8   Organismi “alieni” e nuove emergenze fitosanitarie

Sono parecchi gli organismi nocivi introdotti negli ultimi anni da lontani luoghi di origine (e per tale motivo detti “alieni”), i quali destano serie preoccupazioni nel settore agrario e forestale: su tutti ci sono un batterio, Xylella fastidiosa, che è il maggior responsabile del cosiddetto Co- DiRO (Complesso del disseccamento rapido dell’olivo), e la cimice asiatica o marmorata, Halyomorpha halys, assai dannosa su fruttiferi, noccioleti, alcune ortive e ultimamente anche su olivo. 
Altri organismi pericolosi sono: il coleottero giapponese, Popillia japonica, in grado da adulto di defogliare moltissime specie vegetali e da larva dannoso per le superfici erbose; il tarlo asiatico o cerambicide dalle lunghe antenne (ne sono state distinte due specie: Anoplophora glabripennis e A. chinensis), la cui larva scava alla base dei fusti e nelle radici grosse di essenze arboree fino a comprometterne la sopravvivenza; il cerambicide dal collo rosso, Aromia bungii, che ha un comportamento analogo al precedente; il punteruolo nero del fico, Aclees foveatus; l’aleirodide spinifero, Aleurocanthus spiniferus, assai polifago e dannoso in particolare su agrumi; il nematode galligeno delle radici, Meloidogyne graminicola, segnalato in particolare su risaie; il cancro rameale del noce, Geosmithia morbida, un fungo trasmesso da uno specifico insetto scolitide che penetra sotto la corteccia dei rametti. Anche il settore dell’apicoltura, già in sofferenza a causa del fenomeno della moria, ha dovuto prendere atto di una nuova minaccia data dal calabrone asiatico, Vespa velutina, un temibile predatore di api.

     Xylella fastidiosa

Le prime segnalazioni della presenza di questo patogeno in relazione a disseccamenti di olivi nel leccese sono del 2013. Il CoDiRO (Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo) si è andato estendendo a macchia d’olio nelle limitrofe zone olivicole della Puglia assumendo proporzioni devastanti [ 65 ]. 
I sintomi della malattia consistono in diffusi disseccamenti rameali [ 66a ], imbrunimenti interni dei vasi legnosi [ 66b ], necrosi generalmente parziale e apicale delle foglie [ 66c ]. Gli agenti che concorrono al disseccamento sono molteplici (insetti xilovori e funghi vascolari), tuttavia quello principale è un batterio gram-negativo non sporigeno, Xylella fastidiosa, conosciuto come tale da tempo, ma associato ad altre malattie, in particolare alla malattia di Pierce sulla vite. 
Questo batterio in effetti si caratterizza per una grande variabilità intraspecifica e patogenetica in rapporto all’ospite. Ne sono state individuate quattro sottospecie e per quella riscontrata sugli olivi pugliesi (X. fastidiosa subsp. pauca) dalle indagini sul DNA si è risaliti anche al ceppo, analogo a uno riscontrato in Costa Rica. Il patogeno si insedia nei vasi xilematici [ 67 ] riproducendosi fino a ostruirli, quindi ostacolando prima e impedendo poi il trasporto della linfa, con i conseguenti disseccamenti che in tempi più o meno lunghi portano a morte l’ulivo. Lo sviluppo della malattia è favorito da temperature medio-elevate e il batterio è in grado di muoversi all’interno della pianta sia verso l’alto sia verso le radici. In natura la trasmissione avviene tramite le punture di insetti che si nutrono della linfa grezza che corre nei vasi xilematici colonizzati dal batterio: gli insetti vettori sono stati identificati in alcune specie di cicaline, in particolare Philaenus spumarius (la comunissima ‘sputacchina’ [ 68 ]). 
La lotta contro questa malattia è assolutamente problematica e si teme che essa si possa ulteriormente diffondere mettendo in serissima crisi tutto il comparto olivicolo italiano, europeo e mediterraneo (vi sono state segnalazioni di casi in Corsica e nel Sud della Francia, in Spagna e in Portogallo). La UE ha emanato direttive intese a contenerne l’espansione consistenti sostanzialmente in eradicazione delle piante sintomatiche stabilendo inoltre zone cuscinetto; tra le piante più suscettibili a X. fastidiosa oltre all’olivo ci sono il mandorlo e gli agrumi. 
La ricerca si sta orientando su due linee: la selezione di cultivar di olivo resistenti/tolleranti al patogeno, l’identificazione di efficaci antagonisti ai vettori della malattia come Zelus renardii, una cimicetta predatrice [ 69 ]. 
La malattia è soggetta a Decreto di Lotta Obbligatoria.
     Cimice asiatica (o marmorata)

La presenza di questa cimice in Italia risale al 2012 e dall’allora essa si è diffusa rapidissimamente nel Settentrione e recentemente è stata segnalata anche nelle regioni centrali (può facilmente invadere nuovi territori posandosi e facendosi trasportare da TIR e mezzi telonati). In Italia è in grado di effettuare un paio di generazioni all’anno e, con l’approssimarsi della stagione fredda, tende a ripararsi anche massivamente nelle abitazioni; pertanto, oltre che dannoso all’agricoltura, è anche un insetto molesto. Sia l’adulto [ 70a ] sia le forme giovanili più scure [ 70bc ] sono facilmente distinguibili da altre cimici per la presenza ad esempio di bande chiare su antenne e zampe. 
Questa cimice si nutre perforando e succhiando tessuti vegetali, con conseguente formazione di zone necrotiche sulle foglie e deformità sulla superficie dei frutti; l’immissione di saliva inoltre danneggia sapore e aspetto di questi ultimi.
È stato appurato che essa emette due tipi di saliva, una ‘acquosa’ che serve a mobilizzare i liquidi organici e digerirli dopo averli risucchiati all’interno del corpo, e una seconda che si indurisce attorno agli elementi boccali impedendo che i succhi aspirati fuoriescano dalle fessure tra le componenti dell’apparato boccale. 
Halyomorpha halys è un insetto particolarmente difficile da controllare. Sono stati identificati i feromoni di aggregazione di questa cimice, attrattivi su tutti gli stadi di entrambi i sessi, e sono in fase di sperimentazione strategie sull’utilizzo in campo di tali sostanze, in particolare nell’ambito di metodologie “attract and kill”: allo scopo, si impiegano trappole a rete trattata con un insetticida di contatto, dette totem [ 71a ], innescate con attrattivo al feromone [ 71b ]. 
La protezione più efficace, anche se costosa, è data da reti anti-insetto, ma per un più stabile controllo la strategia migliore sarebbe l’immissione di antagonisti: purtroppo di indigeni non se ne sono trovati di efficaci, per cui si è infine deciso di introdurne uno specifico proveniente dalle zone di origine, la cosiddetta vespa samurai, Trissolcus japonicus [ 72 ], un parassitoide oofago (le femmine depongono le uova entro quelle della cimice e la larva della vespina si sviluppa a spese di queste ultime; una specie appartenente a questo genere è stata rinvenuta in Piemonte e se ne sta studianto la potenzialità e la possibilità di allevamento per lanci massivi). Un’altra strategia in fase di sperimentazione consiste in trattamenti con concimi batteriostatici atti a contrastare uno specifico batterio simbionte che la femmina rilascia sulle uova e che è indispensabile per la progenie. Prendendo a riferimento questo insetto (ordine Rincoti, sottordine Eterotteri, famiglia Pentatomidi) oramai divenuto il flagello dei nostri giorni, possiamo consigliare (percorso didattico) di approfondirne sia la sua classificazione tassonomica (▶ Cap. 10, pag. 339), sia la sua trattazione estesa in relazione ai danni provocati alle tante e diversificate colture attaccate con anche le relative strategie di lotta (▶ Cap. 11, pag. 395).
     Coleottero giapponese
L’insediamento di questo coleottero, originario del Giappone, è avvenuto nel 2014 con insediamento nell’area attorno al Parco del Ticino, tra Piemonte e Lombardia. Negli USA, dove è presente da più tempo, si è dimostrato in grado di attaccare più di 300 specie vegetali scheletrizzando da adulto [ 73a ] il fogliame e danneggiando fiori e frutti, e da larva [ 73b ] erodendo radici di graminacee, rovinando prati e tappeti erbosi, ma anche colture come il mais. 
La specie presenta un’unica generazione all’anno [ 74 ] con comparsa degli adulti tra giugno e luglio, mese quest’ultimo in cui si osserva il picco di volo. Questi insetti hanno comportamento gregario, dunque l’attacco avviene in massa e di conseguenza è ingente la proporzione del danno. 
Per la lotta contro questo scarabeide sono state provate diverse strategie: reti antinsetto, impiego di sostanze repellenti o anti-feeding, come il caolino che forma una patina biancastra sulla vegetazione, oppure prodotti a base di neem, insetticidi, trappole per la cattura massale. 
Di queste ultime ne esistono in commercio di diversi tipi: a imbuto a feromone e attrattivo floreale [ 75a ] (si riempiono velocemente e vanno periodicamente svuotate), a rete impregnata di insetticida e innescata sempre con attrattivo [ 75b ] e [ 75c ]; si tratta di prodotti da non impiegare per usi amatoriali in quanto si rischia di attrarre più insetti di quanti non se ne eliminino. Sono in corso sperimentazioni con nematodi entomopatogeni da distribuire nel terreno contro le larve, in particolare Heterorhabditis bacteriophora, che ha dato buoni risultati ma è costoso e si conserva poco; inoltre sono state approntate trappole imbrattate con spore di funghi entomopatogeni, il cui effetto non è immediato ma potenzialmente sono in grado di casuare una epidemia. 
Il parassita è soggetto a Decreto di Lotta Obbligatoria.

     Tarlo asiatico
Questo cerambicide è stato trovato per la prima volta in Lombardia nel 2000. L’adulto è lungo circa 30 mm [ 76a ] ed è provvisto di lunghe antenne, mentre la larva [ 76b ] a maturità è più grande e misura intorno a 50 mm. Le femmine depongono le uova nella corteccia di rami e tronchi di alberi [ 76c ] e le larve scavano profonde gallerie che portano a deperimento l’ospite; a maturità sfarfallano producendo fori di uscita. 
Le due specie presenti, Anolophora glabripennis e A. chinensis, si distinguono oltre che per particolari morfologici anche per le modalità di ovideposizione e sfarfallamento: la prima si insedia nella parte alta del tronco e delle branche, mentre la seconda alla base degli alberi e i fori di uscita sono perfettamente tondi [ 76d ], posizionati vicino al punto di entrata alla base della pianta o anche nelle radici affioranti, e hanno un diametro di 15 mm. 
Numerose sono le piante attaccate, e comprendono specie forestali, pomacee, agrumi, specie arbustive e anche la rosa. La difesa si basa sul monitoraggio, sui trattamenti insetticidi seguiti a fine stagione da abbattimento e cippatura delle piante attaccate. 
Il parassita è soggetto a Decreto di Lotta Obbligatoria.

     Cerambicide dal collo rosso
La presenza in Europa di questo cerambicide, Aromia bungii, fu segnalata nel 2011 in Germania (dove sembra essere stato eradicato) e ha come principali piante ospiti di interesse agrario le drupacee e anche l’olivo e il pioppo. 
Gli adulti sono di grandi dimensioni (arrivano a 40 mm) e si riconoscono facilmente per il colore nero e una sorta di “collare” rossastro [ 77a ]. Lo sviluppo dell’insetto da uovo ad adulto richiede due anni, duranti i quali la larva scava gallerie nel legno da cui trae il nutrimento [ 77b ]. La femmina depone alla base dell’albero, gli adulti sfarfallano in primavera attraverso grossi fori di uscita e si alimentano rosicchiando giovani rami. 
La difesa si basa sulle stesse misure indicate per il tarlo asiatico.

     Punteruolo nero del fico
I primi danni dovuti a questo curculionide di origine asiatica, Aclees sp. cf. foveatus [ 78 ] sono stati segnalati inizialmente in Toscana nel 2005. 
Il ciclo vitale di questo punteruolo è strettamente legato al fico. Gli adulti vivono all’aperto nutrendosi di parti della pianta (rametti, frutti; [ 79a ] e [ 79b ]), con picchi di presenza a giugno e a settembre. Le femmine depongono le uova aprendo un varco nel legno e le larve neonate si accrescono scavando gallerie [ 80 ]. Nel giro di 2-3 anni le piante deperiscono irrimediabilmente. 
Per la difesa sono stati impiegati in via sperimentale insetticidi di contatto (risultati parzialmente positivi con due trattamenti nei periodi di maggior presenza degli adulti); in prove di semi-campo sono stati saggiati, con esiti incoraggianti, funghi entomopatogeni disponibili in commercio come prodotti fitosanitari [ 81 ].

     Aleurodide spinifero
Nei nostri ambienti l’aleurodide spinifero, Aleurocanthus spiniferus, svolge 3-4 generazioni all’anno (marzo, aprilemaggio, luglio-agosto, novembre) e sverna come ninfa. Gli adulti [ 82a ] si raggruppano sulla pagina inferiore delle foglie dove si accoppiano e ovidepongono; ciascuna femmina può deporre da 35 a 100 e più uova. Nascono quindi le forme giovanili che si alimentano pungendo e succhiando linfa dai vasi floematici e, dopo la muta, si fissano nello stadio di ninfa lungo le nervature sempre della pagina inferiore delle foglie, formando quindi i pupari (che rappresentano le ninfe di quarta età, [ 82b ]) da cui sfarfalleranno gli adulti. 
I danni consistono nella suzione di linfa e nella formazione di melata su cui si sviluppano fumaggini. Questa specie è alquanto polifaga, prediligendo in particolare, nel settore agrario, gli agrumi. La difesa si basa su interventi con olio bianco da solo o attivato con insetticidi sistemici. In prospettiva si pensa ad una lotta biologica mediante antagonisti. 
Dal focolaio iniziale nel Salento (segnalazione iniziale per l’Italia nel 2008), questo insetto è risalito nella nostra Penisola e recentemente è stato rinvenuto in Pianura Padana.

     Nematode galligeno del riso
Il nome scientifico del nematode galligeno individuato in una risaia in Piemonte nel 2016 è Meloidogyne graminicola. I nematodi galligeni sono endoparassiti che si annidano nelle radici delle piante sui cui inducono la formazione di vistose galle [ 83a ] che rappresentano il sintomo caratteristico della presenza di questo tipo di nematodi; in campo l’attacco si manifesta con la rarefazione e lo stentato sviluppo delle piantine [ 83b ]. In questo genere di nematodi il maschio si presenta come un piccolo verme cilindrico molto allungato (1,0-1,4 mm di lunghezza), mentre la femmina attraversa diversi stadi e a maturità ha un aspetto piriforme [ 83c ], [ 83d ], [ 83e ]. 
Viene diffuso nell’ambiente attraverso residui del terreno rimasti attaccati alle calzature dei lavoranti o alle ruote dei mezzi agricoli, con il pane di terra delle piantine, e anche tramite animali selvatici. La difesa è di tipo integrato: impiego in sovescio (o in pellet) di piante che sviluppano sostanze biocide con effetto fumigante (rafano, brassicacee), semina in sommersione che sfavorisce lo sviluppo del parassita. selezione di varietà resistenti. 
Il parassita è soggetto a Decreto di Lotta Obbligatoria.

     Cancro rameale del noce
È una malattia originaria del Nord-America che viene trasmessa da uno specifico insetto scolitide del noce, Pityophthorus juglandis. Questo piccolo insetto [ 84a ] penetra sotto la corteccia dei giovani rametti trasportando le spore del fungo agente di alterazioni cancerose, Geosmithia morbida. L’attacco già di per sé provoca la fessurazione della corteccia e in conseguenza viene meno il flusso della linfa verso l’alto: l’esito è il disseccamento della parte sovrastante del rametto (le foglie rimangono solitamente attaccate). Il cancro quindi si propaga verso il basso e in pochi anni l’intera pianta soccombe. Gli scolitidi producono numerosi fori di ingresso, per cui si generano altrettanti cancri per ogni punto di ingresso [ 84b ]: per tale motivo a questa malattia in America è stato dato il nome thousand cankers disease (malattia dei mille cancri).

     Calabrone asiatico
Questo calabrone, Vespa velutina, è arrivato nel Sud della Francia nel 2004, probabilmente in vasi provenienti dalla Cina, e negli anni seguenti si è diffuso in gran parte dell’Europa e nelle zone italiane (2012) confinanti con le coste mediterranee francesi (è stato avvistato ultimamente in Veneto). 
Il suo aspetto differisce da quello del nostro comune calabrone per le dimensioni (è più piccolo) e per le colorazioni: è più scuro e ha una banda giallo-arancio in prossimità del pungiglione, le zampe sono gialle [ 85a ]. 
La velutina è organizzata in colonie, che durano un solo anno, date da una regina, alcuni maschi e moltissime operaie. In primavera le nuove regine, che hanno svernato, costruiscono un primo nido dove depongono le uova e accudiscono la progenie finché si formano le operaie, le quali provvedono al successivo sviluppo della comunità. 
A questo punto la regina può dedicarsi a ulteriori deposizioni di uova in nidi molto più grandi, posti generalmente in luoghi inaccessibili e/o a grande altezza su alberi [ 85b ]. 
Le operaie, come costume nei calabroni, predano altri insetti, in particolare le api, da cui ricavano l’alimento proteico necessario alla loro dieta, in particolare a quella della prole [ 85c ], [ 85d ]. 
Verso la fine dell’estate appaiono i maschi che fecondano le nuove regine le quali cercano poi un riparo per trascorrere l’inverno. 
La lotta contro la velutina si basa essenzialmente sulla distruzione dei nidi, anche a mezzo di droni armati di una lancia attraverso cui viene iniettata nel nido una specifica sostanza biocida. 
Per l’individuazione dei nidi è stata messa a punto una tecnica basata sulla cattura di esemplari che vengono “taggati” con un dispositivo rilevabile a mezzo di un radar, detto armonico, in grado di seguirne il volo di rientro e quindi localizzare il nido [ 85e ], [ 85f ], [ 85g ], [ 85h ]; il “tag” è un diodo a cui è saldato un filo metallico, molto leggero: funziona da antenna che riflette le onde emesse dal radar. 
Nei luoghi di origine le api riescono a difendersi dagli attacchi della velutina circondandole e raggomitolandosi attorno ad esse, riuscendo a ‘cuocerle’ grazie alla loro temperatura corporea (fenomeno detto in inglese heat balling); non così le api italiane, che subiscono i loro attacchi e vengono fortemente disturbate nel lavoro [ 86 ].

Agricoltura sostenibile, biologica e difesa delle colture
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