CONCETTI CHIAVE
10.1 Ruolo dei boschi nella regimazione idrica e nel controllo dell’erosione
Uno dei maggiori problemi con i guali dovrà fare i conti l’umanità del ventunesimo secolo è guello dell’approvvigionamento idrico e, non a caso, le Nazioni Unite, per evitare che la scarsità d’acgua determini una crisi mondiale, hanno riconosciuto il decennio 2005-2015 come il decennio “ Water for Life”.L’acqua, infatti, è una risorsa naturale unica e pur essendo rinnovabile, è allo stesso tempo limitata e distribuita sul pianeta in modo disomogeneo, a causa di variabili legate al suo ciclo nella biosfera.
Nei paesi del Terzo Mondo, i tre guinti della popolazione vivono avendo a disposizione solo 2 litri di acgua prò capite al giorno, di cattiva gualità (più di 2,2 milioni di persone muoiono ogni anno a causa di malattie trasmesse da acgua potabile contaminata e da scarse condizioni igieniche) e dal diffìcile reperimento.
Nei Paesi industrializzati, invece, dove il consumo pro capite è molto più elevato (fino a 6 litri al giorno), si verifica il problema dell’inquinamento e dei problemi legati agli effetti di uno sfruttamento idrico avvenuto per molto tempo non considerando gli equilibri ecologici e idrogeologici ad esso legati.
E quindi necessario mutare rotta, assicurando una maggiore protezione e rispetto degli equilibri dell’ambiente, solo così, infatti, potrà essere garantita la disponibilità e la qualità dell’acqua, caratteristiche che sono fortemente influenzate dagli ecosistemi forestali (10.2).
In Europa le foreste ricoprono circa 1/3 del territorio, costituendo non solo un elemento essenziale, ma assumendo anche un elevato valore nella protezione del suolo e delle riserve idriche, in quanto rappresentano una fonte preferenziale per la produzione, lo stoccaggio, la biopurificazione e la captazione di acqua potabile, necessaria per i fabbisogni delle popolazioni.
I boschi, infatti, svolgono un ruolo significativo sia per la prevenzione dell’erosione del suolo, che per la protezione delle risorse di acqua potabile. Il ruolo del bosco nel ciclo dell’acqua viene oggi inquadrato in una prospettiva più ampia, legata alla sostenibilità della gestione forestale, in termini di tutela dell’ambiente, rispetto delle esigenze sociali e dell’efficienza economica (10.3).
L’erosione idrica rappresenta la causa maggiore di degradazione del suolo. Infatti, la progressiva riduzione dello strato superficiale del suolo e della sua capacità produttiva, costituiscono l’elemento comune che associa molte aree soggette a desertificazione.
Prelevando l’acqua dal terreno (attraverso radici e peli radicali) e immettendola nell’atmosfera sotto forma di vapore acqueo (attraverso gli stomi), le superfìci forestali svolgono una funzione fondamentale nel regolare il ciclo dell’acqua e quindi un ruolo determinante del bilancio idrico o idrologico, che consiste nello stimare l’ammontare di acqua rilasciato nell’aria dalle foghe e la quantità di acqua che gli alberi catturano dalle precipitazioni, e si calcola misurando le voci in entrata (apporti idrici al netto delle perdite, ad esempio piogge, acqua di falda) e quelle in uscita (ad esempio l’evapo-traspirazione, il deflusso, il ruscellamento o la percolazione negli strati profondi). Va tuttavia ricordato che, nonostante la sua complessità, il ciclo dell’acqua è sottoposto a una legge fondamentale: la quantità di acqua totale non deve aumentare, cioè I il bilancio idrico deve essere pari a zero.
Il bilancio idrologico di un bosco può essere sintetizzato dalla seguente formula:
P - (It + R + D + ds + Evt) = 0
Dove: P = precipitazioni; It = quantità intercettata dalle chiome e rievaporata; R = ruscellamento; D = deflusso superficiale; ds = variazioni del deflusso di acqua sotterraneo; Evt = evaporazione + traspirazione.
I processi attraverso cui il bosco interviene nel ciclo dell’acqua e influenza il bilancio idrologico (10.4) sono:
1. intercettazione della pioggia, che si manifesta a livello di soprassuolo;
2. infiltrazione, che si sviluppa a livello del suolo;
3. evapotraspirazione, che coinvolge entrambi.
L’intercettazione è la quantità di acqua intercettata dalla chioma e dipende sia dall’intensità e entità della pioggia che dalle caratteristiche strutturali della vegetazione, come densità, composizione, età, profilo verticale.
In genere, le latifoglie hanno minore capacità di intercettazione rispetto alle conifere e fra queste i boschi di pino domestico, che hanno maggiore sviluppo orizzontale, intercettano più acqua rispetto ai boschi di abete rosso, il cui sviluppo è maggiormente verticale.
Non tutta la pioggia viene intercettata dalla copertura vegetale. La frazione di essa che arriva direttamente al suolo o scorre lungo i rami e il fusto prende il nome di stemflowe dipende dall’età del bosco, dal tipo di corteccia e dall’architettura delle piante.
L’evapotraspirazione è il passaggio dell’acqua presente sul terreno e sulle piante allo stato di vapore in atmosfera e dipende dai seguenti fattori:
1. clima (radiazione solare, umidità, temperatura, vento);
2. contenuto di acqua al suolo;
3. specie vegetale;
4. stadio di sviluppo della pianta;
5. struttura della copertura fogliare.
Il tasso di evapotraspirazione dovuto alle foreste è nettamente superiore a quello delle colture agricole e orticole.
L’infiltrazione è la quantità di acqua che riesce ad infiltrarsi nel suolo, e per i suoli forestali rappresenta un parametro idrologico importante quanto l’evapotraspirazione e la piovosità.
L’acqua infiltrata si ripartisce in varie frazioni: una parte è utilizzata direttamente dalle piante, una parte scorre lungo la superfìcie ed evapora e una parte va ad alimentare la falda freatica. Quest’ultima frazione si definisce infiltrazione efficace, mentre la quantità massima di acqua che un suolo può assorbire nell’unità di tempo, espressa in mm/h, è detta capacità di infiltrazione.
I fattori da cui dipende la capacità di infiltrazione sono:
1. porosità e permeabilità del suolo;
2. acqua già presente nel suolo prima della precipitazione: l’infiltrazione è minore se nel suolo è già presente molta acqua;
3. durata e intensità delle precipitazioni, il cui aumento fa incrementare anche l’acqua assorbita;
4. morfologia del versante, il suolo pianeggiante o leggermente pendente agevola l’infiltrazione, ferme restando le altre condizioni;
5. vegetazione e residui di sottobosco l’apporto di materia organica in decomposizione condiziona la struttura del suolo, migliorando la porosità e la permeabilità.
Inoltre, rallentando lo scioglimento della neve accumulata al suo interno, il bosco aumenta la quantità di acqua che si infiltra in profondità nel terreno.
Anche il deflusso, cioè l’acqua di precipitazione che scorre sulla superfìcie del terreno viene regolato e ridotto dai sistemi forestali.
Tale riduzione ha come conseguenza una diminuzione dell’erosione e delle frane superficiali, che si ripercuote sul trasporto solido dei corsi d’acqua. Esistono, infatti, interazioni evidenti tra ciclo dell’acqua e ciclo erosivo poiché l’acqua è il principale agente e vettore del materiale eroso, l’erosione idrica, rappresenta la più rilevante causa di degradazione del suolo.
La formazione dei deflussi superficiali dipende dalla durata e dall’intensità delle piogge e può avvenire attraverso due distinte modalità:
1. la prima, detta Hortonian overland flow, si verifica in aree aride o semiaride i cui suoli naturali hanno bassa capacità di infiltrazione. Non è frequente nei suoli di zone umide: all’aumentare dell’intensità della pioggia diminuisce la capacità di infiltrazione e aumenta il tasso di ruscellamento;
2. la seconda, denominata Saturation overland flow, riguarda i deflussi sotterranei che saturano gli strati profondi in modo tale da raggiungere dal basso la superfìcie. Si verifica ai piedi di versanti scoscesi e in corrispondenza di sponde fluviali quando l’incalzare dell’evento piovoso satura progressivamente il suolo, che non riesce più ad accettare altra acqua.
Il bosco contribuisce all’allungamento del tempo di corrivazione, cioè del tempo necessario perché una goccia d’acqua caduta in un dato punto possa raggiungere la sezione di chiusura del bacino, realizzando così l’approvvigionamento idrico dei suoli forestali e delle falde acquifere, e ciò rappresenta una delle funzioni più importanti degli ecosistemi forestali.
Il mantenimento della copertura forestale in buono stato funzionale e l’uso di adeguati interventi selvicolturali rappresenta, dunque, uno degli strumenti fondamentali per garantire la salvaguardia del territorio, contribuendo non solo a migliorare l’idrologia dei bacini e a contrastare fenomeni erosivi e di degrado dei terreni, ma anche ad alleviare l’impatto dei cambiamenti climatici e ambientali.
All’importanza del bosco sulla conservazione del suolo (10.6) fa riferimento la dichiarazione finale dei ministri che hanno preso parte al 3° Forum mondiale dell’acqua, svoltosi in Giappone nel marzo 2003 (proclamato dalle Nazioni Unite anno mondiale dell’acqua).
In merito alla riduzione di rischi ed eventi catastrofici è scritto che “In presenza del rapido degrado dei bacini imbriferi e delle foreste, devono venire intensificati gli sforzi per combattere il disboscamento, la desertificazione, la degradazione del suolo, mediante l'attuazione di programmi di rimboschimento e di gestione forestale, la ricostituzione delle aree degradate e delle zone umide, la conservazione della biodiversità" (Giordano, 2004).

10.2 Schema degli effetti del bosco sul bilancio idrico e modificazioni.

10.3 Ciclo dell’acqua: l’acqua evaporata dal mare, dagli altri corpi idrici, dal terreno e quella traspirata dalle piante, raggiunge sotto forma di vapore l’atmosfera dove condensa originando le nuvole da cui ricade sulla Terra in forma liquida (pioggia) e solida (neve e grandine). In parte scorre in superficie alimentando corsi d’acqua e laghi, in parte filtra nel sottosuolo alimentando la falda freatica. Tutte le acque tendono a tornare al mare.

10.4 Destino delle precipitazioni idriche.
Funzioni |
Descrizione |
Produttiva o economica |
Formazione ex novo di masse legnose da utilizzare; frutti del sottobosco e prodotti secondari |
Idrogeologica |
Limitazione dell’erosione del suolo; regimazione del deflusso idrico; approvvigionamento e conservazione delle falde acquifere e di regimazione delle sorgenti |
Sociale |
Fonte di lavoro |
Turistico-ricreativa |
Utilizzazione a scopi ricreativi delle qualità paesaggistiche; qualità del microclima e capacità rilassante; fonte di lavoro |
Difesa e conservazione della biodiversità |
Conservazione e protezione dei principali popolamenti animali e vegetali |
Punto di partenza di molte catene trofiche |
Biocenosi tipiche delle foreste di diverse aree geografiche ed ecologiche |
Habitat specializzato per specifiche biocenosi di animali e piante |
Ambiente di conservazione per le cenosi animali e vegetali caratteristiche dei diversi tipi di foreste |
Conservazione degli ultimi residui di naturalità |
Mantenimento degli ultimi ecosistemi forestali tipici delle diverse aree fìtoclimatiche |
Igienica, sanitaria, ambientale |
Regolazione dell’equilibrio 02/C02 , e in particolare funzione di ritenzione esercitata dal legno, dalla lettiera e dal terreno Filtro e abbattimento degli inquinanti gassosi e/o particolati Depurazione biologica con produzione di sostanze battericide o fungicide; Assorbimento e riduzione della radioattività Abbattimento dell’inquinamento acustico Depurazione delle acque |
Monitoraggio e biondicatore della qualità ambientale |
Considerate le sue qualità di filtro degli inquinanti atmosferici, il bosco manifesta le soglie di pericolosità e i sinergismi dei diversi polluenti |
10.6 Ruolo e funzioni del bosco nei diversi ambiti ambientali, ecologici e socioeconomici
10.2 Dissesto idrogeologico e incendi boschivi
Il dissesto idrogeologico è l’insieme di tutti quei fenomeni nei quali l’innesco e le dinamiche sono influenzati dalle caratteristiche di rocce e terreni, dalla morfologia del paesaggio e dall’elemento acqua.I sistemi soggetti a dissesto idrogeologico sono costituiti da strutture naturali della crosta terrestre che presentano una tendenza all’instabilità, come per esempio un versante montuoso o collinare, l’alveo di un fiume, una costa sabbiosa, ecc. Il dissesto in pratica si manifesta solitamente dove la struttura geologica del suolo non è compatta e dove scorre molta acqua in superfìcie; ciò significa che la presenza d’acqua può favorire tale fenomeno solo in certi luoghi, ma non in tutti.
In Italia i fenomeni di dissesto idrogeologico sono frequenti. Infatti la morfologia degli ambienti collinari e montani e l’andamento climatico, con alternanza di periodi siccitosi a periodi con piovosità intense, determina il problema dell’erosione del suolo che viene ulteriormente aggravato dagli incendi boschivi, il cui aumento negli ultimi decenni ha causato pesanti conseguenze sulla diminuzione della biodiversità e sulle proprietà fìsiche e chimiche del suolo, tra le quali la riduzione della permeabilità.
Per contrastare il dissesto idrogeologico, l’erosione del suolo e i danni da incendio, sono necessarie idonee misure di prevenzione con l’obiettivo di ridurre la vulnerabilità di uomini e cose, tramite una razionale utilizzazione del territorio e adottando misure di protezione dai pericoli naturali, cioè eventi e influssi della natura, che determinano danni all’uomo e ai beni materiali, causati da fenomeni quali alluvioni, frane, incendi, piene torrentizie, terremoti, valanghe.
Per valutare il rischio correlato ai pericoli naturali si prendono come riferimento i parametri di pericolosità e vulnerabilità ambientale:
1. la pericolosità è riferita alla probabilità che si produca un determinato fenomeno naturale con conseguenze negative di una certa estensione, intensità e durata;
2. la vulnerabilità è correlata all’impatto del fenomeno sulla società e dipende dall’uso del territorio (presenza di centri abitati, strade, ecc.) e anche dalla risposta della popolazione di fronte al rischio. Va tenuto presente che è l’incremento di vulnerabilità a determinare un aumento dei rischi naturali.
Protezione dai pericoli e gestione dei rischi
L’orientamento strategico della protezione dai pericoli naturali è basato sulla gestione integrata dei rischi. Col termine di rischio idrogeologico si intende la relazione tra la probabilità che in una data località si verifichi un dissesto idrogeologico e la gravità dei danni che questo evento può provocare agli insediamenti umani presenti.È importante saper riconoscere e valutare i principali rischi derivanti dai pericoli naturali al fine di stabilire le misure necessarie per mitigarne gli impatti.
La gestione dei rischi si realizza attraverso:
1. la prevenzione: quella più efficace è realizzata utilizzando in modo razionale il territorio, evitando le zone di pericolo e, secondariamente, attuando opere di prevenzione. Nelle zone montane l’azione di protezione è efficace se si pratica una costante e regolare manutenzione dei corsi d’acqua e dei boschi di protezione;
2. la gestione dell’emergenza: è un compito svolto dalla Protezione civile in relazione alle operazioni che si rendono urgenti e necessarie per ridurre il danno;
3. la ricostruzione successiva all’evento: occorre tener presente che quanto più sarà attenta e scrupolosa la prevenzione, tanto più ridotti saranno i costi che la collettività dovrà sopportare a seguito dell’evento dannoso.
Il rischio da frana
Con il termine frana si intende un movimento di una massa di roccia, terra o detriti lungo un versante, il cui rischio è collegato alla dinamica di versante, cioè a quei processi che, di norma, sono connessi alla gravità.
L’Italia è una nazione assai esposta al rischio di instabilità dei versanti. La frana è il risultato di una molteplice varietà di processi di natura geologica, geomorfologica, meteorologico-climatica e antropica.
I fattori (10.7) in grado di influire sull’instabilità dei versanti sono numerosi: la litologia, la struttura, la densità di drenaggio, l’acclività, l’uso del suolo, la geomorfologia, la presenza di una rete stradale, ecc.
Le frane si distinguono in base alle tipologie di movimento e ai materiali coinvolti in:
■ frane complesse: insieme di due o più tipologie di movimenti
■ colamenti: il corpo della frana si muove con sensibili deformazioni interne, tali da condizionarne la morfologia, che assume la forma di una massa viscosa in movimento;

Modello schematico di frana a colamento lento.
■ crolli e ribaltamenti: sono determinati dallo spostamento di materiali in caduta libera e dal successivo movimento, per salti e/o rimbalzi, dei frammenti di roccia. Di norma si verificano su versanti interessati da preesistenti discontinuità strutturali (faglie e piani di stratificazione); sono solitamente improvvisi e caratterizzati da elevata velocità di caduta dei materiali;

Modello schematico di crolli in materiali litoidi fratturati e fessurati
■ espandimenti laterali: si verificano prevalentemente quando una massa rocciosa lapidea e fratturata è sovrapposta a una roccia dal comportamento molto plastico che, in seguito a ripetute piogge, determina il movimento.

Modello schematico di ribaltamenti in depositi lapidei interessati da profonde fratture, disposte suborizzontalmente e subverticalmente.

Modelli schematici dell’evoluzione di un’espansione laterale in una placca rigida sovrastante litotipi argillosi, a comportamento duttile.
■ scivolamenti: movimenti di massa lungo un versante, su una superfìcie di scorrimento, che interessano materiale roccioso e/o terreno sciolto. Possono essere di tipo traslativo o rotazionale.

Modello schematico di un versante interessato dalla progressiva evoluzione di uno scivolamento traslativo
Fattori |
Cause/effetti |
Litologici |
• Composizione • Struttura «Tessitura • Stato di alterazione • Caratteristiche geomeccaniche di rocce e terreni |
Morfologici |
• Orografìa • Morfometria dei versanti «Assetto del reticolo idrico |
Strutturali e tettonici |
• Stratificazione • Scistosità • Fratturazione • Fessurazione • Evoluzione geodinamica • Regime tettonico attuale • Sismicità |
Meteoclimatici |
• Regime termo-pluviometrico «Tipologia e distribuzione delle precipitazioni • Frequenza e intensità degli eventi esterni |
Idrogeologici |
• Idrografìa • Sorgenti • Bilancio idrogeologico • Caratteristiche della circolazione idrica superficiale • Caratteristiche della circolazione idrica sotterranea |
Uso del suolo |
• Classi di uso del suolo (superfìci: artificiali e agricole utilizzate, boschi e ambienti seminaturali,zone umide, corpi idrici) |
Antropici |
• Realizzazione di nuovi insediamenti • Presenza o costruzione di nuove vie di comunicazione • Uso agricolo improprio • Errata gestione di boschi, disboscamenti • Ostruzioni di impluvi naturali • Eccessivo riempimento di bacini di ritenuta idrica • Impermeabilizzazioni • Modifiche all’assetto morfologico (sbancamenti, scavi, ecc.) • Indiscriminati appesantimenti dei versanti • Eccessivo pascolamento • Attività estrattive • Errata o inadeguata destinazione d’uso del suolo • Mancata o inadeguata attività di sistemazione di corsi d’acqua e versanti • Rottura di reti idriche «Vibrazioni artificiali • Presenza di infrastrutture di servizio |
10.7 Principali fattori che concorrono a innescare frane e fenomeni di dissesto che interessano il territorio italiano.
Approfondimento
Parti caratteristiche di una frana
Secondo la nomenclatura intemazionale si individuano le seguenti parti componenti della frana:1 coronamento: materiale rimasto in loco nella parte alta della scarpata principale;
2 scarpata principale: zona ripida che delimita l’area indisturbata circostante la parte in movimento del materiale separato;
3 fessure di trazione: fessure originate dalle forze di trazione operanti verso il basso;
4 testata: parte più alta della frana tra la scarpata principale e quella secondaria;
5 scarpata secondaria: scarpata presente sul materiale spostato;
6 gradino di frana: parte orizzontale sovrastante il corpo principale;
7 fianco: materiale non spostato vicino alla linea di rottura;
8 fessure trasversali: fessurazioni trasversali tra il corpo principale e il piede;
9 unghia: margine inferiore ricurvo posto alla maggior distanza dalla scarpata principale;
10 corpo principale: materiale che ricopre la superfìcie di rottura e si trova tra la scarpata principale e la superfìcie di rottura;
11 piede: porzione di frana che si è mossa oltre la superfìcie di rottura e ricopre la superfìcie originaria del versante;
12 rigonfiamenti trasversali: rigonfiamenti del piede;
13 fessure longitudinali: fessure sul piede in direzione dell’unghia;
14 superficie di scorrimento: superfìcie originaria del versante coperta dal piede;
15 superficie di rottura: superfìcie che forma il limite inferiore del materiale spostato.
16 superficie originaria del versante;
17 area in depressione con ristagni d’acqua.
Il rischio da incendio
L’incendio boschivo è una combustione che si propaga senza controllo a danno della vegetazione forestale (arborea, arbustiva, erbacea) e del suolo (humus e lettiera), in genere provocato dall’uomo e solo raramente di origine naturale.
Vi sono tre tipologie di incendio:
1. Incendio superficiale o radente: interessa la vegetazione erbacea, cespugli e resti vegetali sul suolo o nel sottobosco. Di solito non arreca danni elevati agli alberi, ma è in grado di danneggiare gravemente la biodiversità.
2. Incendio di chiome degli alberi: le condizioni che lo favoriscono sono uno strato arboreo abbastanza denso e un forte vento. Arreca notevoli danni alla vegetazione arborea.
3. Incendio sotterraneo: brucia lo strato di materiale organico depositato sul terreno e l’apparato radicale. È poco freguente, ma molto distruttivo.
Il fuoco causa alterazioni delle condizioni naturali del suolo che possono comportare fenomeni di instabilità dei versanti, specialmente in caso di piogge di notevole intensità, con scivolamento e asportazione dello strato di terreno superficiale.
Si deve prestare particolare attenzione durante i periodi a più elevato rischio, in occasione di condizioni naturali favorevoli all’innesco e allo sviluppo di incendi (elevate temperature, scarsità di precipitazioni e forte vento). Gli incendi si propagano con differente velocità, in funzione della morfologia, della tipologia di combustibile, dell’intensità e direzione del vento e degli ostacoli naturali o artificiali che possono comportare la delimitazione e lo spegnimento degli incendi.
Notevole importanza assume la previsione del pericolo incendi, basato sull’accertamento delle condizioni meteorologiche che ne favoriscono il verificarsi sia sulla conoscenza dello stato dell’area soggetta in funzione dell’operatività di prevenzione.
Il rischio da alluvione
Con il termine alluvione si intende una inondazione a seguito della tracimazione di corsi d’acgua ingrossati a causa di precipitazioni intense e/o prolungate. A guesti fenomeni possono essere connessi i fenomeni erosivi e le modificazioni morfologiche.
L’alluvione viene distinta in:
■ esondazione: l’acgua fuoriesce dall’alveo per cedimento degli argini o per tracimazione di sponda;
■ inondazione: l’acqua, a seguito della rottura o del sormonto di un argine naturale o artificiale in occasione di un evento di piena, si espande e sommerge le aree circostanti.
In zone ad elevata pendenza, lungo torrenti di montagna, l’acqua che scorre ad alta velocità può uscire dal proprio letto portando con sé molto materiale e molte pietre, che vengono depositati fuori dal letto, generando un deposito detritico in zone dove la pendenza è ridotta.
In funzione della forza esercitata dall’acqua di una piena e della resistenza indotta dalle scarpate, può verificarsi un’asportazione di materiale detritico dal letto o dalle sponde del corso d’acqua in conseguenza dell’azione erosiva laterale e/o del fondo. La resistenza di una scarpata laterale dipende dalla granulometria dei materiali, dallo spessore della protezione e dalla vegetazione presente sulla sponda. Nelle zone pianeggianti l’entità dei danni causati dalle inondazioni è correlata alla quantità della coltre d’acqua che può danneggiare strutture edilizie, manufatti, ponti, strade, terreni coltivati e centri abitati, anche a causa del materiale fluviale trasportato e depositato.
Prevenzione e sistemazioni idraulico-forestali
Per quanto concerne le opere di protezione relative alle aree montane e collinari, le sistemazioni idraulico-forestali sono interventi volti ad eliminare le cause o contrastare gli effetti dei fenomeni alluvionali, dei processi erosivi e franosi, delle colate detritiche e fangose, del distacco di massi e delle cadute di valanghe.La realizzazione delle sistemazioni idraulicoforestali ha lo scopo di ripristinare uno status che permetta alla vegetazione naturale di raggiungere le condizioni di maggiore stabilità possibile.
Le opere di prevenzione
La prevenzione nell’ambito dei pericoli naturali si effettua in primo luogo tramite un uso razionale del territorio. La gestione integrata dei rischi rappresenta una parte determinante della pianificazione territoriale che suddivide il territorio sulla base del grado di pericolosità indicato dalle carte del rischio. Ad esempio, nei luoghi dove è più elevato il rischio idrogeologico o quello da valanghe, l’edificazione è proibita. Laddove non è concretamente possibile evitare il rischio, si opera attivando interventi di protezione di carattere tecnico o biologico, per eliminare la fonte del pericolo o abbatterne l’intensità. Le opere di protezione si rendono necessarie soprattutto dove vi sono insediamenti permanenti, vie di comunicazione e beni di alto valore.
Prevenzione antincendio
È necessario che la pianificazione antincendi boschivi si integri con la pianificazione ambientale (piano del parco, piani di bacino, piani paesistici) e con guella forestale, a livello regionale e locale (piani di assestamento forestale), in coerenza con i principi dell’ecologia del paesaggio e della gestione forestale sostenibile. L’attuale pianificazione antincendi boschivi si basa sulla difesa del territorio dal fuoco mediante la gestione dell’elemento fuoco (fire management), abbandonando il criterio che puntava alla protezione del territorio tramite lo spegnimento di ogni tipo di incendio (Aie control).
La gestione dell’elemento fuoco prevede, una pianificazione ambientale in grado di predisporre norme di comportamento e interventi che concorrano a favorire sia una evoluzione verso forme di vegetazione più mature, sia una manutenzione che permetta di ridurre il rischio, in modo particolare negli ambienti ad alta intensità di urbanizzazione (10.17).
Il piano antincendi boschivi (AIB) si fonda sulla conoscenza delle peculiarità territoriali e vegetazionali, verifica e coordina il potenziale umano e i mezzi materiali per agire con le più idonee tecniche di prevenzione ed estinzione. In definitiva il piano AIB è uno strumento, con modalità di gestione integrata, importante per coordinare tutte le attività e gli interventi di prevenzione e di lotta antincendio.
In relazione a guanto previsto dalla legge 353/2000 e dalle Linee guida emanate con decreto della Protezione civile del 20 dicembre 2001, è opportuno che nella redazione del piano vengano rispettati i seguenti reguisiti generali:
■ Necessità di conferire carattere omeostatico al piano. Per tale principio le attività da svolgere devono essere organizzate in modo da poter sopportare delle variazioni impreviste. Un esempio è rappresentato dagli invasi di rifornimento idrico che devono essere idonei a rifornire tutti i mezzi e le sguadre che sono impiegati per l’estinzione.
■ Integrazione tra prevenzione ed estinzione. In ogni pianificazione corretta bisogna rispettare una rigida proporzionalità tra gli interventi che hanno tra loro funzioni complementari. Per i diversi popolamenti forestali si devono definire due parametri chiave: l’intensità del fronte di fiamma non superabile e l’intensità massima prevista.
■ Priorità di intervento. Il piano deve prevedere delle priorità, sia per guanto riguarda le azioni dirette e indirette, sia per gli aspetti ecologico-ambientali, sociali e paesaggistici da tutelare in un determinato territorio. Il piano è connesso alle analisi floristiche, faunistiche e vegetazionali e alle valutazioni di rischio e di pericolosità che prendano in considerazione anche le variazioni di carattere antropico e le peculiarità del dinamismo in atto.
■ Aspetto previsionale di verifica della pianificazione. É opportuno prevedere metodi di monitoraggio delle misure di previsione, prevenzione e lotta attiva inserite nel piano, che verifichino se siano stati raggiunti i risultati voluti.
■ Necessità di considerare la protezione dagli incendi boschivi materia in rapida evoluzione. L’insieme delle determinazioni di pianificazione devono essere realizzate considerando per monitorare il raggiungimento dei risultati richiesti.
■ Periodo di validità del piano. Il periodo per valutare i risultati della pianificazione, in particolare l’effettiva realizzabilità degli obiettivi prefìssati, è di 3-5 anni, con revisioni annuali per il controllo dei risultati delle azioni preventive. Un tale arco temporale è dettato dal fatto che con il passare del tempo le condizioni cambiano e conseguentemente la validità delle elaborazioni del piano stesso tendono a diminuire con la variazione delle condizioni socio-economiche e ambientali che nel contempo si verificano.
La revisione annuale prevista in materia di incendi boschivi (legge 353/2000, art. 3, comma 3) deve essere interpretata come un aggiornamento delle informazioni e dei dati necessari alla gestione del piano (es. la mappatura delle aree percorse dal fuoco nell’anno precedente).
Gli elementi indispensabili che devono essere indicati nel piano antincendi sono:
1. le aree a differente potenzialità vegetazionale, con evidenziate le caratteristiche sindinamiche (cioè delle modificazioni vegetali nel tempo) e conservazionistiche;
2. le aree a differente livello di rischio;
3. le aree a diverso livello di protezione, in relazione alla zonizzazione dell’area protetta;
4. la superfìcie ammissibile percorsa dal fuoco;
5. le opere di protezione e guelle colturali necessarie a contenere il rischio;
6. la disposizione dei punti della rete di avvistamento, automatico o servito;
7. la valutazione dell’efficienza della rete viaria;
8. la valutazione di impatto delle opere previste nei confronti dell’area protetta e dell’oggetto della protezione;
9. le eventuali valutazioni di incidenza;
10. un modello di propagazione e comportamento specifico del fuoco per l’area;
11. la prospettiva di adozione di un sistema di supporto alle decisioni basato sui parametri tipici dell’area e integrato con la rete regionale.

10.17 Carta della pericolosità degli incendi boschivi della Regione Piemonte.
10.3 Ingegneria naturalistica
Nell’ambito delle attività di prevenzione del dissesto idrogeologico, della sistemazione e del recupero del territorio, risultano sempre più diffuse le tecniche di ingegneria naturalistica che rappresentano la soluzione ottimale in molti interventi di consolidamento superficiale, di rivegetazione e di rinaturazione. In guest’ultimo caso si crea nuova “natura” attraverso interventi volti ad accelerare guei processi biologici, altrimenti molto lenti, utili al raggiungimento di un eguilibrio naturale stabile e al miglioramento dell’area in guestione. L’ingegneria naturalistica è una disciplina tecnico-scientifica che, mediante metodologie tipiche ingegneristichee in base a criteri meccanici, biologici ed ecologici, impiega materiale vegetale vivo e legname come materiale da costruzione, talvolta in associazione a materiali guali pietrame e massi, terra, ferro e acciaio, fibre vegetali e sintetiche in relazione alle diverse esigenze di consolidamento e drenaggio di versanti, scarpate o sponde.A seconda della natura dei terreni interessati, si può ricorrere all’applicazione delle tecniche tradizionali o di guelle di tipo naturalistico (10.19).
Gli ambiti di intervento dell’ingegneria naturalistica sono in gran parte tendenti alla difesa del suolo, con particolare riguardo a interventi antierosivi per il drenaggio e il consolidamento, aventi le seguenti finalità:
■ Difesa idrogeologica: consolidamento di versanti o, in generale, del terreno ; drenaggio delle acgue dilavanti; controllo dell’erosione; sistemazioni a rinforzo delle sponde dei fiumi.
■ Funzione ecologico-naturalistica: recupero di aree naturali degradate, cave e discariche; protezione dall’inquinamento (fìtodepurazione, barriere antirumore);
■ Funzione estetico-paesaggistica: sistemazione o rinaturazione di rilevati stradali o ferroviari e di infrastrutture; risanamento estetico di frane, inserimento del costruito nel paesaggio, arricchimento paesistico con sistemi a verde;
■ Funzione socio-economica: tipologie alternative a quelle tradizionali, a costi molto accettabili, recupero produttivo di aree incolte o abbandonate.
Le tecniche di ingegneria naturalistica risultano assai efficaci per porre rimedio ai fenomeni di instabilità delle porzioni più superficiali di terreno, dove l’intervento permette di ottenere il massimo effetto drenante ; consentire una elevata protezione an-tierosiva; impiegare opere relativamente leggere al fine di non sovraccaricare il terreno.
Le tecniche di rivegetazione hanno la funzione di proteggere, per mezzo della vegetazione, la superfìcie del suolo dall’effetto battente delle piogge, consentendo il corretto assorbimento nel terreno delle acgue ed evitando che la parte non assorbita si disperda in superfìcie con velocità tale da causare erosione. Una buona copertura vegetale, oltre a proteggere il suolo dagli agenti atmosferici, riducendo il ruscellamento superficiale, consente di intercettare e rilasciare gradatamente la pioggia, incrementando così il tempo di corrivazione ; inoltre lo sviluppo degli apparati radicali migliora le caratteristiche geomeccaniche del terreno. Tale obiettivo può essere ottenuto con la corretta gestione della vegetazione presente, integrata o realizzata ex novo con la razionale tecnica dell’idrosemina, o con l’impiego di tecniche che impiegano materiale vegetale vivo.
In genere, i materiali impiegati nei lavori che utilizzano tecniche di ingegneria naturalistica sono costituiti da: a) materiale vegetale vivo; b) legname; c) pietrame; d) materiali ferrosi; e) geosintetici e fibre naturali.
Tipologia del dissesto |
Interventi con tecniche di ingegneria naturalistica |
Interventi complementari |
Colamenti rapidi di terreno saturo d’acqua |
- Geosintetici e fibre naturali (materiali antierosivi) - Inerbimento della superfìcie risistemata palificate semplici - Gradonate vive |
- |
Colate |
- Inerbimento della superfìcie - Gradonate vive - Palificate semplici |
- |
Crolli di roccia (distacchi da pareti rocciose, da versanti a elevata pendenza) |
- Interventi attivi: reti metalliche con geosintetici antierosivi e rivegetazione - Interventi passivi: rilevati paramassi in terra rinforzata |
- |
Erosioni in scarpate |
Grate vive |
Pannelli di rete armata a contatto, materiali antierosivi, rivegetazione |
Erosioni di sponda |
- Palificate vive di sostegno spondali - Rivegetazioni spondali - Scogliere in massi rivegetate |
Allargamento della sezione di deflusso, opere di manutenzione spondale |
Flussi incanalati (generati da instabilità di una massa di detriti solidi per effetto di gravità e presenza di acqua) |
- Briglie in legname e pietrame - Casse di laminazione e aree di invaso - Deviatori di valanghe di detriti in terra rinforzata - Rinaturalizzate |
Barriere in funi metalliche |
Ribaltamento di lastre e moli rocciose |
Sistemazione e rivegetazione del solo accumulo di frana |
Riprofìlature in roccia |
Scivolamenti planari |
Sistemi drenanti superficiali |
Trincee drenanti profonde, monitoraggio inclinometrico e piezometrico |
Scivolamenti rotazionali |
- Palificate vive di sostegno - Posa di materiali antierosivi - Ricostruzione pendìi in terra rinforzata - Rivegetazione della superfìcie risistemata - Scogliere di contenimento rivegetate |
Rimodellamento dei versanti con riduzione della pendenza |
10.19 Interventi di difesa preventiva e ripristino in relazione alle varie tipologie di dissesto
Materiali utilizzati nell’ingegneria naturalistica
Materiale vegetale vivoPer la rivegetazione vengono utilizzate preferenzialmente le essenze erbacee, ar-bustive e arboree: tipiche del luogo di intervento, selezionate in base alle migliori caratteristiche biotecniche, in grado di resistere a fenomeni franosi e all’erosione; aggregare e consolidare superficialmente il terreno con lo sviluppo radicale; possedere radici con valida resistenza allo strappo o al taglio; contrastare e resistere ad elevate sollecitazioni meccaniche.
La scelta delle specie da impiegare in base alle varie situazioni di intervento, richiede anche la valutazione di alcune caratteristiche, guali:
■ la capacità di sviluppo radicale in presenza di acgua o in condizioni di aridità;
■ le specifiche esigenze edafiche;
■ il grado di attecchimento ;
■ la tendenza alla sciafilia o eliofilia.
Le essenze erbacee vengono distribuite sul terreno mediante miscugli composti da semi di generi diversi. L’impianto della vegetazione può essere effettuato con l’impiego di materiale vegetale proveniente da vivai utilizzando piantine a radice nuda o con pane di terra. Si può ricorrere anche all’uso di talee, astoni, ramaglia viva, prelevati direttamente in natura anche dagli arbusti e dagli alberi prossimi all’area di intervento. Solitamente l’utilizzazione di talee consente una veloce copertura del suolo, che comporta un positivo consolidamento e una efficace regimazione delle acgue superficiali.
Legname
Il legname da costruzione impiegato è rappresentato da pali tondi scortecciati di specie di alberi caratterizzati da una idonea resistenza meccanica e durabilità. È opportuno che il diametro dei pali non sia inferiore ai 20 centimetri, anche se nelle opere non aventi funzione di sostegno si può ricorrere all’impiego di tondame con diametro inferiore. Sul legname non devono essere presenti difetti come cipollature, eccentricità degli anelli di accrescimento, fessurazioni periferiche e radiali, marcescenze/attacchi parassitari.
Pietrame
Il pietrame è, in genere, utilizzato per la fondazione di opere di sostegno o idrauliche, per il riempimento di strutture in legname o di trincee scavate nei pendìi, allo scopo di favorire il drenaggio delle acgue di infiltrazione, per la costruzione di opere di contenimento o di difese spondali.
Si deve evitare l’impiego di materiali pietrosi non idonei, guali:
■ massi d’alveo troppo arrotondati e lisci, oppure di volume medio insufficiente (possono determinare problemi di instabilità delle opere di difesa e sostegno); occorre tener presente che il volume medio dei massi da scogliera non deve essere inferiore a 0,3- 0,6 metri cubi;
■ pietrame derivante dalla demolizione di rocce tenere e molto fratturate, poiché potrebbero causare problemi dovuti all’assestamento eccessivo del materiale di riempimento, da cui deriva uno scarso drenaggio e l’intasamento, con conseguente instabilità delle strutture;
■ pietrame contenente amianto.
Materiali ferrosi
Il ferro e l’acciaio sono impiegati per: la giunzione di elementi strutturali nelle opere in legname (es. chiodi, graffe, caviglie, bulloni, ecc.); l’ancoraggio di strutture mediante tondini e barre ad aderenza migliorata, profilati e tubolari; i rivestimenti di scarpate per la stabilizzazione superficiale.
Si ricorre alle barre in acciaio ad aderenza migliorata, di diametro generalmente di 10-12 mm, per la preparazione di chiodi specifici e graffe, dette anche cambre, che consentono la giunzione dei vari elementi lignei. Per un saldo ancoraggio delle strutture al suolo, onde impedire scivolamenti o ribaltamenti si fa spesso uso di barre metalliche ad aderenza migliorata, in funzione delle sollecitazioni a cui è sottoposta la struttura e della tipologia di terreno.
Per il rivestimento di scarpate e pendìi, previo opportuno rimodellamento, si utilizzano reti, fissate a funi e barre, in acciaio a maglie esagonali o a maghe romboidali ad elevata resistenza.
Materiali geosintetici
I materiali geosintetici vengono utilizzati per svolgere funzioni di filtro, drenaggio, protezione dall’erosione e supporto alla vegetazione durante la fase iniziale di sviluppo.
A seconda delle specifiche caratteristiche strutturali, possono essere distinti in:
■ Biotessuti: materiali biologici a base di fibre naturali di cocco, agave, sisal, juta, impiegati come reti a maglie aperte, costituiti da composti biodegradabili, con funzione antierosiva e di supporto allo sviluppo della vegetazione. Le fibre di cocco, in particolare, sono caratterizzate da notevole durabilità ed elevata resistenza.
■ Geomembrane: in materiale plastico (es. polietilene), impiegati per l’impermeabilizzazione.
■ Georeti e geogriglie: composti da bandelle o nastri di materiale sintetico, intrecciati e a maglie più ampie rispetto a guelle dei geotessili. Sono impiegate per il rinforzo dei terreni e consentono di agevolare la ripresa vegetativa.
■ Geotessili tessuti: materiali plastici in filamenti molto resistenti, caratterizzati da maglie molto fìtte. Sono utilizzati per mgliorare la capacità dei terreni a sopportare i carichi.
■ Geotessili non tessuti: materiali plastici in filamenti e fibre disposte in modo disordinato (da cui la denominazione di non-tessuti). Considerata la capacità filtrante della loro struttura, sono idonei per il drenaggio dei terreni.

(a) Schema di fissaggio di biotessile in juta. (b) Fissaggi di biostuoia in cocco e paglia. (c) Ancoraggio della biostuoia in cocco e paglia
Interventi antierosivi
Inerbimenti. Hanno la funzione di stabilizzare il terreno, tramite l’azione consolidante degli apparati radicali, e di proteggerlo dall’erosione superficiale, causata dall’azione battente della pioggia e dal ruscellamento superficiale. L’inerbimento delle su-perfìci può essere ottenuto, oltre che con lo spargimento manuale a spaglio, anche con la semina idraulica (idrosemina), una tecnica idonea all’inerbimento di vaste superfìci e in pendenza. La tecnica dell’idrosemina richiede l’uso di una miscela composta da: acgua, miscuglio di sementi idonee, concime, collanti, prodotti fìtormonici e sostanze miglioratrici del terreno.La semina idraulica su terreni in pendenza viene eseguita con l’impiego di motopompe volumetriche, che eseguono lo spargimento del miscuglio di essenze graminacee e leguminose, addizionato di collanti o sostanze colloidali naturali, che assicurano
l’aderenza dei prodotti al terreno, oltre a fertilizzanti a lenta cessione e sostanze organiche.
Nei terreni a scarsa pendenza si può distribuire una coltre protettiva del suolo, costituita da fibre naturali, guali paglia, fieno, ecc. La coltre protettiva, costituita anche da fibre di legno o da pasta di cellulosa, se distribuita con la semina idraulica, prende il nome di idrosemina con mulch.
I campi di applicazione di guesta tecnica sono: a) superfìci destinate alla rivegetazione; b) superfìci acclivi prive di terreno vegetale, soggette a erosione, anche abbinate a rivestimenti in rete metallica e stuoie, terre rinforzate verdi; c) scarpate stradali e ferroviarie in trincea, cave in roccia, discariche di inerti; d) versanti con pendenza media, pendìi soggetti a movimento del terreno.
Supporti antierosivi di fibre naturali e sintetiche nelle semine. Servono per la copertura e il completamento di un versante, di superfìci in erosione, di rivestimento di scarpate. Il rivestimento di versanti viene eseguito mediante:
■ biostuoie: materassini composti da paglia, cocco o trucioli di legno, disposti in retine di plastica fotodegradabile oppure di juta; dotate di buona capacità di assorbimento dell’acgua e di resistenza alla trazione, generalmente non superiori a 3 ÷ 4 kN/m;
■ biofeltri: non tessuti derivati da fibre naturali di varia natura, tenute insieme tramite agugliatura. Hanno capacità di assorbimento dell’acgua medio-alto e di resistenza alla trazione di 3 ÷ 4 kN/m;
■ geocelle: strutture alveolari prodotte con strisce di polietilene o geotessile non tessuto. Quando sono composte da materiale naturale, come il cocco, si chiamano biocelle; richiedono ancoraggio tramite chiodatura dei punti di giunzione dei vari alveoli e successivamente di saturazione con terreno naturale; resistenza meccanica a trazione delle giunzioni variabile da 0,35 a 1 kN/m;
■ geostuoie tridimensionali: appartengono a guesta tipologia diversi polimeri, composti da filamenti aggrovigliati e termosaldati, che vengono posti in opera e saturati di terreno vegetale; non assorbono acgua e resistono alla trazione intorno a 5 kN/m;
■ bioreti: analoghe ai tessuti a maglia larga, sono formati da corde annodate e intrecciate. Richiedono molto tempo per la biodegradazione;
■ tessuti biotessili: a base di fibre naturali come agave, cocco e juta, le cui resistenze alla trazione sono alte (fino a 40 kN/m), in funzione della natura della fibra e della larghezza delle maglie; presentano discreta capacità di assorbimento dell’acqua;
■ rivestimenti vegetativi: reti metalliche a doppia torsione o costituite da polimeri, associate a biostuoie. Le resistenze alla trazione sono molto alte, in alcuni casi superiori a 100 kN/m.

Schema di fissaggio e visualizzazione della posa di geocelle a nido d’ape
Interventi stabilizzanti
Messa a dimora di piantine e taleePiantine e talee trovano collocazione su superfìci di neoformazione, scarpate a pendenza limitata; interstizi e fessure di scogliere, muri, gabbionate, terre rinforzate e vengono usate come picchetti vivi nella posa di reti, stuoie, fascinate, viminate. Le talee, ottenute da essenze caratterizzate da alta capacità di propagazione vegetativa, sono preparate all’uso con lunghezze che variano a seconda delle modalità di impiego, ma non inferiori a 50 cm di lunghezza e con diametro non inferiore a 2 cm. Sia le talee che le piantine da vivaio (soprattutto guelle a radice nuda) sono poste a dimora durante il riposo vegetativo. La messa a dimora delle piante a radice nuda deve essere eseguita da metà novembre a metà marzo, mentre per le piante messe a dimora con zolla di terra
o per le conifere in generale, il periodo può essere esteso da inizio ottobre a fine aprile. Vi sono tecniche che consentono di eseguire l’impianto guasi senza limiti stagionali (contenitori, zolle imballate in teli di plastica saldati a caldo, ecc.), ma per le essenze messe a dimora a stagione avanzata sono necessarie irrigazioni di soccorso per consentirne l’attecchimento. Nelle operazioni di messa a dimora delle piantine, i tutori, se previsti o necessari, sono installati nella buca di piantagione prima della posa delle piante, a una profondità di almeno 30 cm oltre il fondo della buca. La pianta può essere corredata di dischi pacciamanti ligno-cellulosici e di eventuali shelter, che sono tubi di materiale plastico o reticelle, con la funzione di proteggere la pianta dall’azione di animali roditori.
Per guanto concerne la tecnica di messa a dimora di tali, astoni e ramaglia viva, il materiale, una volta preparato, deve essere prontamente impiegato in modo da ridurre rischi di eccessiva perdita d’acqua. È importante che le talee non presentino ferite o traumi meccanici della scorza e problemi fitosanitari. Durante la messa a dimora bisogna prestare attenzione a rispettare la polarità delle talee che è consigliabile disporre orizzontalmente o suborizzontalmente, perché guesto posizionamento favorisce la radicazione in più punti lungo il fusto, producendo una maggiore guantità di radici rispetto a guelle poste in senso verticale, la cui radicazione si sviluppa solo da gemme nelle vicinanze del taglio di base.
Criteri per la messa a dimora delle talee
I migliori criteri per la messa a dimora nel terreno delle talee sono:
■ corretta scelta delle specie vegetali;
■ rispetto dell’epoca di prelievo e di impiego;
■ opportune cautele nella conservazione e nel trasporto;
■ corretta polarità nella posa;
■ posa guasi orizzontale;
■ compattazione del terreno, per evitare la formazione di sacche di aria a contatto con la parte interrata;
■ terreno di riempimento non eccessivamente pietroso;
■ inserimento della talea nel terreno per almeno 4/5 della sua lunghezza, sporgente al massimo 5 cm;
■ spuntature o potature della parte aerea con un taglio netto, inclinato verso il basso.
Coperture diffuse
Effettuata lungo le sponde di corsi d’acqua, dove è richiesta una protezione continua ed elastica, con un rivestimento di sponda, previo rimodellamento, tramite la messa a dimora di astoni (ramaglia viva di salici, tamerici, ecc.) aventi buona capacità di propagazione vegetativa.
La ramaglia viene posizionata perpendicolarmente alla direzione del flusso d’acqua e viene fissata al substrato per mezzo di un filo metallico teso tra picchetti e paletti vivi o morti. La base della ramaglia viene conficcata nel terreno e nel caso siano presenti più file, queste devono sovrapporsi parzialmente. La ramaglia viene poi coperta con un sottile strato di terreno vegetale, proteggendo la superfìcie dall’azione delle forze meccaniche (piogge, erosione fluviale, ecc.). Sono da evitare i corsi d’acqua con velocità della corrente e trasporto solido notevoli.

Copertura diffusa: (a) modalità per la posa in opera
Viminata viva
È idonea per il consolidamento di pendii e sponde di corsi d’acqua e ha effetto rapido di trattenuta del terreno di modeste dimensioni. Consiste nel fissare al terreno, tramite picchetti di legno o tondini di ferro, un intreccio di verghe di specie con buona capacità vegetativa. Il suo campo di applicazione è: in scarpate con inclinazione massima di 40° e soggette a movimento superficiale del terreno o a modesti franamenti; in sponde di corsi d’acqua a velocità medio-bassa e con trasporto solido ridotto; su terreni sassosi o rocciosi se associata a riporti di terreno.

Viminata viva: (a) prospetto; (b) sezione.
Graticciata
Il suo campo di applicazione è quello della stabilizzazione, copertura e regimazione idraulica su versanti o su sponde. Consiste nella realizzazione di strutture in legname, trasversali alla linea di massima pendenza, composte da picchetti infìssi nel terreno, nella realizzazione di un intreccio di rami e pertiche legnose e nella messa a dimora di materiale vegetale vivo nel gradone.
Fascinata drenante su pendio
Viene applicata su: a) pendii con inclinazione non superiore ai 35°, con necessità di drenaggio biotecnico; b) scarpate stradali e ferroviarie; c) scarpate di discarica; d) corsi d’acgua a energia media, con portate e livello medio relativamente costanti. Consiste nella realizzazione di dreni superficiali o sub-superfìciali, inseriti lungo il tratto più breve che percorrerebbe l’acgua lungo il pendio, con opportune diramazioni laterali per il miglioramento del drenaggio su tutta la scarpata. Adatta per prelevare le acgue sotterranee guando sono intercettate a profondità ridotte rispetto alla guota di campagna.

Fascinata drenante su pendio.
Fascinata viva spondale
Il campo di applicazione è la rinaturalizzazione e il consolidamento di sponde fluviali e lacustri. È un’opera idraulica longitudinale di consolidamento al piede, realizzata tramite la posa in opera di fascine viventi di essenze in grado di riprodursi per via vegetativa. La base del solco in cui è posta la fascina può essere ricoperta da ramaglie che sporgono nell’acgua. La fascina viene fissata per mezzo di picchetti in legno con orientazione alternata, per ottenere una struttura più elastica e robusta in caso di piena .

Fascinata viva vegetante su spondale; (b, c) due diverse modalità di tecniche realizzative.
Gradonata viva
Si applica per stabilizzare pendii incoerenti, frane superficiali, rilevati in fase di esecuzione e frane in materiale morenico o alluvionale, con inclinazione massima del versante di 40°. È un tipo di intervento che adotta la messa a dimora di materiale vegetale vivo. La seguenza operativa comprende:
- rescavazione di una banchina di profondità di almeno 50 cm, avente una pendenza verso l’interno dello scavo del 10% circa;
- la messa a dimora in senso orizzontale di talee o talee e piantine radicate, in numero di almeno 20 talee (diametro minimo 2 cm) al metro e/o 5 piantine radicate al metro;
- la ricarica della banchina con terra di scavo, in cui le talee sporgono alcuni centimetri;
- la potatura delle talee.
Per la sistemazione di un versante vengono realizzate più linee di gradonate vive, poste in opera con interassi di 1,5-3 metri, ad iniziare dalla base del pendio fino alla parte più alta, impiegando per il riempimento delle banchine inferiori il materiale di scavo di guelle superiori.

Cordonata.

Gradonata viva.
Infissione di talee a chiodo
Si tratta di una tecnica di messa a dimora per la rivegetazione di versanti, scarpate e sponde, che consiste nell’impiego di talee di grosse dimensioni e di elevate capacità vegetative, lunghe da 0,5 a 1 metro, da porre a dimora a seguito dell’eventuale rimodellamento del terreno, secondo la seguente seguenza operativa:
- realizzazione di pre-fori di posa con barre metalliche di grosso diametro, inserite obliguamente;
- posizionamento delle talee nei fori;
- infissione in profondità con l’utilizzo di una mazza;
- rifilatura a margini netti della testa delle talee.
Le talee a chiodo sono utilizzate anche come ancoraggio delle reti in fibra naturale, insieme agli ancoraggi metallici, ottenendo una maggiore rivegetazione del versante.
Grata viva
Il campo di applicazione sono sponde e versanti che presentano elevate acclività anche superiori a 45° ÷ 50°, su nicchie di frana dove sono possibili limitati rimodellamenti e su scarpate stradali o ferroviarie molto ripide. È un’opera realizzata con pali in legno, posizionati perpendicolarmente tra loro, e conseguente messa a dimora di talee e/o piantine radicate.
È impiegata per il consolidamento di versanti o sponde acclivi, con substrato compatto e per la stabilizzazione di pendii con fenomeni di erosione superficiale dove, per l’elevata acclività, non è possibile applicare altre tipologie di ingegneria naturalistica. La grata viva costituisce un sostegno del terreno fino a che non si sono sviluppati gli elementi costruttivi vivi che, con lo sviluppo degli apparati radicali, comportano un efficace effetto consolidante.
Palificata
Palificata viva spondale con palo verticale frontale. Il campo di applicazione è su sponde fluviali soggette ad erosione e corsi d’acgua ad energia media, con trasporto solido, anche di discrete dimensioni. È una struttura costituita in tondame di legno, che forma una orditura di tronchi che formano delle camere frontali nelle guali vengono disposte le fascine. Frontalmente è presente un palo verticale sul guale sono inchiodati i tronchi correnti e guelli trasversi. L’opera, viene addossata alla sponda in erosione e colmata, nella parte sotto il livello medio dell’acgua, con materiale terroso inerte e pietram.

Palificata viva spondale con palo frontale;
Palificata viva spondale a una e due pareti. Si applica a sponde fluviali soggette ad erosione di corsi d’acgua a energia media, con trasporto solido, anche di discrete dimensioni. È un manufatto a gravità, formato da una struttura cellulare in pali di legno associata alla posa di piante. A causa del deterioramento del legname, si ritiene che i parametri di stabilità di guesta palificata siano valutati in base a un paramento esterno paragonabile a una pendice ben vegetata e a un terreno con buone caratteristiche di attrito. Con una adeguata manutenzione, guale il taglio periodico delle piante allo scopo di evitare l’appesanti-mento delle ceppaie, si può ottenere una idonea stabilità per pendenze del paramento esterno di 60°.

palificata spondale a due pareti.
Palificata viva di sostegno. Questa palificata si applica al consolidamento di pendìi e scarpate franosi e per la difesa spondale. È un manufatto in legno, costituito da una struttura a celle, composte da pali di legno disposti perpendicolarmente, con posa di piante o talee. Dopo alcuni anni l’apparato radicale raggiunge uno sviluppo tale da generare un’armatura nel terreno con effetto stabilizzante. Si eseguono palificate a parete semplice, a parete doppia e spondali. Sono strutture deformabili e permeabili, adatte ai pendìi instabili.

schema di palificata viva di sostegno.
Palificata tipo Roma
Questa palificata si applica a versanti instabili e sponde fluviali soggette ad erosione. Si tratta di una struttura in legname tondo, composta da una orditura di tronchi a formare camere in cui sono disposte fascine e talee di salici, tamerici, arbusti autoctoni. Dopo il suo posizionamento alla base della scarpata o della sponda, viene colmata con materiale terroso inerte, misto a pietrame nella parte sotto il livello medio.
Gabbionata in rete metallica zincata rinverdita
Il campo di applicazione è la difesa longitudinale e/o trasversale di corsi d’acqua, piedi di pendii umidi, versanti in erosione, palizzate filtranti, briglie in golene allagate occasionalmente o sistemi di fìtodepurazione.
È costituita da parallelepipedi sovrapposti e in file parallele in rete metallica zincata a maglia esagonale, colmati con pietrisco di 15 cm di pezzatura minima.
All’interno dei gabbioni sono disposte talee di salice o tamerice, in modo irregolare o a file, nella prima maglia del gabbione superiore.

Schema di gabbionata in rete metallica zincata rivestita;
Terra rinforzata rivegetata
Il campo di applicazione è il sostegno di scarpate in riporto, il consolidamento di scarpate stradali e ferroviarie; di sponde e argini; di terrapieni antirumore. Le terre rinforzate sono opere di sostegno a gravità che presentano il vantaggio di essere deformabili e sufficientemente permeabili, e che inoltre sfruttano il principio del rinforzo orizzontale delle terre.
In base alla diversa tipologia costruttiva sono utilizzati materiali geosintetici, griglia metallica e geosintetici, griglia e armatura metallica, elementi pre-assemblati in rete metallica a doppia torsione.
Rampe a blocchi
Si applicano ad alvei di corsi d’acqua a bassa pendenza e con fondo ghiaioso e sabbioso, per il consolidamento del fondo. Sono costituite da pietrame di grosse dimensioni al posto delle briglie e dei tratti di salto, sia come by-pass laterale a una briglia, sia come fondazione alla base della briglia, che lungo l’alveo del corso d’acqua.
È una struttura assai funzionale alla risalita dei pesci.

Rampe a blocchi: (a) pianta orizzontale; (b) sezione verticale.
Briglie in legname e pietrame
Il suo campo di applicazione è il consolidamento, la regimazione e la difesa idraulica dell’alveo di un corso d’acqua.
È costruita utilizzando legname e pietrame e viene realizzata trasversalmente al corso d’acqua.
Approfondimento
Attrezzature e macchinari per le costruzioni di ingegneria naturalistica in legname e pietrame
■ motogeneratore;■ trivella a rotazione;
■ motosega;
■ trapano a rotazione e percussione, elettrico o a motore;
■ verricello;
■ carriola;
■ motocarriola a cingoli;
■ trattore forestale con gru;
■ autocarro fuoristrada a 4 ruote motrici;
■ betoniera;
■ idroseminatrice;
■ scortecciatrice meccanica;
■ utensili manuali di taglio e potatura (cesoie, roncola, ascia, cunei, ecc.);
■ utensili manuali di scavo (pala, vanga, piccone, zappa);
■ utensili manuali di percussione (martello, mazzetta, mazza), tesatura di cavi, taglio, molatura e piegatura ferri, spostamento legname (zappino);
■ decespugliateri;
■ falciatrici e tosaerba;
■ tagliasiepi.
RIASSUMENDO
• I boschi svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione dell’erosione del suolo e nella protezione della risorsa di acqua potabile in quanto intervengono nel ciclo dell’acqua attraverso l’intercettazione della pioggia nel soprassuolo, l’infiltrazione nel suolo e l’evo-traspirazione in entrambi.• La morfologia accidentata e la pendenza del suolo, i terreni scarsamente consistenti e la presenza dell’acqua sono fattori naturali che, assieme a quelli generati dalle attività umane concorrono al dissesto idrogeologico. Questo si manifesta con alluvioni e frane.
• La stabilità del suolo è messa in pericolo anche dagli incendi boschivi che si propagano senza controllo a danno della vegetazione forestale. Il prodotto fra la probabilità che in una data località si verifichi un dissesto idrogeologico e la gravità dei danni che questo evento può provocare agli insediamenti umani presenti è detto rischio idrogeologico.
• Tramite la pianificazione territoriale che suddivide il territorio sulla base del grado di pericolosità indicato dalle carte del rischio, si riescono ad evitare i pericoli naturali. La prevenzione del dissesto idrogeologico e della sistemazione e recupero del territorio si effettua con le tecniche di ingegneria naturalistica che in base a criteri meccanici, biologici ed ecologici, impiega materiale vegetale vivo e legname come materiale da costruzione, in associazione a materiali quali pietrame e massi, terra, ferro e acciaio, fibre vegetali e sintetiche per rispondere a varie esigenze di consolidamento e drenaggio, di versanti, scarpate e sponde. Gli interventi sono antierosivi e stabilizzanti.
SUMMING UP
• Woodlands play a key rote about soil erosion prevention and about drinking water resourse protection as they participate in the water cycle, intercepting rain in the topsoil, the infiltration in the soil and evapotranspiration in both of them.• The uneven relief and soil slope, little consistent grounds and water presence are natural factors which contribute to hydrogeological instability with those connected to human activities. Such instability can be seen in floods and landslips.
• The soil stability is endangered also by forest fires that spread without any control to the detriment of forest vegetation.The result of the probability that in a given place hydrogeological instability can take place and the seriousness of damages that this event can cause to human settlements is called hydrogeological risk.
• Natural dangers can be avoided through territorial planning: it subdivides the territory according to the risk degree shown in the risk maps. Hydrogeological instability prevention and territory arrangement and reclamation are carried out with environmental engineering techniques. These techniques use living vegetable matter and wood as building materials according to mechanic, biological and eco-friendly criterio. In addition, other materials are used, such as stones, rocks, earth, iron and Steel, vegetable and synthetic fibres to meet different stability and drainage requirements in slopes, escarpments and banks. Interventions are erosion-resistant and stabilizing.