Nel 1960, in Francia, si osservò per la prima volta che nella coltura comune di due linee di cellule tumorali di topo si formava un nuovo tipo di cellule, con caratteristiche morfologiche e modalità di sviluppo diverse da entrambe le linee. Due cellule con caratteristiche proprie si fondevano, cioè, per formare una cellula nuova.
La frequenza della fusione era piuttosto bassa, ma si riuscì ad accrescerla con l’uso del virus emoagglutinante del Giappone completamente inattivato per eliminare qualsiasi complicanza di infezione.
Si erano ottenuti gli ibridomi [ 24 ], ovvero cellule miste con caratteristiche diverse da quelle delle linee parentali, ma comunque derivate da esse.
La linea cellulare ibrida viene propagata in coltura in vitro.
Se nella fusione iniziale intervengono più cellule, derivate da più organismi, la nuova cellula ibrida ha poche probabilità di sopravvivenza, ma se le cellule iniziali derivano da due soli organismi diversi, la “nuova” cellula sopravvive e comincia a moltiplicarsi.
La relativa facilità della tecnica ha suscitato immediatamente grande interesse nel mondo scientifico e numerosi sono stati gli esperimenti.
Dapprima si usarono solo cellule animali dal momento che le cellule vegetali, protette da una rigida parete di cellulosa, ponevano più problemi se sottoposte a questo tipo di manipolazioni.
Si è giunti a fondere cellule somatiche di vertebrati di ordine diverso: uomo/topo, scimmia/topo, topo/pollo. Nel corso delle divisioni la cellula ibrida, però, perdeva progressivamente alcune caratteristiche e così nel primo caso erano i cromosomi umani a essere eliminati, nel secondo quelli della scimmia e così via.
Ciò dimostra che l’ibrido costruito con cellule molto diverse fra loro è instabile. Un ibridoma uomo/topo, inoltre, non potrà originare un uomo-topo perché le cellule animali, anche in coltura, dopo un certo numero di mitosi muoiono, a meno che non si tratti di cellule tumorali le cui proprietà di crescita sono del tutto diverse da quelle normali [ 25 a pagina seguente].
Le ricerche sono continuate e l’impiego dei protoplasti, ottenuti per eliminazione enzimatica della parete cellulare, ha permesso di estendere la tecnica consentendo di ottenere ibridi tra cellule animali e cellule vegetali.
Per i vegetali le cose dovrebbero essere diverse, dal momento che da una cellula in coltura è possibile rigenerare un’intera pianta; almeno secondo regole teoriche, bisognerebbe poter produrre piante con le caratteristiche di entrambi i genitori.
In realtà anche in questo caso si è riscontrata incompatibilità fra due patrimoni genetici troppo dissimili e i risultati non sono stati molto più brillanti di quanto si ottiene incrociando per via sessuale le piante di partenza. Un ibrido risulta tanto più stabile quanto più simili tra loro sono le cellule da cui deriva. La tecnica consiste in:
1. isolamento delle cellule ed eliminazione della parete per ottenere i protoplasti;
2. fusione dei protolasti che formano gli ibridomi;
3. moltiplicazione e sviluppo degli ibridomi fino a evolversi in piante che potranno fiorire e riprodursi.
Tale modalità di riproduzione ha ottenuto un buon successo fondendo due specie di Nicotiana (N. glauca + N. langsdorffi) [ 26 ] e, poiché le cellule sono somatiche, il numero cromosomico risulta doppio, ottenendo una specie ibrida poliploide in grado di riprodursi. Più difficile è l’ottenimento di ibridomi fra specie differenti, per cui sono scarsi, per ora, i risultati raggiunti.
Non senza difficoltà e comunque con caratteristiche inferiori rispetto alle cellule di partenza, si è riusciti ad ottenere dall’unione di due solanacee, patata e pomodoro, il pomato, un ibrido con caratteristiche della patata nella parte ipogea e del pomodoro in quella epigea.
Un esperimento è stato tentato fra specie appartenenti ai generi Petunia e Nicotiana, mentre in Giappone sono stati uniti mandarino e arancio, piante del genere Citrus assai affini fra loro.
Nei vegetali la fusione dei protoplasti si presenta come la via per introdurre caratteristiche nuove nella pianta; infatti l’ibridoma non perde completamente l’informazione genetica di una delle due cellule e dà origine a una cellula che nel proprio patrimonio genetico ha incorporato nuove informazioni.
Da questa cellula, detta ibrido asimmetrico, si origina una pianta che ha tutte le caratteristiche di una delle due piante originali, più alcuni tratti dell’altra.