CONCETTI CHIAVE
Per ottenere guesto si deve intervenire in modi differenti a seconda dell'ambiente e delle esigenze della specie.
Queste, variano anche molto in rapporto alla costituzione del terreno, all'acgua disponibile, alla necessità di luce e a numerosi altri fattori.
Senza la selvicoltura il bosco potrebbe sussistere ugualmente, ma diffìcilmente sarebbe in grado di svolgere le funzioni utili nei tempi e nei modi desiderati dall'uomo. Attraverso la selvicoltura, invece, si cerca non solo di trarre il maggior utile possibile dai terreni boschivi, ma anche di mantenere i presupposti per continuare a farlo nel tempo (7.1).
Quando guesta tecnica si basa su fondamentali aspetti ecologici, con processi che utilizzano le risorse naturali ad un ritmo tale che esse possano essere rigenerate naturalmente, si parla di selvicoltura sostenibile.
Se dal punto di vista teorico la selvicoltura poggia sull’ecologia , all’atto pratico guesta scienza appare piuttosto complessa e deve essere studiata in abbinamento ad altre branche delle scienze forestali guali la botanica, la dendrometria che calcola i valori biometrici di un albero, l’auxolologia che ne valuta la velocità di accrescimento, l’utilizzazione e l’assestamento (che stimano la guantità prelevabile, le dinamiche dei popolamenti e la gestione del bosco) e, infine, l’economia.
La selvicoltura si distingue in selvicoltura generalee in selvicoltura speciale.
La prima studia le relazioni che intercorrono tra il bosco e l’ambiente in cui esso vive, registra l’evoluzione del bosco e analizza le modalità di impianto, la rinnovazione e la sua utilizzazione. La selvicoltura speciale, invece, si interessa delle esigenze ecologiche e delle tecniche culturali delle singole specie arboree forestali.

7.1 (b)Rappresentazione schematica della gestione multifunzionale per raggiungere obiettivi ecologici, sociali ed economici.
7.1 Il bosco
Secondo il decreto legislativo 227/2001 (Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), il bosco è definito come terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a guella arbu-stiva, di origine naturale o artificiale e in gualsiasi stadio di sviluppo, con un’estensione non inferiore ai 2000 metri guadrati, una larghezza media non inferiore a 20 metri e una copertura, intesa come area di incidenza delle chiome, non inferiore al 20%, con misurazioni effettuate dalla base esterna dei fusti.Sono compresi tra i boschi i castagneti, le tartufaie controllate e la macchia mediterranea aventi le predette caratteristiche.
Non costituiscono bosco i parchi urbani, i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura, gli impianti di frutticoltura e di arboricoltura da legno, le tartufaie coltivate, i vivai e gli orti botanici.
Sono assimilati a bosco i rimboschimenti, le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva a causa di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o abiotiche, eventi accidentali, incendi; le radure e tutte le altre superfìci d’estensione inferiore a 2000 m2 che interrompono la continuità del bosco.
Nel linguaggio comune il bosco viene definito come una superfìcie di terreno coperta da piante legnose oppure come un insieme di più associazioni formate da biocenosi, animali e vegetali e può essere considerato un ecosistema caratterizzato dalla dominanza degli alberi, che generano condizioni ambientali interne (suolo, microclima) diverse da guelle esterne, influenzanti la composizione della flora erbacea ed arbustiva e della fauna (7.2).
I boschi naturali oppure i boschi di vaste estensioni vengono anche chiamati selveo foreste. In ogni caso si tratta di ecosistemi caratterizzati dalla presenza di essenze forestali, soprattutto arboree, che interagiscono con l’ambiente e con le altre componenti biotiche. Le foreste sono gli ecosistemi terrestri con la maggiore guantità di organismi viventi.

7.2 Fattori abiotici e biotici del bosco.
Il bosco e l’ambiente
L’area topograficamente definita sulla guale dominano condizioni ecologiche uniformi, caratterizzata da una stessa vegetazione naturale si chiama tecnicamente stazione. Per valutarne le caratteristiche è necessario innanzi tutto conoscerne la posizione geografica (latitudine, longitudine) e topografica (guota, esposizione, pendenza, assoluzione), il tipo di suolo, la dotazione idrica e il clima, sia guello regionale (macroclima) che guello stazionale (microclima).Tutte gueste caratteristiche, nel loro insieme, consentono di definire la fertilità stazionale, un parametro essenziale per valutare l’evoluzione, la composizione e la produttività biologica di un bosco. Se la fertilità è elevata, infatti, il bosco potrà essere molto produttivo e guindi in grado di sostenere la vita anche di molti esseri viventi, compreso l’uomo. In particolare le essenze forestali possono crescere al meglio e riprodursi se il selvicoltore sa rispettare le esigenze della specie in relazione ai principali fattori biotici (microrganismi e organismi vegetali ed animali), edafici (proprietà fìsiche, chimiche e biologiche del terreno), climatici (precipitazioni, temperature, luminosità, vento).
Ogni specie presenta una sensibilità alle variazioni di un dato fattore abiotico in base alla diversa valenza ecologica, cioè alla capacità di popolare ambienti con caratteristiche differenti. Si distinguono specie euriecie, guando tollerano notevoli variazioni e specie stenoecie, guando sopportano solo piccole variazioni di un fattore ecologico: ad esempio in relazione alla concentrazione salina del suolo o dell’acgua si hanno specie eurialine o stenoaline e in rapporto alle variazioni di temperatura si distinguono specie stenoterme ed euriterme.
Gli organismi viventi contribuiscono a determinare le caratteristiche di un dato terreno, portandolo a varie trasformazioni. Si tratta di batteri, actinomiceti, alghe, funghi, protozoi, nematodi, insetti, vermi, roditori, ecc. che vivono nel terreno, facilitano la sua areazione, sminuzzando e rimuovendo le particelle, partecipano alla trasformazione e degradazione della sostanza organica e alla produzione di sostanze inorganiche o minerali, facilitano i cicli della materia, risultando importantissimi per la nutrizione minerale delle piante.
Il suolo è lo strato detritico superficiale della crosta terrestre costituito da sostanze minerali e organiche, sede di attività biologica e di processi chimici. È capace di ospitare la vita delle piante, ma non in tutti i suoli crescono gli stessi tipi di piante, così che a suoli diversi corrispondono biocenosi diverse. Esistono, infatti, vari tipi di terreno che vengono classificati in base a proprietà chimiche e fisico-meccaniche.
La proprietà fìsica del terreno che lo identifica in base alla composizione percentuale delle sue particelle solide è la tessitura (o grana o granulometria). In base al diametro le particelle si possono distinguere in:
1. pietre (diametro maggiore di 20 mm);
2. ghiaia (diametro fra 20 mm e 2 mm);
3. sabbia (diametro fra 2 mm e 20 micrometri);
4. limo (diametro fra 20 e 2 micrometri);
5. argilla (diametro minore di 2 micrometri).
Pietre e ghiaia formano lo scheletro del terreno, le altre parti costituiscono la terra fina. Dalla dimensione delle particelle dipendono la capacità del terreno di trattenere l’acgua (più le particelle sono piccole più trattengono l’acgua) e di contenere aria.
Il modo con cui le particelle del terreno sono associate tra loro è detto struttura.
Un terreno può essere:
a. ghiaioso e ciottoloso - si tratta di un terreno costituito da particelle grossolane, molto sciolto, permeabile, povero di sostanze nutritive e poco capace di trattenere l’acgua;
b. sabbioso- costituito al 60% da sabbia e perciò ricco di silicio, è molto sciolto e permeabile;
c. argilloso- costituito da oltre il 20% di argilla. Il terreno diventa durissimo guando è bagnato, si spacca guando asciuga è asfìttico e di diffìcile lavorabilità;
d. umoso- terreno soffice, permeabile, ricco di sostanze organiche (humus \oltre il 20%) e di medio impasto. È il terreno migliore per la maggior parte delle piante, di facile lavorabilità, permeabile, contenente sufficienti sostanze nutritive.
In base alla natura del terreno, le piante si distinguono in frugali se si sviluppano su terreni scarsamente fertili o esigenti se abbisognano di terreni fertili, profondi e freschi. In base alle proprietà chimiche e in particolare al pH, cioè al grado di acidità, i terreni sono classificati in acidi, neutri, alcalini. Generalmente i terreni sabbiosi e umosi sono acidi, i terreni calcarei, argillosi e lavici sono alcalini (o basici). La maggior parte delle piante cresce in un terreno con valori di pH fra il 6,5 e il 7. Il pH riveste grande importanza per gli effetti che determina sulla vita della microflora e sull’assimilazione di alcune sostanze da parte delle piante che si distinguono in:
- acidofìle: amanti dei terreni acidi;
- calciofìle o basoffie: amanti dei terreni basici;
- alofìle: che sopportano la presenza di sale;
- indifferenti: guando la loro crescita non dipende dalla natura chimica del terreno.
Il clima rappresenta per le piante un fattore di estrema importanza tanto che i suoi elementi(calore e temperatura, umidità, luce, vento, pressione atmosferica, precipitazioni ed evaporazione) possono determinarne la crescita ottimale o al contrario decretarne la morte. In base alle esigenze che le varie specie mostrano in relazione agli elementi climatici, le piante si distinguono in vari modi come di seguito descritti.
Esigenze delle piante in funzione della temperatura (7.4):
- macroterme o termofile: preferiscono i climi caldi e vivono in ambienti generalmente aridi e degradati. Fra gli alberi si riconoscono la roverella (Quercus pubescens), l’orniello (Fmxinus ornus), l’acero campestre (Acer campestre L.), il sorbo (Sorbus domestica L.), il cerro (Quercus cerris L.) e invece tra gli arbusti e i rampicanti: l’agazzino (Pyracantha coccinea M. J. Roemer), la ginestra (Spartium junceum L.), il ligustro volgare (Ligustrum vulgare L.), il citiso a foglie sessili (Cytisus sessilifolius L.), il ginepro comune (Junipe-rus communis L.), il prugnolo (Prunus spinosa L.), la lentaggine (Viburnum tinus L.), il pungitopo (Ruscus aculeatus L.), la vitalba (Clematis vitalba), il caprifoglio etrusco (Lonicera etrusca Santi) ;
- microterme: amano climi freddi con breve stagione vegetativa. Vi appartengono il faggio (Fagus sylvatica L.), il sorbo montano o farinaccio (Sorbus aria L.), il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus L.) e le conifere microterme come il pino silvestre (Pinus syl-vestris) e l’abete rosso (Picea excelsa);
- mesoterme: prediligono i climi temperati con temperature tra 15 e 20 °C. Rappresentanti tipici delle piante mesoterme sono le specie mediterranee, come guelle appartenenti al genere Citrus, l’arancio (Citrus aurantium), il limone (Citrus limonum), il cedro (Citrus medica).

7.4 Rapporto calore-bosco.
Esigenze delle piante in funzione dell’umidità:
- xerofìle: sopportano ambienti secchi e siccitosi. Sono in grado di sopravvivere anche con scarsissime scorte di acgua (es. roverella, ginestra, erica, calluna);
- mesofìle: sono in grado di sopravvivere sia in terreni abbastanza aridi sia in terreni leggermente umidi (es. farnia, aceri, nocciolo) e vivono in zone temperate;
- igrofìle: utilizzano una grande guantità di acgua. Vivono in zone molto umide e piovose (es. pioppo, salice, ontano).
Esigenze delle piante in funzione della luce (7.6):
- eliofile: amano la luce come il castagno (Castanea sativa). Nel caso dei grandi alberi, come il faggio, nella stessa chioma si trovano foglie con caratteristiche eliofile (le più esterne e guelle in punta) e altre con caratteristiche sciafile (le più interne);
- sciafile: preferiscono l’ombra e crescono sotto le altre piante. In un sottobosco, tipicamente formato da piante sciafile, la luce disponibile è solo guella che riesce a filtrare attraverso il fogliame delle piante eliofile.

7.6 Rapporto luce-bosco
Zone climatico-forestali
Il clima esercita il controllo dominante anche sulla distribuzione dei principali tipi di vegetazione tanto che le aree che hanno teoricamente lo stesso clima e quindi sono soggette a condizioni uguali o simili tra loro, sono abitate da specie omogenee per quanto riguarda le esigenze climatiche.Al fine di stabilire la correlazione fra le condizioni dell’ambiente stazionale e le esigenze ecologiche di una o più essenze vegetali oggetto di coltivazione, occorre prima di tutto prendere in considerazione i fattori climatici, tenendo conto delle classificazioni fìtoclimatiche.
La classificazione fìtoclimatica del Pavari (1916), prende in esame alcuni parametri termici (temperatura media annua, temperatura media del mese più freddo, media dei minimi annui di temperatura) e pluviometrici (piovosità annua e relativa distribuzione stagionale).
Pavari individua diverse aree dette zone climatico-forestali, indicandole con il nome dell’associazione vegetale più frequente (7.7, 7.8 e 7.9):
1. zona del lauretum - tipi di bosco: macchia mediterranea; pinete; leccete; sugherete; cedui a foglia caduca;
2. zona del castanetum - tipi di bosco: castagneti da frutto; castagneti cedui; cerrete; querce di alto fusto; cedui misti e composti;
3. zona del fagetum - tipi di bosco: faggio di alto fusto; abete bianco di alto fusto; pino laricio di alto fusto; cedui puri o misti di faggio;
4. zona del picetum - tipi di bosco: abete rosso di alto fusto; lariceti; boschi misti;
5. zona dell’alpinetum - tipi di bosco: formazioni sparse di pino montano, pino cembro, larice, betulla, ontano verde.
Temperature °C | ||||
Zona, tipo, sottozona |
Media annua |
Media mese più freddo (limiti inferiori) |
Media mese più freddo |
Media dei minimi (limiti inferiori) |
A - Lauretum Tipo I(piogge informi) - sottozona calda |
15° a 23° | 7° | - |
-4° |
Tipo II (siccità estiva) - sottozona media |
14° a 18° |
5° |
- |
-7° |
Tipo III (piogge estive) - sottozona fredda |
12° a 17° |
3° |
- |
-9° |
B - Castanetum Sottozona calda |
|
|
|
|
Tipo I - senza siccità |
10° a 15° |
0° |
- 12° |
|
Tipo II - con siccità estiva |
|
|
|
|
Sottozona fredda |
|
|
|
|
Tipo I - con piogge 700 mm |
10° a 15° |
- 1° |
- 15° |
|
Tipo II - con piogge 700 mm |
|
|
|
|
C - Fagetum Sottozona calda |
7° a 12° |
- 2° |
- |
- 20° |
Sottozona fredda |
6° a 12° |
-4° |
- |
- 25° |
D - Picetum Sottozona calda |
3° al 6° |
-6° |
- |
- 30° |
Sottozona fredda |
3° a 8° |
-6° |
15° |
anche - 30° |
E - Alpinetum |
anche <2° |
- 20° |
10° |
anche - 40° |
7.7 Classificazione delle zone fitoclimatiche-forestali secondo Pavari e relative temperature.
Zona fitoclimatica | Specie forestali principali |
Lauretum | Leccio, roverella, sughera, cerro, pini mediterranei, specie della macchia mediterranea |
Castanetum | Castagno, cerro, rovere, farnia, carpino nero, pini neri, orniello, aceri, ecc. |
Fagetum | Faggio, abete bianco, aceri montani, frassino maggiore, ecc. |
Picetum | Abete rosso, pino silvestre, pino cembro, larice, betulla, ecc. |
Alpinetum | Pino mugo, pino cembro, larice, ontano verde, ecc. (individui sparsi nelle praterie o sulle rocce) |
7.8 Zone fitoclimatiche di Pavari e principali specie forestali

7.9 Carta delle zone fitoclimatiche in Italia di Pavari.
Le essenze arboree vegetano a quote diverse, a seconda del grado di resistenza al freddo e alla neve.
In genere sui versanti esposti a mezzogiorno gli alberi raggiungono quote più elevate rispetto ai versanti esposti a settentrione, perciò ogni zona si suddivide in più tipi e sottozone in base alla temperatura e, in alcuni casi, alla piovosità. Il limite della vegetazione arborea è pari a circa 2200 m s.l.m. L’altitudine caratterizza la distribuzione delle essenze vegetali (7.10).

7.10 Distribuzione dei boschi in fasce vegetazionali altitudinali.
Anche in relazione all’altitudine è stata stilata una classificazione (Carta della vegetazione reale del Fenaroli) in cui la vegetazione appare distribuita come se si succedessero, dal basso verso l’alto in senso altimetrico, tre “orizzonti” che possono essere a loro volta classificati come piano basale (corrisponde al lauretum e castanetum), submontano (corrisponde al fagetum e picetum) e montano (corrisponde all’alpinetum e alla vegetazione di alta montagna con arbusti striscianti, a praterie a zone nivali) (7.11 e 7.12).

7.11 Zone altitudinali della vegetazione nel Nord Italia a partire dalla costa (Giacomini e Fenaroli).

7.12 Zone altitudinali della vegetazione dell’Italia appenninica e mediterranea (Giacomini e Fenaroli).
In realtà, data la conformazione del territorio italiano, queste zone non possono avere lo stesso significato sulle Alpi o sull’Appennino meridionale per cui si può rilevare che:
1. il piano basale rappresenta il livello delle piante a foglie persistenti, le sempreverdi mediterranee dell’Appennino centro-meridionale e delle Isole;
2. il piano submontano è il livello delle latifoglie decidue, presente nella catena appenninica e nella zona inferiore della catena alpina;
3. il livello montano costituito da conifere è esclusivo delle Alpi e di piccole aree dell 'Appennino centro-settentrionale.
Tutti e tre questi “piani” di vegetazione sono interessati da suddivisioni interne e da fenomeni di transizione fra loro. Il passaggio da un piano all’altro, infatti, non è definibile con un confine fìsso, poiché la zona di transizione varia da luogo a luogo a volte anche di alcune centinaia di metri di altitudine e dipende da più fattori, quali per esempio esposizione, insolazione, venti.
Nel nostro Paese queste fasce di vegetazione, a cominciare dalle zone più calde vedono il passaggio dai boschi sempreverdi mediterranei, a quelli temperati caducifogli, fino a quelli dominati da conifere microterme, sono l’espressione più netta delle relazioni fra la vegetazione forestale e il clima. Nel 1994 il botanico Sandro Pignatti, studiando congiuntamente il clima e il paesaggio vegetale, dopo aver individuato grandi unità territoriali geografiche dette zone di vegetazione che a loro volta si possono suddividere in senso altitudinale in fasce di vegetazione, ha stilato un proprio sistema di classificazione (lavoro riassunto nell’Opera Flora d’Italia) (7.13). Qui di seguito è riportata la classificazione di Pignatti per le Alpi orientali e la pianura veneta e per l’Appennino e le zone insulari (7.14).

7.13 Distribuzione delle zone di vegetazione in Europa (Fonte: S. Pignatti).

7.14 Distribuzione delle zone (fasce) di vegetazione in Italia nelle aree: alpina (a) e appenninica (b) (Fonte: S. Pignatti).
Categoria forestale |
Boschi bassi |
Boschi radi |
Boscaglie |
Arbusteti |
Aree boscate inaccessibili o non classificate |
Totale altre terre boscate | ||||||
|
superficie (ha) |
ES (%) |
superficie (ha) |
ES (%) |
superficie (ha) |
ES (%) |
superficie (ha) |
ES (%) |
superficie (ha) |
ES (%) |
superficie (ha) |
ES (%) |
Boschi di larice e cembro |
0 |
- |
16346 |
15,1 |
0- |
|
- |
|
- |
|
16346 |
15,1 |
Boschi di abete rosso |
0 |
- |
3328 |
32,1 |
0- |
|
- |
|
- |
|
3328 |
32,1 |
Boschi di abete bianco |
361 |
100,0 |
404 |
100,1 |
0- |
|
- |
|
- |
|
765 |
70,8 |
Pinete di pino silvestre e montano |
441 |
100,1 |
350 |
99,3 |
0- |
|
- |
|
- |
|
791 |
71,0 |
Pinete di pino nero, laricio e loricato |
1622 |
50,1 |
2597 |
37,8 |
373 |
99,9 |
- |
|
- |
|
4592 |
28,9 |
Pinete di pini mediterranei |
2623 |
37,7 |
4726 |
27,6 |
388 |
99,8 |
- |
|
- |
|
7737 |
21,8 |
Altri boschi di conifere, pure o miste |
2239 |
40,8 |
1455 |
50,0 |
373 |
100,1 |
- |
|
- |
|
4067 |
30,2 |
Faggete |
3004 |
35,3 |
3653 |
31,6 |
366 |
99,3 |
- |
|
- |
|
7023 |
22,9 |
Boschi a rovere, roverella e farnia |
18189 |
14,2 |
33715 |
10,4 |
4108 |
30,1 |
- |
|
- |
|
5601 1 |
8,1 |
Cerrete, boschi di farnetto, fragno, vallonea |
5266 |
26,7 |
7014 |
22,5 |
1107 |
57,6 |
- |
|
- |
|
13388 |
16,5 |
Castagneti |
1139 |
57,7 |
11 19 |
57,6 |
11 19 |
57,6 |
- |
|
- |
|
3378 |
33,3 |
Ostrieti, carpineti |
16853 |
15,1 |
6208 |
24,3 |
2259 |
40,7 |
- |
|
- |
|
25320 |
12,2 |
Boschi igrofili |
1951 |
44,8 |
4158 |
30,2 |
4495 |
28,8 |
- |
|
- |
|
10604 |
18,9 |
Altri boschi caducifogli |
21041 |
13,4 |
22549 |
13,0 |
9799 |
19,6 |
- |
|
- |
|
53389 |
8,4 |
Leccete |
31216 |
10,9 |
17068 |
14,7 |
13797 |
16,4 |
- |
|
- |
|
62080 |
7,7 |
Sugherete |
2630 |
37,8 |
14366 |
16,0 |
746 |
70,8 |
- |
|
- |
|
17742 |
14,4 |
Altri boschi di latifoglie sempreverdi |
15657 |
15,4 |
7360 |
22,3 |
9746 |
19,6 |
- |
|
- |
|
32763 |
10,6 |
Arbusteti subalpini |
- |
|
- |
|
- |
|
121524 |
5.6 |
- |
|
121524 |
5,6 |
Arbusteti di clima temperato |
- |
|
- |
|
- |
|
178581 |
4.5 |
- |
|
178581 |
4,5 |
Macchia, arbusteti mediterranei |
- |
|
- |
|
- |
|
690811 |
2.0 |
- |
|
690811 |
2,0 |
Aree boscate inaccessibili |
- |
|
- |
|
- |
|
- |
|
398095 |
2.9 |
398095 |
2,9 |
Totale nazionale
|
124229 |
5,5 |
146415 |
4,9 |
48678 |
8,7 |
990916 |
1,7 |
398095 |
2,9 |
1708333 |
1,3 |
7.15 Estensione delle categorie forestali delle altre terre boscate, a livello nazionale (ES = errore standard in %).
7.2 Benefici, funzioni e classificazione del bosco
Numerosi sono i benefìci che l’uomo ottiene dai boschi: si va da quelli ecologici e ambientali come la salvaguardia della biodiversità e la riduzione dell’effetto serra, a quelli economici con i prodotti distinti in primari (legname) e secondari (erba, frutta, resine, funghi, tartufi, ecc.), da quelli protettivi del suolo e delle acque da frane, valanghe ed erosione, a quelli sociali in quanto il bosco è un elemento insostituibile del paesaggio, un bene pubblico da valorizzare e tutelare anche ai fini turistici (7.16).Questi benefìci derivano dal fatto che i boschi esercitano svariate funzioni. Innanzi tutto essi rivestono un ruolo fondamentale nell’equilibrio ecologico del nostro pianeta, perché combattono o moderano il cambiamento climatico grazie alla loro capacità di assorbire ed immagazzinare C02.
Attraverso la fotosintesi le piante assorbono la C02 presente nell’atmosfera, convertendola in biomassa e contemporaneamente rilasciando ossigeno. In questo modo i boschi costituiscono dei cosiddetti sink cioè dei magazzini di C02 all’interno del ciclo del carbonio.
Più un albero cresce velocemente, più carbonio assorbe. Ciò significa che le foreste in crescita contribuiscono a ridurre il livello di C02 nell’atmosfera. La funzione di regolazione climatica è svolta anche dai processi di evapotraspirazione della chioma che influenzano la quantità delle precipitazioni soprattutto quando le masse boschive sono di grandi estensioni. Sempre le chiome degli alberi svolgono una vera e propria funzione di filtraggio dell'aria contenendo i danni provocati dallo smog e assorbendo i rumori. Un’altra funzione essenziale del bosco è la funzione idrogeologica poiché le radici delle piante trattengono le particelle del terreno mentre la copertura vegetale, attenuando l'impeto della pioggia e allungandone il tempo di discesa al suolo, lo difende dall'erosione (7.17). L’ombra della chioma, inoltre, riduce l'evaporazione del suolo e l'intensità luminosa proteggendo il sottobosco.
Il ruolo di protezione consiste nel prevenire i pericoli naturali o nel mitigarne gli effetti quando l’evento pericoloso si è manifestato.Bisogna considerare che la prevenzione assume maggiore importanza ed efficacia rispetto alla mitigazione. Tenendo conto di tutti questi benefici l’uomo ha da sempre cercato di agire sul bosco per ottenere materia prima, nutrimento e difesa e lo ha plasmato secondo le esigenze che desidera soddisfare.
Produttiva o economica |
Costituzione ex novo di masse legnose da utilizzare, frutti del sottobosco e di prodotti secondari |
Idrogeologica |
Limitazione dell’erosione del suolo, azione regimante del deflusso idrico, approvvigionamento e conservazione delle falde acquifere e di regimazione delle sorgenti |
Sociale |
Fonte di lavoro |
Turistico-ricreativa |
Utilizzazione per scopi ricreativi, delle sue qualità paesaggistiche, bontà del microclima e capacità rilassante; fonte di lavoro |
Difesa e conservazione del patrimonio genetico e della sua variabilità |
Conservazione e protezione dei peculiari popolamenti animali e vegetali |
Punto di partenza di molte catene trofiche |
Biocenosi tipiche delle foreste delle diverse aree geografiche ed ecologiche |
Habitat specializzato per particolari biocenosi di animali e piante |
Ambiente di conservazione per le cenosi animali e vegetali peculiari dei diversi tipi di foreste |
Conservazione di ultimi residui lembi di naturalità |
Mantenimento degli ultimi ecosistemi forestali tipici delle diverse aree fìtoclimatiche |
Igienico sanitaria/ambientale |
a) la regolazione dell’equilibrio 02/C02, e soprattutto la funzione di ritenzione esplicata dal legno, dalla lettiera e dal terreno b) filtro e abbattimento degli inquinanti gassosi e/o particolati anche da parte di materiale vegetale morto c) depurazione biologica con emissione di sostanze battericide o fungicide d) assorbimento e diminuzione della radioattività e) abbattimento dell’inquinamento acustico f) depurazione delle acque |
Monitoraggio ambientale o di bioindicazione della qualità dell’ambiente |
Considerate le sue qualità di filtro degli inquinanti atmosferici, il bosco evidenzia le soglie di pericolosità ed i sinergismi dei vari polluenti |
7.16 Funzioni del bosco.
Bosco sito in zona di
|
Formazione
|
Transito
|
Deposito
|
Caduta massi (0 > 2 m) |
+ + |
+ |
+ |
Erosione superficiale |
+ + |
+ |
- |
Frane superficiali (< 2 m) |
+ |
+ |
+ + |
Frane mediamente profonde (2-10 m) |
- |
+ |
+ + |
Frane profonde (> 10 m) |
- |
- |
- |
Lave torrentizie |
+ |
+ |
+ + |
Torrenti con trasporto di materiale |
+ + |
+ |
+ |
Valanghe |
+ + |
- |
- |
7.17 Bosco: efficienza della funzione protettiva.
Legenda: ++ = grado di protezione buono; + = ridotto; - = scarso.
APPROFONDIMENTO
Le classificazioni arboree
Le classificazioni arboree sono state predisposte al fine di poter relazionare in modo obiettivo descrivendo il popolamento arboreo che costituisce il bosco, che presenta vari stadi temporali a cui segue una sorta di differenziazione sociale causata dal diverso grado di accrescimento e di concorrenza.Nel 1884 Kraft realizzò una classificazione arborea che è ancora ampiamente utilizzata.
Classe |
Descrizione |
1
|
Alberi predominanti con chioma eccezionalmente vigorosa |
2
|
Alberi dominanti con chioma normalmente sviluppata; questi costituiscono la maggior parte del soprassuolo principale (e quindi sono il termine di riferimento per le altre classi) |
3 |
Alberi scarsamente codominanti con chioma di forma naturale, ma non completamente sviluppata, ristretta, spesso con qualche sintomo degenerativo (apici marginali secchi, rami angolosi) |
4 |
Alberi dominanti con chioma più o meno ridotta, compressa perifericamente o bilateralmente o a sviluppo unilaterale. Gli alberi dominanti possono essere interposti con chioma compressa dalle vicine, ma non compenetrata con esse e parzialmente sottoposti con chioma libera superiormente, compenetrata con le vicine, o secca nella parte inferiore |
5 |
Alberi completamente sottostanti con chioma ancora vivente oppure morta o morbida. Le classi 4 e 5 appartengono al soprassuolo accessorio |
Classificazione dei boschi
I criteri di classificazione dei boschi tengono conto della specie legnosa da cui sono composti, dell’età, del modo di rinnovarsi e della struttura spaziale:1. Boschi puri e boschi misti: sono puri se costituiti da una sola specie, misti se composti da più specie.
2. Boschi coetanei e boschi disetanei: sono coetanei guelfi costituiti da piante che hanno tutte più o meno la stessa età; sono disetanei guelfi composti da piante che hanno età diverse fra di loro.
3. Boschi artificiali e boschi naturali: sono artificiali guei boschi impiantati o seminati dall’uomo, mentre sono naturali i boschi sviluppatisi senza l’intervento antropico.
4. Boschi monoplani, boschi biplani, boschi stratificati: nei primi le altezze dei singoli alberi non presentano differenze significative, con le chiome disposte su un unico piano, ben distinto dalla zona sottostante in cui sono presenti solo i fusti; nei secondi le chiome sono posizionate su due piani distinti e sovrapposti; nei boschi stratificati le chiome sono situate ad altezze diverse, sovrapposte e/o affiancate.
7.3 Impianto del bosco
L’impianto di un bosco deve essere realizzato secondo precisi criteri e in rapporto alla situazione ambientale tenendo particolarmente conto delle caratteristiche del terreno, dell’ambiente ed eventualmente della copertura vegetale già presente.I nuovi impianti boschivi avvengono in modo differente a seconda che si presentino due situazioni distinte: una in cui non ci sia il bosco e lo si debba impiantare ex novo (in guesto caso si parla di imboschimento) e una in cui sia già presente e lo si voglia conservare e migliorare (rimboschimento) .
Il rimboschimento può essere artificiale, se effettuato dall’uomo, oppure naturale se avviene spontaneamente, grazie alle sementi trasportate dal vento o dagli animali. In guest’ultimo caso si parla più propriamente di colonizzazione forestale. Il rimboschimento è giustificato da considerazioni di ecosostenibilità e sviluppo sostenibile e non va confuso con il rinnovamento del bosco, cioè con la crescita di nuove piantine in terreni boscati, in cui gli alberi sono stati tagliati dall’uomo o distrutti da calamità naturali. In guesto caso non si cambia la destinazione d’uso del suolo, ma si tende a conservare lo stato di fatto, mentre col rimboschimento vi è un cambio di destinazione d’uso del suolo.
Di grande importanza è la scelta delle piante sia che si tratti di una singola specie nel caso si voglia impiantare un bosco monofìtico o di più specie per un bosco polifìtico. In ogni caso è bene individuare e scegliere guelle specie che anche con l’evoluzione naturale si sarebbero insediate autonomamente. La scelta delle specie per rimpianto di un bosco monofìtico è più facile perché ogni singola pianta ha le stesse esigenze in fatto di luce, suolo e degli altri fattori ambientali mentre per la consociazione di più specie, è necessario impiegare essenze forestali simili per temperamento e modalità di accrescimento in modo da non creare competizione fra loro. La commercializzazione del materiale di propagazione forestale (semi, piantine e parti di pianta) è normato dalla direttiva europea 1999/105/Ce recepita con d. legisl. 10 novembre 2003, n. 386, che sostituisce le precedenti leggi nazionali. In base alla direttiva europea 1999/105/Ce i materiali di propagazione (seme o propaguli destinati alla moltiplicazione vegetativa) devono provenire dai cosiddetti materiali di base (arboreti da seme, singole piante, popolazioni di alberi ed arbusti). La semente deve provenire da piante sane, in buone condizioni vegetative, né troppo giovani (scelte dopo 5-10 anni dall’inizio della piena fruttificazione), né troppo vecchie, evitando le piante che sono in condizioni vegetative scadenti e che presentano difetti di forma.
I rimboschimenti possono essere eseguiti per semina diretta o per piantagione. Da alcuni anni si è maggiormente sviluppata la pratica della piantagione, anche perché la semina diretta in campo risulta assai onerosa, soprattutto per l’alto costo delle sementi.
Semina
Il seme può essere acguistato, ma è consigliabile raccoglierlo direttamente dal bosco per evitare di introdurre nel terreno piante non autoctone. La raccolta dei semi sulle piante (scelte per la resistenza alle avversità, per le forme, per la precocità e per la gualità del prodotto ricavabile), deve essere eseguita a maturazione e prima che avvenga la disseminazione naturale, fatta eccezione per i semi grossi. Quando il processo avviene per mezzo della disseminazione da piante preesistenti o da guelle circostanti, si ha la rinnovazione naturale.Prima della semina è bene effettuare sui semi trattamenti con fitofarmaci in grado di favorirne la germinazione, di preservarli dagli attacchi parassitari o di fungere da repellenti per i roditori. La semina avviene in primavera o in autunno. Nel primo caso ha lo scopo di ridurre al massimo la permanenza dei semi prima della germinazione e di scongiurare il pericolo dei roditori; nel secondo caso si effettua guando si tratta di semi che si conservano diffìcilmente (come quelli del faggio che perdono velocemente la facoltà germinativa a causa del contenuto in grassi che irrancidiscono) o richiedono un lungo periodo per germinare. La quantità di semente da usare può variare in funzione della loro dimensione e della densità che si vuole ottenere, considerando anche la frazione che non germinerà: ad esempio per il castagno è 700 kg/ha, per il carpino 50 kg/ha, per il frassino 50 kg/ha, per il pino d’Aleppo 15 kg/ha, per le querce 600 kg/ha. La tecnica di semina è solitamente “a spaglio” gettando il seme a manciate in buche, solchi, piazzole, strisce o gradoni, ma può avvenire anche su terreni non lavorati perché molto pietrosi o sabbiosi (es. le dune litoranee).
La profondità alla quale interrare il seme varia con la sua dimensione e di solito deve essere compresa tra 1 e 5 cm (7.22). Se la semina viene effettuata in vivaio, si semina a righe o a solchetti a una distanza che varia dai 10 ai 25 cm, a una profondità pari, generalmente, a 2-3 volte la dimensione del seme. Si effettua la raccolta quando i semi hanno raggiunto la maturazione, prima della naturale disseminazione. Per quanto riguarda i semi di grosse dimensioni (es. castagne, ghiande), si procede alla raccolta dopo la caduta a terra.
Piantagione
Quando si hanno condizioni poco idonee alla germinazione del seme o particolarmente degradate con suoli erosi che non consentono di avere, in tempi relativamente brevi, la ricostituzione spontanea del manto forestale, si procede con la messa a dimora di piantine e si parla allora di rinnovazione artificialeo impianto artificiale di un bosco. L’insieme di pianticelle da trapiantare è detto postime. Le pianticelle vengono coltivate in vivaio seguendo due metodi di allevamento: in pieno campo e in contenitore, la cui scelta dipende dalle caratteristiche botaniche della specie, dalla economicità produttiva, dalla tipologia del prodotto richiesto. Sia nel semenzaio che nel piantonaio, le piantine sono solitamente estratte (manualmente o a macchina) a radice nuda.L’età del postime è specificata da sigle che indicano il periodo di permanenza in semenzaio (S) e in piantonaio (T). Ad esempio: 1 S = semenzale di 1 anno; 2 S 1T (oppure semplicemente 2 + 1) = trapianti di 3 anni allevati 2 anni in semenzaio e 1 in piantonaio. Le dimensioni del postime di essenze forestali variano a seconda della specie, dell’età e delle tecniche colturali impiegate. In genere l’altezza del postime va da circa 30 cm a 70-80 cm.
La piantagione in giornate troppo fredde o con forte vento è sconsigliata. Nelle zone a forte siccità estiva è consigliabile impiegare piantine, sia di latifoglie che di conifere col pane di terra in guanto sarà più alta la percentuale di attecchimento, mentre nelle zone a piovosità più elevata (superiore a 700 mm) si possono impiegare sia piantine a radice nuda che col pane di terra. In generale vengono impiantati a radice nuda castagni, noci, aceri, bagolari e frassini e, a seconda del suolo, pini e cedri. Le guerce e molte specie sia arbustive che arboree (leccio, sughera, cipressi, pini, corbezzolo, mirto, lentisco, ecc.) vanno direttamente piantate in fìtocella perché sopportano male il trapianto a radice nuda. Generalmente si usano piantine da 2 a 5 anni, la cui messa a dimora avviene in buche di dimensioni che variano rispetto alla grandezza della pianta.
Tenendo presente che tanto più la pianta è sviluppata e tanto maggiori sono le probabilità di danneggiarla, si devono guindi sistemare le radici su uno strato di terra smossa, allargarle e ricoprirle con terra fino al colletto. Per il collocamento a dimora delle piantine, è preferibilmente l’autunno (ottobre-novembre, cioè inizio della stagione piovosa) poiché le piante, specialmente le conifere mediterranee, hanno più tempo per sviluppare l’apparato radicale prima della stagione siccitosa dell’estate seguente. Il periodo potrà protrarsi fino a tutto aprile, salvo, un particolare andamento climatico caldo che potrebbe anticipare il risveglio vegetativo rendendo diffìcile l’attecchimento.
Specie legnosa |
Profondità (cm) | |
da | a | |
Abete rosso e larice |
0,4 |
1 |
Abete bianco |
1,5 |
2 |
Faggio |
2 |
3 |
Frassino, olmo, carpino, betulla |
0,2 |
0,5 |
Pino domestico |
2 |
3 |
Pino marittimo |
1,5 |
2,5 |
Pino nero |
1 |
2 |
Pino silvestre |
0,7 |
1,5 |
Quercia, castagno |
3 |
5 |
Tiglio, robinia, acero |
1,2 |
1,4 |
7.22 Profondità di interramento dei semi per le principali specie forestali
Preparazione del terreno
In alcuni casi si adottano metodi speditivi di piantagione senza una preparazione preliminare del suolo, specie per impianti sotto copertura, in terreni con buone caratteristiche e limitata concorrenza della vegetazione infestante.In altri casi si scavano buche, in altri solchi, in altri gradoni. Le prime, dette anche formelle, di larghezza e profondità di circa 30-40 cm, sono realizzate durante l’estate precedente all’impianto con strumenti manuali o con trivella meccanica. I secondi sono tracciati gualche mese prima dell’impianto con l’aratro o con la zappa e devono essere lasciati aperti in caso di terreni compatti.
I gradoni, detti anche terrazze, sono idonei per i terreni con notevole pendenza dove costituiscono piccoli ripiani, lavorati a 30-40 cm di profondità e larghi 70-90 cm, che seguono le curve di livello.
Solitamente rimpianto del bosco viene eseguito mediante messa a dimora di piantine originate da semi (semenzali o trapianti) o da talee o barbatelle. In genere si impiega il postime proveniente da vivaio, dove è stato allevato per 1-3 anni, in fìtocella oppure a radice nuda. Il numero di piantine per ettaro varia a seconda del luogo e delle specie da impiegare da circa 2000 a 10000 piantine/ha, guando si vuole ricoprire più rapidamente il suolo.
I giovani individui che si svilupperanno dopo rimpianto, se troppo numerosi, entreranno in competizione per il cibo, lo spazio, la luce con altre specie vegetali perciò sarà necessario tenere sotto controllo la densità delle piante. Si rende talvolta necessario ricorrere a recinzioni e/o adeguati shelter per proteggere le giovani piante durante la delicata fase iniziale dello sviluppo dagli eventuali danni provocati dalla fauna selvatica, in particolare dagli ungulati.
Accrescimento del bosco e stadi evolutivi
Dal momento in cui gli alberi si insediano, fino a guando raggiungono la maturità, si accrescono continuamente, sia in altezza (per l’allungamento dell’asse principale), sia in diametro (a opera del cambio cribro-vascolare, che produce ogni anno nuovo legno), sia in volume (prodotto dalla somma di entrambi). Ad esempio, durante il suo sviluppo il bosco ad alto fusto attraversa vari stadi, ciascuno con caratteristiche diverse.La prima fase evolutiva è detta novelleto (o posticcia se di origine artificiale): il bosco è composto da un gran numero di piantine piccole, con chioma che avvolge tutto il tronco e ramificazione disposta fino a terra. Essendoci spazio tra gli individui, non c’è competizione fra i giovani alberi che sono illuminati da tutti i lati e dall’alto anche se, soprattutto nei primi anni, può esserci con le piante erbacee.
Segue la fase detta spessina o forteto, in cui le chiome, accresciutesi, vengono a contatto tra loro. Tra le piante si instaura una notevole concorrenza e inizia una selezione che comporta mortalità elevata delle piante più stentate e accrescimento più lento. Queste sono ombreggiate da guelle capaci di dominare che si espandono sempre più, sfruttando al meglio la radiazione solare in modo tale che le chiome tendano ad occupare la parte più alta, mentre i rami bassi cominciano a seccare.
La fase seguente è detta perticala: con il diverso accrescimento degli alberi nel bosco si originano due piani, dei guali uno viene occupato dagli alberi dominanti che tendono la chioma ancor più in alto e un altro, definito dominato, costituito da alberi più bassi.
Con l’accrescimento sia di altezza sia di diametro, si entra nella fase di fustaia. Essa va dalla culminazione dell’incremento diametrico fino alla culminazione dell’incremento in volume, in cui le chiome sono sempre più in alto e la mortalità è assai contenuta rispetto agli stadi precedenti. Seguono le fasi di bosco adulto, in cui le piante hanno raggiunto il massimo accrescimento diametrale, di bosco maturo, guando è adatto al taglio per età e dimensione, e di bosco stramaturo, guando non è ancora utilizzato dopo la maturità.
RIASSUMENDO
zona del lauretum, zona del castanetum, zona del fagetum, zona del picetum e zona dell’alpinetum e sono distribuiti in base all’altitudine, dal basso in alto, in tre “orizzonti”: piano basale, submontano e montano.