7   La lotta biologica

     Agroecosistema
In natura la comunità di organismi viventi che occupa un dato ambiente unitamente all’ambiente stesso (inteso come l’area fisica circoscritta) da essa occupato costituisce un insieme definito sistema ecologico o ecosistema. Gli ecosistemi si differenziano in rapporto al clima, alle condizioni geologiche di ogni determinato sito, che prende il nome di biotopo, e alle caratteristiche della comunità biotica, o biocenosi, che lo occupa: i sistemi ecologici nel loro complesso si comportano come unità che si autoregolano. In effetti lo studio degli ecosistemi suggerisce di considerarli come entità in cui operano meccanismi omeostatici, ossia interazioni di forze e controforze che, come risultante sommativa, tendono a stabilizzare l’insieme e ad attutire le oscillazioni in modo che nessun componente prenda il sopravvento alterando rapporti e fisionomia del sistema stesso. Gli ecosistemi hanno una loro vita, con un’origine, una fase di crescita e una di maturità, detta climax, in cui le specie presenti non sono sostituite e i rapporti numerici appaiono in equilibrio. Un aspetto importante della regolazione biologica è infatti la successione ecologica, la quale ha uno svolgimento ordinato e una precisa direzione, comporta nel suo progressivo sviluppo una modificazione dell’ambiente fisico e infine trova una sua forma propria, che è quanto di più stabile possa esistere su quel sito: ogni gruppo di esseri viventi che subentra nella successione produce effetti sia sul biotopo (suolo, microclima) sia sulla comunità, modificando le condizioni preesistenti e creando le condizioni per l’ulteriore insediamento di altre specie, fino al raggiungimento di un equilibrio che viene quindi mantenuto stabile dalle forze omeostatiche interne al sistema. 
Alla base dell’ecosistema vi sono gli organismi capaci di sintetizzare sostanza organica, gli autotrofi, rappresentati dai vegetali verdi provvisti di clorofilla e dai batteri chemiosintetici. Questi consentono lo sviluppo degli organismi eterotrofi, che si nutrono prelevando sostanza direttamente dalle piante, gli erbivori, oppure, i carnivori che predano nell’ambiente con diversi livelli di operatività (predatori primari, secondari). 
L’ecosistema presenta una circolarità trofica, il cui motore è l’energia radiante del sole, con organismi produttori, consumatori e altri che degradano e facilitano la mineralizzazione e la restituzione all’ambiente degli elementi di parti eliminate e dei residui degli stessi organismi quando muoiono. L’agricoltura comporta una profonda alterazione degli equilibri naturali; tuttavia, si determina una nuova struttura, denominata agroecosistema, caratterizzata dallo sviluppo preferenziale di determinate specie vegetali e finalizzata alla produzione economica [ 48 ].

Nel biotopo dell’agroecosistema il suolo è il terreno agrario e questo differisce sensibilmente da quello naturale a causa delle lavorazioni, delle sistemazioni idrauliche, degli apporti di concimi, della presenza e degli eventuali accumuli di altri prodotti impiegati (diserbanti, antiparassitari).
Nel terreno naturale si distinguono quattro orizzonti, a partire dalla superficie fino ai livelli inferiori: 
eluviale, così chiamato perché su di esso agisce l’azione dilavante dell’acqua; 
illuviale, strato in cui si raccolgono i materiali trascinati dall’acqua di percolamento, si estendono le radici e si decide la fertilità del terreno stesso; 
pedogenetico, che è la parte su cui hanno agito quei fattori che hanno trasformato la roccia madre; 
strato inerte, ossia la roccia madre nativa. 
L’attività antropica, finalizzata alle produzioni agricole, trasforma totalmente questa struttura, al punto che il terreno agrario ha un profilo caratterizzato da due soli strati: 
strato attivo, superficiale e sottoposto alle lavorazioni e alle attività colturali, assimilabile ai primi due di quello naturale; 
strato inerte, assimilabile agli altri due di quello naturale e dove possono giungere le radici più profonde. 
Parallelamente la biocenosi dell’ambiente agrario è estremamente semplificata rispetto a un ecosistema naturale: essa è tendenzialmente costituita da una sola specie, quella coltivata (generalmente una varietà fortemente modificata rispetto alla specie naturale di origine), che si vorrebbe esclusiva e senza antagonisti o interferenze grazie all’applicazione di corrette pratiche colturali e fitoiatriche. Per i tratti descritti, l’agroecosistema è paragonato a un ecosistema molto immaturo, caratterizzato da scarsissima biodiversità e da un bilancio energetico virtualmente di segno positivo, situazione che favorisce l’ingresso di nuove specie e la successione ecologica. 
Si tratta di un sistema sostanzialmente artificiale, di per se stesso instabile, che non evolve semplicemente perché gli interventi umani lo impediscono e dove sussiste il rischio che qualche organismo nocivo riesca a superare le barriere artificiali (rappresentate da trattamenti con prodotti fitosanitari o altri mezzi di lotta non naturali) e, in mancanza di antagonisti, danneggi gravemente la coltura. 
Il funzionamento degli agroecosistemi nelle sue linee fondamentali è però analogo a quello dei sistemi naturali. La fonte energetica è il sole: le colture catturano e trasformano l’energia luminosa in sostanza organica che costituisce nell’insieme la biomassa. Ma a differenza di ciò che avviene in natura, solo una minima parte di tale sostanza organica, costituita in pratica dai residui della coltivazione, viene restituita all’ambiente tramite i processi di mineralizzazione microbica, in quanto la biomassa degli agrosistemi (l’energia di segno positivo immagazzinata) si identifica in definitiva con il raccolto che viene prelevato e allontanato (con necessità inoltre di reintegri di elementi nutritivi minerali). L’ambiente agrario dunque è, e rimarrà, per ragioni economiche, un sistema non naturale: tuttavia la lotta biologica si inserisce in quella filosofia di produzione integrata, tesa sia a rompere il circolo vizioso (per cui “organismi dannosi = prodotti fitosanitari = ulteriore squilibrio = nuove specie dannose o acquisita virulenza di specie poco dannose = nuovi prodotti fitosanitari”), sia a contemperare gli aspetti produttivi con un’azione equilibrante, allo scopo di favorire la stabilizzazione di una biocenosi in grado di contenere le popolazioni degli organismi nocivi e limitare gli interventi dall’esterno [ 49 ].
     Principi, metodi e limiti della lotta biologica
La lotta biologica si ispira ai seguenti due principi: 
preservazione delle specie di viventi, presenti nell’agrosistema, che svolgono la funzione di limitare le popolazioni delle specie dannose
introduzione di antagonisti degli organismi nocivi quando i primi non siano presenti, o siano insufficienti, o comunque come mezzo per controllare i secondi. 
Nel primo caso la salvaguardia degli organismi utili si attua rimuovendo o riducendo tutti quei fattori che incidono negativamente sulla biodiversità (in primo luogo gli interventi indiscriminati con mezzi chimici) e promuovendo misure atte a ricostituire nicchie in cui tale biodiversità possa conservarsi, come le siepi, oppure mettendo temporaneamente al riparo gli organismi utili (ad esempio rametti con cocciniglie parassitizzate) prima di un trattamento con prodotti fitosanitari. La seconda strategia di lotta biologica si realizza attraverso l’impiego di antagonisti da immettere in campo, o in serra, con il preciso scopo di controllare determinate popolazioni di organismi nocivi. 
Questa modalità di azione equivale a un intervento fitoiatrico diretto: se gli organismi nocivi sono specie esotiche, si può progettare l’introduzione di un antagonista naturale proveniente dall’ambiente di origine della specie dannosa, con lo scopo di ottenere un controllo permanente; viceversa, se si tratta di parassiti normalmente presenti nell’area, il lancio di antagonisti sarà diretto ad abbattere la sovrapopolazione di tali parassiti. 
Operativamente la lotta biologica si attua attraverso i seguenti metodi: 
inoculativo
protettivo
propagativo
inondativo
Il metodo inoculativo si realizza con misure di preservazione e conservazione delle specie utili, quali la raccolta di fitofagi parassitizzati prima dei trattamenti, l’introduzione di materiali vegetali contenenti organismi nocivi parassitizzati o predatori da applicare ad arte sulle colture (es. frutteti dove gli antagonisti sono scarsi). 
È possibile anche servirsi di ausiliari allevati da immettere precocemente e in piccole quantità (specie nelle colture protette), purché essi abbiano la caratteristica di sopravvivere alimentandosi di prede diverse dal fitofago bersaglio o con dieta complementare vegetale e a condizione di non portare danni sensibili alle colture, allo scopo di insediare e stabilizzare il loro numero a un livello utile per controllare fin dall’inizio potenziali infestazioni dell’organismo nocivo bersaglio. Ancora, in serra si può attuare il cosiddetto banker plants per il controllo di afidi dannosi alle colture: il metodo consiste nell’introduzione di piante erbacee spontanee, ma che non sono piante ospiti dei parassiti della coltura da proteggere (generalmente si tratta di graminacee, allevate in vaso, infestate da afidi di specie non dannose per la coltura ma fatte parassitizzare - funzione esca - da altri insetti attivi anche contro quelle specie che usualmente attaccano le piante in produzione). 
Il metodo protettivo consiste in una gestione complessiva dell’agroecosistema, idonea a ricostituire e mantenere un equilibrio delle popolazioni utili e dannose. Rientrano in questo metodo l’impianto di siepi e boschetti, la protezione di fontanili, l’applicazione su rami di fruttiferi e tralci di vite di fascette di tela che forniscono un buon rifugio per lo svernamento delle femmine di acari predatori di quelli fitofagi. Il metodo propagativo è una tecnica di controllo che attiene alla seconda strategia di lotta biologica ed è finalizzata all’introduzione e propagazione di antagonisti di specie dannose accidentalmente importate. Questo metodo, storicamente importante, si sviluppa in due fasi: la prima è relativa alla ricerca nell’ambiente di origine del fitofago esotico dei suoi antagonisti naturali e della scelta di quello/i più efficace/i; la seconda è relativa all’importazione, acclimatazione e lancio di questi ultimi. Anche il metodo inondativo si inserisce nella linea strategica appena descritta ed è quello oggi più comune e semplice in quanto si avvale di ausiliari allevati, confezionati e acquistabili da ditte specializzate nel settore. 
Richiede comunque alcune competenze tecniche in ordine all’identificazione degli organismi nocivi da combattere e alla conoscenza della loro biologia, al loro monitoraggio e all’individuazione delle soglie di intervento (allo scopo di determinare per tempo l’inizio dell’infestazione e il momento più propizio per il lancio dell’antagonista), nonché competenze relative alle modalità di scelta degli ausiliari in rapporto all’ambiente (pieno campo, serra; possibilità di controllo di fattori climatici) e alle modalità di distribuzione degli stessi (sono organismi viventi e quindi richiedono le dovute attenzioni e spesso anche l’adozione di alcune misure complementari per ottenere l’ottimizzazione della loro attività, come la bagnatura della vegetazione prima del lancio nel caso di certi acari predatori). 
La lotta biologica ha dei limiti intrinseci e ambientali. I primi consistono essenzialmente nel fatto che essa non è un mezzo con il quale contrastare qualsiasi organismo nocivo né si può essere certi che i lanci di ausiliari ottengano l’effetto di abbattere le popolazioni di fitofagi entro le soglie di tolleranza e neppure che si stabilisca un equilibrio duraturo. I secondi dipendono dal fatto che per avere successo, questo tipo di lotta, se praticata in pieno campo, deve essere condotta su larga scala a livello di interi comprensori agricoli (del resto la dimensione aziendale non è certo un confine invalicabile per i fitofagi in entrata né per gli ausiliari che potrebbero disperdersi). Negli ambienti confinati (tunnel, serre) dove questi ultimi rischi sono assai minori, i limiti risiedono nei possibili diversi comportamenti rispetto alla temperatura dei parassiti bersaglio e dei relativi agenti di controllo biologico, il tutto rapportato al ciclo della coltura che richiede una determinata gestione dell’ambiente di coltivazione: ad esempio, vi sono predatori il cui differenziale di sviluppo e riproduzione a certe temperature è troppo lontano da quello dei loro bersagli. Anche l’umidità gioca un ruolo di rilievo avvantaggiando o svantaggiando i fitofagi o gli ausiliari, sia come tasso di crescita sia come vitalità.

     Parassitoidi e predatori
I limitatori antagonisti naturali degli organismi nocivi appartengono ai diversi taxa di viventi. In questo paragrafo prenderemo in considerazione gli entomofagi, mentre nel paragrafo successivo esamineremo i patogeni. Gli entomofagi sono animali che si nutrono di insetti (e acari) e comprendono in senso estensivo sia gli animali a sangue caldo (uccelli, roditori, pipistrelli) [ 50 ] sia quelli a sangue freddo (anfibi, rettili); tuttavia gli animali che trovano sostanziale applicazione nelle tecniche operative sono insetti e acari. 
Ai fini della lotta gli antagonisti sono suddivisi in due categorie, predatori e parassitoidi
L’elenco di quelli presenti in natura nelle nostre regioni e conosciuti è lunghissimo; dal momento che quelli allevati nelle bioindustrie e commercializzati sono piuttosto numerosi, ci limiteremo a segnalare alcuni gruppi [ 51 ].

51 Nei database sono elencati gli ausiliari, di cui molti disponibili in commercio, e prodotti da varie ditte. Uno stralcio rappresentativo (in ordine di categoria) è elencato in questa tabella che riporta anche l’indicazione del bersaglio principale e delle colture su cui è impiegabile.

I predatori di gran lunga più conosciuti sono le coccinelle (ord. Coleoptera, fam. Coccinellidae) che, tranne poche specie fitofaghe, sono buoni predatori sia allo stadio di adulti e sia in quello larvale di afidi, cocciniglie e acari [ 52 ]. 
Altri efficaci predatori di afidi, allo stadio di larva, sono le crisope (ord. Neuroptera, fam. Chrysopidae) e i sirfidi (ord. Diptera, fam. Syrphidae [ 53 ]); i miridi (ord. Rhynchota, fam. Myridae) sono insetti di dimensioni medio-piccole [ 54 ], alcuni dei quali sono attivi pretadori di afidi, aleirodidi, acari.

All’incirca delle stesse dimensioni e appartenenti sempre all’ordine dei Rincoti, sono gli antocoridi (fam. Anthocoridae) che predano anche psille e tripidi [ 55 ]; tra gli acari predatori ci sono i trombididi e soprattutto i fitoseidi [ 56 ]. 
I predatori allevati nelle bioindustrie, come larve, ninfe o adulti vengono preparati in materiale inerte (es. vermiculite), a volte con aggiunta di un pabulum (nutrimento, ad esempio crusca, strisce di carta imbevute di miele), e poi confezionati in flaconi il cui contenuto si sparge o si mette in sacchetti da appendere alle piante dai quali gli ausiliari escono e migrano sulla vegetazione. 
I parassitoidi [ 57 ] appartengono ai Ditteri e agli Imenotteri.
Essi depositano le loro uova sopra (ectofagia), o dentro (endofagia), il corpo della vittima (attaccata più spesso negli stadi giovanili, ma anche in quello di crisalide o adulto o uova) di cui la larva neonata del parassitoide si ciba [  58   59  ]. La loro attività si esplica in modo tendenzialmente elettivo su una o poche specie di vittime biologicamente affini. Sono presenti in natura e alcuni sono allevati dalle biofabbriche e commercializzati in confezioni contenenti generalmente mummie o pupari parassitizzati e/o adulti neosfarfallati.

     Agenti di lotta microbiologica
Le esperienze di Agostino Bassi dimostrarono che gli insetti, al pari di qualsiasi altro organismo vivente, sono soggetti a infezioni. 
Nel corso dell’Ottocento e del Novecento si succedettero diversi tentativi di impiegare agenti patogeni per il controllo di insetti dannosi con risultati in alcuni casi positivi, in altri casi negativi (il russo Metchnikoff nel 1879 utilizzò il fungo Metharizium anisopliae contro uno scarabeide [ 60 ] tanto che il connazionale Krassilstschick, pochi anni dopo, impiantò la prima biofabbrica a Kiev per la produzione di questo fungo; ancora a fine Ottocento Vaney e Conte, impiegando Beauveria bassiana, ottennero una mortalità del 100% contro l’altica della vite). Solo a partire dalla seconda metà del secolo scorso, anche per effetto delle crescenti spinte a favore di soluzioni di difesa diverse da quelle chimiche, si sono approfonditi gli studi sui rapporti tra patogeni e insetti, sulle condizioni che facilitano l’azione dei primi sui secondi e sulle tecniche di applicazione in campo di tali mezzi di lotta. Attualmente negli agenti di lotta microbiologica sono inclusi virus, batteri, protozoi, funghi, nematodi. 
L’impiego di patogeni in lotta biologica segue criteri e consente modalità di intervento anche specifiche e diverse rispetto all’impiego di entomofagi. Gli agenti microbiologici hanno in linea di principio un’azione selettiva e non sono pericolosi per l’uomo e per l’ambiente: dunque vengono diretti e svolgono la loro azione su un dato fitofago senza incidere sui rapporti esistenti all’interno degli altri componenti la biocenosi; funzionano, in altri termini, come armi “intelligenti” a basso/nullo impatto ambientale. Una ricerca condotta in Toscana per verificare la presenza dell’eventuale accumulo nel terreno di Bacillus thuringiensis in ambiente forestale, a seguito della sua applicazione con mezzo aereo contro la processionaria della quercia, ha evidenziato che la quantità di spore del fungo che effettivamente hanno raggiunto il terreno è assolutamente marginale. Tali agenti di lotta si prestano poi a un impiego estensivo, effettuabile anche con mezzi aerei, sia in ambito forestale sia per usi civili (es. contro le zanzare). Sono stati scoperti moltissimi virus entomopatogeni, ma in lotta biologica sono impiegati quelli che formano i cosiddetti corpi di inclusione [ 61 ], una sorta di capsula di natura proteica che avvolge e protegge la particella virale impedendone una rapida denaturazione, una volta liberata nell’ambiente, per l’evidente ragione che grazie a questa protezione il trattamento risulta fitoiatricamente persistente e perciò efficace. 
In particolare l’attenzione si è incentrata sui Baculovirus e tra questi sui virus della Poliedrosi nucleare e della Granulosi (in Italia attualmente sono registrati due preparati di virus di quest’ultimo tipo contro le larve di lepidotteri dannose per i fruttiferi). Tra i batteri, sempre per la necessità di disporre di un agente persistente nell’ambiente che abbia buone probabilità di venire a contatto con il bersaglio e infettarlo, per le applicazioni in lotta biologica si prestano gli sporigeni, in particolare quelli del genere Bacillus. 
Attualmente in commercio si trovano prodotti a base di Bacillus thuringiensis (B.t.) [ 62 ], in diverse varietà e ceppi caratterizzati da un’attività elettiva verso specifici fitofagi. I protozoi non hanno concreta applicazione in lotta biologica, mentre sono di grande interesse i funghi entomopatogeni [ 63 ]. 
In natura ne sono state isolate numerose specie, appartenenti in particolare ai generi Entomophthora, Metharizium, Verticillium, Cordiceps, Beauveria, e sono state osservate anche epidemie (epizoozie) di insetti provocate da funghi (es. su cavallette da Entomophthora grylli). 
Le caratteristiche che distinguono i funghi dai patogeni esaminati in precedenza sono la minore selettività e la capacità di penetrare attivamente per perforazione meccanica della cuticola nel corpo degli insetti, mentre virus e batteri agiscono per ingestione. Tali caratteri, che sotto il profilo fitoiatrico possono essere utili in quanto consentono un impiego su una gamma sufficientemente ampia di insetti e in particolare su quelli dotati di apparato boccale pungente-succhiante infettabili solo per contatto (i microrganismi di lotta biologica rimangono sulla superficie delle piante trattate e quindi non possono essere assimilati da insetti che si nutrono succhiando la linfa); comportano però qualche rischio per la salute umana e l’ambiente. Infatti attualmente in Italia è registrato come prodotto fitosanitario solo Beauveria bassiana, di cui sono stati selezionati ceppi attivi contro molteplici fitofagi (aleirodidi, tripidi, alcune specie di afidi, cicaline, ditteri e altri). 
Infine tra i patogeni vengono annoverati i nematodi, organismi animali, alcuni dei quali sono entomoparassiti. Lo sviluppo postembrionale dei nematodi attraversa solitamente cinque stadi, ma è durante il terzo che la larva diventa infettiva, ossia capace di penetrare nel corpo della vittima in modo attivo o attraverso le aperture naturali. Le specie suscettibili di impiego in lotta biologica sono quelle che ospitano simbioticamente batteri del genere Xenorhabdus, in grado di provocare infezioni nelle vittime parassitizzate dal nematode: una volta entrati, i nematodi parassitizzano l’ospite nutrendosi della loro emolinfa e liberano alcuni batteri che si moltiplicano portando a morte la vittima per setticemia. I nematodi registrati per impiego in agricoltura e floricoltura possiedono i menzionati caratteri e appartengono ai generi Heterorhabditis e Steinerma. Altri aspetti fitoiatricamente interessanti dei nematodi sono rappresentati da una certa selettività, che li rende prodotti fitosanitari sostanzialmente innocui per l’uomo e l’ambiente, e inoltre dalla capacità di cercare attivamente le proprie vittime. In commercio sono distribuiti prodotti a base di Heterorhabditis bacteriophora, che trova applicazione contro le larve di coleotteri dannosi alle radici (es. oziorrinco), di Steinernema feltiae, impiegato contro le larve di ditteri (sciaridi, agromizidi e altri) e lepidotteri (nottuidi, agrostidi, cossidi, sesidi) e S. carpocapsae (cidie, coleotteri).

     Lotta biologica contro le malattie fungine
La lotta contro i funghi patogeni con impiego di mezzi biologici è approdata da una fase osservativa e sperimentale, iniziata a partire dagli anni Trenta del ’900, a una applicativa e commerciale grazie alla disponibilità di alcuni preparati. Gli agenti di lotta possono essere insetti micofagi che eliminano le crittogame semplicemente alimentandosene [ 64 ], ma anche microrganismi che si sviluppano parassitizzando il fungo dannoso. È questo il caso di Ampelomyces quisqualis, un fungo antagonista degli oidi di cui esiste un ceppo, non modificato artificialmente, disponibile in prodotti commerciali. 
I microrganismi esplicano l’azione di controllo mediante produzione di tossine, preimmunità, competizione alimentare (in alcuni casi uno stesso microrganismo esercita più di un’azione). La liberazione di sostanze tossiche, solitamente di tipo antibiotico, non si è dimostrata di grande importanza ai fini pratici. La preimmunità è una forma di resistenza indotta, ottenuta con l’impiego di ceppi ipovirulenti del patogeno, studiata in particolare per i virus dei vegetali, che può essere anche intesa come una competizione antagonistica di tipo ecologico sull’ospite, quando il microrganismo ipovirulento compete vantaggiosamente nell’occupazione delle superfici dell’ospite impedendo a quello virulento di attecchire e svilupparsi. In fitovirologia la protezione incrociata sta perdendo interesse per i rischi di sinergismo tra virus inducente inoculato e altri virus e per il rischio che il ceppo ipovirulento possa non rivelarsi tale su altri ospiti dove potrebbe essere trasferito, o anche dare origine a forme virulente per successiva mutazione, una volta presente nell’ambiente. 
Viceversa la competizione di tipo ecologico e alimentare trova applicazione in particolare contro i patogeni tellurici (= viventi nel terreno): ad esempio hanno mostrato buona attività di controllo ceppi naturali di specie fungine del genere Trichoderma, disponibili come prodotto fitosanitario, che colonizzano il terreno e le radici delle colture sottraendo con successo spazio vitale e sostanze nutritizie ai patogeni tellurici. Bacillus subtilis è un batterio di cui esistono ceppi attivi come biofungicidi, che agiscono a livello di nicchia fogliare competendo o eliminando funghi e microrganismi fitopatogeni (è indicato per la lotta a ticchiolatura e colpo di fuoco batterico su pomacee, muffa grigia e marciume acido su vite). Di crescente interesse sono poi i già menzionati compost repressivi, ammendanti contenenti microflora in grado di competere vantaggiosamente con specie fungine patogene appartenenti ai generi Pythium, Phytophthora, Rhizoctonia, Sclerotinia, agenti di marciumi del colleto e delle radici, e ai generi Fusarium e Verticillium, agenti di tracheomicosi. Si ritiene che i meccanismi di competizione implicati siano molteplici, afferenti ai diversi tipi sopra descritti. L’impiego dei compost repressivi può essere di valido supporto nel florovivaismo e nell’orticoltura.

Agricoltura sostenibile, biologica e difesa delle colture
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