3  Le colture cellulari animali

Le colture di cellule animali vengono utilizzate sia nell’ambito della biologia cellulare sia in biologia molecolareNel primo caso sono usate per studi di tipo funzionale, sulla regolazione delle proteine e dei geni, sui meccanismi di crescita (metabolismo e differenziamento cellulare, ecc.).
Nel secondo caso possono essere usate per l’estrazione di acidi nucleici (RNA e DNA), per la purificazione di proteine, per studi di espressione genica e analisi dell’effetto delle mutazioni geniche.
La loro creazione trova numerose applicazioni pratiche: in medicina per la produzione di cellule staminali e di tessuti in vitro (come il tessuto epidermico artificiale, il tessuto endoteliale che riveste internamente i vasi sanguigni  15  ]); in oncologia per caratterizzare dal punto di vista biochimico e molecolare diversi tipi di tumori; in genetica cellulare per le diagnosi prenatali; in farmacologia per test di tossicità di droghe o farmaci e sostanze inquinanti, e per la produzione di proteine ricombinanti e di anticorpi monolocali.
A differenza degli organismi unicellulari, le cellule degli organismi pluricellulari non riescono a condurre una vita autonoma e la loro sopravvivenza dipende dalla disponibilità di un numero elevato di sostanze (zuccheri, amminoacidi, lipidi, vitamine, ioni, ecc.) che le cellule non sono in grado di procurarsi da sole e che normalmente sono presenti in quantità ben controllate all’interno del tessuto in cui esse si trovano.
Le cellule animali sono anche molto sensibili ai parametri chimico-fisici dell’ambiente in cui si trovano, quali pH, osmolarità, concentrazione di anidride carbonica e ossigeno, temperatura e in molti casi la presenza di un substrato adeguato per il loro ancoraggio. Le tipiche condizioni di coltura sono ottenute mantenendo le cellule in contenitori opportunamente trattati (fiasche e piastre Petri  16  ]), immerse in appropriati mezzi o terreni di coltura solidi o liquidi, che contengono le quantità appropriate delle sostanze necessarie e poste in incubatori che sono in grado di mantenere controllata la temperatura, la pressione parziale dell’anidride carbonica e l’umidità.

L’allestimento delle colture prevede:
1. frammentazione del tessuto e dissociazione delle cellule mediante breve digestione con tripsina;
2. semina delle cellule in uno specifico terreno di coltura e loro crescita in condizioni fisiche controllate;
3. distacco delle cellule e allestimento di nuove colture (subcolture). Le cellule devono essere coltivate in condizioni assolutamente sterili.
Dato il numero di fattori richiesti per la loro sopravvivenza, le cellule derivate da animali sono molto delicate e difficili da mantenere in vita in ambiente artificiale e le loro colture si dividono in colture primarie e colture permanenticostituite da cellule immortalizzate o trasformate.
Le cellule primarie sono quelle che derivano dal tessuto o dall’organo e di solito hanno un tempo di sopravvivenza in coltura piuttosto limitato. Dopo il primo passaggio nascono le linee cellulari, che se derivano da una singola cellula sono omogenee e vengono dette linee cellulari clonali. Le cellule con caratteristiche specifiche derivate da una coltura primaria o da una linea cellulare tramite selezione o clonazione vengono chiamate ceppo cellulare. Le subcolture sono linee che derivano da cellule primarie, non sono immortali e di solito dopo un certo numero di duplicazioni, variabile a seconda del tessuto e della specie oggetto di studio, cominciano a degenerare per poi morire.
Sia le colture di cellule immortali che quelle trasformate hanno invece una capacità moltiplicativa illimitata.
Le cellule immortalizzate e le linee cellulari continue o permanenti, caratterizzate dalla possibilità di una loro divisione illimitata, prendono origine da mutazioni in geni diversi di colture primarie e si possono ottenere dai tumori (cellule HeLa) o mediante infezione con virus, attraverso trasfezione con geni immortalizzati o proteine, nonché mediante la tecnica dell’ibridoma. In tal caso, cellule B produttrici di anticorpi vengono fuse con cellule di mieloma (cellule tumorali) al fine di produrre anticorpi monoclonali.
La prima volta che da una cellula umana si è riusciti a ottenere una linea cellulare immortalizzata fu negli anni Cinquanta, attraverso l’estrazione dal carcinoma della cervice uterina dell’americana Henrietta Lacks, della linea HeLa. Da allora, nei laboratori di tutto il mondo sono state coltivate più di 50 tonnellate di cellule HeLa.
Nel campo della ricerca alla linea cellulare HeLa si sono aggiunte più di 4.000 linee cellulari, umane e animali, tra cui le cellule Vero (linea cellulare African Green Monkey), le cellule HEK-293 (linea cellulare Human Embryonic idney) e le cellule K562 (la più antica linea cellulare della leucemia umana). In base alla loro forma, le cellule delle colture in vitro si distinguono in cellule fusiformi, come i fibroblasti, e cellule poligonali, di tipo epiteliale. I fibroblasti rappresentano le colture cellulari più usate poiché si adattano meglio alle condizioni di crescita in vitro; comunque sono assai diffuse anche le colture di cellule endoteliali, cellule nervose e cellule emopoietiche [  17  ].
Una ulteriore classificazione delle cellule utilizzate in vitro suddivide le cellule in: aderenti (o cellule in monostrato) e non aderenti (cellule in sospensione). Le cellule aderenti si attaccano sul fondo di una fiasca o di una piastra di plastica e crescendo per mitosi formano monostrati cellulari che devono essere staccati.
Le cellule in sospensione, invece, normalmente non si attaccano alla superficie del contenitore.
Le caratteristiche di aderenza o non aderenza delle colture cellulari in vitro dipendono di solito dalla posizione di origine nell’organismo-animale vivo. Ad esempio: quasi tutte le cellule in sospensione derivano dalle cellule che in vivo circolano (in sospensione) nel sangue, come i linfociti T e B del sistema immunitario, oppure da cellule loro precursori.
Le cellule aderenti derivano invece da tessuti (muscoli, fegato, sistema nervoso, rene) e all’interno dell’organismo non si muovono.
Le colture primarie da tessuti normali necessitano di un substrato solido a cui aderire (colture aderenti), mentre le cellule tumorali possono essere coltivate anche in sospensione.
La tecnica consiste in:
1. Prelievo delle cellule da un campione (organo, embrioni o uova).
2. dissezione meccanica.
3. Trattamento con tripsina (o altro enzima) per eliminare i contatti tra cellule e aggiunta di colorante trypan blue in grado di colorare selettivamente le cellule morte e controllare la vitalità cellulare [  18  ].
Le colture cellulari presentano numerosi vantaggi poiché rappresentano sistemi molto semplici, riproducibili, abbastanza economici e rapidi nel tipo di risposta che possono dare. Presentano anche diversi svantaggi poiché le cellule in coltura sono soggette a una elevata instabilità genetica e possono subire mutazioni che fanno perdere alcuni dei caratteri fissati dopo un certo numero di passaggi successivi.

     Le cellule staminali
Attualmente, in quasi tutti i campi della scienza applicata alla medicina, sono di grandissimo interesse le cellule staminali, particolari cellule non specializzate (o non differenziate), in grado di riprodursi attraverso il processo di divisione mitotica e di generare tutti i tessuti del corpo attraverso un processo detto “differenziazione” [  19  ].
Esse infatti, per la loro abilità di potersi differenziare in cellule specializzate per una particolare funzione, possono sviluppare tessuti per la cura di patologie anche gravi.
Esistono due tipologie di tali cellule: cellule staminali embrionali e cellule staminali adulte. Le prime, presenti nell’embrione umano, derivano dalla fusione di ovulo e spermatozoo al momento del concepimento e hanno il compito di produrre le cellule specializzate nel nuovo individuo; le seconde, invece, presenti nei tessuti degli adulti (soprattutto nel midollo osseo), svolgono il ruolo di organo riparatore per le cellule specializzate e di mantenimento del riciclo di sangue.
In base alla loro potenzialità queste cellule si distinguono in: staminali unipotenti, che possono riprodurre solo cellule del tessuto al quale appartengono; staminali multipotenti, che possono evolvere una cerchia ristretta di cellule; staminali pluripotenti, che sono presenti nel feto e nel cordone ombelicale e possono differenziarsi in quasi tutti i tipi di cellule specializzate; staminali totipotentipresenti nell’embrione.
Queste ultime sono in grado di evolvere entro il 14° giorno differenziandosi sino a creare un completo essere vivente.
Potenzialmente queste cellule possono rappresentare una fonte illimitata per creare ossa, muscoli, fegato o globuli rossi, ma non tutti ritengono lecito ed etico danneggiare un embrione umano o utilizzare degli embrioni già formati allo scopo di ricerca [  20  ].
Nell’adulto, l’utilizzo di cellule staminali, capaci di dare origine solo a cellule proprie di un dato tessuto, trova numerose applicazioni e, poiché i nuovi tessuti derivano da cellule geneticamente identiche, si possono risolvere anche problemi dl rigetto in caso di trapianto.
Negli ultimi tempi sono state ottenute cellule staminali indotte pluripotenti iPS o iPSCs (Induced Pluripotent Stem Cells). Il nuovo sistema è eticamente compatibile con la ricerca perché queste staminali sono ottenute riprogrammando cellule già adulte e non attraverso lo sviluppo di embrioni  21  ].
La tecnica per produrre cellule staminali indotte pluripotenti fu individuata nel 2006 dallo scienziato giapponese Yamanaka che per questo, nel 2012, fu insignito del premio Nobel in Medicina.
Si parte da una qualsiasi cellula differenziata, generalmente una cellula che si può isolare dalla cute, il fibroblasto, facile da raccogliere e da coltivare in vitro.
Si inseriscono 4 geni caratteristici delle cellule embrionali (Oct3/4, Sox2, Klf4, c-Myc), detti anche “Yamanaka factors” dal nome del ricercatore giapponese che li ha scoperti, e la cellula viene “riprogrammata” e ridiventa indifferenziata e pluripotente assumendo caratteristiche simili (anche se non identiche) alle cellule staminali embrionali.

     La clonazione animale
La clonazione è un processo che consente di ottenere una copia identica di un animale di interesse per scopi zootecnici o biomedici. In natura esistono diversi processi che portano alla clonazione, soprattutto nelle piante, ma anche in alcuni invertebrati e in alcuni organismi unicellulari.
In laboratorio la clonazione è una riproduzione artificiale ottenuta senza l’apporto dei due gameti e pertanto è una riproduzione asessuale o agamica.
Esistono tre tipi di clonazione: clonazione embrionale, clonazione riproduttiva, clonazione terapeutica.
La clonazione embrionale è un processo simile a quello che, in natura, porta alla formazione di due gemelli monozigoti. L’unica masserella di cellule totipotenti derivate dallo zigote si separa precocemente originando due embrioni con DNA identici. In laboratorio la riproduzione di embrioni si ottiene per disaggregazione o suddivisione di un embrione (Embryo - splitting = scissione embrionale) nelle prime fasi di sviluppo, quando le cellule sono totipotenti o pluripotenti, in grado cioè di generare un intero organismo.
La tecnica consiste nell’effettuare una fecondazione in vitro e separare le cellule che si originano dalla divisione dello zigote, ciascuna delle quali si svilupperà in modo autonomo dando origine a una serie di embrioni gemelli che vengono, poi, trasferiti in utero.
La clonazione riproduttiva si verifica quando la fecondazione è sostituita dall’inserimento di un nucleo prelevato da una cellula somatica dell’individuo che si vuole clonare, in un ovulo denucleato, privato cioè del genoma di origine materna. Poiché il nucleo della cellula somatica porta tutto il patrimonio genetico, l’individuo ottenuto possiede l’identità genetica del donatore del nucleo.
Successivamente la cellula ricevente si divide e in circa 5 giorni, le ripetute divisioni cellulari portano alla formazione di una blastocisti, ovvero una piccola sfera di cellule che potrà essere utilizzata per diversi scopi. Sono le sostanze contenuti nell’ovocita a “riprogrammare” il nucleo della cellula introdotta, in modo da farla ritornare cellula staminale pluripotente e quindi iniziare lo sviluppo embrionale.
Nella clonazione dei mammiferi, lo sviluppo ulteriore dell’individuo richiede l’impianto delle blastocisti nell’utero di una “madre sostituta”, che potrà portare a termine la gravidanza con la nascita di un clone dell’animale donatore.
È il caso di Dolly, la pecora più famosa del mondo. L’eccezionalità di Dolly non sta nel fatto che fosse geneticamente uguale a un’altra pecora (anche i gemelli monovulari lo sono, ma essi derivano da un’unica cellula che si è divisa, quindi condividono nucleo e citoplasma), ma nel fatto che è stato utilizzato come nucleo donatore il nucleo di una cellula specializzata come quello della mammella, nucleo che è riuscito a riprogrammarsi e, lavorando in sincronia con il nuovo citoplasma, ad iniziare lo sviluppo embrionale.
Impiantato nell’utero di una pecora ospite che gli ha trasmesso calore e nutrimento, l’embrione è cresciuto ed è nata Dolly [  22  ].
La tecnica del trasferimento nucleare (nucleo-transfer) è stata sperimentata in numerosi altri centri di ricerca dove furono clonati mammiferi come maiali, cavalli, tori e cervi.
La clonazione della pecora fu molto importante perché dimostrò, per la prima volta e in modo inequivocabile, che è possibile produrre un clone da una cellula adulta di mammifero già specializzata. I ricercatori avevano dimostrato che i geni che si trovano nel nucleo della cellula somatica sono in grado di tornare indietro, fino allo stadio in cui le cellule sono pluripotenti e hanno quindi la possibilità di evolvere in qualsiasi tessuto necessario per lo sviluppo dell’organismo.
La clonazione terapeutica fa riferimento ai blastomeri, le cellule che formano l’embrione nei suoi stadi iniziali [  23  ].
Ogni blastomero possiede un genoma completo e ha la capacità di sviluppare un nuovo individuo, solo, però, se protetto da un involucro nutritivo (zona pellucida).
Quando si scoprì che la funzione di involucro nutritivo poteva essere svolta da una membrana ricavata da alghe marine, si separarono i blastomeri di embrioni e si ottennero cloni.
Prelevate dalle blastocisti tali cellule staminali embrionali vengono poi coltivate in vitro, per costruire tessuti e organi da utilizzare per curare patologie umane che richiedono trapianti, ma anche per riparare i danni inflitti dall’ictus, dal morbo di Parkinson, dall’Alzheimer e da altre malattie oggi incurabili.
La clonazione umana è tecnicamente possibilema non è legalmente consentita in alcuno Stato e tutti gli organismi internazionali (Consiglio d’Europa, Parlamento Europeo, OMS, UNESCO), che si sono pronunciati in materia, sono d’accordo nel respingere come illecita la clonazione con nucleo-transfer quando è realizzata ai fini riproduttivi.
Diverso è il problema etico legato alla clonazione terapeutica che ruota attorno alla provenienza delle cellule staminali. Se la fonte del materiale biologico è la produzione di embrioni, ciò viene considerato eticamente scorretto, perché comporta il sacrificio dell’embrione. Se le cellule vengono ricavate da un organismo già formato, dal midollo spinale di un individuo adulto o dalla placenta e dal cordone ombelicale dei neonati, il loro utilizzo è lecito, perché non si procura danno ai donatori.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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