9  Le mutazioni

Il termine “mutazione” fu usato per la prima volta nel 1902 dal botanico olandese Hugo de Vries. Studiando l’eredità mendeliana nella Rapunzia europea (Oenothera biennis), egli si avvide come talvolta apparisse un carattere che non era presente in nessun genitore né in alcun antenato. Pensò che il nuovo carattere derivasse da cambiamenti improvvisi dei geni che, così modificati, determinavano caratteristiche nuove poi trasmesse come gli altri caratteri ereditari.
Il termine mutazione sta quindi a indicare un improvviso cambiamento del materiale ereditario che determina il cambiamento caratteristico di un organismo, definito mutante.
Le mutazioni possono essere dominanti, se interessano un allele dominante, o recessive se interessano un allele recessivo.
Possono interessare le cellule somatiche e non sono trasmissibili alla progenie oppure germinali se coinvolgono i gameti e quindi sono ereditabili. Le prime si manifestano se sono dominanti, se si verificano in un certo stadio dello sviluppo e insorgono in alcune parti dell’organismo (se sono coinvolti geni della crescita cellulare si può avere la trasformazione tumorale della cellula).
Un’ulteriore distinzione delle mutazioni è in spontanee o indotte [  55   56  ].
Le mutazioni spontanee insorgono in condizioni normali, sono molto rare (la loro frequenza varia da 2 a 60 mutazioni ogni 106 gameti) e hanno un ruolo importante in fenomeni biologici quali l’evoluzione e la cancerogenesi. Si pensa siano implicate anche nell’invecchiamento, nell’aterosclerosi e nelle malattie autoimmuni e neurodegenerative. Nel caso dei virus le mutazioni possono anche portare alla capacità di cambiare ospite, questo fenomeno è detto spillover (A5).
Le mutazioni si verificano con maggiore frequenza in alcuni siti definiti punti caldi (hot spots), come quelli contenenti 5-metil-citosina, e sono il risultato di una serie di fattori endogeni ed esogeni. I primi sono agenti mutageni presenti nell’ambiente, come radiazioni cosmiche, radionuclidi e altri composti chimici che possono interagire casualmente con il DNA; i secondi sono correlati a processi fisico-chimici, quali la rottura dell’elica del DNA in seguito a idrolisi, oppure gli errori che si verificano nel corso di processi fisiologici. Le mutazioni spontanee possono verificarsi a livello delle cellule somatiche di un organismo e possono risultare anche letali, ma non si trasmettono alla progenie; se invece colpiscono le cellule riproduttive (gameti), si possono ripercuotere sui figli degli individui mutati ed essere determinanti per i meccanismi di selezione naturale. Le mutazioni indotte sono guidate dall’uomo, in seguito alla necessità di ottenere rapidamente organismi o cellule mutanti su cui eseguire particolari studi di genetica attraverso l’uso di mutageni, sia fisici che chimici, che interferiscono con la struttura del DNA. I mutageni fisici sono: radiazioni ultraviolette, radiazioni elettromagnetiche, radiazioni corpuscolari (termiche, neutroni da reattore nucleare, particelle β da isotopi radioattivi). 

I mutageni chimici sono: dietilsulfanato, etil metano sulfonato, metil metano sulfonato, colchicina. Generalmente è impossibile prevedere quale effetto procurino queste sostanze e quali mutazioni si verifichino dopo il trattamento: molte mutazioni saranno indifferenti, molte sfavorevoli, solo alcune porteranno nuovi caratteri interessanti.
Saranno le mutazioni portanti caratteri positivi ad essere selezionate, propagate attraverso le tecniche della propagazione vegetativa o quelle della ricombinazione genetica e incorporate così nel patrimonio genetico di popolazioni preesistenti.
Nelle piante che si propagano vegetativamente, le cultivar, in seguito all’insorgenza delle mutazioni, risultano costituite da un solo clone. I nuovi cloni vengono individuati tramite la selezione clonale, che consente di isolare di nuovo il clone originario e quelli portanti caratteri pregiati. Questa tecnica ha permesso l’introduzione di geni per il nanismo in molte piante da frutto (in tal modo è facilitata la raccolta) e in piante ornamentali.
Inoltre all’interno delle varietà di mele, essa ha consentito di passare dalla cultivar Delicius alla Stark Delicius, alla Starling, alla Starkrimson, alla Red Chief. Le mutazioni operano a tre livelli: genico, cromosomico, genomico; vanno a modificare, in diverso grado, le strutture che presiedono alla trasmissione dei caratteri e quindi i caratteri stessi dell’individuo.

Livello genico
Si modificano i geni
Varia il fenotipo
Livello cromosomico
Si modificano
segmenti di cromosomi
Variano i caratteri
funzionali
Livello genomico
Si modifica il numero
dei cromosomi
Varia l’assetto del
materiale ereditario

     Mutazioni a livello genico (puntiformi)
In questo caso, ad essere modificati sono i geni che vengono sostituiti da nuovi geni. Gli effetti prodotti sono di carattere morfologico, cioè modificano il fenotipo; talvolta sono minimi, e allora sono considerati situazioni di variabilità normale, altre volte sono più rilevanti.
Le mutazioni che si verificano con bassa frequenza (1/100.000 o 1/1.000.000 di geni), senza una causa nota, sono dette spontanee. Accade, però, che la frequenza aumenti e che siano presenti agenti responsabili ben definiti quali raggi α, β, γ, X, o sostanze chimiche dette mutageni.
Quando si parla genericamente di mutazione, si intende la mutazione a livello genico, in cui si verificano cambiamenti nella sequenza o nel numero dei nucleotidi del DNA o dell’RNA della cellula, quindi nella struttura molecolare del patrimonio genetico.
Se le mutazioni interessano i gameti o le cellule che li producono sono ereditarie; se si verificano in cellule somatiche sono trasmesse alle cellule figlie prodotte per mitosi.
Raramente le mutazioni sono vantaggiose: la maggior parte risulta dannosa e spesso una mutazione è causa di tumore. L’ipotesi che la mutazione derivasse da una alterazione molecolare del gene fu possibile solo nel 1920 quando furono indotte mutazioni esponendo gli organismi a radiazioni ionizzanti, come i raggi α, β, γ, X, che agivano come proiettili rompendo fisicamente le molecole che formavano i geni [  57  ].
Quando, però, verso gli anni ’50 del secolo scorso ci si accorse che le mutazioni insorgevano anche con radiazioni ultraviolette (più efficaci quelle della lunghezza d’onda assorbita dal DNA), o con sostanze chimiche come la formaldeide, la caffeina e l’acido nitroso, si pensò che la base della mutazione fosse chimica e non fisica.
La mutazione spontanea insorgeva, inoltre, con maggior frequenza al variare della situazione metabolica e allo stadio di sviluppo dell’organismo colpito: le mutazioni aumentavano all’aumentare dell’età dell’individuo.
La scoperta della struttura del DNA chiarì l’origine della mutazione. Se, durante la replicazione, alla sequenza di tre basi (tripletta) si affaccia come complementare una tripletta diversa, perché per esempio la caffeina ha inibito l’adenina e comparirà la citosina, la nuova molecola di DNA codifica un amminoacido differente o nessun amminoacido e la proteina che si forma sarà diversa dalla precedente, incapace di svolgere la stessa funzione. L’organismo che la possiede sarà diverso, ossia mutante [  58  ].
Le mutazioni geniche riguardano la sostituzione di un singolo nucleotide e sono dette mutazioni puntiformiesse si verificano con meccanismi diversi: sostituzione, delezione, aggiunta di un singolo nucleotide che codificherà una proteina nuova.
Si verifica cioè un “errore di stampa” che porta alla produzione di proteine sbagliate [  59   60   61  ].
Ad esempio il DNA dell’emoglobina normale (filamento che viene trascritto) contiene la tripletta CTT mentre il filamento che viene trascritto, del DNA mutante, per sostituzione di una base di adenina con timina è CAT.
Ne consegue che nel primo caso l’mRNA contiene la tripletta GAA che codifica per acido glutammico e nel secondo caso l’mRNA contiene GUA che codifica per la valina; si produce così l’emoglobina delle cellule dell’anemia falciforme.
L’anomalia dipende quindi da una piccolissima variazione di un gene. L’errore è provocato dalla sostituzione di un nucleotide presente nel filamento di DNA che, una volta trascritto e poi tradotto, codificherà un diverso polipeptide.
Le diverse possibilità sono esemplificate nello schema.
Qualche altra volta gli effetti sono meno gravi, magari a cambiare è il colore del frutto o del fiore.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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