Capitolo 6 Sistemi agricoli, agricoltura montana e agroforestazione

Capitolo 6 - Sistemi agricoli, agricoltura montana e agroforestazione



Concetti chiave

  • Sistemi agricoli
  • Agricoltura di: sussistenza, itinerante, piantagione, mercato, commerciale contadina, pianificata, collettiva
  • Sistemi agricoli ad alto valore naturale
  • Agricoltura montana
  • Agroforestazione
  • Piattaforma europea dell’agroforestazione
  • 6.1 Tipologie di agricoltura

    L’agricoltura è l’attività economica più diffusa sulla superficie terrestre e costituisce la principale occupazione per i due terzi della popolazione del Sud del mondo. In Italia, l’87% del territorio è costituito dal paesaggio rurale, distinto in agrario e forestale. Il territorio è un sistema fondamentale di interconnessione fra l’attività umana e l’ambiente poiché risulta evidente la capacità dell’uomo di influire su di esso direttamente (ad esempio con l’aumento della fertilità del suolo) e indirettamente attraverso l’ecosistema circostante come le siepi che non sono solo un significativo elemento paesaggistico, ma anche l'habitat ideale per la flora e per la fauna.
    Le trasformazioni del territorio infatti, sono divenute sempre più rilevanti da guando l’uomo, da cacciatore e raccoglitore di bacche ed erbe selvatiche, ha cominciato ad allevare gli animali e a coltivare il suolo per raccoglierne i frutti, tagliando gli alberi per liberare il terreno e utilizzare il legname, dissodando le terre per metterle a coltura, bonificando le aree di palude, regimando gli alvei dei corsi d’acgua per renderli utilizzabili per gli usi irrigui e potabili, costruendo strade e sentieri per spostarsi più agevolmente, adottando il governo del bosco.
    Le arature profonde e l’introduzione della rotazione delle colture determinarono il rapido aumento della produzione, che consentì di alimentare una popolazione sempre più numerosa e di inaugurare il commercio dei prodotti della terra. A mano a mano che le tecniche colturali progredirono con l’introduzione di fertilizzanti chimici, erbicidi, pesticidi e venne sostituita l’energia umana e animale con guella delle macchine, aumentarono le coltivazioni specializzate, erbacee ed arboree, caratterizzate da maggiore produttività e minori costi. L’affermazione della grande impresa specializzata in una o poche produzioni e la diffusione di nuove specie vegetali a resa elevata, crearono un sistema agricolo complesso e differenziato.
    I frutteti e i vigneti si affermarono come colture ad alto reddito, mentre le colture industriali, l’allevamento razionale e la foraggicoltura diventarono i cardini della produzione di un’economia agricola basata su un modello di efficienza e di innovazione rivolto a produrre eccedenze destinate al mercato.
    In relazione al modo con cui l’agricoltura tende a raggiungere il massimo della produzione, coesistono due forme: intensiva, che raggiunge lo scopo attraverso un notevole impiego di lavoro o di capitale, per unità di terreno coltivato ed estensiva, che lo fa con minimi investimenti e scarso uso di macchinari per unità di persona impiegata. In guesto caso i suoli a disposizione sono molto estesi ma spesso una parte di essi è lasciata a riposo o adibita al pascolo. Nell’agricoltura intensiva tradizionale era prevalente il lavoro diretto dell’operatore agricolo che produceva soprattutto per soddisfare le esigenze alimentari della sua famiglia. Mentre l’agricoltura intensiva moderna richiede, per intensificare le colture, continui investimenti nella meccanizzazione, nella predisposizione di sistemi di irrigazione e di infrastrutture agricole.
    La distinzione fra i vari tipi di sistemi agricoli esistenti oggi nel mondo deriva dall’organizzazione degli spazi e delle economie.
    L’agricoltura di sussistenza, presente in molti Paesi del terzo mondo (Africa, America Latina, India, Indonesia, Asia di Sud-Est, Filippine, arcipelaghi dell’Oceano Pacifico), è destinata al consumo alimentare diretto ed è esercitata mediante tecniche tradizionali (lavoro manuale e strumenti tradizionali). Comprende sistemi agricoli “naturali” che prevedono limitati scambi di prodotti, sia in moneta sia in natura, con i gruppi più vicini. Tale forma di agricoltura è caratterizzata dalla policoltura, cioè dalla  coltivazione di diverse specie vegetali in una stessa area, essendo il territorio coltivabile esiguo in rapporto all’elevata densità della popolazione.
    Un sistema tipico di agricoltura tropicale umida, praticata delle genti seminomadi dell’Asia sud-orientale e dell’America meridionale, è l’agricoltura itinerante (del ladang). Si tratta di un sistema di coltura caratterizzato da uno sfruttamento discontinuo della terra considerata un bene collettivo. La semina delle colture alimentari necessarie alla popolazione del villaggio è preceduta da disboscamento ad opera del fuoco, che serve non solo a liberare la zona dalla vegetazione spontanea, ma anche a concimare con le ceneri il nuovo terreno agricolo. Le piante vengono coltivate sullo stesso appezzamento per circa due anni, dopo di che il terreno si impoverisce delle sostanze nutritive e diventa improduttivo; pertanto il gruppo, si sposta in un’altra zona della foresta dove ricomincia il ciclo dei lavori con il taglio della vegetazione spontanea.
    Lungo le coste e le vie navigabili interne, soprattutto del Sud del mondo, si è sviluppata, fin dall’epoca coloniale, l’agricoltura di piantagione, interamente votata all’esportazione. Essa viene praticata in grandi aziende gestite da latifondisti locali o da multinazionali dove si coltiva un limitato numero di prodotti (guasi sempre inutili all’alimentazione delle popolazioni locali) per i guali si possono individuare grandi regioni specializzate monocolturali.
    Numerose estensioni a monocoltura si localizzano nelle regioni agricole dei paesi industrializzati (America del Nord, Europa, Australia) da cui provengono enormi guan-tità di cereali e prodotti dell’allevamento.
    Un fattore essenziale per il funzionamento di guesta agricoltura, detta agricoltura di mercato (o capitalistica dei grandi spazi) perché guasi tutta la produzione è destinata alla vendita, è la disponibilità guasi illimitata di spazio che permette all’agricoltore di ottenere produzione e redditi elevati e di essere molto competitivo sul mercato mondiale, nonostante la resa per ettaro sia meno alta rispetto alle aree di coltivazione intensiva.
    La vastità dell’azienda consente di adeguare l’offerta al variare della domanda e di adattarsi rapidamente alle nuove tecniche e ai macchinari, grazie ai guali non è necessaria una grande guantità di manodopera. L’agricoltura capitalistica è altamente speculativa e caratterizzata dalla grande distanza che separa i luoghi della produzione
    In molti paesi sviluppati è presente l’agricoltura commerciale contadina che si differenzia dalla precedente per la forma di conduzione familiare e per il tipo di mercato cui si rivolge: mercati urbani, regionali o nazionali relativamente vicini ai luoghi di produzione.
    L’attività agricola, legata alla meccanizzazione e all’adozione di nuove tecniche colturali, negli ultimi decenni si è trasformata e specializzata cosicché i suoi prodotti sono coltivati su appezzamenti molto piccoli e trasportati rapidamente al mercato.
    All’agricoltura capitalista si contrappone l’agricoltura pianificata praticata nei Paesi di ideologià comunista. Attraverso dei piani della durata generalmente di cingue anni, lo Stato decide i beni da coltivare e la guantità da produrre ogni anno, acguista i prodotti, paga i contadini e fìssa il prezzo delle merci da vendere ai consumatori. L’agricoltura collettiva è una forma agricola israeliana rappresentata dai kibbutz, cioè villaggi in cui la vita delle famiglie si svolge in comune, e dai moshav ovdim che sono villaggi agricoli in cui l’organizzazione produttiva è basata sulla cooperazione.

    6.2 Sistemi agricoli in Italia

    Un sistema agricolo è costituito da un insieme di componenti strutturali che interagiscono in modo sistematico fra loro, in relazione agli aspetti ambientali, economici e sociali(6.7). Dal punto di vista strutturale i sistemi agricoli sono rappresentati da:
    a. ambiente fìsico e biologico nel guale si svolgono le attività;
    b. imprese agricole, zootecniche, forestali, agrituristiche, ecc. ;
    c. industrie che manipolano, conservano, trasformano i prodotti primari;
    d. fornitori di mezzi tecnici necessari per la produzione;
    e. mercati e logistica;
    f. consumatori di prodotti e servizi e fruitori dell’ambiente in generale;
    g. istruzione, ricerca e innovazione;
    h. istituzioni che governano il territorio e le attività produttive.


    6.7 Sistema agricolo integrato

    Rapporti tra sistema agricolo e sistema di ricerca finalizzato all’innovazione

    I fattori che influenzano i sistemi agricoli sono la globalizzazione e il “global change" (cambiamento globale), l’accesso a informazione e comunicazione, i cambiamenti demografici, la richiesta di biosicurezza, gli aiuti governativi, le conoscenze scientifiche e tecnologiche. Queste ultime sono fondamentali per sviluppare tecnologie innovative che comportano relazioni tra i nuovi fattori produttivi (terreno, mezzi biologici, input energetici, lavoro umano, investimenti) e consentono di generare moderni impianti, processi e macchine. Le nuove tecnologie applicate ai sistemi agricoli devono puntare alla gualità dei prodotti in termini di salubrità e valore nutrizionale, tenendo conto della competitività di mercato e della sostenibilità delle imprese, senza trascurare gli aspetti collegati al basso impatto ambientale e alla conservazione delle risorse.
    Si parla di sistema agricolo sostenibile (6.8) guando sono rispettati i seguenti principi:
    1. impiego di varietà e razze locali, valorizzandone la diversità genetica e migliorando l’adattamento al variare delle condizioni ambientali;
    2. efficiente e razionale utilizzazione delle risorse e dell’energia non rinnovabile evitando l’uso di tecnologie che incidono negativamente sull’ambiente e sulla salute umana;
    3. valorizzazione dei processi agroecologici e controllo biologico mediante sistemi produttivi innovativi all’insegna della biodiversità funzionale;
    4. riduzione dell’impronta ecologica del sistema produttivo, di distribuzione e consumo, tramite la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e l’inguinamento del terreno e delle risorse idriche;
    5. introduzione delle tecniche che incrementano la disponibilità di acgua potabile, il seguestro del carbonio, la conservazione della biodiversità e del suolo;
    6. eguilibrio tra la capacità di adattamento a lungo termine e l’efficienza a breve termine;
    7. conservazione dinamica del patrimonio agricolo.


    6.8(b) Rappresentazione e schema di flusso di come è possibile vivere in modo sostenibile: ogni azione richiama una nuova reazione.

    Sistemi agricoli ad Alto Valore Naturale (AVN)

    Le politiche europee dimostrano un notevole interesse per la conservazione della biodiversità, come si evince dalla “strategia sulla biodiversità 2020” e dalle “finalità della politica agricola comunitaria”.
    Le aree agricole AVN sono guelle aree dove “l'agricoltura rappresenta l'uso del suolo principale (normalmente quello prevalente) e l’agricoltura mantiene, o è associata, alla presenza di un elevato numero di specie e di habitat, e/o di particolari specie di interesse comunitario, nazionale o locale".
    I sistemi agricoli estensivi, spesso tradizionali, che mantengono un elevato numero di elementi caratteristici del paesaggio, assumono un ruolo fondamentale per guanto riguarda la tutela della biodiversità, perché possono creare habitat specifici per un elevato numero di specie animali e vegetali. Contemporaneamente è la dipendenza della biodiversità da determinate pratiche agricole a contraddistinguere l’area agricola ad Alto Valore Naturale (AVN), come i prati permanenti e i pascoli, gli allevamenti estensivi, i seminativi estensivi, le coltivazioni permanenti estensive, la policoltura estensiva. I sistemi agricoli AVN in Italia occupano circa 3 milioni di ettari (il 24% della SAU totale e il 10% della superfìcie territoriale) e oltre 1 milione di ettari di terreni collettivi (1/3 delle aree AVN) (6.9 e 6.10). Le aziende di piccole dimensioni (<4 UDE) rappresentano il 10% circa delle aree agricole AVN.


    6.9 Distribuzione aree AVN per regione (% su AVN totale).


    6.10 Ripartizione aree AVN per provincia (% su SAU).

    L’unità di dimensione economica (UDE) di un’azienda agricola corrisponde a 1.200,55 euro di Reddito Lordo Standard (RLS) aziendale.
    Le aree AVN in Italia sono così distribuite: Nord 35%, Centro 21%, Sud e Isole 44%.
    In base alle recenti tendenze, si nota una progressiva evoluzione dell’impresa agricola da settore produttivo, storicamente in declino, ad attività multifunzionale a elevata valenza per la coesione e la competitività territoriale (6.11 e 6.12).
    L’agricoltura sta riacguistando un ruolo centrale nell’ambito dello sviluppo socioeconomico territoriale. È in atto un profondo cambiamento delle imprese agricole che conduce verso assetti organizzativi e produttivi sempre più multifunzionali, caratterizzati da maggiore gualità e tipicità e integrati in ambito ambientale, paesaggistico, energetico e sociale, ampliando così il ruolo del territorio rurale.


    6.11 II grafico indica la distribuzione delle tipologie dei sistemi agricoli AVN in Italia.


    6.12 II grafico indica la distribuzione geografica del territorio italiano.

    6.3 Agroforestazione

    Fino a poco più di 50 anni fa, il paesaggio agricolo delle zone pianeggianti (Pianura Padana) era rappresentato dalla piantata, costituita da lunghi e stretti campi bordati da entrambi i lati da filari di alberi a capitozza maritati o meno alle viti. Le piante che fungevano da tutore vivo avevano sempre una funzione plurima: l’acero campestre dava fascine e piccola legna da ardere, il noce forniva legname da lavoro, legna da ardere e frutti, mentre dell’olmo campestre si utilizzava la frasca come succedaneo di altri foraggi per il bestiame. Tipici erano i filari di gelsi, la cui funzione primaria era la produzione di foglie per l’allevamento del baco da seta, disposti con spaziatura regolare (25-50 m) fra gli arativi e i prati o ai bordi di fossi e scoline, dove svolgevano anche la funzione di consolidamento delle sponde.
    In seguito ai processi di ricomposizione fondiaria e allo sviluppo della meccanizzazione agricola, per la quale gli alberi hanno rappresentato sempre più un intralcio, il loro numero si è ridotto di tre quarti.
    Da tempo si sta sviluppando sempre più l’agroforestazione, una tecnica agricola in cui alberi e cespugli e siepi sono coltivati o mantenuti in associazione con colture agricole erbacee, con pascoli e con l’allevamento animale. Si tratta di una gestione organizzata su sistemi ecologici e sull’uso sostenibile di risorse naturali che, mediante l’integrazione di alberi nel sistema agricolo, diversifica e sostiene la produzione per incrementare i benefìci sociali, economici e ambientali dell’uso della terra a tutti i livelli: conservare la fertilità dei suoli, incrementare la lotta biologica, diversificare i redditi di gestione, ridurre gli apporti energetici.
    L’agroforestazione è una sorta di condivisione delle risorse disponibili tra alberi e colture.
    La moderna agroforestazione è caratterizzata da basse densità di alberi a ettaro, sesti distanziati, filari, produzioni diversificate. Lo scopo di questa combinazione è una gestione basata su sistemi ecologici e sull’uso sostenibile di risorse naturali per il raggiungimento di un’elevata funzionalità ambientale, economica e sociale.
    La tecnica dell’agroforestazione può essere sia spaziale che temporale. Nel primo caso si effettua quando le piante crescono nello stesso campo, nel secondo caso quando crescono in un terreno a riposo dopo una coltura produttiva. Lavorando sulla gestione dei terreni e la diversificazione delle specie, si cerca di passare da un sistema intensivo, che richiede apporti esterni (energia, chimica), verso un sistema intensivo, che valorizza le risorse naturali disponibili.
    Non si può escludere che fra le essenze arboree ed erbacee si possa creare una competizione per la propria nicchia ecologica, ma in concreto si instaurano relazioni importanti che consentono l’insediamento sia delle une che delle altre.
    L’agroforestazione è una delle tecniche agronomiche raccomandate dal Protocollo di Kyoto e dal GIEC (Gruppo Esperti Intergovernativi sull’Evoluzione del Clima) per attenuare il cambiamento climatico limitando l’aumento del livello di C02 in atmosfera.
    La complementarietà tra gli alberi e le colture erbacee, infatti, fa sì che entrambi traggano benefìci perché si crea una sinergia che consente di ottimizzare lo sfruttamento delle risorse naturali come luce, acqua e nutrienti.
    La luce viene catturata dalle chiome e trasformata in energia chimica, e quindi in sostanza organica, attraverso la fotosintesi che contemporaneamente prende dall’atmosfera una grande quantità di anidride carbonica contribuendo a ridurre l’effetto serra.
    I nutrienti si riciclano attraverso complicati cicli biogeochimici costituendo la fertilità dei suoli nei quali si ha l’incremento della sostanza organica mediante rapporto della lettiera derivante dalle foglie degli alberi, mentre gli apparati radicali in profondità ne migliorano la struttura e la porosità, frenano l’erosione e fanno da filtro naturale riducendo la penetrazione degli inquinanti nel sottosuolo e nelle falde acquifere. Nei terreni ben drenati e profondi, soggetti alla lisciviazione, l’agroforestazione con 50 alberi per ettaro e area di insidenza (la proiezione sul terreno delle chiome delle piante) pari al 30% della superfìcie al suolo, è in grado di attenuare notevolmente gli effetti della lisciviazione. L’acqua prelevata dal terreno attraverso le radici viene immessa in atmosfera attraverso l’evapotraspirazione delle chiome, sotto forma di vapore, mitigando il clima. Ne consegue che gli alberi rivestono un ruolo protettivo sulle colture agricole perché l’ombra
    mitiga l’impatto del riscaldamento climatico e riduce la siccità ritardandone la traspirazione. Inoltre, poiché i filari di alberi ospitano una grande varietà di uccelli e servono da rifugio agli insetti “utili” che combattono i parassiti dannosi alle colture, gueste sono protette da una nuova biodiversità in grado di limitare il ricorso a pesticidi e sostanze chimiche. Anche la flora microbica del terreno e in particolare gli organismi decompositori e saprofìti producono effetti benefìci sulla fertilità del suolo.
    In genere, la tecnica dell’agrofore-stazione prevede di mettere a dimora alberi (essenze autoctone) in filari, preferibilmente orientati Nord-Sud, distanziati di 20-50 m, con densità variabili tra 30 e 100 alberi per ettaro e di sottoporli a governo annuale durante i primi 15 anni con regolari potature di formazione e di produzione. Se l’obiettivo è coltivare fino al taglio degli alberi, bisogna prevedere una distanza tra le file di alberi pari almeno al doppio dell’altezza che raggiungeranno da adulti (6.15). È opportuno proteggere le giovani piante con adeguati shelter e mantenere una fascia nei bordi degli appezzamenti per permettere le manovre delle macchine operatrici. Grazie a una dimensione regolare e allo spazio loro garantito (il sesto d’impianto), che definisce la giusta distanza, gli alberi hanno la chioma più esposta al Sole per cui crescono tre volte più velocemente, si sviluppano in misura 2-3 volte maggiore e producono legname di gualità superiore, rispetto a quelli cresciuti in foresta. Creare un ambiente simile, favorevole alla biodiversità, richiede comunque tempo e pazienza (6.16). Tuttavia la redditività a lungo termine dei progetti agroforestali è molto spesso superiore ai progetti di monocoltura e l’associazione derivante dall’agrofo-restazione consente di ottenere una maggiore produttività rispetto a una rotazione tra colture agricole e forestali.
    Secondo ricerche in ambito agroforestale, infatti, risulta che tali sistemi producono tra il 15 e il 60% di biomassa in più per ettaro in confronto a una rotazione di colture pure, coltivate separatamente (su 100 ha di coltura agroforestale, sono necessari 115-160 ha di colture pure e di superfìci forestali).
    È stato stimato inoltre che una superfìcie di 100 ha con agroforestazione è in grado di produrre tanto legname e cereali quanto una rotazione di 140 ha tra colture agricole e forestali. Recentemente è stata creata una piattaforma europea dell’agro-forestazione che prevede una buona cooperazione nazionale ed europea, con assistenza tecnica e scambi di informazioni tra gli agricoltori per favorire l’acquisizione di sapere attraverso la ricerca e la diffusione dei sistemi agroforestali (6.17).


    6.15 Distanze tra file d’impianto nelle tecniche di agroforestazione




    Periodo
    (anno)
    Operazioni

    Risarcimenti e pulizia del colletto
    1 °-3°
    Eventuale irrigazione di soccorso
    1 °-5°
    Sfalcio
    2°-5°
    Potature di formazione
    3°-5°
    Selezione della doppia pianta
    6°-15°
    Potature di produzione Eventuali tagli di ripresa della cima
    Dal 15° anno
    Diradamenti Tagli di contenimento
    Fine turno
    Utilizzazioni


    6.16 Esempio di schema di impianto in agroforestazione.


    6.17 Esempio di schema di impianto per agroforestazione.

    6.4 Tecniche di agricoltura montana



    6.19 Distribuzione territoriale dei Comuni in relazione al grado di montanità al 31/12/2009.
    In Europa circa il 40% del territorio, cioè circa 19 milioni di ettari, è occupato da zone montane le quali in alcuni Stati, come la Grecia, la Spagna, l’Italia, l’Austria e il Portogallo, costituiscono oltre il 50% del territorio nazionale. Si stima che in montagna viva attualmente quasi un quinto della popolazione europea (circa 13 milioni di abitanti) compresi gli agricoltori che, oltre a produrre alimenti, assolvono all’importante compito di tutelare il territorio il quale rappresenta una colonna portante del turismo.
    Le aree montane sono un rifugio della biodiversità e sono sede di numerose attività agricole con metodi di produzione che affondano profondamente le radici nel territorio.
    L’agricoltura montana è caratterizzata da antiche tradizioni, nonché da un ricco know-how, cioè da un ricco insieme di conoscenze, competenze, esperienze, anche se permangono alcune difficoltà oggettive quali la scarsa accessibilità e la bassa produttività.
    Va rilevato comunque che non è facile utilizzare le terre delle zone di montagna perché in quelle in cui l’altitudine è elevata le condizioni climatiche sono molto diffìcili con la conseguenza che il periodo vegetativo è nettamente abbreviato, mentre in zone di altitudine inferiore esistono, nella maggior parte del territorio, forti pendìi che rendono impossibile la meccanizzazione.
    Ciò comporta un notevole aumento del costo del lavoro e l’impiego di materiale speciale assai oneroso. In Italia guasi il 60% delle aziende agricole, cioè circa un milione e mezzo, sono montane (6.19) e nel complesso presentano una densità abitativa molto bassa (meno di 60 abitanti per km2). Attraverso i censimenti (Mipaaf, 2007) si è evidenziato che tali aree sono interessate spesso da fenomeni di spopolamento e di abbandono delle attività agricole (-17% nelle superfìci agricole e -20% nel numero aziende).
    La conseguenza è la fragilità del territorio non solo in termini produttivi, dati gli svantaggi naturali permanenti, specialmente in agricoltura, e ambientali con la perdita del paesaggio tradizionale e della biodiversità, ma anche in termini socioeconomici.
    Per questo motivo, oltre alla funzione primaria di produzione alimentare, viene richiesto alle aziende agricole di operare nell’ambito del sociale, del tempo libero, della salvaguardia deH’ambiente e del paesaggio, della gestione e controllo delle acque, ecc. Si è affermata pertanto una nuova concezione di “agricoltura multifunzionale” che assegna all’agricoltura una pluralità di funzioni all’interno di un sistema economico e territoriale. Tale forma di agricoltura estende l’attività rurale coinvolgendo altri settori economici come il turismo, manifesta una forte vocazione alle produzioni di qualità, si presenta come un presidio a tutela del territorio e dello sviluppo locale, produce esternalità positive, mantiene vive le tradizioni e fornisce servizi ecosistemici ai quali la società deve riconoscere l’importanza e il valore.
    Agricoltura e silvicoltura continuano a essere le forme prevalenti di utilizzazione del suolo e di gestione delle risorse naturali, ma nel contempo costituiscono la “struttura” di base per la diversificazione delle attività economiche delle comunità montane stesse i cui abitanti sono strettamente legati ai loro costumi e alle tradizioni, ossia al loro territorio.
    La multifunzionalità, pertanto, viene presentata secondo una funzione non solo economica, ma anche ambientale, in termini di gestione del territorio e mantenimento della qualità ecologica, di salvaguardia idrogeologica, di conservazione della flora e della fauna, ma anche sociale in relazione al mantenimento delle identità culturali e dei tessuti socioculturali rurali sia per l’erogazione di servizi di tipo ricreativo, didattico e terapeutico, sia in relazione alla garanzia della qualità e della sicurezza degli alimenti.
    Con l’impiego di tecniche tradizionali e metodi di produzione che sfruttano in modo integrato e sostenibile le risorse naturali, come i pascoli e diverse tipologie di colture foraggere, nelle zone montane si realizzano prodotti con particolari caratteristiche qualitative. Le zone montane, infatti, sono vocate alle produzioni agricole di alta qualità e contribuiscono alla ricchezza e alla varietà dei prodotti agricoli presenti sul mercato europeo.
    Le nicchie climatiche, trofiche ed ecologiche delle zone di montagna e la conseguente variabilità del periodo vegetativo, determinano possibilità per la costituzione e l’utilizzo di nicchie produttive, quali colture ortive, cereali, vigneti, frutteti, implementate e sostenute dalle filiere locali.
    Occorre puntare sulla ricerca di varietà adatte alle zone di montagna, sull’ottimizzazione delle tecniche colturali (prati, pascoli, mais da trinciato) dal punto di vista agronomico ed ecologico, sulla messa a punto di miscugli di sementi per la foraggicoltura e, soprattutto nel settore cerealicolo, sulla salvaguardia delle risorse fìtogenetiche locali e della variabilità genetica. Le pratiche colturali sono la base per una produzione di foraggio sostenibile, coerente con le peculiarità ecologiche e per una equilibrata alimentazione del bestiame. Un allevamento rispettoso del benessere animale è la premessa per ottenere alimenti di qualità e, a tale riguardo, i foraggi prodotti direttamente in azienda rivestono un ruolo importante. La produzione di latte costituisce uno dei settori economici più rilevanti da cui è possibile realizzare burro e formaggi di alto pregio gastronomico.
    Il clima favorevole delle zone montane d’alta quota, soprattutto durante la stagione estiva, rende possibile la coltivazione di ortaggi d’ottima qualità come il cavolfiore, la patata, la lattuga, la barbabietola rossa nell’Italia settentrionale, mentre nelle zone meridionali il peperoncino e il pomodoro occupano un posto speciale nel panorama orticolo. Negli ultimi anni la coltivazione di piante officinali e aromatiche è stata incrementata notevolmente, raggiungendo uno sviluppo tale da rappresentare per gli agricoltori un’interessante fonte di reddito complementare o addirittura principale.
    Nelle aree montane poste a quote intermedie si possono coltivare fruttiferi minori, pomacee e drupacee. Risulta importante la ricerca di varietà in grado di adattarsi alle condizioni climatiche e a innovative tecniche colturali.
    La frutticoltura in zona montana, infatti, richiede un’attenta selezione delle nuove varietà, una regolazione delle produzioni, orientata al continuo miglioramento della qualità, tecniche d’allevamento tendenti al risparmio dei costi di manodopera, impiego della concimazione e dell’irrigazione nel rispetto dell’ambiente, nonché una risposta a diversi quesiti concernenti le tecniche della conservazione.
    Per quanto riguarda la viticoltura di montagna, risulta importante la conservazione e il miglioramento della qualità dell’uva, oltre alla gestione rispettosa dell’ambiente e dei fattori di produzione, come suolo e acqua, razionalizzando i metodi di conduzione dei vigneti per contenere le spese colturali. L’agroecosistema viticolo di montagna presenta molti fattori a suo favore, quali la pendenza, l’esposizione, il clima e il suolo.
    La montagna ha assunto una caratteristica distintiva del prodotto grazie all’approvazione del regolamento UE sui marchi di qualità (reg. UE 1151/2012, “Pacchetto Qualità”), che autorizza l’uso del marchio di qualità “prodotto di montagna” dettando anche alcune norme di base sulla produzione e trasformazione di tali prodotti. Lo scopo è valorizzare quei prodotti le cui materie prime e il processo di trasformazione avvengono in zone montane dove l’investimento in agricoltura di qualità garantisce, oltre alla salubrità dei cibi, anche benefìci paesaggistici, minori rischi idrogeologici e maggiore biodiversità.
    Occorre garantire idonee possibilità di sviluppo futuro alle aree di montagna nel perseguimento di uno sviluppo di tipo sostenibile poiché le attività agricole, selvicolturali e l’allevamento hanno un’importanza rilevante e, molto spesso, risultano essere le uniche in grado di garantire la permanenza delle popolazioni in contesti rurali e marginali.

    APPROFONDIMENTO

    Agricoltura di montagna nei Nebrodi: l’allevamento del Suino nero

    Le aree montane dei Nebrodi, in Sicilia, sono un patrimonio naturale e culturale di elevato valore, con straordinari elementi paesaggistici, bellezze architettoniche, artistiche, cultura enogastronomica, tradizioni popolari, biodiversità vegetale e animale.
    Le aziende che allevano e trasformano il Suino nero dei Nebrodi sono un esempio di valorizzazione e tutela della biodiversità animale nel segno della sostenibilità ambientale e della produzione di prodotti tipici di eccellenza, che favoriscono la sviluppo dell’agricoltura nell’ottica della tutela ambientale, della biodiversità e della produzione di qualità.
    Il Suino nero dei Nebrodi è una razza di suino autoctono riconosciuto in via di estinzione dalla FAO. La presenza in Sicilia del Suino nero, assai rustico, sulla base dei resti fossili e dei riferimenti di scrittori dell’antichità, è stata verificata nel periodo greco e cartaginese (VII-VI secolo a.C.). E un animale molto resistente, capace di vivere in maniera frugale nella macchia mediterranea, e necessita di grandi spazi. Sono stati censiti circa 2000 riproduttori che vivono allo stato selvatico puro in diverse tipologie di allevamento, caratterizzate tutte dallo stato brado e/o semibrado. Nell’allevamento sono impiegate piccole strutture, chiamate “zimme”, costruzioni circolari in pietra a forma di cono, dall’altezza variabile (da 20 a 100 cm).
    Le zimme, nella parte superiore, sono ricoperte da un primo strato di ginestre, felci o entrambe, al di sopra delle quali sono poste delle zolle di terra. Recentemente alcuni allevatori hanno introdotto la tipologia “en plein air” nell’allevamento del Suino nero, sia per aumentare il numero di capi allevati che per organizzare meglio la filiera di produzione. E stato ottimizzato l’allevamento utilizzando le aree boschive a disposizione delle aziende e integrando l’alimentazione con cereali nei periodi di carenza di alimenti naturali.

    APPROFONDIMENTO

    I tratturi appenninici

    Sono vecchi tracciati armentizi, unici al mondo, che andrebbero valorizzati dal punto di vista turistico, rappresentando un’occasione di crescita per i territori interni montani in termini di sviluppo, valorizzazione e riqualificazione.
    In Italia la transumanza si è strutturata nella complessa rete di “vie erbose” conosciute con il nome di “tratturi”. L’istituzione ufficiale dei tratturi viene ordinata nel tardo Medioevo da Alfonso I d’Aragona che, nel 1447, istituì la “Regia dogana della mena delle pecore”, allo scopo di regolamentare la riscossione dei proventi derivanti dal passaggio e dal pascolo dei pastori le cui greggi svernavano in Puglia. Ad allora risalgono le prime pose in opera di termini lapidei per la demarcazione del percorso dei tratturi. Nel 1806 Giuseppe Bonaparte abolì la Regia dogana trasformando i tratturi in terreni coltivabili. La transumanza appenninica è comunque continuata fino agli anni '60-70 dello scorso secolo.
    I tratturi sono “vie d’erba” di larghezza e lunghezza variabili. I tratturi Regi erano larghi 60 passi napoletani, pari a I I metri, e lunghi più di 200 chilometri e collegavano le
    pianure pugliesi ai pascoli abruzzesi. Attraverso i tratturi i pastori spostavano le proprie greggi due volte l’anno: in settembre, verso le miti pianure pugliesi e a maggio, invece, verso l’Abruzzo, alla ricerca dei pascoli di montagna. Nel 1908 furono soppressi tutti i tracciati non più necessari all’uso pubblico e rimasero solo i Quattro Tratturi “Regi”: Aquila-Foggia, Celano-Foggia, Castel di Sangro-Lucera e Pescasseroli-Candela.

    APPROFONDIMENTO

    I formaggi delle malghe trentine

    Il formaggio prodotto nelle malghe del Trentino viene denominato Nostrano di Malga. In effetti ciascuna malga produce un proprio formaggio con caratteristiche specifiche.
    Nelle Valli di Fiemme e Fassa, oltre che nel Primiero, si producono formaggi nostrani di malga detti “a crosta lavata”, in quanto durante la stagionatura, i formaggi sono costantemente inumiditi con acqua salata per conferirgli un caratteristico e intenso aroma, oltre a una consistenza morbida anche dopo una lunga stagionatura.
    Nelle zone della Valsugana si producono formaggi più magri perché viene data ancora molta importanza alla produzione di burro. Si tratta di formaggi denominati “d’arlevo o d’allevo”, che devono sottostare ad adeguata stagionatura.
    Il formaggio Vezzena è prodotto sugli Altopiani di La-varone, Folgaria e Vezzena, è un semigrasso, a pasta semicotta e granulosa, di sapore leggermente piccante, di eccellente qualità, ottimo da tavola dopo un periodo di circa 3-4 mesi di stagionatura e anche da grattugia dopo 12-14 mesi.
    Il Casolèt della Val di Sole è un formaggio prodotto con latte intero di una sola mungitura, a pasta morbida e di forma più piccola del Nostrano, con un peso di circa 3 kg.
    Nelle malghe della Val del Chiese prevale il Nostrano tipo Spressa delle Giudicarle: assai magro e saporito. Nella zona di Storo si produce il Bagoss, un formaggio a pasta dura e a lunga stagionatura.
    In alcune zone del Trentino sono prodotti anche formaggi di capra: i Caprini di malga ottenuti con il latte di due mungiture in formati che possono essere molto diversi fra loro. La pasta del formaggio di capra è sempre bianca, morbida oppure compatta, con sapore di capra più o meno intenso.

    APPROFONDIMENTO

    Patata trentina di montagna

    La patata trentina di montagna ha buccia compatta di colore intenso, e si presenta ben matura con pasta solida anche dopo diversi mesi di conservazione naturale. Il sapore è particolarmente gustoso e pieno, anche in assenza di ingredienti di condimento.
    La patata, nelle zone di montagna, è solitamente seminata sia nel periodo che va dalla fine di marzo a inizio maggio, sia nei mesi del tardo-autunno o tardo-inverno, su terreni preparati con aratura non eccessivamente profonda ed erpicatura o fresatura. Particolarmente apprezzati sono i terreni preparati con il sovescio di leguminose o prato. Le operazioni di semina si sono evolute passando da una semina interamente manuale a quella su solchi predisposti con animali da tiro, alle seminatrici semiautomatiche e ora a quelle compieta-mente automatiche e in grado di seminare con buona precisione alle distanze ottimali che, in fun-zione della varietà, sono: 70-80 cm fra le file e 25-35 cm sulla fila, con un investimento di 4-5 piante per m2. Il controllo delle infestanti e la difesa dalle malattie fungine e dai parassiti sono eseguiti secondo le tecniche della lotta integrata e del metodo di coltivazione biologico. La conservazione della patata trentina di montagna è effettuata nelle aziende agricole, come in passato, utilizzando appositi locali interrati e freschi e, nelle strutture cooperative, servendosi di contenitori (bins) di grande capacità, dotati di impianti di ventilazione forzata e controllata che consentono frequenti e omogenei ricambi d’aria, regolando contemporaneamente la temperatura del prodotto.
    La patata trentina di montagna non è trattata con prodotti antigermoglianti proprio per garantire al consumatore la salubrità e l’integrità del sapore.

    RIASSUMENDO

    • Da quando l'uomo ha cominciato a praticare l'agricoltura, il territorio ha subito trasformazioni sempre più rilevanti. Oggi coesistono due forme (estensiva ed intensiva) di agricoltura, ma nel mondo vi sono vari sistemi agricoli in base alle organizzazioni sociali e alle economie (agricoltura di sussistenza, agricoltura itinerante, agricoltura di piantagione, agricoltura di mercato agricoltura commerciale contadina, agricoltura pianificata, agricoltura collettiva).
    • I sistemi agricoli italiani sono costituiti da componenti strutturali che interagiscono fra loro in relazione agli aspetti ambientali, economici e sociali; fra questi suscitano particolare interesse nella tutela della biodiversità i sistemi agricoli ad alto valore naturale.
    • Un metodo di utilizzo del terreno in cui alberi e cespugli sono mantenuti assieme alle coltivazioni erbacee, ai pascoli o all’allevamento di animali è l’agroforestazione. Questa tecnica agronomica è raccomandata dal Protocollo di Kyoto e dal GIEC per attenuare il cambiamento climatico, limitando l’aumento del livello di CO2 in atmosfera.
    • L’agricoltura montana, è l’occupazione di più di un quinto della popolazione europea, nonostante alcune difficoltà oggettive quali la scarsa accessibilità e la bassa produttività; oltre a produrre alimenti, assolve l’importante compito di tutelare il territorio che, a sua volta, rappresenta una colonna portante del turismo. In questa ottica assume le caratteristiche di agricoltura multifunzionale con una pluralità di funzioni all’interno di un sistema economico, ambientale e sociale.

    SUMMING UP

    The territory has been undergoing more and more relevant changes since agriculture started.Today two types of farming coexist (the intensive and the extensive one), but there are different farming systems in the world, depending on social organizations and types of economy (subsistence farming, shifiing farming, plantation farming, market farming country trade farming planned farming and community farming)
    Italian farming systems are composed of structural elements which internet in relation to environmental, economie and social aspeets; among them, some farming systems with high naturai value are really important for their connection with biodiversity protection.
    Farming forestation represents a method which uses the ground growing together trees, shrubs, plants, grazing and farm animals.This farming technique is recommended by the Kyoto Protocol and GIEC to minimize thè climate changes, limiting the C02 in the atmosphere.
    •  More than one fifth of the European population is employed in mountain farming in spite of some objective issues su eh as the poor accessibility and the low output. This farming produces food and, at the some time, it plays the role of protecting the territory, which in turn represents one centerpiece of tourism. From this point of view, it has got the features of a multifunctional framing with severa! scopes within the economie, environmental and social System.

    GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE
    GESTIONE E VALORIZZAZIONE AGROTERRITORIALE