3  Le fermentazioni

Il termine fermentazione deriva dal latino fervere che vuol dire “bollire”, e fu usato per la prima volta nel 1815 da Gay-Lussac che aveva osservato che una soluzione zuccherina produce, per azione di microrganismi, bolle di gas. Solo più tardi Pasteur dimostrò che dello sviluppo di gas erano responsabili i microrganismi che, in assenza di ossigeno libero, provocano un’importante decomposizione del terreno di coltura; fu così che defìnì la fermentazione come la “vita senz’aria”.
Oggi il termine “fermentazione” è considerato in maniera più ampia ed è esteso a tutte le reazioni biochimiche indotte dai microrganismi e dagli enzimi da essi prodotti per ottenere la trasformazione di un substrato in assenza di ossigeno (fermentazioni propriamente dette) o in presenza di ossigeno (fermentazioni improprie 23  ]).
A partire dagli anni ’70 dello scorso secolo, con lo sviluppo delle biotecnologie innovative, il termine si è allargato a comprendere tutti i processi di coltivazione di microrganismi per produrre sostanze utili.
La presenza di microrganismi e degli enzimi da essi prodotti sono gli elementi fondamentali per dire che una trasformazione chimica è una fermentazione.
La produzione tradizionale del pane comune è possibile grazie alla fermentazione naturale dell’impasto (farina e acqua) dovuta a tantissime cellule di lievito (Saccharomyces cerevisiae) che in condizioni ottimali di temperatura si riproducono a velocità altissima.
Il lievito madre, derivato dalla produzione tradizionale del pane, è l’antica alternativa al più moderno lievito di birra. Quest’ultimo è una massa formata da miliardi di cellule di lievito (Saccharomyces cerevisiae) che si depositano alla base dei silos di fermentazione della birra e una volta raccolti sono depurati e lavorati a panetti (da qui il nome).

     I lieviti
I lieviti sono Funghi unicellulari, circa dieci volte più grandi dei batteri. Le loro cellule sono eucariote e presentano una parete cellulare a protezione della membrana citoplasmatica.
Sono composti per il 75% da acqua e per il 25% da protidi, lipidi, glucidi e sali minerali (fosforo, soprattutto, ma anche potassio, magnesio, ferro, calcio, ecc.) [  24  ].
Secondo la specie, i lieviti si sviluppano su una grande varietà di substrati naturali e artificiali e, nonostante esistano specie dannose e patogene, molte altre sono utili e pertanto coltivate e selezionate in ceppi di elevata purezza.
L’attività metabolica dei lieviti può svolgersi in presenza di ossigeno (metabolismo aerobico) e in assenza di ossigeno (metabolismo anaerobico).

     METABOLISMO E RIPRODUZIONE
Durante il metabolismo aerobico il substrato, di solito uno zucchero, viene decomposto ad acqua e anidride carbonica e l’energia prodotta viene utilizzata dai lieviti per riprodursi. Quando l’ossigeno del mezzo si è consumato, il substrato viene decomposto parzialmente producendo alcol etilico e anidride carbonica e originando la fermentazione.
Perché le funzioni metaboliche si compiano, i lieviti hanno bisogno di sostanze nutritive disponibili e di condizioni ambientali adatte [  25  ].
a) Fattori nutrizionali:
zuccheri: le principali fonti di carbonio sono il glucosio, soprattutto, e il fruttosio. Possono essere utilizzati anche polialcoli come la glicerina o acidi organici (malico e citrico);
azoto: in forma ammoniacale, amminoacidica e proteica;
sali minerali (P, K, Ca) e vitamine.
L’insieme delle sostanze disciolte, in particolare gli zuccheri, influenza la pressione osmotica e, se questa è troppo elevata, provoca la plasmolisi delle cellule. Di solito i lieviti resistono a concentrazioni zuccherine fino al 30%, tranne gli osmofili (Zigosaccaromiceti) che resistono fino al 60%.
b) Fattori ambientali:
temperatura: l’optimum di temperatura è 25-30 °C anche se vi sono lieviti che si accrescono al di sotto dei 10 °C e altri che sopravvivono a 50 °C;
ossigeno: consente di far percorrere allo zucchero la via respiratoria (metabolismo aerobico) [  26a  ];
pH: è preferibile che sia acido per favorire i lieviti e inibire i batteri;
antifermentativi: tra tali sostanze, quella più usata è l’anidride solforosa alla quale sono sensibili in maniera diversa tutti i microrganismi, compreso i lieviti.
La riproduzione dei lieviti è agamica e avviene per gemmazione, tranne che nel genere Schyzosaccharomyces che si divide per scissione [  26b  ].
In condizioni ambientali favorevoli ogni cellula dà luogo a due individui ogni 50 minuti circa e quindi in meno di tre ore una coltura di lievito duplica il suo contenuto.
La riproduzione sessuata può avvenire per ascospore portate da aschi nudi o per basidiospore cosicché anche i lieviti si classificano in Ascomiceti o Basidiomiceti.
Sono, perciò, comunemente detti lieviti sporigeni.
Quando manca la forma sessuata i lieviti vengono inseriti nel gruppo dei Funghi mitosporici già chiamati Deuteromiceti e in questo caso sono detti lieviti asporigeni.
Solo Ascomiceti e Funghi mitosporici inducono processi fermentativi.
In base alla forma si possono avere lieviti rotondeggianti (Torulopsis), a forma di limone (Apiculati: Kloeckera, Candida) o di ellisse (Ellittici: Saccharomyces).
Come già era avvenuto per i batteri, la classificazione non si basa più su caratteri fisiologici, come la capacità o meno di assimilare o fermentare composti del carbonio ed altri composti organici e inorganici, ma sulla composizione del corredo genetico delle diverse specie. Purtroppo non è stata trovata una regione unica di DNA in grado di discriminare tutte le specie di lieviti, mentre per i batteri la determinazione della sequenza di DNA che codifica la subunità 16S dei ribosomi viene universalmente accettata per la classificazione filogenetica.
Per quanto riguarda i lieviti, la classificazione ufficiale riconosce che “al presente sono ancora insufficienti le analisi molecolari per circoscrivere adeguatamente molti generi”, soprattutto quelli di minore diffusione.
La più importante novità dell’ultima classificazione tassonomica è la scomparsa del phylum dei Deuteromiceti, dove venivano collocate tutte le specie di cui non si conosceva la riproduzione sessuale. Poiché la nuova classificazione si basa sulla composizione di particolari sequenze di DNA, per molte specie che non producono spore sessuali, è stato possibile individuare quelle che presentano maggiori omologie a livello di sequenza, fra quelle di cui invece si conosce la riproduzione sessuale.
I soli due phyla che comprendono tutte le specie di lieviti sono ora gli Ascomiceti e i Basidiomiceti, e al loro interno sono descritte le specie teleomorfe, quelle di cui si conosce la riproduzione sessuale, e le specie anamorfe, che non producono spore sessuali e di cui non si conosce il ciclo completo.
Dal genere Candida, che conteneva tutte le specie di Deuteromiceti di incerta attribuzione (circa 400), sono state eliminate tutte le specie anamorfe di Basidiomiceti, e quindi esso è stato spostato negli Ascomiceti dove costituisce la famiglia Candidaceae. Nonostante questa “ripulitura”, il genere Candida rimane comunque un genere dai confini vaghi, e tutti i lieviti (161 specie) di cui non si conosce la riproduzione sessuale vi sono stati mantenuti.
Il phylum degli Ascomiceti contiene 41 generi teleomorfi e 15 anamorfi, quello dei Basidiomiceti contiene 17 generi teleomorfi e 21 anamorfi. Complessivamente, il gruppo dei lieviti è formato da 94 generi e poco meno di 700 specie [  27  ].
Genere Saccharomyces(1) Il lievito più importante per le fermentazioni di vino, birra e pane è il Saccharomyces cerevisiae. In questa specie ne confluiscono oggi ben 17 delle vecchie (ellypsoideus, bayanus, pastorianus, uvarum, ecc.) ritenute solo razze fisiologiche [  28  ].
Genere Torulaspora(2) (T. delbruckii e T. pretoriensis)
Comprende anche la vecchia specie Saccharomyces rosei.
È uno dei più importanti lieviti della fermentazione vinaria  29  ].
Genere Saccharomycodes(3) Il S. ludwigii è dotato di alta resistenza all’anidride solforosa e ha grandi capacità fermentative [  30  ].
Genere Schizosaccharomyces(4) Sono i lieviti capaci di indurre la fermentazione maloalcolica (S. pombe).
Genere Zygosaccharomyces(5) Il Z. bailii e il Z. bisporus sono i cosiddetti “lieviti osmofili”, capaci di resistere oltre il 60% di zuccheri senza essere inattivati. Producono però basse concentrazioni di alcol. Il Z. lactis entra, assieme ai batteri, fra i fermenti per la fabbricazione dello yogurt e del kefir.
Generi: Hanseniaspora(6) e Kloeckera(6) Sono i lieviti che iniziano la fermentazione, ma producono poco alcol.
Hanno forma di limone (lieviti apiculati) come la Candida.
Generi: Pichia(7), Hansenula(7), Candida(7) Non hanno capacità fermentativa; devono essere eliminati, o inattivati, essendo responsabili di una malattia del vino, la fioretta,come per P.  membranifaciens o C. mycoderma [  31  ].

     RICONOSCIMENTO DEI LIEVITI ENOLOGICI
L’identificazione dei lieviti enologici fino a livello di genere non è difficile anche basandosi esclusivamente su caratteristiche di facile determinazione quali la forma e le dimensioni delle cellule, la modalità di sporificazione (se presente) e la forma delle spore.
L’identificazione delle specie presenta invece notevoli difficoltà, tanto che per la composizione di alcuni generi esistono ancora molte incertezze. Fino alla classificazione del 1984 di Kreger-van Rji, l’identificazione delle specie si basava su caratteristiche morfologiche e fisiologiche e, in particolare, sulla capacità o incapacità di utilizzare alcuni idrati di carbonio. Poi, la caratterizzazione su basi molecolari ha introdotto nuovi criteri che hanno modificato la situazione preesistente.
L’identificazione dei lieviti fino a livello di specie richiede attrezzature particolari che di norma sono presenti in laboratori e istituti che si dedicano prevalentemente all’attività di ricerca. Tuttavia, i lieviti di maggiore importanza sotto l’aspetto enologico sono pochi e hanno caratteristiche tali da poter essere riconosciuti anche con i mezzi limitati di un laboratorio di microbiologia enologica.
Si tratta, in particolare, delle specie seguenti:
• Saccharomyces cerevisiae ed altre dello stesso genere, i cosiddetti Saccharomyces sensu stricto;
• Kloeckera apiculata ed altri lieviti con cellule tipicamente apiculate;
• Schizosaccharomyces pombe ed altre dello stesso genere;
• Saccharomycodes ludwigii, unica specie del genere;
• Metschnikowia pulcherrima;
• Pichia membranifaciens ed altri lieviti della fioretta;
• Dekkera bruxellensis, Brettanomyces bruxellensis ed altre specie degli stessi generi;
• Torulaspora delbrueckii;
• Zygosaccharomyces bailii ed altre dello stesso genere.
Per arrivare ad un’identificazione con buone probabilità di successo sono necessarie una notevole dimestichezza con il microscopio ed un’esperienza precedente con ceppi di collezione: alcuni lieviti, visti una volta, si riconoscono immediatamente.

     IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE PIÙ IMPORTANTI
Riconoscimento di Saccharomyces cerevisiae Va preliminarmente detto che S. cerevisiae è il lievito più vigoroso e alcol-tollerante; in molti prodotti enologici le probabilità di una sua presenza, anche esclusiva, sono molto alte. Questo facilita e rende più probante il lavoro di identificazione che, comunque, va eseguito sulla base dei seguenti caratteri.

Cellule di Saccharomyces cerevisiae Le cellule di Saccharomyces cerevisiae, sviluppate in striscio o in mosto o in altro mezzo, hanno forma sferica oppure ellittica o, talvolta, leggermente allungata. Le gemme si possono formare in qualunque posizione della cellula perché la gemmazione è multipolare.
L’esame microscopico delle colture sporificate è necessario. La sporificazione può essere indotta con trasferimento abbondante di una coltura giovane (24-48 ore) da striscio in YPD in striscio di agar all’acetato. Su questo terreno, molto povero, la coltura forma gli aschi, ossia le spore sessuali che vengono prodotte con la meiosi (ascospore); esse restano contenute all’interno della cellula che le ha generate, la quale non si dissolve ma diventa appunto l’asco. Gli aschi si formano direttamente dalle cellule di cui conservano la forma; essi contengono, ben visibili, da 1 a 4 spore di forma sferica o leggermente ellittica con parete liscia. Gli aschi sono stabili e non liberano le spore. Nella specie, ci sono ceppi che sporificano con difficoltà: in questi casi è bene eseguire pazientemente un esame microscopico molto accurato e, se è il caso, ripetere l’operazione.
In caso di mancata sporificazione (alcuni ceppi non sporificano), l’identificazione con S. cerevisiae non può essere esclusa (se l’attività fermentativa è intensa), ma rimane incerta.
S. cerevisiae è un lievito dotato di forte attività fermentativa; la determinazione della capacità di fermentare vigorosamente gli zuccheri è necessaria.
S. cerevisiae è molto simile alla specie S. paradoxus con la quale, sulla base delle determinazioni prima descritte, può essere confuso. È molto simile anche a S. bayanus (= S. uvarum) che può essere identificato sulla base della capacità di quest’ultimo di fermentare ancora bene a temperature di frigorifero.
Per quanto riguarda il riconoscimento delle colonie cresciute su terreni di coltura solidi, Saccharomyces cerevisiae cresce bene su WL Nutrient Agar in 4 giorni a 25 °C, originando colonie circolari di diametro anche notevole e colore variabile dal crema al verde. Le diverse gradazioni cromatiche possono sì indicare la presenza di ceppi diversi, ma anche un potenziale polimorfismo o la presenza di mutanti “petites” incapaci di respirare; la colonia ha elevazione tipicamente umbonata, superficie liscia opaca e consistenza cremosa. Non cresce su Agar Lisina.

Riconoscimento dei Saccharomyces freddo-fermentanti Il genere Saccharomyces, oltre alle specie cerevisiae e paradoxus, ne comprende anche altre, la cui posizione tassonomica è dubbia e in corso di revisione; si tratta di quei lieviti a suo tempo denominati S. bayanus, S. uvarum, S. carlsbergensis e S. pastorianus che hanno in comune la capacità di fermentare bene a basse temperature (6 °C) e che per questo motivo sono chiamati freddo-fermentanti o criotolleranti. Sono i tipici lieviti delle birre “Lager” che intervengono anche nella fermentazione dei mosti d’uva, in particolare dei mosti frigoconservati.
I Saccharomyces freddo-fermentanti sono morfologicamente molto simili a S. cerevisiae: possono essere riconosciuti per la loro incapacità di sviluppo a 37 °C oppure mediante la determinazione della temperatura ottimale (da 26 a 28 °C rispetto ai 31-33 °C di S. cerevisiae). Essi possono essere reperiti e isolati mediante arricchimento, facendo ricorso alla bassa temperatura come fattore di selezione.

Riconoscimento dei lieviti apiculati (Kloeckera apiculata ed altre specie) I lieviti apiculati sono facilmente riconoscibili sulla base del semplice esame microscopico.
Cellule di Kloeckera apiculata Le cellule di Kloeckera apiculata, originariamente ellittiche, si moltiplicano con formazione di gemme alternate in corrispondenza delle estremità. Dopo il distacco delle cellule figlie, rimangono degli anelli cicatriziali che conferiscono agli apici il tipico aspetto appuntito [  32  ].
Questi lieviti sono dotati di capacità fermentativa ma, essendo poco alcoltolleranti e molto sensibili all’anidride solforosa, sono rilevabili solo nelle prime fasi delle fermentazioni spontanee dei mosti e a bassa concentrazione di SO2.

I lieviti apiculati sono considerati poco idonei per fini enologici (anche perché formano alte quantità di acido acetico) e il loro intervento nella fermentazione dei mosti è ostacolato dall’uso di SO2 e di colture selezionate di S. cerevisiae. Di conseguenza, la loro esatta identificazione a livello di specie può avere interesse dal punto di vista della ricerca, ma non dal punto di vista tecnologico.
I tipici lieviti apiculati appartengono al genere sporigeno Hanseniaspora nel quale sono confluite le specie prima comprese nel genere Kloeckera (asporigeno). La specie più frequente nei mosti è asporigena ed è ben nota con il nome di Kloeckera apiculata. Nei mosti delle zone a clima temperato caldo (Italia meridionale) è spesso presente anche Hanseniaspora guilliermondii.
I lieviti apiculati crescono su WL Nutrient Agar in 4 giorni a 25 °C, con colonie di colore verde intenso con profilo tipicamente piatto, superficie liscia opaca e consistenza burrosa. Crescono su Agar Lisina e su WL differenziale.
Alcune specie non crescono a 30 °C.

Riconoscimento di Saccharomycodes ludwigii Il genere Saccharomycodes comprende la sola specie Saccharomycodes ludwigii che, per le caratteristiche morfologiche delle sue cellule e dei suoi aschi, è immediatamente riconoscibile con l’esame microscopico.

Cellule di Saccharomycodes ludwigii Le cellule sono molto grandi e apiculate: la loro moltiplicazione avviene per formazione di gemme inizialmente sferiche alle estremità, che hanno una base di inserzione particolarmente larga. Questo conferisce alle cellule un aspetto simile a birilli da bowling [  33  ].
Il genere Saccharomycodes è sporigeno e forma aschi contenenti 4 spore abbinate 2 a 2 ed è dotato di attività fermentativa. È normalmente presente sulle uve e nei mosti limitatamente alle prime fasi di fermentazione. È considerato molto resistente alla SO2 e può provocare fermentazione dei mosti mutizzati con anidride solforosa. Le colonie di Saccharomycodes ludwigii non sono differenziabili da quelle di altri lieviti su terreni specifici o differenziali, ma l’aspetto delle cellule, osservate al microscopio, è talmente caratteristico che solitamente è sufficiente per l’identificazione.

Riconoscimento di Schizosaccharomyces pombe I lieviti del genere Schizosaccharomyces sono i soli che si moltiplicano per scissione e non per gemmazione [  26b  ].

Cellule di Schizosaccharomyces pombe Le loro cellule hanno forma cilindrica e, se in moltiplicazione, sono divise al centro da un setto ben visibile. Questi lieviti sono inconfondibili e possono essere identificati, almeno a livello di genere, con il solo esame microscopico delle cellule.
Sono inoltre sporigeni, gli aschi sono spesso presenti nelle colture di mantenimento e hanno una forma tipica a manubrio. Benché la loro moltiplicazione sia più lenta rispetto al S. cerevisiae, sono dotati di intensa attività fermentativa.
Il genere comprende poche specie, la più importante, dal punto di vista enologico, è Schizosaccharomyces pombe i cui aschi contengono 4 spore.
La presenza di questo lievito nei mosti e nei vini è stata più volte segnalata e, in alcuni particolari prodotti quali i filtrati dolci, talvolta è dominante. Il suo sviluppo provoca inattese modificazioni compositive legate alla capacità di dare intensa fermentazione malo-alcolica. Proprio per questa capacità, è stato sperimentato e proposto il suo impiego per la disacidificazione biologica dei vini.
Un’altra specie talvolta rinvenuta negli stessi prodotti è Schizosaccharomyces japonicus. Questo lievito ha cellule più grandi rispetto al precedente, forma aschi contenenti 8 spore, ha intensa attività fermentativa e sviluppa con difficoltà in aerobiosi.

Riconoscimento di Pichia membranifaciens Secondo la classificazione vigente, il nome di Pichia membranaefaciens è stato sostituito con Pichia membranifaciens, perché secondo Kurtzman e Fell, sarebbe più corretto secondo la lingua latina (sic).
P. membranifaciens è il tipico agente della fioretta dei vini; in passato era noto con i nomi di Mycoderma vini e Candida mycoderma oggi desueti. Si tratta di un lievito privo di attività fermentativa che, nei vini ed altri mezzi liquidi, sviluppa superficialmente (a contatto con l’aria) formando spessi veli e ossidando l’etanolo con formazione di acqua e CO2. È uno dei nemici del vino.

Cellule di Pichia membranifaciens P. membranifaciens ha cellule di diversa forma e di diverse dimensioni. Possono essere ellittiche con gemme multipolari ma anche, e sono le più tipiche, molto allungate e pseudomiceliari. Si tratta di lievito sporigeno ma composto da ceppi che spesso sono privi di questa capacità. Le spore, se presenti, si trovano negli aschi in numero di quattro e hanno forma a cappello: sono sferiche e munite di un anello eccentrico.
La precisa identificazione di P. membranifaciens sulla base dei caratteri prima elencati non è possibile anche se l’origine del ceppo in esame è la fioretta. Di fatto, il carattere più importante che denuncia il tipo di lievito è l’assenza di attività fermentativa, peraltro comune a diverse altre specie, la cui presenza viene rilevata quando si eseguono isolamenti da mosti e da vini.
Pichia membranifaciens cresce bene su WL Nutrient Agar in 5 giorni, le colonie assumono una colorazione crema-grigia con sfumature azzurre, l’elevazione è convessa, la sua superficie è rugosa e la consistenza farinosa. Cresce su Agar Lisina.

Riconoscimento di Torulaspora delbrueckii e Zygosaccharomyces spp. Torulaspora delbrueckii e le specie del genere Zygosaccharomyces sono lieviti che per la loro morfologia cellulare rientrano nel gruppo dei cosiddetti ellittici (insieme con Saccharomyces cerevisiae). Essi infatti sono dotati di buona alcol-tolleranza e possono intervenire durante la fase centrale di fermentazione dei mosti anche se in maniera marginale rispetto a S. cerevisiae.

Cellule di Torulaspora delbrueckii e Zygosaccharomyces spp. Le loro cellule sono da sferiche ad ellittiche, sono multigemmanti e molto simili a quelle di S. cerevisiae. La loro identificazione è possibile soltanto con il rilevamento delle modalità di sporificazione (che spesso avviene anche nei normali mezzi d’isolamento e di mantenimento).
In T. delbrueckii le cellule non si trasformano direttamente in aschi e la sporificazione è preceduta da coniugazione di una cellula madre con la propria gemma. Di conseguenza, gli aschi, contenenti da 2 a 4 spore, sono collegati con una sorta di appendice (il residuo della gemma).
Nelle specie del genere Zygosaccharomyces, invece, la sporificazione è preceduta da coniugazione di due cellule, collegate da un sottile canale.
Lo zigote si trasforma direttamente in asco (da qui deriva il nome del genere) e conserva la forma assunta durante la coniugazione. Generalmente gli aschi contengono 4 spore, suddivise a 2 a 2 nelle pareti delle cellule da cui derivano.
Quando si osserva una leggera ed indesiderata rifermentazione in bottiglia di vini leggermente dolci, che contengono cioè pochi grammi di zucchero per litro, spesso la causa è la crescita di lieviti del genere Zygosaccharomyces.
Questi formano dei piccoli grumi, di 1-2 mm di diametro circa, di colore bruno carico (nei vini bianchi). All’osservazione microscopica le cellule appaiono riunite in aggregati di qualche centinaio.
Torulaspora delbrueckii, su WL Nutrient Agar, in 5 giorni dà origine a colonie non distinguibili da S. cerevisiae, di colore crema che possono manifestare sfumature verdi al centro più o meno intense; hanno elevazione umbonata, superficie liscia opaca e consistenza cremosa. Cresce su Agar Lisina, ma non su WL differenziale.
Zygosaccharomyces bailii cresce bene in 5 giorni su WL Nutrient Agar, le colonie hanno diametro leggermente più ridotto, colore crema, elevazione a cupola, superficie liscia e consistenza cremosa. Cresce su Agar Lisina e non su WL differenziale.

Riconoscimento dei lieviti dei generi Dekkera e Brettanomyces Questi due generi comprendono le stesse specie: Brettanomyces le forme asporigene, Dekkera le corrispondenti forme sporigene. Si tratta di lieviti la cui presenza marginale è stata osservata occasionalmente nel corso della fermentazione dei mosti [  34  ].
L’importanza loro attribuita nella produzione delle bevande alcoliche non è univoca; essi sono considerati importanti nel conferimento della qualità tipica di alcune birre inglesi (da cui il nome del genere), mentre vengono considerati agenti di alterazioni olfattive che si manifestano nel corso della conservazione dei vini in barrique.
I lieviti di questi generi, in particolare quelli asporigeni del genere Brettanomyces, possono essere facilmente riconosciuti sulla base del semplice esame microscopico.

Cellule di Dekkera e Brettanomyces Per la forma delle loro cellule e per la modalità di moltiplicazione questi generi rientrano nel gruppo generico degli ellittici, anche se, in coltura pura, un certo numero di cellule (non tutte!) assumono una caratteristica ed esclusiva morfologia ogivale.
Soltanto quelli riferibili al genere Dekkera possono essere riconosciuti per la forma a cappello delle spore presenti negli aschi in numero di 4.
Per la determinazione della loro presenza nei mosti e nei vini è necessario ricorrere a metodi che ne favoriscono la crescita rispetto agli altri più comuni ellittici, S. cerevisiae in particolare: tra questi metodi ricordiamo l’arricchimento o l’uso di terreni selettivi contenenti cicloesimide.
Dekkera bruxellensis cresce lentamente su WL Nutrient Agar: sono necessari almeno 8 giorni prima di osservarne lo sviluppo.
Le colonie, di diametro ridotto, hanno colore crema ed elevazione a cupola, superficie liscia e consistenza cremosa; producono quantità particolarmente elevate di acido acetico, che risulta avvertibile anche all’olfatto, aprendo leggermente le scatole Petri, e provoca ingiallimento del terreno di coltura circostante (se WL Nutrient Agar). Non cresce su Agar Lisina, ma cresce su WL differenziale.
Di grande importanza risulta il controllo su WL differenziale per l’identificazione di lieviti Dekkera spp. altrimenti non distinguibili da Zygosaccharomyces bailii. Una conferma si deve comunque cercare con l’osservazione microscopica: anche in Dekkera le cellule sono piccole, spesso con tipica morfologia ogivale.

Riconoscimento di Pichia anomala Pichia anomala (ex Hansenula anomala) è un lievito piuttosto resistente all’anidride solforosa, che può crescere nei mosti e nei vini: in entrambi produce quantità particolarmente elevate di acetato di etile. Una sua presenza in quantità rilevante può causare la comparsa di un odore di acetone/solvente nei mosti prima dell’avvio della fermentazione alcolica.
Pichia anomala cresce bene su WL Nutrient Agar; dopo 5 giorni le colonie hanno colore crema o azzurro-grigio, ma assumono una colorazione decisamente azzurra dopo 8.
L’elevazione è piatta, la superficie liscia e la consistenza cremosa, talvolta mucosa. Cresce su Agar Lisina.

     Gli enzimi
Gli enzimi sono catalizzatori organici prodotti dalle cellule e hanno la proprietà di accelerare le reazioni chimiche agendo sulla loro velocità (A6) senza modificare le variazioni energetiche e senza apparire fra i prodotti delle reazioni.
Essi abbassano l’energia di attivazione che è la quantità di energia necessaria affinché si rompano i legami chimici dei reagenti e avvenga la reazione [  35  ].

APPROFONDIMENTO 6

Fattori che modificano l’attività enzimatica
Esistono diverse situazioni (fattori) che modificano la velocità di reazione:


In laboratorio
Gli enzimi sono catalizzatori, sostanze che accelerano o rallentano la velocità delle reazioni chimiche senza consumarsi e senza apparire fra i prodotti della reazione.
Si vuole mettere in evidenza come la funzione da essi svolta sia influenzata dal calore e dal pH.

Calore
Occorrente: terriccio da giardino, fegato crudo di pollo, soluzione di amido 1%, albume d’uovo, H2O2- al 3%, crogiolo di porcellana, provette, saliva, becher, acqua distillata, pepsina 1%, cartine indicatrici di pH, termometro, soluzione di Benedict, liquido di Lugol, HCI 2M, bicarbonato di sodio.

Procedimento
Enzimi del terreno:
1) pesare 5 g di terriccio e porli in un crogiolo di porcellana a fiamma bassa per 10 minuti;
2) lasciare raffreddare e trasferire tutto in una seconda provetta (A);
3) pesare altri 5 g di terriccio e porli in una seconda provetta (B);
4) aggiungere a ciascuna provetta 5 ml di acqua ossigenata al 3%;
5) confrontare lo sviluppo gassoso. 

pH e calore
Pepsina:
1) mescolare energicamente albume d’uovo con acqua distillata fino a ottenere una sospensione;
2) farla bollire alcuni minuti, agitando continuamente, fino a che sarà omogenea e lattiginosa;
3) raffreddare;
4) preparare 4 provette e procedere secondo lo schema mettendo in ciascuno:
Provetta 1 - 5 ml sospensione + 1 ml di pepsina all’1%;
Provetta 2 - 5 ml sospensione + 1 ml di pepsina all’1% + 3 gocce di HCI 2M (verificare il pH);
Provetta 3 - 5 ml sospensione + 1 ml di pepsina bollita;
Provetta 4 - 5 ml sospensione + 1 ml di pepsina all’1% + 1 ml di sodio bicarbonato al 5% (verificare il pH);
5) riscaldare le provette a bagnomaria a 40 °C per 2-3 minuti;
6) osservare.

     CARATTERISTICHE DI UN ENZIMA
La sostanza su cui agisce un enzima prende il nome di substrato e i composti che si formano sono i prodotti di reazione. In natura esiste un numero enorme di enzimi. Secondo i criteri stabiliti dalla IUBNCE (International Union of Biochemistry on Nomenclature and Classification of Enzymes) il loro nome è così composto: nome del substrato attaccato, più nome della reazione catalizzatapiù il suffisso finale -asi. Per esempio: latticodeidrogenasi, ribulosio 1,5 difosfato carbossilasi.
Restano ancora in uso le vecchie terminologie, che indicano solo il substrato (proteasi, lipasi, amilasi) o la reazione che catalizzano (idrolasi, transaminasi). Gli enzimi vengono prodotti all’interno delle cellule e poi eventualmente secreti. Sono proteine semplici o più spesso coniugate. In questo caso l’enzima risulta formato da una parte proteica, apoenzima, e da una non proteica (prostetica) detta coenzima o cofattore. L’apoenzima, essendo una proteina, è termolabile, e questo spiega l’inattivazione con il calore degli enzimi. La parte prostetica può essere una molecola organica più o meno complessa (vitamina, amminoacido), semplicemente uno ione metallico.

ENZIMI ORGANICI O CATALIZZATORI INORGANICI
ANALOGIE E DIFFERENZE
Analogie
• entrambi agiscono in piccole quantità
• entrambi non si modificano durante la reazione
• entrambi aumentano la velocità di reazione, abbassando
l’energia di attivazione
Differenze
• l’enzima organico è specifico per un substrato, il catalizzatore
inorganico non lo è
• l’enzima organico è sensibile alla temperatura, il catalizzatore
inorganico non lo è
     SPECIFICITÀ DI UN ENZIMA
È una caratteristica molto importante che differenzia gli enzimi dai catalizzatori inorganici: un enzima catalizza un numero molto limitato di reazioni, il più delle volte una sola reazione. La causa è da attribuire al fatto che l’enzima per reagire con il substrato deve legarsi ad esso con un numero variabile di legami (maggiore è il numero dei legami da comporre, maggiore è la specificità) in una sede ben precisa e limitata: sito attivo.
Il complesso enzima-substrato, responsabile dell’abbassamento dell’energia di attivazione, si forma con un meccanismo di chiave-serratura (descritto da Fisher nel 1884) o di adattamento indotto (descritto da Koshland nel 1973) [  36  ].

     Fermentazioni propriamente dette
In senso stretto la fermentazione è il catabolismo anaerobico di sostanze organiche, di natura glucidica, ad opera di enzimi microbici; le fermentazioni possono essere suddivise in:
omofermentative - se il prodotto finale è unico (alcol etilico nella fermentazione alcolica);
eterofermentative - se il prodotto è più di uno (acido lattico, alcol etilico nella fermentazione eterolattica).
Oppure, a seconda del substrato che trasformano, si distinguono in:
zucchero - fermentazione alcolica, fermentazione lattica, fermentazione aceton-butilica, fermentazione mannitica;
acido lattico - fermentazione propionica, fermentazione butirrica;
acido malico - fermentazione malolattica, fermentazione maloalcolica;
acido tartarico - fermentazione tartarica.
Se il substrato è lo stesso, ad esempio lo zucchero, la diversità del prodotto finale sta nella molecola organica che, accogliendo H ed elettrone, si riduce consentendo l’ossidazione dell’NADH a NAD+, indispensabile a far procedere la glicolisi [  37   38  ].
37 Fermentazioni da substrati diversi.


38 Fermentazioni da substrato zuccherino.

     FERMENTAZIONE ALCOLICA
È la più antica e la più importante trasformazione degli zuccheri utilizzata dall’uomo per produrre vino, birra pane. I lieviti (Saccharomyces cerevisiae) sono i microrganismi responsabili ed il substrato è sempre uno zucchero: uno zucchero semplice (glucosio, fruttosio nelle uve) o amido (nell’orzo e nel grano). Nel caso dell’amido il processo fermentativo deve essere preceduto dall’idrolisi del polisaccaride in molecole di monosaccaridi semplici (glucosio).
L’equazione generale di fermentazione è:


La resa in alcol è in media del 60% in volume; da 1 mole di glucosio (180 g), infatti, si producono 2 moli di alcol etilico (92 g) pari a 0,51 in peso che, dividendo per il peso specifico dell’alcol (0,79), è uguale a 0,64 in volume (64%) [  39  ].


La quantità di calore è di 24 kcal ogni mole di glucosio.
In teoria la temperatura del mosto, che in media contiene il 15-18% di zuccheri, aumenterebbe fortemente con la fermentazione, più di 20 °C rispetto alla temperatura iniziale, con gravi danni per i lieviti che, inibiti dalle alte temperature raggiunte, sarebbero sostituiti dai batteri con fermentazioni indesiderate (fermentazione mannitica).
In pratica, il mosto quando fermenta non è isolato dall’esterno e quindi si ha dispersione di calore favorita anche da operazioni quali follature (rimescolamento del mosto), rimontaggi (il mosto viene prelevato dalla parte bassa del recipiente e lasciato ricadere a pioggia) o refrigerazione, che raffreddano l’intera massa. Anche la liberazione dell’anidride carbonica (nel vino appena fatto ne rimane circa 1 g/l) favorisce, in parte, il raffreddamento della massa in fermentazione.
Il processo biochimico, riassunto nell’equazione fondamentale precedente, si svolge in numerosissime tappe fino all’acido piruvico che, in ambiente anerobico, anziché prendere la strada del ciclo di Krebs, viene decarbossilato ad aldeide acetica e quindi ridotto ad alcol etilico con riossidazione dell’NADH che, tornando NAD+, può rientrare in circolo.
Nel processo di fermentazione (A7) del pane dall’amido idrolizzato si forma l’acido piruvico e da esso alcol etilico ed anidride carbonica (è la CO2 a far lievitare il pane), ma dall’acido piruvico si formano anche glicerina, aldeide acetica, acidi organici (acido succinico), alcoli superiori (dagli amminoacidi). Contemporaneamente si possono avere anche altre fermentazioni acide sostenute dai lattobacilli, quali la lattica e l’acetica che sembra migliorino il sapore del pane e di altri prodotti da forno come il panettone. Sono allo studio tecniche per realizzare fermentazioni miste, in cui ai lieviti viene associato il Lactobacillus sanfranciscensis.

     FERMENTAZIONE LATTICA
Quando lo zucchero (lattosio), anziché dai lieviti, viene demolito da batteri [  40  ] (quali Lattobacilli o Streptococchi), si ha la trasformazione fino ad acido piruvico come nel caso precedente, ma poi questo viene ridotto direttamente, senza essere decarbossilato, e così si forma acido lattico (fermentazione omololattica). Se i batteri sono del genere Leuconostoc, oltre ad acido lattico si producono anche alcol etilico e anidride carbonica (fermentazione eterolattica).
Tale fermentazione è sfruttata dall’industria lattiero-casearia nel processo di maturazione dei formaggi e nella tecnologia di produzione di yogurt (fermentazione omolattica) e kefir (fermentazione eterolattica).
Molte verdure possono essere conservate con questa tecnologia: i crauti del Trentino sono cavoli cappucci lavati, affettati e deposti a strati con il sale in un alto contenitore, pressati e lasciati fermentare, prima a temperatura ambiente, poi al fresco di una cantina per 3-4 settimane.
Il prodotto può così conservarsi per parecchi mesi. Molti alimenti fermentati vengono considerati veri e propri medicinali naturali, utili nei disordini intestinali e nella dissenteria per inattivare o uccidere i batteri patogeni e ripristinare la flora microbica saprofita.


Anche negli esseri umani si può avere produzione di acido lattico nei muscoli quando, a seguito di intenso esercizio fisico, può non esserci l’ossigeno sufficiente ad ottenere tutti gli ATP che di norma si ottengono dall’ossidazione completa del glucosio.
Si accumula così l’acido lattico (per riduzione ad opera dell’NADH dell’acido piruvico) che è causa di quella sensazione di rigidità e spossatezza che si avverte dopo una corsa. Sensazione che cessa solo quando, ripristinate le condizioni di aerobiosi grazie a un apparato circolatorio efficiente, l’acido lattico viene allontanato dal muscolo. Ecco lo scopo dell’allenamento: quello di mantenere in efficienza l’apparato circolatorio.
     FERMENTAZIONE ACETON-BUTILICA
Fu scoperta durante la prima guerra mondiale. Avviene ad opera del Clostridium acetonbutylicum che trasforma il glucosio in acetone, butanolo, anidride carbonica, alcol etilico, isopropanolo. La scoperta di questo tipo di fermentazione, dall’inizio del 1900, permise la produzione di butanolo (usato per la produzione di gomma sintetica) e di acetone (usato anche come solvente per la produzione di esplosivi durante la prima guerra mondiale).

     FERMENTAZIONE PROPIONICA
Il Propionibacterium fermenta l’acido lattico con produzione di acido propionico, acido acetico e anidride carbonica.
Sono i microrganismi di questo gruppo a determinare gli “occhi” tipici dei formaggi svizzeri Emmental [  41  ] e Gruyère.

     FERMENTAZIONE BUTIRRICA
È sostenuta dal Clostridium tyrobutyrricum che fermenta l’acido lattico in acido buttirrico, acido acetico, anidride carbonica e idrogeno.
I microrganismi del genere Clostridium sono frequenti nei foraggi male insilati o nel terreno (la specie C. botulinum produce una tossina venefica) e, resistenti al calore, sopravvivono ai trattamenti di risanamento del latte che sarà poi sottoposto a caseificazione.
Può sempre capitare che si sviluppino, anche insieme al Propionibacterium, nei formaggi (parmigiano reggiano o grana padano) durante la lunga maturazione, causando alterazioni note come gonfiore tardivo.

     Fermentazioni tipiche e ottimali dell’industria enologica
Vengono a loro volta indicate con il termine “fermentazione” anche alcune importanti trasformazioni che avvengono nell’industria enologica: la prima è un momento fondamentale di trasformazione del vino durante la fermentazione lenta, le altre appartengono al gruppo delle malattie o delle fermentazioni non desiderate [  42  ].

     FERMENTAZIONE MALOLATTICA
È sostenuta dai batteri lattici Lactobacillus e Leuconostoc che, in primavera quando la temperatura si alza, trasformano l’acido malico presente nel vino in acido lattico (l’acido malico viene prima ossidato, poi decarbossilato e ridotto).
Il vino in questo modo “matura”, si riduce l’acidità fissa e il gusto diviene più morbido. La fermentazione malolattica è quindi un momento importante nella tecnologia enologica.
Non è così lo spunto lattico, un’alterazione causata sempre dai batteri lattici che oltre all’acido malico attaccano anche gli zuccheri residui provocando un aumento dell’acidità volatile ed uno scadimento delle caratteristiche organolettiche: il vino non merita più di essere destinato all’invecchiamento.
     FERMENTAZIONE MALOALCOLICA
Anche questa reazione riduce l’acidità del vino, ma ne aumenta di poco il grado alcolico (infatti l’acido malico viene decarbossilato due volte e ridotto ad alcol etilico). A sostenerla è lo Schizosaccharomyces pombe, che però viene spesso inattivato dagli altri Saccharomyces e non riesce a portare a termine la sua fermentazione, peraltro nel complesso negativa perché altera la conservabilità e le caratteristiche organolettiche del prodotto finito.

     Fermentazioni improprie (indesiderate)
     FERMENTAZIONE MANNITICA
Viene definita in questo modo una temuta malattia, nota anche con il nome di “agrodolce”, alla quale può andare incontro il vino.
Ne è responsabile il Bacterium mannitopoem che trasforma gli zuccheri ancora presenti nel vino:
- il glucosio in acido lattico, acetico, succinico, anidride carbonica;
- il fruttosio in mannite.
Gli acidi conferiscono il gusto amaro “agro”, la mannite il gusto “dolce”.

     FERMENTAZIONE TARTARICA
Anche questa è una malattia del vino, detta “girato”, cui sono esposti vini che hanno ancora un buon residuo zuccherino o derivano da uve ammuffite. Il Bacterium tartarophtorum demolisce l’acido tartarico, poi anche gli altri acidi e gli zuccheri producendo acido acetico e lattico.
Il vino diviene “svanito” e dal sapore di aceto.
Sono dette impropriamente fermentazioni perché avvengono in presenza di ossigeno. Si tratta di processi di ossidazione che, se avvengono in maniera completa, demoliscono il substrato a H2O e CO2; nel caso di demolizione incompleta si ottengono prodotti diversi utilizzati nell’industria alimentare.

     FERMENTAZIONE ACETICA
Per azione dell’Acetobacter l’alcol etilico viene ossidato ad acido acetico. Lasciando il vino a contatto con l’aria è facile che insorga questa malattia. Il vino perde corpo e acquisisce il gusto tipico dell’aceto dovuto, però, non all’acido acetico dal sapore acre, ma alla formazione di esteri (acetato di etile), eteri, alcoli volatili. Se la fermentazione è solo iniziale è nota come spunto, se lo stadio è avanzato come acescenza.
La fermentazione acetica viene utilizzata nella produzione dell’aceto ottenuto da vino, sidro di mele, birra, malto.
Con processi tecnologici artigianali o industriali si attua la lenta trasformazione del vino ad opera della “madre”, aceto pronto o in formazione che contiene l’Acetobacter. Un periodo di maturazione e invecchiamento consente la formazione di tutte quelle sostanze volatili che gli conferiranno ottime caratteristiche organolettiche [  43  ].
     FERMENTAZIONE CITRICA
È condotta da muffe come l’Aspergillus niger [  44  ], allevate su substrati zuccherini tipo la melassa. In presenza delle muffe di Aspergillus, vengono inattivati alcuni degli enzimi del ciclo di Krebs e si accumula acido citrico.
Questa fermentazione è utilizzata, appunto, per la produzione di acido citrico.

FOCUS

I METABOLITI PRIMARI E I METABOLITI SECONDARI
Nella cellula microbica, come in ogni vivente, si svolge un insieme di trasformazioni biochimiche coordinate e integrate che prende il nome di metabolismo i cui prodotti intermedi o finali, detti metaboliti, si distinguono in primari e secondari

Metaboliti primari Sono il risultato di processi metabolici essenziali per la sopravvivenza, la crescita e la regolazione delle funzioni cellulari del microorganismo. Essi vengono prodotti nel momento di massima crescita della cellula e sono ulteriormente suddivisi in due categorie:
1. metaboliti essenziali primari come vitamine, nucleosidi, amminoacidi, polioli, acidi grassi ed enzimi. Si tratta di composti importanti per la vita della cellula e, quindi, sono prodotti in quantità adeguata;
2. prodotti finali metabolici primari come etanolo, acetone, acido lattico e butanolo. Si tratta dei prodotti finali del processo di fermentazione del metabolismo primario.
Metaboliti secondari Sono il risultato di processi non essenziali per l’immediata sopravvivenza del microorganismo, non sono necessari per la normale crescita e sviluppo e sono quindi considerati eliminabili. Non hanno relazione diretta con la sintesi del materiale cellulare. Quando il processo di crescita è rallentato, i nutrienti si esauriscono e si accumulano rifiuti, prodotti in quantità maggiori. Comprendono antibiotici e tossine, antiossidanti e aromi, neurotrasmettitori come serotonina e GABA e altre sostanze che modificano il metabolismo cellulare, come l’acido indolacetico che attiva fattori di crescita e peptidi ad azione antibatterica. I metaboliti secondari sono in grado di fornire ai microrganismi anche alcuni vantaggi come il miglioramento dei nutrienti disponibili per l’assorbimento o la protezione da fattori di stress ambientale. Si ipotizza che i metaboliti prodotti durante questa fase di crescita mostrino una maggiore attività biologica.
Ai fini della produzione industriale, la distinzione fra metaboliti primari e secondari è importante: se si vuole raccogliere il prodotto di un metabolita primario è necessario mantenere i microrganismi in colture continue che assicurino sempre lo stato delle cellule nella fase di massima crescita, processo che su scala industriale viene detto Down stream processing. Se, invece, si desidera ricavare dei metaboliti secondari è necessario lasciare che la colonia cresca fino a un certo punto e poi fermarla.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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