo var. uncinata) a portamento eretto, che può raggiungere i 20 m di altezza. Il pino mugo, in forma arbustiva, vive fino a oltre il limite della vegetazione forestale arborea, dove svolge un’importante azione protettiva, consolidando ghiaioni e impedendo i movimenti delle valanghe.
I rami sono molto flessibili e si dipartono dalla base.
La chioma può essere densa, strisciante o eretta, a seconda del luogo in cui cresce la pianta, ma di solito è più ampia che alta.
La corteccia è grigio-bruna a placche romboidali.
IL legno tenero, elastico e facilmente lavorabile non è generalmente utilizzabile date le modeste dimensioni raggiunte e quindi non ha grande valore commerciale. Dai rametti si ottiene un olio essenziale: l’olio di mugo. Le foglie del pino mugo, aghiformi, sono riunite a 2, lunghe 3-8 cm, di colore verde scuro. Restano sulla pianta per un massimo di 9 anni.
La fioritura avviene tra maggio e luglio. I coni maschili del pino mugo sono numerosi, gialli, molto più vistosi di quelli femminili che sono più piccoli e di colore rossoviolaceo. I frutti sono pigne di forma ovale-conica, lunghe 3-5 cm, prima verdi e poi rosso violetti, solitari o accoppiati all’apice dei rami; contengono piccoli semi nerastri muniti di ala che si disperdono in ottobre.
Pino cembro: aspetti botanici
Diffusione. Il pino cembro o cirmolo (Pinus cembro) è una specie tipicamente continentale e vive alle quote estreme della vegetazione arborea, formando boschi puri o misti con altre conifere dell’ambiente alpino: larice, abete rosso e pino mugo.
In Italia, il pino cembro è presente solo sulle Alpi, tra i 1400 e i 2200 m nel settore orientale e tra i 1600 e i 2400 m in quello occidentale; i popolamenti migliori si trovano in Valle d’Aosta, Piemonte (Val Maira), Lombardia e Trentino Alto Adige. E un albero prezioso per i rimboschimenti ad alta quota, per il grande effetto paesaggistico e soprattutto per la grande utilità nella difesa dalle valanghe.
Le giovani piantine sono sicuramente sciafite e microterme, quelle più adulte possono adattarsi anche a situazioni aperte con una certa aridità estiva. Non sono esigenti in fatto di terreno, pur prediligendo quelli fertili, freschi e profondi. Il pino cembro è una conifera alta fino a 20 m e larga 1 m, molto longeva e di lenta crescita.
Ha tronco diritto e robusto, molto rastremato, con rami curvati verso l’alto che formano una chioma a profilo piramidale o ovato che si arrotonda con l’età, presenta rametti sottili, con peli color ruggine.
Le giovani piante hanno corteccia liscia e grigiastra che con l’età diventa rugosa e fessurata in placche sottili e strette, di colore rosso-bruno all'Interno.
Ha un apparato radicale molto sviluppato che si spinge nelle fessure delle rocce. Il legno presenta alburno biancastro e duramen giallognolo, ad anelli annuali finissimi. Essendo tenero e di facile lavorazione è adatto ad essere scolpito, intagliato e impiegato per lavori di falegnameria.
Le foglie sono costituite da aghi lineari con sezione triangolare, persistenti sull’albero per 3-5 anni, abbastanza rigidi, di colore verde scuro nella parte superiore, verde glauco in quella inferiore. La caratteristica, unica tra i pini italiani, è che sono riuniti in fascetti di cinque, lunghi 5-9 cm, inseriti sui brachiblasti.
E una specie monoica. In estate, da giugno a luglio, sui rami dell’anno nella parte superiore della chioma, compaiono i coni: i maschili sono cilindrici, riuniti in gruppi di 3-4, sessili, di colore rosso; i femminili sono solitari o in gruppo fino a 6, con breve peduncolo, di forma ovata allungata e colore violaceo.
Gli strobili sono solitari o in gruppo di 2-3, lunghi fino a 8 cm, hanno forma ovata ottusa e maturazione biennale, squame poco lignificate, con scudo piatto dapprima violaceo, poi bruno rossastro, finemente pelose sul lato esterno e lievemente mucronate. Ogni squama porta 2 semi grossi obovati (grandi 1-1,5 cm), non alati, con guscio rosso bruno che vengono liberati solo dopo essere caduti a terra, sono commestibili e ricercati dagli scoiattoli e dalla nocciolaia che provvede alla disseminazione.
Boschi puri di latifoglie
Castagneti: note di ecologia e selvicoltura
I castagneti sono boschi dominati dal castagno, una specie ampiamente diffusa e utilizzata dall’uomo per il legno e i frutti.Diffusione. In Europa occupano una ampia area che va dal Caucaso all’Europa occidentale. In Italia si possono ritrovare castagneti spontanei nei boschi di colline e zone montuose, oltre che in coltivazioni da frutto dalle quali si ottengono pregiati marroni e castagne. I castagneti che un tempo hanno garantito alle popolazioni montane il sostentamento alimentare, sono ormai notevolmente ridotti, anche se negli ultimi anni si sta assistendo ad un tentativo di recupero.
Il castagno è una specie mesofila che tollera bene il freddo e cresce su tutti i terreni sciolti, sabbiosi o sabbioso-limosi che rispondono bene alle notevoli esigenze di respirazione radicale.
Abbisogna di fosforo e potassio in quantità rilevanti perciò predilige suoli tendenzialmente acidi (specie acidofìla) sciolti, di matrice silicea e origine vulcanica, ma sulle alpi Apuane e prealpi Venete si sviluppa su terreni calcarei con elevate precipitazioni.
Durante i mesi caldi dell’anno, la pianta esige buone quantità di acqua per ottenere una produzione di frutti adeguata.
In base al prodotto che si vuole ottenere i castagneti si dividono in palina di castagno e castagneto da frutto.
La palina di castagno è un bosco ceduo, adatto alla produzione di assortimenti molto vari, dai rametti da intreccio ai pali per il sostegno dei cavi telefonici. Ha turno da 20 a 30 anni, ma può arrivare anche a 50 anni se si effettuano diradamenti selettivi precoci allo scopo di selezionare e allevare i fusti migliori.
La maggior parte di questi boschi derivano da vecchi castagneti da frutto convertiti dopo l’abbandono delle zone montane ed è raro trovare cedui di castagno derivanti da impianti appositi. I boschi con maggiore produzione si trovano in zone con terreni di derivazione vulcanica, ad esempio sul Monte Amiata e in Sardegna, che a fine turno possono raggiungere i 13-20 m di altezza e i 300 m3 di massa legnosa.
Il castagneto da frutto (o selva castanile) è un impianto specializzato, diffuso largamente in sostituzione di altre specie a partire dal medioevo fino agli inizi del ‘900, quando è iniziato il suo declino, dovuto principalmente all’abbandono della montagna. La superfìcie occupata questi castagneti è passata da 500 mila ettari a poco più di 80 mila. L’impianto di un castagneto da frutto dovrebbe essere realizzato con circa 200-300 piante/ha, che si ridurranno fino a 100-150 a fine turno.Tale riduzione è dovuta anche all’innesto (a spacco o a corona) che viene effettuato per propagare le cultivar da frutto. La propagazione avviene per semina o per piantagione e gli interventi consistono in concimazioni e potature di formazione o di rimonda
Importanti sono anche i boschi da legno: si allevano cultivar innestate a quelle da frutto, come Politora e Cardaccio, per la produzione di legname adatto alla fabbricazione di mobili e altri manufatti. Il governo è a fustaia coetanea (da conversione) e i turni sono maggiori di 80 anni. Si applicano diradamenti selettivi per raggiungere una densità finale di 400-500 piante/ha.
Castagno: aspetti botanici
Il castagno (Castanea sativa) è un albero in grado di raggiungere un’altezza di 25-30 m. Ha fusto diritto, ramificato nella parte medio-alta e corteccia grigio-nocciola nelle piante giovani, brunastra con sfumature grigiastre in quelle adulte.
La chioma, di forma conico-piramidale nei giovani esemplari, tende a diventare espansa,globosa e irregolare negli adulti. Le foglie sono caduche, con margine seghettato e apice appuntito, di colore verde intenso e lucide, più chiare nella pagina inferiore. Si tratta di una pianta monoica che fiorisce in piena estate. Le infiorescenze maschili sono spighe lunghe 10-20 cm, di colore gialloverdastro.
Quelle femminili sono costituite da fiori singoli o riuniti a gruppi di 2-3, posti alla base delle infiorescenze maschili. L' impollinazione è anemofìla. Il frutto è una noce detta castagna, interamente rivestita dal riccio, una cupola spinosa. 5
Faggete: aspetti ecologici e silvo-colturali
Le faggete sono foreste di faggio (Fagus sylvatica L.), una delle più importanti specie forestali europee, sia per l’estensione del suo areale, che per l’incidenza nelle consociazioni forestali e per la qualità del legname.
Diffusione. E una specie diffusa in gran parte dell’Europa: in Spagna, Francia e nell’Inghilterra meridionale. Nel contesto ambientale italiano, questa specie forestale è presente in tutte le regioni, ad eccezione delle zone montuose della Sardegna, e ha la sua maggior espressione lungo tutto l’orizzonte montano dell’appennino. Il faggio è specie tipica del piano montano (fascia fìtocli-matica del Fagetum di Pavari) e si incontra solo sporadicamente sulle zone collinari. Si tratta di una specie mesofila, amante cioè di climi né troppo caldi e secchi né troppo freddi e umidi; predilige esposizioni luminose purché la luce non sia eccessiva. E quindi un albero legato a condizioni ecologiche molto particolari e può essere considerato un buon indicatore ambientale.
I principali fattori limitanti sono le gelate tardive e le basse temperature invernali. Indifferente al substrato (acido o basico), preferisce suoli freschi, drenati e profondi, ma si adatta anche a terreni meno fertili.
I boschi sono costituiti da uno strato arboreo monospecifico (costituito cioè solamente da faggio) e da uno strato erbaceo rappresentato perlopiù da specie sciafile, adattate alla scarsa luminosità al suolo dovuta alla densa copertura delle chiome.
I boschi di faggio vengono trattati sia a ceduo che a fustaia. Le faggete, soprattutto quelle localizzate a basse quote, sono interessate da tempo dalla forma di governo a ceduo.
Questo tipo di coltura forestale, prende origine dalla capacità pollonifera delle piante che, se tagliate a ceppo, sono in grado di emettere germogli da gemme situate sul colletto.Tuttavia, poiché il bosco ceduo è caratterizzato dal taglio periodico (ogni 10-30 anni) di tutti i polloni presenti sulla ceppaia, questa operazione, detta taglio raso, non solo è molto onerosa, ma è anche controproducente da un punto di vista ecologico perché impoverisce il suolo nelle pendici e ne favorisce l’erosione. Oggi vi è perciò la tendenza a convertire il ceduo a fustaia, facendo crescere gli alberi liberamente, favorendo un bosco costituito da piante nate da seme e ricreando così una condizione originaria e più rigogliosa.
In base alla qualità della fustaia si possono applicare diversi tipi di taglio:
• tagli saltuari, per i popolamenti più scadenti;
• tagli successivi a gruppi, per i popolamenti buoni con struttura disetanea;
• tagli successivi uniformi, con turno di 100-120 anni per popolamenti a struttura coetanea in eccellenti condizioni.
La massa a fine turno di una faggeta può arrivare anche a 700 m3/ha.
Faggio: aspetti botanici Il faggio (Fagus sylvatica L.) è un albero abbastanza longevo (vive più di 300 anni), caducifoglio, alto fino a 40 m e con diametro fino a 1,5 m.
Ha radici fascicolate assai estese, tronco diritto, cilindrico da giovane, largamente scanalato da vecchio; corteccia liscia, sottile e di colore grigio.
Le gemme affusolate sono ben visibili in inverno; il legno rosso-brunastro è un ottimo combustibile.
La chioma è folta e densa, di forma conico-globosa, arrotondata negli esemplari isolati, con tendenza ad espandersi nelle piante adulte.
Le foglie sono semplici, alternate, ovato-ellittiche, lunghe 10-15 cm, con margine leggermente ondulato e cigliato e nervature secondarie diritte e parallele. Possiedono un breve picciolo e si presentano all’inizio arrossate, poi superiormente verde scuro, più chiaro nella pagina inferiore.
Si tratta di una pianta monoica con infiorescenze unisessuali: quelle maschili formate da glomeruli pendenti, dotati ciascuno di un lungo peduncolo; quelle femminili erette, con 1-2 fiori circondati da 4 brattee superiori larghe e da numerose brattee inferiori lineari.
La fioritura e la fogliazione avvengono a maggio. L’impollinazione è anemofila.
I frutti sono piccole cupole legnose dette faggiole.
Leccete: note di ecologia e selvicoltura
La lecceta rappresenta la tipica foresta mediterranea, costituita da querce sempreverdi come Quercus ilex L. con le sottospecie Quercus ilex subsp. ilex, Quercus ilex subsp. rotundifolia, Quercus ilex subsp. ballota e Quercus coccifera.
Diffusione. E presente in tutto il bacino del Mediterraneo, ma nella regione occidentale (Spagna e Portogallo) la sottospecie ilex, è sostituita dalla sottospecie ballota, mentre nella parte orientale, il leccio è sostituito dalla quercia spinosa (Quercus coccifera subsp .coccifera e subsp. calliprinos). Dal punto di vista fìtologico, la consociazione di leccio con altre piante prende il nome di Quercetum ilicis ed è molto diffusa in Italia dove si riconoscono diverse associazioni, tra cui:
1. Orno-Quercetum ilicis, cioè bosco misto di leccio e orniello (e altre specie caducifoglie) di collina e bassa montagna. Essendo costituito da bosco sempreverde e bosco deciduo, assume un carattere di transizione.
2. Viburno-Quercetum ilicis, che rappresenta la fase evolutiva di climax.
3. Teucrio siculi-Quercetum ilicis, è la lecceta di montagna tipica della Sicilia.
Il leccio può essere governato sia a ceduo che a fustaia.
Le fustaie svolgono prevalentemente una funzione protettiva e ricreativa e sono presenti in aree protette o in aree turisticamente pregiate (es. Toscana). La produzione di legname da lavoro, infatti, è priva di prospettive, sia per la forma contorta dei fusti che per le ; caratteristiche meccaniche del legno. La produzione di ; ghianda per il pascolo è diffusa soprattutto in Spagna e ; in Italia (Sardegna). Il governo a ceduo permette invece ; di ottenere legna da ardere di buona qualità, è ricercato anche per il “carbone cannello” che si ottiene dai polloni di piccola pezzatura. Un tempo dalla corteccia si otteneva il tannino, oggi questa pratica è caduta in disuso. La rinnovazione è assicurata attraverso l’emissione dei polloni che nel leccio prosegue fino ad età molto avanzate, ; mentre quella da seme è vanificata dal continuo pascolo.
Leccio: aspetti botanici
Il leccio (Quercus ilex) è una specie xerofila che tende i ad insediarsi nelle fessure delle rocce strapiombanti.
E un albero con tronco poco slanciato, ricoperto da : corteccia grigia, dapprima liscia e poi leggermente screpolata. Ha legno molto duro e compatto, ricco di tannino. La chioma, densa e tondeggiante, presenta per 3-4 ; anni foglie persistenti sui rami. Le foglie sono lunghe 3-7 ; cm, differenti tra loro anche sulla stessa pianta: a forma allungata oppure ovale, con margini interi e lisci oppure ondulati o, a volte, dentati e spinosi. La pagina superiore è coriacea e lucida, mentre quella inferiore è abbondantemente pelosa.
I fiori compaiono in aprile-maggio: quelli maschili sono riuniti in amenti penduli,quelli femminili sono isolati o raggruppati a due a due aN’interno di un rudimentale calice.
Il frutto del leccio è una ghianda con endocarpo tomentoso, protetta per un terzo o metà della lunghezza da una “cupola”, formata da piccole squame grigio chiare, pelose, pressate le une alle altre e talvolta terminante in un prolungamento appuntito, chiamato mucrone. Le ghiande sono lunghe 1,5-2 cm, di colore verde chiaro prima e poi brune in autunno, quando giunge a maturità.
Sugherete: note di ecologia e selvicoltura
La sughereta è una formazione del Mediterraneo occidentale dominata dalla sughera (Quercus suber L.), una quercia sempreverde che viene largamente coltivata soprattutto per la produzione del sughero. Per questo motivo si trova spesso in formazioni pure, ma anche in associazione con la vegetazione mediterranea e assume l’aspetto di bosco rado o di pascolo, favorito anche dalla produzione di ghianda.
Diffusione. In Italia le sugherete si sviluppano sui suoli acidi del litorale tirrenico, in Sicilia e soprattutto in Sardegna, dove sono presenti in tutta l’Isola e, in particolare nella Gallura e nelle regioni circostanti, nel Sulcis-lgle-siente, nell’Arburese e nell’altopiano della Giara.
Questa quercia vive nel piano basale o, nel piano submontano e in taluni casi può spingersi fino al piano montano. La sughera è una specie eliofila che tollera un lieve ombreggiamento solo in giovane età, e termofila, non tollera basse temperature e preferisce inverni miti ed estati caratterizzate da umidità atmosferica, con una piovosità media annua di 600-700 mm. Cresce su suoli derivati da rocce silicee decalcifìcate, con pH acido o sub-acido e non ama i terreni calcarei. Resiste molto bene agli incendi e tollera la siccità, ma ha bisogno di un certo grado di umidità atmosferica.
Gli agenti di danno a cui sono soggette le sugherete oltre al sovrapascolo, agli incendi e alle eccessive utilizzazioni, sono rappresentati dagli insetti defogliatori (soprattutto Lymantria dispar L.), attivi soprattutto in primavera.
La propagazione avviene per seme, subito dopo la raccolta, oppure stratificando i semi in cassette areate con torba o sabbia umida a 2-3 °C e mettendoli nel terreno la primavera successiva. In teoria è possibile ottenere
piante anche per propagazione vegetativa, anche se la percentuale di germinazione non è elevata e le plantule hanno dimensioni molto ridotte (tentativi in questo senso sono stati tentati per cercare di migliorare il patrimonio genetico della specie neN’ambito del vivaismo forestale). In un contesto ornamentale la sughera è una pianta dal valore elevato: non è imponente, quindi è di facile collocazione, è un sempreverde con bellissimi rami contorti e corteccia biancastra esteticamente molto decorativa. Adatta come esemplare isolato in giardini di medie dimensioni, può svilupparsi senza interventi di potatura o decorticazione. In alternativa si può mantenere a ceppaia.
Sughera: aspetti botanici
La sughera (Quercus suber) è un albero sempre verde di taglia medio-piccola: alto 10-15 m (solo raramente supera i 25 m), con apparato radicale a fìttone e massicce radici laterali.
Ha fusto robusto che raggiunge, sopra corteccia, i 4-5 m di circonferenza. La corteccia inizialmente è liscia e grigia, poi si ispessisce formando il sughero chiaro all’esterno, spugnoso e rosato all’interno, che in pochi anni può raggiungere anche i 5-7 cm di spessore.
Il tronco si divide in ramificazioni irregolari che danno origine a una chioma asimmetrica e larga che quando non è compressa da piante vicine, tende ad espandersi molto in larghezza.
I rametti dell’anno sono gracili e tormentosi, tanto da apparire grigi, la peluria scompare circa 2 anni dopo e nel giro di 5-6 anni comincia a comparire il sughero.
La longevità dipende in gran parte dalla frequenza e dall’intensità dell’utilizzazione del sughero: piante abitualmente decorticate non superano di norma i 150-200 anni di età; quelle non sfruttate possono superare i 400 anni di età.
Le foglie sono lunghe 3-5 cm e larghe 1,5-4 cm, di consistenza coriacea, persistono sulla pianta per 2-3 anni, anche se in climi freddi o molto secchi può avvenire la filloptosi, cioè la perdita prematura delle foglie. Hanno forma molto variabile: da ovali a ovali-lanceolate, più o meno tondeggianti, con apice acuto e margini interi oppure, specialmente in alberi giovani, denticolati con 4-7 denti. La nervatura principale è ben rilevata sulla pagina inferiore e tende ad essere sinuosa verso l’apice; le nervature secondarie sono 5-7 paia e sottendono i denti della lamina. Questa può essere appiattita, ma più spesso è bollosa e convessa superiormente.
La fioritura avviene tra aprile e maggio oppure in autunno, dopo la fine dell’aridità estiva. I fiori maschili sono portati all’apice dei rami dell’anno precedente, riuniti in amenti peduncolati lunghi 4-7 cm, e hanno un perianzio diviso in 5-8 lobi e 5-6 stami. I fiori femminili portati dai rami dell’anno sono raccolti a gruppi di 2-5, in spighe erette lunghe 0,5-3 cm e presentano 3 stili.
I frutti maturano a seconda della fioritura: o nell’autunno dello stesso anno (se si è avuta fioritura primaverile) o alla fine dell’estate dell’anno seguente (se la fioritura è stata autunnale). Il frutto è una ghianda lunga 2-3,5 cm con un diametro variabile da 1,2 a 1,8 cm, coperto per circa la metà, da una cupola sub-sferica.
Querceti caducifogli: note di ecologia e selvicoltura
Diffusione. Il querceto è un bosco di querce caducifoglie, caratteristico della pianura e della parte bassa e mediana delle pendici montuose, soprattutto appenniniche, estendendosi dalla pianura fino agli 800-900 m e arrivando anche ai 1000 m nelle zone più calde. Le querce presenti sul territorio italiano sono: la farnia (Quercus robur), la roverella (Quercus pubescens), la rovere (Quercus petraea) e il cerro (Quercus cerris).
La tipica quercia degli ambienti di pianura è la farnia che in passato era considerata la specie guida delle foreste che storicamente ricoprivano la Pianura Padana e di cui oggi rimangono solo pochi lembi. In Italia non è presente sulle Isole e può spingersi al massimo fino ai 900 m di quota nel piano montano associandosi alla rovere.
La farnia è una specie eliofila, mesofila (non teme le gelate), adatta a terreni ricchi, freschi e tollera anche periodici ristagni idrici. In relazione alla disponibilità idrica costituisce boschi misti con altre specie: dove il livello della falda è superficiale è accompagnata da olmo campestre e frassino ossifìllo; dove il livello della falda è basso, vi è il carpino bianco (quercocarpineto).
I querceti submontano-collinari si differenziano in base alle esposizioni, alle quote e al tipo di suolo in:
• Querceto mesofilo. Caratterizzato dalla prevalente presenza del cerro che nei boschi misti è accompagnato da altre specie caducifoglie. Nelle esposizioni più calde il cerro si mescola prevalentemente con roverella, rovere, orniello, carpino nero e acero campestre, mentre nelle zone più fresche si associa a ciliegio, carpino bianco, frassino maggiore, sorbo. In alcune zone dell’Appennino si può trovare la consociazione del cerro col castagno, probabilmente dovuta all’invasione della quercia in castagneti abbandonati o in boschi appena ceduati.
• Querceto xerofilo. Dominato dalla roverella, una specie adattata ad ambienti asciutti e caldi che occupa i versanti caldi e aridi esposti a Sud e su suoli neutro-basici. La roverella resiste a temperature elevate e sopporta bene anche inverni piuttosto freddi. Nei boschi misti questa quercia è generalmente accompagnata daN’orniello e dal carpino nero e forma dei popolamenti che permettono l'addensarsi di arbusti amanti della luce, tra cui il ginepro, il biancospino e la rosa canina.
• Querco-ostrieto. La vegetazione boschiva dei versanti collinari freschi è rappresentata da boschi misti in cui, a seconda delle caratteristiche del suolo, prevale ora il carpino nero ora il cerro o la roverella oppure l'orniello. In particolare, questa specie nei suoli profondi, ben drenati e ricchi di carbonati è favorita dalle intense ceduazioni dei querceti e si sviluppa anche lungo i pendìi con suolo sottile e roccioso, dove i querceti trovano difficoltà ad affermarsi.
Dal punto di vista selvicolturale i querceti hanno forme di governo sia a ceduo che a fustaia. Per la farnia e il rovere si applica la tecnica del ceduo matricinato che si pratica con tagli su superfìci fino a 1O ettari in boschi di 20-30 anni di età. Il numero delle matricine da rilasciare varia da 70-80/ha fino a 150-200/ha. Esso influenza, a sua volta, il turno che risulta più lungo se il numero è più basso. Nei querceti di roverella e di cerro e nei boschi misti a roverella-carpino nero-orniello o a roverella-leccio, si applica il ceduo composto. I turni sono di 20-30 anni.
A queste forme di governo se ne aggiungono altre come il ceduo con matricinatura a gruppi che è una ceduazione di circa il 25% della superfìcie del popolamento, mentre nella parte restante vengono allevati gruppetti coetanei di raggio pari all’altezza dominante, scalati per 5-6 classi di età e diradati in occasione del taglio del ceduo, con taglio a raso dei gruppi più vecchi e il rinfoltimento e arricchimento dei cedui con conifere o latifoglie di pregio. Questa tecnica è indicata per i cedui di buona fertilità, invasi da specie di minor valore e può essere un metodo per la successiva conversione dei cedui in alto fusto.
La conversione da ceduo a fustaia può essere basata sulla rinnovazione artificiale con l’introduzione di altre specie o sulla rinnovazione naturale da seme delle specie presenti nel ceduo. Le fustaie di querce caducifoglie sono prevalentemente costituite da cerro, farnia e rovere. Questi ultimi due querceti si trovano spesso in aree protette per cui i trattamenti sono volti alla conservazione dei popolamenti con tagli fìtosanitari e tagli successivi a strisce o uniformi. Il turno deve essere lungo (120-200 anni), perché le querce fruttificano tardi. Anche le fustaie di cerro necessitano degli stessi trattamenti però con turni più brevi e minori cure colturali.
Farnia: aspetti botanici
La farnia (Quercus robur) è la più continentale tra le querce caducifoglie italiane. Originaria del Caucaso, è un albero molto longevo e raggiunge, in media, i 400-500 anni di età. Ha un portamento maestoso, il fusto è diritto e robusto e si allarga alla base dei rami, che con il passare del tempo divengono sempre più massicci, nodosi e contorti.
È alta dai 25 ai 40 m ed eccezionalmente può arrivare ai 50 m.
L’apparato radicale è piuttosto superficiale e adatto a condizioni di asfissia del suolo, ma non a condizioni di aridità.
La corteccia negli esemplari giovani è liscia e opaca, in quelli adulti è rugosa, brunastra e fessurata.
La chioma è espansa, molto ampia e di forma globosa e irregolare.
Le foglie decidue, glabre e un po’ glauche sono lunghe fino a 12 cm. Sono dotate di un piccolissimo picciolo nascosto dalla lamina che si prolunga in due orecchiette.
La fioritura avviene in aprile-maggio contemporaneamente alla fogliazione.
I fiori di entrambi i sessi si trovano sulla stessa pianta riuniti in infiorescenze. Quelle maschili sono amenti filiformi di colore giallognolo, penduli alla base del ramo dell’anno; quelli femminili sono localizzati nella parte apicale del rametto all’ascella delle foglie, formati da brevi spighe di 2-5 elementi, portati da un peduncolo glabro di 3-5 cm.
I frutti, detti ghiande, maturano nell’anno in settembre-ottobre, sono acheni lunghi fino a 4 cm, di forma ovale-allungata, con cupola che li ricopre per circa un quarto, ricoperta di squame romboidali. Il colore va dal verde chiaro al marrone con il procedere della maturazione. Crescono singolarmente o a gruppi di 4 ghiande su lunghi peduncoli (da 3 a 7 cm). Maturano l’autunno seguente alla fioritura.
Rovere: aspetti botanici
II rovere (Quercus petraea) è originario dell’Europa occidentale e centromeridionale. E un albero longevo e a lento accrescimento che a maturità può raggiungere i 30-40 m di altezza.
Il tronco è robusto, diritto, cilindrico e i rami molto nodosi, ascendenti, formanti un’ampia chioma densa e regolare.
La corteccia nelle piante giovani è liscia e bruno rossastra, nelle adulte diviene grigio-bruna e screpolata.
Le foglie sono caduche, alterne, semplici, con picciolo evidente glabro o ornato da stipole caduche, di colore verde lucido sopra, più pallido nella pagina inferiore. Hanno consistenza coriacea e lamina obovata e cuneata alla base, con lobi poco profondi e arrotondati.
La pianta è monoica e la fioritura avviene in aprile-maggio.
I fiori maschili sono riuniti in amenti penduli, lunghi fino a 6 cm; i fiori femminili sono piccoli, solitari o riuniti a gruppi di 2-5 in capolini sessili disposti nella parte api-cale dei giovani rami.
Il frutto è una ghianda ovale o sub-sferica dall’estremità acuminata, ricoperta nel solo terzo inferiore da una cupola composta da squame piccole, lanceolate e molto appressate. Le ghiande sono sessili e riunite in gruppi di 1-3 all’ascella delle foglie.
Roverella: aspetti botanici
La roverella (Quercus pubescens) è una quercia caducifoglia molto longeva, generalmente a portamento arboreo, può raggiungere i 10-20 m di altezza, raramente i 25 m; talvolta il portamento è arbustivo con dimensioni decisamente inferiori.
Il diametro del fusto può avere grandi dimensioni, fino a 2-2,5 m; il fusto tuttavia è contorto e si ramifica a breve distanza dal suolo.
I rami pelosi danno origine a una chioma ampia, arrotondata o irregolare, non molto densa.
Le gemme sono di colore grigio tomentoso, la corteccia bruna e fessurata.
Le foglie alterne sono semplici, ovato-allungate, con picciolo breve di colore verde glabro nella pagina superiore, più pallido in quella inferiore, hanno caduta fino a primavera.
Le piante monoiche hanno fiori maschili riuniti in amenti cilindrici (4-6 cm), lassi e penduli e fiori femminili singoli o a gruppi di 2-4, sessili o brevemente peduncolati.
Le ghiande sono ovato-allungate, acute, protette sino a metà da una cupola a squame appressate, lanceolate e tomentose.
Queste sono numerose, appressate fra loro, di forma triangolare e di colore grigio chiaro, di dimensioni decrescenti in modo regolare verso l’alto e oltrepassanti il bordo della cupola.
Cerro: aspetti botanici
Il cerro (Quercus cerris) è una quercia caducifoglia che può vivere anche alcuni secoli. È un albero di grandi dimensioni e può raggiungere i 30-35 m di altezza e 3-4 m di circonferenza del fusto che è dritto e slanciato,
I rami, che possono partire da una notevole distanza dal suolo, sono ascendenti, portando verso I’ alto la chioma che assume una forma ovale e allungata, poco compatta.
Le foglie caduche, alterne e semplici, sono lunghe 5-10 cm e larghe 3-5 cm, hanno consistenza quasi coriacea e forma e dimensioni estremamente variabili (oblunghe o ellittiche, ovali o obovali con apice attenuato e base attenuata o asimmetricamente arrotondata o cordata). Il margine lobato si presenta con 7-8 paia di lobi disuguali, spesso molto profondi, che possono arrivare a sfiorare la nervatura centrale.
La pagina superiore grigiastra è scabra al tatto, mentre la pagina inferiore più chiara è fittamente pubescente. La pianta è monoica e la fioritura avviene fra maggio e giugno.
Le infiorescenze maschili sono amenti cilindrici, penduli; i fiori femminili possono essere singoli o in gruppi da 2 a 5 brevemente peduncolati.
I frutti sono ghiande ovato-allungate, grosse, lunghe fino a 2,5 cm, di color bruno rossastro e finemente striate longitudinalmente, glabre alla base e setolose alla sommità. Presentano cupole lanuginose e cadono in ottobre.
Pioppeti: note di ecologia e selvicoltura
Diffusione. I pioppeti sono boschi a prevalenza di pioppo (Populus sp.), una pianta presente in Italia con alcune specie spontanee che vivono principalmente lungo i fiumi e nelle zone umide e fresche, ma soprattutto con piante coltivate. Si tratta di alberi che si prestano perfettamente all'arboricoltura da legno perché raggiungono, in un brevissimo numero di anni (1O-12),grandi dimensioni che permettono di utilizzare in vari modi la pianta (compensato, pannelli di particelle, pasta di cellulosa, stuzzicadenti, fiammiferi, ecc.). Dall’utilizzo iniziale di specie spontanee, si è gradualmente preferito utilizzare ibridi selezionati con caratteristiche di accrescimento, qualità del legno, resistenza a parassiti e malattie.
I pioppeti disposti in ordinati filari che rendono regolare e monotono il panorama, trovano collocazione ideale lungo le rive del Po perché necessitano di ambienti luminosi e di terreni non troppo compatti, ben areati e con la possibilità di essere irrigati. L’intervento dell'uomo è continuo e costante, con lavorazioni del terreno, irrorazione di antiparassitari e potature, per questo motivo sono considerati colture agrarie, come il mais.
Pioppo: aspetti botanici
Il pioppo (Populus sp.) appartiene alla famiglia delle Sa-licacee e comprende una trentina di specie fra le quali pioppo bianco (Populus alba), pioppo nero (Populus nigra), pioppo tremolo (Populus tremulo).
Questi alberi hanno un’altezza che i va dai 15 ai 20 m e un diametro che può superare i 2,5 m.
Il fusto è robusto ricoperto da corteccia, liscia, biancoverdastra che successivamente si fessura e diventa rugosa nella parte basale, dove assume un colore nerastro.
La chioma è arrotondata e le foglie decidue e alterne, presentano lamina rotondo-ovata o palmata a 5 lobi, con pagina inferiore biancastra. Sono munite di picciolo che è molto lungo (6-7 cm) e appiattito nel pioppo tremulo. Si tratta di una pianta dioica con infiorescenze maschili costituite da amenti cilindrici e infiorescenze femminili formate da amenti più lunghi e più pendenti.
La fioritura avviene all’inizio della primavera, prima delle foglie; l'impollinazione è anemofila.
I frutti sono capsule glabre, riunite in amenti pendenti dai rami che all’inizio dell'estate liberano semi piumosi trasportati dal vento.
Saliceti: note di ecologia e selvicoltura
I saliceti sono boschi igrofìli ripariali che rivestono un’importanza rilevante a livello paesaggistico e rappresentano delle formazioni vegetali di salice che si distribuiscono parallelamente alle sponde dei corsi d'acqua e degli specchi lacustri.
La loro presenza in un determinato ambiente risulta essere motivata da particolari condizioni idriche dovute alla falda freatica e/o al ristagno idrico.
Salice: aspetti botanici
Il salice (Solix sp.) è un genere appartenente alla famiglia delle Salicacee, originario di Europa, Asia e Nord America. Comprende numerose specie di alberi, arbusti e piante perenni, legnose o fruticose,generalmente a foglia caduca. Le specie arboree più diffuse in Italia sono il salice bianco (Salix alba),il salice piangente (Salix babylonica), il salice rosso (So/ix purpurea), il salice cenerino (Salix cinerea) e il salice azzurro (Salix daphonoìdes).
Gli alberi arrivano ai 20-25 m di altezza, con fusto che può raggiungere diametri di 50-60cm. Spesso la ramificazione avviene fin dalla base del tronco che è ricoperto da corteccia da verde-rossastra a bruno-rossastra.
La chioma solitamente è ampia, rada, leggera e irregolare.
Le foglie decidue sono strette, lanceolato-acuminate, dotate di picciolo e stipole di colore argenteo, con bordo finemente dentato, base cuneata e apice leggermente asimmetrico. È una specie dioica e i fiori sono riuniti in amenti contemporanei alle foglie, i maschili lunghi, i femminili leggermente più corti. Il frutto è una capsula glabra.
Robiniethnote di ecologia e selvicoltura
Il robinieto è un bosco planiziale che spesso si instaura in concomitanza all’abbandono dei coltivi e dei prati falciati. Di solito è governato a ceduo, con frequenti tagli che favoriscono la rinnovazione agamica della robinia, a discapito delle specie autoctone.
La robinia, infatti è una pianta proveniente dall’America settentrionale, da dove è stata importata nel Seicento come pianta ornamentale ed essendo frugale e resistente, si è diffusa, adattandosi anche a condizioni diffìcili e sostituendo in alcuni casi quasi totalmente i boschi originari.
È auspicabile una riconversione dei robinieti verso boschi fitogeograficamente ed ecologicamente più in equilibrio con il contesto territoriale, ad esempio mediante l’invecchiamento di questi alberi e l’agevolazione dell’immissione di specie autoctone per rinnovazione.
La robinia è una pianta spiccatamente eliofila, considerata una “specie pioniera intollerante", cioè non in grado di costituire popolamenti puri e stabili nel tempo. La sua rinnovazione gamica in natura è piuttosto diffìcile e rara a causa della durezza e della consistenza del tegumento del seme, nonostante una sua abbondante produzione e con annate di pasciona frequenti.
Più frequente è la rinnovazione agamica, favorita da una spiccata facoltà pollonifera. I polloni si sviluppano da rudimentali gemme dormienti, presenti nelle ramificazioni delle radici più vecchie, oppure da gemme avventizie che si formano lungo le radici sottili e orizzontali di 1-2 anni. La copertura, spesso regolare e colma nei giovani robinieti, permette l’ingresso solo di altre specie che tollerano le carenze di luce, quali il carpino bianco, gli aceri, gli olmi, il frassino maggiore e il ciliegio, nonché le querce.
Robinia: aspetti botanici
La robinia (Robinia pseudoacocio) appartiene alla famiglia delle Leguminose ed è un albero che può raggiungere un’altezza di circa 25 m, dotato di un robusto e profondo apparato radicale, utile per fissare i versanti.
Ha tronco cilindrico, dritto eretto, diviso a volte in grossi rami che nella parte alta sono provvisti dì robuste spine. La corteccia è bruna, molto fessurata con solchi incrociati. La chioma è rotondeggiante e leggera, spesso irregolare, di colore verde opaco.
Le foglie sono composte, imparipennate, con 9-15 foglioline ovali con margine intero e apice tondo. La fogliazione, rispetto alle altre specie, è tardiva.
I fiori ermafroditi, molto profumati, sono riuniti in infiorescenze a grappolo, con corolla papilionacea di colore bianco.
La fioritura avviene nei mesi di maggio e giugno.
I frutti sono legumi piatti e pendenti, di aspetto legnoso e scuro e i semi sono piccoli, di colore bruno scuro e permangono sulla pianta anche in inverno.
Boschi misti di latifoglie
Questi boschi, diffusi in tutta Europa a varie latitudini sono costituiti da popolamenti forestali a prevalenza di specie co-dominanti, come acero di monte, acero riccio, acero campestre,frassino maggiore, olmo montano, tiglio cordato e carpino bianco, che solo localmente prevalgono sulle più diffuse come faggio, castagno, querce, ecc.Querco-carpineti: note di ecologia e selvicoltura
Diffusione. Il querco-carpineto è una associazione forestale, tipica della Pianura Padana, che si insedia in ambienti ricchi di acqua, ma su suoli ben drenati.Le specie autoctone, distribuite secondo un disegno na- | turalistico,formano lo strato alto arboreo, dominato dalla farnia e dal carpino bianco, associate ad altre specie arboree, quali il ciliegio selvatico, il frassino maggiore, il tiglio selvatico, ecc.
Carpino bianco: aspetti botanici
Il carpino bianco (Corp/nus betu/us) è una specie caratteristica del bosco misto di latifoglie, relitto degli antichi boschi della Pianura Padana (querco-carpineto), oggi ridotti a causa dell’estensione delle colture agricole. L'albero può raggiungere un’altezza di circa 20 m.
Ha tronco eretto, scanalato, con corteccia di colore grigio cenere, liscia.
La chioma ovale ed espansa, a palchi orizzontali, è di colore verde scuro.
Le foglie decidue, lunghe fino a 10 cm, sono semplici,di forma ovale allungata, con apice acuminato e margine a doppia dentatura; la pagina inferiore è più chiara di quella superiore.
Ifiori unisessuali si trovano sullo stesso individuo; i fiori maschili sono riuniti in lunghe infiorescenze cilindriche, dette amenti; quelli femminili sono riuniti in spighe.
La fioritura avviene da febbraio ad aprile.
I frutti sono pendenti, peduncolati, brunastri, costituiti da acheni caratterizzati da una lunga brattea trilobata di consistenza papiracea
Querco-ulmeti: note di ecologia e selvicoltura
Diffusione. Il querco-ulmeto è un bosco misto di farnia e olmo che si sviluppa nella Pianura Padana su suoli alluvionali nell’alveo dei fiumi oppure sulle sponde di laghi e paludi, in ambienti che sono periodicamente sommersi dalle piene autunnali e primaverili. Codominante, assieme all’olmo e l’acero campestre.
Olmo campestre: aspetti botanici
L’olmo campestre (Ulmus minor) è una pianta autoctona, originaria dell’Europa centro-meridionale e della regione caucasica. In Italia è diffusa ovunque fino ai 1000 m.
La diffusione della grafìosi, una malattia fungina, ne ha ridotto notevolmente la presenza.
L’albero può raggiungere i 30 m di altezza.
Ha un tronco diritto, molto ramoso e corteccia opaca, rugosa di un colore che varia dal grigio al bruno, fessurata in piccole placche e solcata longitudinalmente.
La chioma è leggera ed elegante e le foglie sono decidue, semplici, con inserzione alterna, lamina ovale, base asimmetrica e apice appuntito.
I fiori sono ermafroditi, con antere di colore rosso, ses-sili, riuniti a gruppi.
I frutti sono samare riunite in gruppi che maturano in estate.
Acero campestre: aspetti botanici
L’acero campestre (Acer campestre) è una pianta spontanea diffusa in tutta Europa in pianura e nei boschi sino a 1000 m, presente anche in tutte le regioni italiane. Si trova al sole o a mezz’ombra, in terreni alcalini, o leggermente acidi.
L’albero non supera i 20 m di altezza.
Presenta fusto corto, tozzo, con corteccia grigia o bruna, profondamente fessurata negli esemplari anziani.
Ha chioma densa e regolarmente espansa e foglie decidue palmate, a 5 lobi arrotondati, di colore verde scuro che in autunno divengono gialle.
I fiori ermafroditi e giallognoli sono riuniti in corimbi eretti che si sviluppano durante la fogliazione.
Il frutto è una samara con ali a 180°.
Acero-frassineti: note di ecologia e selvicoltura
Diffusione. Gli acero-frassineti costituiscono un tipo forestale presente nell’arco alpino e sono prevalentemente concentrati nelle regioni settentrionali.
Costituiti da acero montano e/o frassino maggiore, con presenza sporadica di altre latifoglie come tiglio, olmo montano, ciliegio, ecc. In generale, la dominanza di una o dell’altra specie dipende dalla presenza di piante madri nelle vicinanze e dall’uso precedente del suolo, in genere l’acero tende ad invadere ex coltivi e il frassino prati e pascoli.
Questi boschi possono formare popolamenti puri monoplani o a dominanza di una delle due specie, caratterizzati da un’elevata densità e da un modesto strato arbustivo o popolamenti più radi biplani, dove la componente arborea sovrasta un denso piano arbustivo spesso caratterizzato dal nocciolo. In entrambi i casi il governo i è prevalentemente a fustaia.
Nei popolamenti monoplani la forte densità delle piante determina,già verso 10-15 anni, una precoce differenziazione tra gli individui per cui, una volta raggiunta un’altezza del fusto di circa 4-6 m, si iniziano i primi diradamenti con lo scopo di eliminare le più immediate concorrenti e garantire, anche attraverso successivi interventi, uno spazio di circa 100-120 m2 di superfìcie sufficiente per poter sviluppare una chioma in grado di sostenere un accrescimento diametrico costante nel tempo. La densità finale è di 80-100 piante/ha. Nelle fustaie a struttura biplana, le piante ben conformate con chioma ampia e regolare sono meno frequenti e le operazioni colturali si concentrano attorno alle piante migliori allo scopo di ! creare condizioni ottimali per una loro crescita rapida e costante nel tempo.
Acero di monte: aspetti botanici
L’acero di monte (Acer pseudoplatanus) è una specie che predilige i settori più freschi del bosco misto a latifoglie ; dove si accompagna al frassino. E un grande albero che può raggiungere l’altezza di circa 30-35 m.
Ha tronco diritto ed eretto, rivestito da corteccia grigio-rossastra, con placche che si distaccano a maturità.
La chioma è ampia, regolare, allungata.
Le foglie sono caduche, semplici, con lamina palmatolobata con 5 lobi e margine seghettato; di color verde scuro sulla pagina superiore, verde grigiastro in quella inferiore, con picciolo piuttosto lungo.
È una pianta monoica.
I fiori, ciascuno con 5 petali di colore giallo-verde, sono riuniti in infiorescenze pendenti a grappolo. La fioritura avviene nel periodo di aprile-giugno.
I frutti sono formati da 2 samare, saldate tra loro, con ali membranacee divaricate a“V”.
Frassino: aspetti botanici
II frassino (Fraxinus excelsior), presente nel bosco misto a latifoglie e nei tratti collinari più umidi, appartiene alla famiglia delle Oleacee. E un albero molto alto che può raggiungere un’altezza di circa 35 m.
Il tronco è eretto e i rami rivolti verso l’alto.
La corteccia, di colore grigiastro, è liscia e con caratteristici solchi orizzontali. La chioma è globosa; le foglie sono composte e imparipennate, con 7-15 foglioline di forma lanceolata con margine dentato.
I fiori unisessuali, sono riuniti in infiorescenze a pannocchia, simili tra loro e di colore verde-porpora. La fioritura avviene prima della fogliazione nel mese di aprile.
I frutti sono delle samare, riunite in pannocchie, ciascuna con una lunga ala membranacea e solo seme.
Acero-tiglieti: note di ecologia e selvicoltura
Questo bosco, assieme all’acero frassineto, è raggruppato fra i boschi delle latifoglie nobili, cioè di quelle latifoglie, di dimensioni medio-grandi, appartenenti a più specie botaniche, accomunate dal pregio tecnologico del legno.
Diffusione. Queste formazioni sono presenti in tutta l’Europa centrale dove occupano ambienti fra i 500 e i 1200 m di altitudine, caratterizzati da abbondanti precipitazioni (sopra i 1500 mm medi annui) e da una buona e continua disponibilità idrica al suolo. Si tratta, di formazioni che si stanno diffondendo nei terreni agricoli abbandonati, grazie alla loro elevata capacità colonizzatrice e alla presenza negli ex coltivi, di condizioni favorevoli alla loro vita. Nelle zone calcaree con forte irraggiamento laterale prevale la specie Tilia platiphyllos, mentre nelle zone rocciose e silicatiche prevale la specie Tilia cordata.
Tiglio: aspetti botanici
II tiglio (Tilia sp.) è un bellissimo albero che cresce spontaneo in quasi tutta l’Europa, fino a 1500 m di altitudine. Si tratta di una pianta molto longeva che può vivere anche 1000 anni e raggiungere un’altezza dai 15 ai 30 m.
Le radici profonde ed espanse, garantiscono alla pianta una certa resistenza anche nei periodi particolarmente siccitosi.
Il tronco è diritto e ricoperto da una corteccia liscia che diventa screpolata, grigiastra e con venature longitudinali quando la pianta supera i 20 anni di età.
Presenta chioma arrotondata e foglie lunghe 3-9 cm, con base asimmetricamente cuoriforme, margine finemente seghettato e apice acuminato. La pagina superiore è verde scura e un po’ lucida, la pagina inferiore è glau-cescente e glabra, a parte piccoli ciuffi di peli cotonosi bruno-rossastri alle ascelle delle nervature.
I fiori sono ermafroditi, molto profumati, giallognoli, riuniti in piccoli mazzetti di 4-15 fiorellini portati da un peduncolo e dotati di brattea aliforme.
I frutti sono piccoli acheni a forma di capsula ovale che quando si staccano utilizzano la brattea alata per essere trasportati dal vento.
La specie Tilia cordata è il tiglio selvatico, diffusa nelle zone collinari ma non in montagna. Ha tronco robusto, breve, con una ramificazione densa e compatta e allo stato naturale non supera i 25 m di altezza. Le foglie di colore verde scuro e lucide, terminano con una breve punta e sono più piccole rispetto al Tilia platyphyllos.
La specie Tilia platyphyllos è il tiglio nostrano, diffuso anche in zone montuose di tutta l’Europa centrale e meridionale. Le foglie sono più grandi rispetto alle altre specie e lievemente vellutate nel picciolo e nella pagina inferiore, con ciuffi di peli all’ascella delle nervature di colore bianco. I fiori sono più profumati rispetto a quelli di Tilia cordata.
Orno-ostrieti: note di ecologia e selvicoltura
Sono formazioni con carpino nero e orniello in cui la roverella è minoritaria.
Diffusione. Questi boschi si insediano in ambienti di notevole piovosità e di elevata umidità atmosferica. In particolare, mentre nelle zone più secche predomina l'orniello, nelle zone con condizioni di pioggia frequente, il carpino nero riesce a predominare sulle altre due specie che sono più resistenti allo stress idrico.
Le tecniche selvicolturali per l’orniello non sono particolari e, poiché i suoi semi sono duri e germinano solo dopo un anno, si ricorre alla stratificazione del seme per un anno in sabbia mantenuta umida. Le pianticelle ottenute si trapiantano in vivaio a 2 anni e solo nel terzo o nel quarto anno si pongono a dimora. Sottoposto a taglio, il bosco di orniello dimostra una forte capacità di ripresa, formando ricche ceppaie.
Anche il carpino nero ha notevole tendenza a formare ceppaie ed essendo una pianta pioniera e capace di crescere anche su terreni poco profondi e sassosi è indicata per un primo rimboschimento di aree brulle e declivi da rinsaldare.
Orniello: aspetti botanici
L’orniello (Fraxinus ornus) è un albero che può raggiungere un’altezza di 10 m, ma spesso si presenta come alberello dalle forme slanciate e leggere.
La pianta si utilizza con successo come specie consolida-trice nei terreni franosi.
L’apparato radicale è robusto, idoneo anche per scarpate e terreni di riporto solo parzialmente siccitosi perché non raggiunge grandi profondità.
Ha fusto diritto con rami, dal portamento ascendente, opposti che danno alla pianta spoglia un aspetto di candelabro.
La corteccia che nei soggetti giovani è liscia e di colore fra il grigio e il verde, negli adulti è nera e nei vecchi o senescenti è screpolata.
Ha una chioma ovata e arrotondata, con un diametro di 4-6 m.
Le foglie, tipiche del genere Fraxinus, sono lunghe fino a 30 cm, opposte, composte, imparipennate, formate da un numero variabile di foglioline da 5 a 9 che hanno forma più o meno ovata o ellittica, margine dentato in modo irregolare, corti piccioli e terminano sempre con un apice acuminato.
I fiori di colore bianco-crema, compaiono dopo le foglie a primavera avanzata e sono riuniti in pannocchie dense e odorose.
II frutto è una samara lineare e compressa, di forma lanceolata, che racchiude solo seme. Di colore verde, lunga 2-3 cm, diventa bruna a maturazione fra settembre e ottobre quando, essendo dotata di una grande espansione membranacea che la rende adatta al volo, avviene la disseminazione ad opera del vento.
Carpino nero: aspetti botanici
Il carpino nero (Ostrya carpinifolia) è una pianta con elevata adattabilità ecologica, appartenente alla famiglia delle Corilacee, che occupa le zone collinari e montane fino a 1300 m di altitudine.
Alto fino a 15m, questo albero ha tronco diritto con corteccia bruna, rugosa e screpolata in piccole placche rettangolari.
La chioma piramidale è leggera di un colore verde chiaro, con palchi orizzontali.
Le foglie sono decidue, alterne, picciolate, con lamina ovata, apice acuminato e parte basale arrotondata.
Presentano nervature secondarie parallele. La fioritura avviene in aprile-maggio prima della emissione delle foglie. Le infiorescenze maschili sono amenti penduli, lunghi fino a 1O cm, solitamente raggruppati in numero di 3; quelle femminili sono spighe più corte.
L’impollinazione è anemofìla.
Ogni fiore femminile è avvolto da una brattea che, dopo la fecondazione, si ingrandisce e si rinchiude a sacco su se stessa.
Questo sacco leggero facilita il volo del frutto e protegge il seme durante le prime fasi della germinazione. Le infruttescenze sono pendule.
Alneti di ontano bianco e ontano nero: note di ecologia e selvicoltura
Si tratta di boschi igrofìli, ripariali e paludosi costituiti prevalentemente da ontano, sia bianco (Alnus incana) che nero (Alnus glutinosa), con la presenza anche di Fraxinus excelsior e Salix spp. Prediligono il clima temperato e i suoli alluvionali spesso inondati o nei quali la falda idrica è superficiale.
Diffusione. Si trovano lungo i corsi d’acqua sia nei tratti montani e collinari che planiziali o sulle rive dei bacini lacustri e in aree con ristagni idrici. I boschi di ontano bianco sono generalmente formazioni lineari, monospe-cifìche o quasi, che seguono il corso principale di torrenti montani e che colonizzano i bassi versanti delle valli. Svolgono un ruolo di elevato valore naturalistico nella colonizzazione delle aree golenali ai fini anche della protezione delle sponde. I boschi di ontano nero sono formazioni relitte, tipiche della Pianura Padana, su substrato torboso, in ambiente con carattere palustre, spesso interrotto da stagni e dai meandri dei fossi di scolo dove l’acqua fluisce lentamente e il suolo è asfìttico.
Il governo di questi boschi è sia a fustaia che a ceduo e in entrambi i casi, per il loro mantenimento, è opportuno evitare ogni drenaggio e ogni altra intrusione.
I reimpianti di ontano nero sono consigliati in aree umide, per il recupero dei pioppeti abbandonati o per arricchire i saliceti di salice bianco.
Ontano bianco: aspetti botanici
L’ontano bianco (Alnus incana) è una pianta autoctona di origine europea che raggiunge il secolo di vita. In Italia si trova nelle Alpi fino a 1500 m e sull’Appennino settentrionale. Predilige i terreni umidi nei quali affonda lunghe radici a fìttone che sono in simbiosi con attinobatteri azotofìssatori.
E un albero alto da 18 a 26 m, con tronco diritto, regolare, ramoso.
La corteccia lucida, color grigio chiaro chiazzata di bianco, da liscia diventa più screpolata e rossastra col tempo. I giovani rami sono tomentosi.
IL legno giallastro assume al taglio una colorazione rosso mattone sanguigna, è poco resistente all’aria, ma diventa indistruttibile se conficcato nell’acqua o in zone paludose.
La chioma di colore grigio verde è poco folta, le foglie, lisce e di colore verde scuro nella pagina superiore e pelose e biancastre in quella inferiore, sono caduche, di forma ovata, con base cuneata o rotondata, margine doppiamente dentato e apice acuto. Lunghe 4-8 cm e larghe 3,5-5 cm, non sono appiccicose come le foglie di ontano nero.
La fioritura avviene tra febbraio e aprile e i fiori quiescenti sono presenti sulla pianta sin dalla fine dell’autunno precedente. I fiori maschili caratterizzati da brattee color viola-bruno, sono riuniti in amenti penduli di colore verde, lunghi 4-7 cm. I fiori femminili formano infiorescenze pelose di forma ovoidale lunghe 0,5-1,5 cm, portate da lunghi peduncoli, riunite a gruppi di 3-5 formanti un racemo.
Il frutto prima verde poi bruno-nerastro, legnoso a maturazione, simile a una piccola pigna è un achenio contenente piccoli semi ovati con alette laterali per galleggiare sull’acqua.
Ontano nero: aspetti botanici
L’Ontano nero (Alnus glutinosa) è un albero originario di Europa, Africa settentrionale e Asia occidentale, presente in Europa dalla Penisola Iberica alla Russia, fino all’Asia occidentale.
Forma boschi puri o misti nelle zone umide alluvionali e lungo le sponde dei corsi d’acqua, dalla pianura fino ai 1200 m circa di quota. In condizioni ottimali, può raggiungere i 25-30 m di altezza, ma spesso non supera gli 8-10 m quando è il risultato di un ricaccio seguito al taglio della ceppaia.
Ha il fusto dritto e slanciato con corteccia liscia, di colore grigio-verde, segnata da numerose lenticelle, che diventa poi grigia e fessurata, divisa in grandi placche irregolari.
L'apparato radicale è esteso, robusto, con tubercoli in grado di fissare l’azoto atmosferico grazie alla simbiosi con batteri azotofìssatori.
La chioma densa e appuntita, ha forma piramidale, con rami primari ascendenti, poi ripiegati verso il basso.
Le foglie che non cambiano colore in autunno prima di cadere, sono glabre, vischiose da giovani, lucide e scure nella pagina superiore, chiare in quella inferiore, semplici, alterne, di forma ovato-ellittica, a base cuneata o arrotondata, con margine doppiamente e irregolarmente dentato, apice ottuso e picciolo di 1 -2 cm.
Possiede fiori unisessuali sulla stessa pianta.
I fiori maschili bruno violacei, con le antere gialle e 4 stami, sono riuniti in amenti penduli e cilindrici, di 6-12 cm, che compaiono tra febbraio e aprile, prima dell’emissione delle foglie; quelli femminili, raggruppati in numero di 3-5, sono più corti (1-3 cm) ovali-oblunghi, di colore rosso bruno, con picciolo evidente.
I frutti sono pseudo strobili di forma ovoidale, con piccole squame legnose che prima sono verdi poi, a maturità, diventano grigio scuro.
I semi sono acheni con ali strette utili alla dispersione anemofìla.
Alneti a ontano verde: note di ecologia e selvicoltura
Gli alneti caratterizzati da Alnus viridis sono formazioni pioniere che si sviluppano in ambiente altomontano e subalpino, fra i 1500 e 2300 m, nelle fasce contese fra il bosco e il pascolo alpino, estendendosi oltre il limite delle foreste e degli alberi, specialmente lungo i canaloni di valanga e gli impluvi.
Diffusione. Si tratta di vegetazione arbustiva che occupa di preferenza i versanti esposti a Nord e si insedia su pendici ripide, sui detriti scoperti delle frane o lungo i greti dei torrenti in cui scendono le acque dei nevai e dei ghiacciai sovrastanti, dove la disponibilità idrica e di nutrienti è abbondante.
Questi arbusteti si trovano quasi esclusivamente su suoli silicei e assumono una funzione colonizzatrice, grazie anche alla presenza di noduli radicali con batteri azotofìssatori. Gli alneti formano una boscaglia robusta e continua, con elevata uniformità e compattezza che arresta efficacemente i detriti e grazie ai rami flessibili, resiste lungo le direttrici delle slavine al carico di neve e al passaggio di valanghe. Sono perciò molto utili per i rimboschimenti e per trattenere il manto nevoso.
Ontano verde: aspetti botanici
L’ontano verde (Alnus viridis) è un arbusto, alto da 1 a 3 m (raramente fino a 4 m) con rami eretti,flessibili e sottili.
La corteccia dei rami più giovani e sinuosi è di colore rosso-bruno, spesso ricoperta da sottile peluria; quella dei fusti vecchi è verde-bruna, con evidenti lenticelle.
Ha radici tabulari ed espanse, azotofìssatrici.
La chioma è densa, irregolare, emisferica e le foglie decidue sono alterne, picciolate, a lamina ovale, di colore verde brillante, con nervatura pennata ben evidente, margine semplicemente o doppiamente seghettato, apice generalmente appuntito.
La fioritura avviene in primavera, scalarmente, secondo la crescente altitudine, ma non è rara un’antesi precoce a fine inverno. I fiori sono unisessuali sullo stesso individuo: i maschili sono riuniti in amenti, raggruppati a 2-4, lunghi 3-5 cm, di colore giallo-verde punteggiati di rosso, dapprima eretti, poi a maturità penduli; i femminili sono a forma di minuscola clava, fuoruscenti da squamette verdi, molto più ridotti dei maschili (8-10 mm), raggruppati in piccoli racemi.
I frutti sono acheni provvisti di un’ala membranosa a ventaglio, che assumono nell’insieme un tipico aspetto di piccolo strobilo.
La disseminazione è abbondante.