4  Gli ibridomi

Nel 1960, in Francia, si osservò per la prima volta che nella coltura comune di due linee di cellule tumorali di topo si formava un nuovo tipo di cellule, con caratteristiche morfologiche e modalità di sviluppo diverse da entrambe le linee. Due cellule con caratteristiche proprie si fondevano, cioè, per formare una cellula nuova.
La frequenza della fusione era piuttosto bassa, ma si riuscì ad accrescerla con l’uso del virus emoagglutinante del Giappone completamente inattivato per eliminare qualsiasi complicanza di infezione.
Si erano ottenuti gli ibridomi 24  ], ovvero cellule miste con caratteristiche diverse da quelle delle linee parentali, ma comunque derivate da esse.
La linea cellulare ibrida viene propagata in coltura in vitro.
Se nella fusione iniziale intervengono più cellule, derivate da più organismi, la nuova cellula ibrida ha poche probabilità di sopravvivenza, ma se le cellule iniziali derivano da due soli organismi diversi, la “nuova” cellula sopravvive e comincia a moltiplicarsi.
La relativa facilità della tecnica ha suscitato immediatamente grande interesse nel mondo scientifico e numerosi sono stati gli esperimenti.
Dapprima si usarono solo cellule animali dal momento che le cellule vegetali, protette da una rigida parete di cellulosa, ponevano più problemi se sottoposte a questo tipo di manipolazioni.
Si è giunti a fondere cellule somatiche di vertebrati di ordine diverso: uomo/topo, scimmia/topo, topo/pollo. Nel corso delle divisioni la cellula ibrida, però, perdeva progressivamente alcune caratteristiche e così nel primo caso erano i cromosomi umani a essere eliminati, nel secondo quelli della scimmia e così via.
Ciò dimostra che l’ibrido costruito con cellule molto diverse fra loro è instabile. Un ibridoma uomo/topo, inoltre, non potrà originare un uomo-topo perché le cellule animali, anche in coltura, dopo un certo numero di mitosi muoiono, a meno che non si tratti di cellule tumorali le cui proprietà di crescita sono del tutto diverse da quelle normali [  25  a pagina seguente].
Le ricerche sono continuate e l’impiego dei protoplasti, ottenuti per eliminazione enzimatica della parete cellulare, ha permesso di estendere la tecnica consentendo di ottenere ibridi tra cellule animali e cellule vegetali.
Per i vegetali le cose dovrebbero essere diverse, dal momento che da una cellula in coltura è possibile rigenerare un’intera pianta; almeno secondo regole teoriche, bisognerebbe poter produrre piante con le caratteristiche di entrambi i genitori.
In realtà anche in questo caso si è riscontrata incompatibilità fra due patrimoni genetici troppo dissimili e i risultati non sono stati molto più brillanti di quanto si ottiene incrociando per via sessuale le piante di partenza. Un ibrido risulta tanto più stabile quanto più simili tra loro sono le cellule da cui deriva. La tecnica consiste in:
1. isolamento delle cellule ed eliminazione della parete per ottenere i protoplasti;
2. fusione dei protolasti che formano gli ibridomi;
3. moltiplicazione e sviluppo degli ibridomi fino a evolversi in piante che potranno fiorire e riprodursi.
Tale modalità di riproduzione ha ottenuto un buon successo fondendo due specie di Nicotiana (N. glauca + N. langsdorffi) [  26  ] e, poiché le cellule sono somatiche, il numero cromosomico risulta doppio, ottenendo una specie ibrida poliploide in grado di riprodursi. Più difficile è l’ottenimento di ibridomi fra specie differenti, per cui sono scarsi, per ora, i risultati raggiunti.
Non senza difficoltà e comunque con caratteristiche inferiori rispetto alle cellule di partenza, si è riusciti ad ottenere dall’unione di due solanacee, patata e pomodoro, il pomato, un ibrido con caratteristiche della patata nella parte ipogea e del pomodoro in quella epigea.
Un esperimento è stato tentato fra specie appartenenti ai generi Petunia e Nicotiana, mentre in Giappone sono stati uniti mandarino e arancio, piante del genere Citrus assai affini fra loro.
Nei vegetali la fusione dei protoplasti si presenta come la via per introdurre caratteristiche nuove nella pianta; infatti l’ibridoma non perde completamente l’informazione genetica di una delle due cellule e dà origine a una cellula che nel proprio patrimonio genetico ha incorporato nuove informazioni.
Da questa cellula, detta ibrido asimmetrico, si origina una pianta che ha tutte le caratteristiche di una delle due piante originali, più alcuni tratti dell’altra.

     Gli anticorpi monoclonali
Lo studio degli ibridomi ha consentito di ottenere gli anticorpi monoclonali molto utili in medicina.
Quando virus, batteri o protozoi, capaci di creare malattie infettive entrano in un organismo, vengono da questo riconosciuti come “estranei” da due tipi di cellule: i linfociti T, forniti di specifici recettori di membrana, e i linfociti B, capaci, invece, di agire indirettamente producendo anticorpi.
Chimicamente gli anticorpi sono proteine (immunoglobuline) formate da una parte costante, tipica per ogni gruppo e da una parte variabile, specifica per ogni antigene esistente.
I microrganismi responsabili delle malattie infettive sono dotati di tanti antigeni con caratteristiche diverse e, quando il microrganismo infetta l’uomo, questi sviluppa nel siero tanti anticorpi quanti sono gli antigeni, sviluppa cioè una risposta policlonale 27  ].
Nel 1975, furono Kohler e Milstein che misero a punto una tecnica per produrre una cellula immortale, capace di secernere un solo anticorpo di specificità definita: l’anticorpo monoclonale.
La scoperta, come già era accaduto a Watson e Crick nel 1962, valse loro il Premio Nobel per la Medicina nel 1984.
Gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati per eseguire test ormonali, per fare la diagnosi di malattie virali o la diagnosi precoce di tumori. L’uso di un anticorpo monoclonale marcato con iodio radioattivo, iniettato in malati già con diagnosi clinica di tumore al colon e al retto, ha consentito di determinare con estrema precisione l’estensione del tumore originario e le sue ramificazioni nell’organismo (metastasi).
La tecnica della produzione di anticorpi è distinta in tre fasi: immunizzazione, coltura selettiva, produzione di anticorpi e viene schematizzata qui di seguito [  28  ].
Dopo il 1979 sono stati preparati in molti laboratori americani anticorpi monoclonali che reagivano con gli antigeni del cancro del polmone, del seno, del colon, del pancreas, del melanoma, dei linfomi e delle leucemie; tutti strumenti utili, quindi, nella diagnosi precoce e anche in terapia, dove potrebbe esistere un uso in sieroterapia o per vaccini a elevata specificità o per neutralizzare l’azione dei linfociti responsabili del rigetto nei trapianti [  29  ].

28 Le tre fasi per la produzione di anticorpi.
29 Schema di riepilogo dell’utilizzazione degli ibridomi.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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