Dagli ecosistemi naturali agli agroecosistemi
In natura, in ogni ambiente sufficientemente illuminato e che presenta condizioni atmosferiche più o meno sostenibili, si evolve una comunità di esseri viventi costituita in modo e in funzione delle diverse specie resilienti per quella regione, per quel tipo di clima e di suolo. Se i tanti fattori influenti agiscono in maniera uniforme nel tempo, gradualmente, si passa via via a stadi successivi (successioni ecologiche) e si instaura una comunità stabile (comunità climax) capace di durare nel tempo grazie ai suoi cicli riproduttivi, all’equilibrio tra assorbimento di sostanze dal suolo come la fornitura di sostanza organica, le precipitazioni meteoriche e relativi consumi idrici.
Al variare dei fattori (es. migrazione di specie, variazioni climatiche, disboscamenti, incendi, alluvioni, inquinamenti dell’aria e/o dell’acqua) la comunità esistente cambia nella struttura e nella composizione raggiungendo, con il passare del tempo, una nuova condizione di climax in equilibrio con il nuovo ambiente.
Un esempio tipico di successione a partire da un suolo nudo può essere dato dalla serie: vegetazione pioniera - prateria - brughiera/cespuglieto - bosco - foresta.
Frequentemente si assiste alla degradazione di comunità climax; per esempio sulle coste del Mediterraneo a causa di incendi, taglio del bosco, pascolo intensivo, si verifica il passaggio dal bosco alla macchia (boscaglia di arbusti alti un metro o più) alla gariga (formazione di piccoli arbusti alti circa mezzo metro), alla steppa (con sola vegetazione erbacea) e quando il suolo va perduto, per erosione o risoluzione di sostanza organica, si arriva al deserto.
Quando applichiamo le varie pratiche agricole degradiamo (noi o qualcuno prima di noi) [ 3 ] una comunità climax fino alla condizione di macchia, di brughiera o di steppa cerealicola. Quando coltiviamo dobbiamo essere consapevoli di questa azione e affinché l’agricoltura sia sostenibile dobbiamo agire in modo da conservare il suolo e mai arrivare al deserto. Partendo dagli ecosistemi naturali le pratiche agricole portano alla formazione di ecosistemi artificiali detti agroecosistemi. La biodiversità viene drasticamente ridotta e di conseguenza l’agroecosistema non si mantiene stabilmente nel tempo. La produttività aumenta molto per asportazione continua di prodotti, con riduzione della biomassa e della sostanza organica del suolo. Negli ecosistemi l’energia arriva praticamente tutta dal sole attraverso i fenomeni della fotosintesi, mentre negli agroecosistemi sono molto importanti gli input energetici provenienti dalle concimazioni chimiche (in particolare le concimazioni azotate), le lavorazioni del suolo, i trattamenti [ 4 ]. Non dobbiamo mai dimenticare che le piante che coltiviamo e gli animali che alleviamo fanno parte di ecosistemi complessi, vivono insieme a funghi, batteri, virus, insetti, acari, nematodi, mammiferi, uccelli.
A noi sembra di allevare una vite, un melo, una pecora come entità autonome, ma stiamo solo cercando di fare prevalere una pianta o un animale in un complesso ecosistema per poi mangiarne i suoi frutti, la sua carne, il suo latte.
Coltivare e allevare significa dunque attuare scelte e mettere in atto interventi di varia natura per dirigere un agroecosistema verso gli obiettivi che ci siamo prefissati: produrre pane, pasta, frutta, vino, carne, formaggi e tessuti, ecc. [ 5-6 ].
Per attuare una agricoltura produttiva e sostenibile è molto utile capire e conoscere le criticità ambientali e produttive dell’ecosistema agricolo e, soprattutto, orientarsi verso un’unica strategia di difesa, anche fitosanitaria delle produzioni.