nelle colture orto-floro-vivaistiche

     La lotta biologica in serra nelle colture orto-floro-vivaistiche
Le coltivazioni in ambiente protetto rivestono un ruolo importante nelle produzioni ortive e florovivaistiche [ 27 ], inoltre in tunnel e in serra si vanno estendendo le tecniche di coltivazione fuori suolo [ 28 ]. Queste strutture confinate rappresentano un ambiente speciale con un proprio microclima, che permette di coltivare fuori stagione o anticipare/ allungare i cicli produttivi, ma che parallelamente prolunga i cicli biologici dei fitofagi e favorisce lo sviluppo di diverse malattie. Per contro, proprio per le sue particolari caratteristiche, la serra si presta all’applicazione di diversi metodi di lotta biologica contro i fitofagi. 
Nel capitolo precedente sono stati esposti i principi, i metodi e i limiti della lotta biologica; ora esaminiamo quali metodi siano i più idonei nella difesa delle colture in ambiente protetto e come trovino pratico impiego. 
Le tecniche di controllo biologico applicabili in ambiente protetto sono riassunte in figura [ 29 ] e comprendono l’immissione di antagonisti con lancio in massa di tali organismi ausiliari, predatori o parassitoidi (metodo inondativo) e l’introduzione degli ausiliari in modo graduale o prima della comparsa dell’organismo (metodo inoculativo e metodo preventivo); altre tecniche, possibili in certi casi, sono il pest in first e il banker plants.

     Lancio inondativo
L’esigenza che si manifesta solitamente con più frequenza è quella di contenere rapidamente le popolazioni dei fitofagi; pertanto, in pratica, il metodo più ricorrente e anche semplice e comodo (in particolare poi se l’ausiliare è poco costoso) è il lancio inondativo [ 30 ]: concettualmente è un criterio non diverso dall’impiego di altro tipo di biocida, in quanto si tratta di un’azione di controllo temporaneo di un dato organismo dannoso allorché ne sia stata constatata una densità di popolazione tale da provocare un danno economico alla coltura. 

     Lancio inoculativo
Il lancio inoculativo è una tecnica che può essere definita di tipo preventivo in quanto gli ausiliari sono immessi in piccole quantità e molto presto per avere un loro consistente incremento numerico in modo da contenere poi con successo quello dell’organismo dannoso, il quale, al momento dell’introduzione dell’antagonista, può essere assente o già presente, ma non in numero tale da consentire lo sviluppo delle popolazioni dell’antagonista. 
Ciò comporta ovviamente che questi ultimi devono poter sopravvivere indipendentemente dal fitofago bersaglio principale, ma senza attaccare altri ausiliari e/o danneggiare seriamente le piante oggetto di coltivazione [ 31 ]. Gli organismi impiegati in questa tecnica hanno generalmente un tasso di crescita molto inferiore a quello del fitofago da contrastare, perciò il lancio inoculativo è consigliabile se la coltura da proteggere ha un ciclo relativamente lungo (sopra i 4 mesi), se in serra si succedono colture soggette al medesimo fitofago oppure se, in assenza del bersaglio principale, siano presenti fitofagi secondari, ma predabili dall’ausiliare, che così si sviluppa e nel contempo si rende utile. 
Questa tecnica può essere integrata da lanci inondativi quando i vari antagonisti impiegati abbiano come bersaglio principale o secondario il fitofago da controllare. 

     Lancio preventivo
Il lancio preventivo è in pratica una variante di quello inondativo; si adotta in particolare quando gli ausiliari sono parassitoidi, quindi con una modalità di azione più complessa e lunga rispetto ai predatori. 
In conseguenza gli ausiliari vengono introdotti in modeste quantità ma a più riprese, in linea di massima fin dal momento del trapianto della coltura o quando si presume possa comparire il fitofago (e quando se ne riscontra la presenza i lanci proseguiranno con dosaggi maggiori). 
Complessivamente è una tecnica più costosa del lancio inondativo, ma può risultare più conveniente in determinate situazioni, come nel caso di aziende storicamente soggette a forte rischio di attacco di un dato fitofago ad alto tasso di riproduzione e quindi in grado di provocare rapidamente danni importanti. 
Il lancio preventivo è molto adatto contro gli afidi [ 32 ].

     Pest in first
La tecnica del pest in first si basa sull’idea che, affinché il livello di popolazione dell’antagonista sia sufficientemente alto per contenere in modo efficiente quello del fitofago, occorre che il primo abbia di che nutrirsi convenientemente, ossia deve essere già presente una certa quantità del secondo. 
Ciò comporta una introduzione deliberata del fitofago, ma in misura di giusto equilibrio tra le esigenze dell’ausiliare e la necessità di non avere danni apprezzabili sulla coltura. 
Si tratta, come è facile intuire, di un metodo alquanto difficile e impegnativo che richiede un’ottima conoscenza della biologica degli organismi con cui si opera; ha però il vantaggio di facilitare e stabilizzare lo sviluppo dell’ausiliare e quindi di ottenere un più duraturo controllo del fitofago (il pest in first è una tecnica che può essere scelta per il controllo di organismi dannosi a elevato tasso di riproduzione e/o difficili da individuare tempestivamente, quali il ragnetto rosso e gli aleirodidi). 

     Banker plants
Il banker plants consiste in una associazione precoce tra parassitoide e un ospite alternativo rispetto al bersaglio principale ospite fatto sviluppare su piante tenute in vaso. In sostanza si alleva direttamente l’ausiliare in modo da avere permanentemente in serra una certa aliquota di antagonisti. La pianta-banca non deve essere una pianta ospite per fitofagi della coltura da proteggere, mentre l’ospite di sostituzione a sua volta non deve essere dannoso per la coltivazione [ 33 ].
L’allevamento delle banker plants in vaso [ 34 ] ne permette una pronta sostituzione, qualora per cause varie vadano perdute. Per la buona riuscita del metodo occorre immettere in serra le piante-banca per tempo e controllare che esse siano sempre sufficientemente popolate dal binomio parassitoide/ospite alternativo.

     La confusione sessuale per il controllo dei fitofagi in frutticoltura
Tra le tecniche di controllo dei fitofagi dei fruttiferi, in particolare dei lepidotteri con larva carpofaga, hanno avuto successo e sono in costante crescita applicativa (in termini di ettari di frutteto interessati, anche in Italia) quelle basate sulla manipolazione dei rapporti intraspecifici: poiché lo stadio dannoso dei succitati fitofagi è rappresentato dalla larva, la manipolazione è diretta verso i meccanismi di precopula mediante impiego ad arte dei feromoni sessuali allo scopo di interferire e impedire il più possibile l’accoppiamento e dunque la conseguente deposizione di uova. 
I feromoni sono molecole volatili che possono essere percepite anche a grandi distanze e si inquadrano più in generale nei segnali semiochimici, ossia sostanze che fungono da messaggeri del linguaggio intraspecifico olfattivo degli insetti. Tali potenti segnali hanno interazioni complesse e multiple: quelli che regolano la ricerca del partner sono denominati feromoni sessuali e in generale sono rilasciati dalla femmina. 
Complessivamente [ 35 ] la strategia della manipolazione dei meccanismi di accoppiamento può essere realizzata mediante: 
tattiche di disorientamento non competitivo
tattiche di orientamento evasivo facendo dirigere gli insetti lontano dalla coltura oppure catturandoli o sterilizzandoli in massa o ancora orientandoli verso falsi partner. 
In frutticoltura le modalità applicative dei feromoni sessuali sono [ 36 ]: 
la confusione sessuale, in inglese mating disruption, che si fonda sul criterio di mascherare la presenza della femmina mediante saturazione dell’ambiente con feromone femminile; 
• la distrazione (disorientamento) sessuale, in inglese false trail following, tende a creare una moltitudine di sorgenti di richiamo sessuale, in pratica di false femmine, in modo che il maschio sia disorientato da una esagerata quantità di segnali artificiali e quindi intercetterà solo casualmente quello effettivamente emesso da una vera femmina. 
La confusione sessuale classica viene realizzata diffondendo molto feromone per mezzo di dispenser (fino a 1.000 per ettaro). I feromoni sessuali dei lepidotteri sono generalmente molecole di 12-18 atomi di carbonio appartenenti alle famiglie chimiche di aldeidi, esteri e alcoli: quelli di sintesi si sono dimostrati per certi aspetti anche più validi di quelli naturali. 
I feromoni sintetici sono contenuti in diffusori con carica e tempi di rilascio normalmente sufficienti per una stagione: quelli in commercio hanno fogge varie [ 37 ]. 
Il metodo della confusione sessuale funziona bene se la pressione del fitofago non è molto alta, se è applicato a superfici non inferiori a 2-3 ettari e se l’appezzamento ha forma tendenzialmente squadrata ed è posto in piano. I diffusori vanno collocati nel frutteto prima dell’inizio dei voli del fitofago. È importante monitorare la presenza del fitofago sia per mezzo di trappole al feromone (le trappole non devono catturare) sia con controlli diretti atti a verificare segni di attacco tenendo presente che i movimenti dei lepidotteri fitofagi avvengono tendenzialmente nella direzione dei venti dominanti [ 38 ]. 
Si può avere un effetto-bordo, ossia zone maggiormente soggette ad attacco, per cui è consigliabile integrare la difesa con trattamenti insetticidi sulle piante di perimetro e anche sulla vegetazione circostante alla superficie coltivata, oppure aumentare il numero degli erogatori all’interno del frutteto. La distrazione (o disorientamento sessuale) è definito come disorientamento competitivo nel senso che vengono immesse nell’ambiente false super-femmine in forma di diffusori del feromone sessuale femminile per competere con le vere femmine nell’allettamento odoroso nei confronti dei maschi. Questa tecnica è applicabile in appezzamenti anche di un solo ettaro, posti in zone orograficamente difficili. Il numero dei dispenser necessari è molto più alto (2.000-4.000 per ettaro), ma con emissione più ridotta rispetto alla tecnica della confusione classica in quanto si tratta di creare una grande moltitudine di femmine artificiali sparse in tutto il frutteto. I diffusori in commercio hanno una durata variabile, ma comunque si esauriscono entro 40-60 giorni, per cui può essere necessario sostituirli nel corso della stagione. Anche in questa tecnica, per verificare l’efficacia del sistema, si piazzano trappole di monitoraggio che non devono catturare; a causa del limitato periodo di erogazione dei diffusori di disorientamento, questo tipo di controllo è importante al fine di sostituirli quando le trappole di monitoraggio incominciano a catturare (cioè gli erogatori di disorientamento si stanno esaurendo). 
Il disorientamento sessuale si presta bene a essere inserito in una strategia di difesa integrata che prevede, ma riduce, l’impiego di insetticidi a una o due applicazioni allo scopo di abbattere la popolazione iniziale del fitofago. 
Il disorientamento può essere effettuato, oltre che con i dispenser [ 39 ], con feromoni microincapsulati da distribuire in soluzione acquosa come i tradizionali prodotti fitosanitari, ma limitando l’irrorazione a una parte della vegetazione (es. criterio ARM = Alternate Row Middle, col significato di passare nel mezzo delle file in modo alternato, tecnica cioè che prevede l’irrorazione di un solo lato delle file [ 40 ]).

     Biotecnologie nella difesa del verde urbano
La difesa delle alberate e del verde urbano richiede un approccio assai diverso da quello necessario per le colture agricole, per l’immediata evidenza che: 
• si opera in ambiente pubblico, con conseguenti problematiche di ordine sanitario e di fattibilità pratica; 
• non si opera su una coltura omogenea, ma spesso su singoli o limitati numeri di esemplari, sparsi su aree generalmente ampie; 
• frequentemente le specie vegetali che necessitano di provvedimenti sono alberi anche di grandi dimensioni, con tutte le difficoltà che questo fatto comporta per gli interventi fitosanitari. 
Va inoltre considerato che: 
• l’ambiente urbano ha un proprio microclima ed è soggetto a emissioni di gas di scarico, polveri e altri inquinanti, soprattutto atmosferici; 
• le piante vengono abitualmente potate e le aree verdi sottoposte a svariati interventi manutentivi; 
• gli eventuali parassiti presenti sono da valutarsi anche in rapporto al fastidio per la popolazione; 
• patogeni e fitofagi stabiliscono equilibri particolari in rapporto alla peculiarità dell’ambiente. 
Gli interventi fitosanitari in ambito urbano sono in generale disciplinati da Regolamenti Comunali, che tengono anche conto di Decreti Ministeriali di lotta obbligatoria (es. cancro colorato del platano [ 41 ]) e tendono a: 
• privilegiare criteri di tipo preventivo;
• introdurre forme di lotta biologica; 
• impiegare prodotti a bassa-nulla tossicità per l’uomo, la fauna e la flora; 
• suggerire tecniche che comportino una ridotta dispersione di prodotti fitosanitari come l’endoterapia [ 42 ]; 
• richiedere l’uso di attrezzatura adeguata allo specifico ambiente urbano. 
In sintesi, quindi, l’orientamento consolidato è di ricorrere a una pluralità di metodologie che complessivamente si inquadrino nella strategia IPM (Integrated Pest Management = controllo integrato degli organismi dannosi). 
Ora, da tale punto di vista, un caso emblematico è costituito dalla lotta al punteruolo rosso delle palme [ 43 ], un insetto balzato purtroppo agli onori della cronaca a causa della sua devastante e al momento inarrestabile dannosità, sul quale sono stati effettuati studi, ricerche e sperimentazioni in parecchie direzioni, e parallelamente sono state condotte prove di lotta e di diagnosi precoce anche con mezzi e/o metodi innovativi e d’avanguardia. 
L’esame di questo caso ci consente perciò di fare una rassegna completa di ogni possibile strategia di controllo, nonché delle tecniche fitoiatriche applicabili nei confronti di fitofagi in ambiente urbano. 
L’insetto, il cui nome scientifico è Rhynchophorus ferrugineus (in inglese il nome comune è Red Palm Weevil = RPW), è un curculionide originario dell’Asia Sud-Orientale, già segnalato all’inizio del ’900 per i gravi danni arrecati alle palme da frutto nelle regioni del sub-continente indiano; poi, a partire dagli anni Ottanta- Novanta del secolo scorso, si è diffuso in direzione Ovest verso la Penisola Arabica, l’Africa Settentrionale, i Paesi del Mediterraneo (in Italia dal 2005) e recentemente è comparso anche in California [ 44 ]. 
Esso è in grado di vivere su diversi generi di palme (fam. Aracaceae) e tra i possibili ospiti figurano anche piante di altre famiglie, ma nei Paesi mediterranei dove le palme sono piantumate a scopo ornamentale la specie decisamente più attaccata (che è anche quella probabilmente più presente) è la Phoenix canariensis. 
L’adulto misura mediamente poco più di 30 mm (i maschi sono leggermente più piccoli delle femmine e sono riconoscibili in particolare dalla presenza di una peluria sul rostro), ha una colorazione rosso-ferruginoso con macchie nere sul pronoto (prevalente la tipologia a 7 macchie) ed è in grado di spostarsi in volo nel raggio di almeno un chilometro, ma preferisce camminare e rimanere a nutrirsi sulla palma finché questa sopravvive. La larva è apoda, allargata e segmentata, bianco-giallastra, lunga 5 centimetri a fine ciclo; si impupa [ 45 ] alla base delle foglie in una camera pupale, fatta con fibre della palma, da cui poi fuoriesce l’adulto. 
La biologia di questo rincoforo con ogni probabilità subisce adattamenti in rapporto alle nuove zone di invasione. Studi eseguiti in laboratorio in Italia su larve alimentate con porzioni di palma hanno mostrato che le larve subiscono 5 mute in poco più di 100 giorni, quindi si impupano per circa 4 settimane; i maschi adulti sono vissuti fino a 210 gg. e le femmine fino a 188 gg., e queste ultime hanno deposto in media 170 uova di cui la metà è giunta a maturazione generando dopo pochi giorni delle larve. Sempre in laboratorio, con esemplari alimentati con mele o banane, sono stati osservati tre cicli completi in due anni. Il punteruolo rosso colonizza le palme insediandosi principalmente sulla corona, alla base delle foglie. 
I maschi emettono un feromone di aggregazione che richiama su una stessa palma adulti di entrambi i sessi. 
Gli insetti adulti possono erodere le foglie, ma l’attacco principale è dato dalle larve che dapprima si nutrono dei tessuti teneri alla base delle foglie e quindi penetrano nello stipite della palma alimentandosi, grazie a potenti mandibole, dei tessuti succulenti scendendo all’interno fino a un metro di profondità. Sulle palme infestate è possibile ritrovare il rincoforo in tutti e tre gli stadi, e il numero delle forme presenti su una stessa palma, specialmente di larve, può essere altissimo (in un caso sono state contate 700 unità). La palma infestata inizialmente non evidenzia sintomi appariscenti, ma a causa dell’attività trofica inarrestabile del parassita, prima mostra solitamente modificazioni della simmetria delle foglie [ 46 ], poi giunge al collasso quando viene distrutto l’apice vegetativo: solitamente dalla infestazione iniziale alla morte passano 4-8 mesi. 
Contro questo organismo dannoso di origine esotica, talmente distruttivo da compromettere l’aspetto storicopaesaggistico di città e litorali in Italia (dati ufficiali del 2010 indicano in oltre 40.000 le palme distrutte), è stato emesso un decreto di lotta obbligatoria a livello nazionale (il primo nel 2007), poi reiterato e perfezionato, che prevede l’elencazione delle specie botaniche sensibili all’attacco del punteruolo, la definizione di aree soggette a misure di monitoraggio e contenimento, l’abbattimento in date condizioni delle piante colpite, l’adozione di norme restrittive circa la movimentazione di palme, l’autorizzazione all’impiego di insetticidi chimici. 
Le misure legislative sono state affiancate da finanziamenti per avviare specifici programmi di studio e ricerca al fine ultimo di individuare criteri, tecniche e mezzi per contenere, e possibilmente fermare, l’attività distruttiva del punteruolo. 
Una tecnica di lotta, inizialmente apparsa promettente e adatta all’ambiente urbano dove si trovano le palme per scopi ornamentali (Italia e altri Paesi del Mediterraneo) è rappresentata dall’endoterapia. 
L’iniezione di insetticidi al tronco è una tecnica ampiamente collaudata e molto efficace per controllare infestazioni di insetti quali il tingide del platano e la cameraria dell’ippocastano; in seguito si è provato a trasferirla sulle palme con opportuni adattamenti in quanto le palme, diversamente dagli alberi veri e propri, sono monocotiledoni e hanno una struttura del fusto, detta atactostelica, cioè non presenta accrescimento secondario e vasi xilematici distribuiti in zone circolari concentriche, ma ha fasci cribro-vascolari dispersi nella sezione del cilindro centrale. Mentre nell’iniezione di latifoglie o conifere è sufficiente un piccolo foro che raggiunga i vasi legnosi sotto il tessuto corticale, affinché la soluzione fitoiatrica possa essere assorbita e traslocata con la corrente linfatica, nelle palme la tecnica seguita consiste nel praticare fori di diametro e profondità ben maggiori per far penetrare la soluzione il più possibile in profondità nei tessuti del corpo della palma; inoltre, mentre negli alberi che hanno capacità di generare tessuto cicatriziale il foro viene poi compartimentato (in buona sostanza chiuso), nelle palme il foro resta e perciò deve essere protetto in qualche modo [ 47 ].

Per l’iniezione vera e propria sono stati impiegati sia i metodi e le apparecchiature già in uso, sia altri appositamente studiati, come quello proposto dalla spagnola Fertinyect [ 48 ]. 
Il risanamento delle palme attaccate dal punteruolo rosso mediante endoterapia in Italia è stato oggetto di prove di semi-campo [ 49 ], e anche di campo, che purtroppo hanno fornito risultati poco incoraggianti rispetto a tutte le molecole testate. 
Un metodo di risanamento di tipo meccanico tuttora praticato è la cosiddetta (impropriamente) dendrochirurgia. Si tratta di un intervento che trae spunto da una pratica un tempo in uso alle Canarie per estrarre il guaranà o miele delle palme: nel caso del punteruolo la potatura è radicale, con eliminazione di tutte le foglie, preservando l’apice vegetativo che sta al centro della corona, appena sotto i primi strati di tessuto (è necessaria dunque competenza in quanto il danneggiamento dell’unico polo di crescita della palma ne comprometterebbe la sopravvivenza); si procede quindi alla pulizia, rimozione e distruzione del rincoforo in tutti gli stadi ritrovati e solitamente si conclude con l’aspersione di insetticida e la copertura con mastice delle parti rimaste esposte. Tale intervento può risultare utile se l’infestazione non è avanzata, ma anche qualora si riuscisse a ripulire completamente la palma dal punteruolo e dunque a eliminare il rischio di una reinfestazione generata da individui rimasti al suo interno, resterebbe sempre il rischio di nuovi attacchi provenienti dall’esterno [ 50 ]. La ricerca di soluzioni per arginare l’avanzata del punteruolo rosso ha indotto privati e ricercatori a esplorare e provare davvero ogni possibile mezzo di difesa di tipo chimico, meccanico, fisico, biocida a base di sostanze di origine naturale, biologica e biotecnologica. 
Dei mezzi chimici abbiamo già in parte parlato a proposito dell’endoterapia. L’impiego tradizionale degli insetticidi chimici è l’irrorazione e anche per le palme è possibile ricorrere a questa soluzione, però sostanzialmente solo a scopo preventivo in quanto l’insetticida - anche se sistemico - non è in grado, somministrato per via fogliare, di colpire le larve che si sviluppano all’interno dello stipite; alcune sostanze attive hanno la proprietà di essere assorbite dall’apparato radicale e quindi possono essere somministrare per irrigazione. Pertanto bisogna supporre, sempre che esse riescano a raggiungere in quantità sufficienti le larve, che possano esercitare anche una qualche azione curativa. I trattamenti tradizionali con insetticidi chimici a scopo preventivo si prestano a un impiego soprattutto in vivaio. Attualmente sono ammesse le seguenti sostanze attive: imidacloprid + ciflutrin, clorpirifos metile, clothianidin, abamectina, da somministrasi per aspersione alla chioma e/o per irrigazione al terreno e/o per endoterapia secondo l’etichetta del prodotto commerciale. 
Tra i mezzi meccanici, oltre alla descritta dendrochirurgia, si è sperimentato l’impiego delle reti anti-insetto [ 51 ], metodo che tuttavia è stato praticamente abbandonato sia a causa della sua scarsa affidabilità sia per inconvenienti e danni rilevati circa il buono stato di conservazione della chioma. 
Tra i mezzi fisici è apparso interessante un sistema di risanamento basato sull’irraggiamento di microonde. Una ditta privata ha realizzato una apparecchiatura chiamata Ecopalm, studiata appositamente per poter cingere la zona del capitello, dove generalmente si concentra la popolazione del rincoforo, e quindi emettere le microonde [ 52 ]. L’irraggiamento sviluppa calore che in pratica “cuoce” il rincoforo (ovviamente si impiegano dosaggi calibrati per non arrecare danno alla palma); il sistema si presta anche per la bonifica e lo smaltimento in sicurezza di palme infestate e abbattute (in questo caso le dosi di irraggiamento potranno essere molto alte per non lasciare scampo all’insetto). Questo metodo ha destato l’attenzione dei ricercatori che ne hanno testato l’efficacia in modo scientificamente controllato, con risultati preliminari apparsi incoraggianti per proseguire la sperimentazione, con la messa a punto di protocolli accurati per stabilire, per ogni tipologia di palma, tempi di esposizioni e potenza irradiata. Similmente a quanto detto per la dendrochirurgia, anche qualora con un trattamento si distruggessero tutti i rincofori presenti su una palma infestata (in effetti la mortalità che generalmente si ottiene con l’impiego delle microonde è vicina o uguale al 100%), questa resterebbe nel futuro sempre esposta al rischio di nuovi attacchi. 
Col proposito di verificare l’efficacia di sostanze insetticide di origine naturale, i cosiddetti pesticidi ecosostenibili (in inglese green pesticides), cioè sostanze perfettamente adatte all’impiego in ambiente urbano, sono state effettuate prove preliminari di laboratorio con biocidi ecologici quali l’escina (ottenuta dall’ippocastano e appartenente al gruppo chimico delle saponine, sostanze che si ritiene vengano utilizzate dalle piante come difesa contro organismi patogeni) e un’altra saponina che si estrae dalla corteccia della Quillaja saponaria (albero sempreverde esotico, di origine sudamericana, conosciuto anche come “albero del sapone”). I risultati hanno mostrato che solo alcune delle larve trattate sono morte e, per di più, in tempi ritenuti eccessivamente lunghi, per cui l’applicazione pratica di tali sostanze di contro il punteruolo rosso è stata giudicata improponibile. 
I mezzi biologici, intesi come agenti biocidi impiegabili per il controllo degli insetti dannosi, sono molteplici (virus, batteri, funghi e nematodi entomopatogeni) e nel caso del punteruolo rosso l’interesse si è concentrato in particolare su funghi (Beauveria bassiana e Metarhizium anisopliae) e nematodi (Steinernema sp. e Heterorhabditis sp.). 
In quanto ai funghi entomopatogeni [ 53 ], sono stati individuati ceppi che in ambito sperimentale hanno prodotto valori di mortalità fino al 90-100%; tuttavia il loro limite tecnico è dato dalla sostanziale incapacità di penetrare all’interno delle palme, ossia di raggiungere le larve. Anche per ovviare a tale aspetto, si è pensato a una strategia di lotta microbiologica, attualmente in fase di studio, con trappole aperte contaminanti, cioè trappole attrattive provviste di grano e riso inoculati con isolati di ceppi fungini entomopatogeni, in modo che gli adulti del rincoforo, passando attraverso la trappola, ne escano infettati. 
L’impiego dei nematodi entomopatogeni [ 54 ], fin dalle prime esperienze effettuate in laboratorio e nelle prove di semi-campo (in questo caso solitamente vengono associati a una soluzione contenente chitosano, sostanza di origine naturale che si ritiene incrementi l’efficacia del trattamento), è apparso molto promettente, in quanto questi organismi sono potenzialmente in grado di provocare una forte percentuale di mortalità nelle popolazioni del rincoforo; tuttavia nell’impiego in campo gli esiti sono stati alterni. Peraltro è stato appurato che i nematodi non sono in grado di riprodursi nel corpo delle larve e ciò significa che viene a mancare l’effetto sperato di propagazione spontanea dell’infezione entro le popolazioni del punteruolo rosso. 
Infine per quel che concerne i mezzi biotecnici, si può citare l’uso di trappole per la cattura di massa (masstrapping). Le trappole vengono normalmente impiegate per monitorare presenza e voli del punteruolo sul territorio: l’innesco è costituito dal feromone di aggregazione (chiamato comunemente ferrugineolo) potenziato da ulteriori attrattivi olfattivo-alimentari (melassa, acetato di etile); anche il colore e la forma della trappola contribuiscono alla sua attrattività o efficacia [ 55 ]. 
Ai fini del mass trapping le trappole devono essere dispiegate in gran numero sull’area prescelta (indicativamente 1 trap/2.500 m2, 1/100-200 m su viali); in Italia sono stati avviati progetti di cattura di massa con l’idea di poterli in un prossimo futuro inserire, quando fossero disponibili sostanze repellenti per il punteruolo (sono in corso ricerche in questa direzione), in una strategia di push and pull, consistente nell’abbinare all’effetto attrattivo delle trappole l’azione repulsiva della sostanze repellenti da irrorare sulle palme. In Sicilia sono state effettuate prove di cattura di massa a Marsala e a Palermo [ 56 ], ma per il momento il mass trapping è da ritenersi, nei confronti di R. ferrugineus e nei nostri ambienti, solo di utilità accessoria. 
Un aspetto centrale delle strategie di lotta è costituito dalla diagnosi precoce, sia per tentare un risanamento sia per eliminare il focolaio di infestazione con l’abbattimento della palma (misura di eradicazione prevista dal decreto di lotta obbligatoria). L’ispezione visiva delle foglie e del capitello è assai complicata e costosa, dovendosi generalmente impiegare appositi elevatori o far ricorso a specialisti del tree-climbing. 
Si è provato a ovviare mediante microcamere wireless munite di un’asta telescopica e collegate a un computer portatile, ma le prove non sono risultate soddisfacenti, così come il tentativo di esplorare in qualche modo l’interno dello stipite mediante indagine endoscopica (tecnica tra l’altro invasiva in quanto richiede di aprire un foro per introdurre la fibra ottica). Inoltre sono state sperimentate tecniche diagnostiche termometriche, utilizzando cioè termocamere all’infrarosso in grado di rilevare le variazioni della temperatura interna della palma, nella supposizione che le piante attaccate mostrino parametri diversi da quelle sane a causa dei processi di fermentazione innescati dall’attività trofica delle larve, che portano a un aumento della temperatura; tuttavia, anche se tale tecnica è apparsa suscettibile di sviluppo, i risultati fin qui ottenuti sono stati giudicati solo parzialmente indicativi dell’effettiva presenza del rincoforo. Sempre nel campo della rilevazione termografica, sono state avviate ricerche per valutare la possibilità di una diagnosi remota mediante fotografia da terra e aerea, con camere all’infrarosso: si tratta di un metodo alquanto complesso, specialmente nell’analisi e nell’interpretazione dei dati rilevati, e attualmente gli esiti delle prove condotte sono da approfondire e verificare. Come considerazione generica si può dire che le palme fortemente infestate mostrano gradienti di temperatura più elevati nella parte centrale della chioma per effetto della forma modificata della chioma stessa, che tende a disporsi a ombrello, e in parte a causa delle fermentazioni alla base della corona causate dall’attività del rincoforo. 
Un altro sistema di diagnosi precoce preso in considerazione parte dal presupposto che le piante colpite emettano sostanze volatili odorose identificative dello stato di attacco. 
In effetti in altri Paesi, e anche da noi, si è provato a sfruttare i cani (nei cani dal fiuto molecolare il naso può contenere fino a 320 milioni di recettori olfattivi contro i 5-6 dell’uomo) con riscontri positivi che ne suggeriscono un possibile impiego, soprattutto in vivaio e in fase di ispezione su palme in movimentazione [ 57 ]. 
Sotto il profilo più specificatamente scientifico, si sta studiando la fattibilità di una diagnosi precoce basata sulle molecole volatili emesse dalla palma sotto attacco attraverso due sistemi di diagnosi. Il primo consiste nella discriminazione delle molecole volatili fogliari rilasciate dalla palma attaccata dal punteruolo mediante un naso elettronico portatile: in pratica si preleva aria nella zona delle foglie, quindi la si sottopone all’apparecchiatura per l’analisi; l’apparecchio [ 58 ] è in grado di “fiutare”, identificare e memorizzare gli odori, e dunque in pratica riconoscere le emissioni di odori caratteristici. Il secondo sistema è basato sul rilevamento di particolari sostanze presenti nelle foglie di palma sana e su quelle di palma colpita dal punteruolo, attraverso estrazione rapida e analisi cromatografica dei metaboliti fogliari, più precisamente fingerprint dei composti fenolici. Il termine fingerprint vuol dire “impronta digitale” e indica le tecniche analitiche idonee a raccogliere, sotto forma di spettro, la composizione di un dato materiale o di suoi particolari componenti al fine di definirlo e caratterizzarlo (è una tecnica impiegata ad esempio per determinare l’autenticità degli alimenti). L’obiettivo finale di tali studi è individuare una molecola marker, cioè inequivocabilmente caratterizzante, sintetizzata dalla pianta sotto attacco. A tutt’oggi per R. ferrugineus è ancora vuoto il capitolo relativo alla lotta biologica: come generalmente accade per gli insetti esotici importati da altri ambienti, il punteruolo rosso non ha trovato nei Paesi del Mediterraneo limitatori naturali e questo fatto ne ha favorito ovviamente l’espansione. La mortalità naturale e l’incidenza di fattori biotici di limitazione sono basse; in Italia sono stati osservati frequenti casi di presenza, quasi esclusivamente su adulti, di un acaro parassita, Centrouropoda almerodai, che però è in grado solo di ridurre la durata della vita del punteruolo rosso. Del resto anche i funghi entomopatogeni, pur essendo assai diffusi nei nostri ambienti, non appaiono in grado di contenere le popolazioni del rincoforo.

     La cimice asiatica, il flagello dei nostri giorni
In Italia, la prima segnalazione della presenza di cimice asiatica, Halyomorpha halys, risale al 2007 (a Genova), ma la sua presenza stabile ebbe inizio nella zona del modenese nel 2012. Da allora essa si è diffusa rapidamente in tutto il Settentrione, tanto che nessuna Regione ne è indenne [ 59 ]: evidentemente ha trovato un ambiente adatto. 
H. halys è originaria dell’Asia orientale e già a partire dal 1996 ha iniziato la sua espansione invadendo il continente Nordamericano per poi diffondersi in gran parte dell’Europa a partire dalla Germania (2010) e, successivamente, anche in Sud America (Cile, 2016). In realtà, i modelli di idoneità climatica (CLIMEX) indicano che questa specie è potenzialmente in grado di popolare buona parte delle aree climatiche abitate del mondo e, dunque, di rappresentare una seria minaccia alla biosicurezza delle piante. 
In Italia è presente in 13 aplotipi diversi (ossia individui caratterizzati da un definito genoma), il che significa che ci sono state invasioni multiple tuttora in corso (Asia, Paesi europei). 
La diffusione si realizza per continuità sulle brevi distanze, mentre su quelle lunghe è veicolata da attività e mezzi di trasporto umani; la cimice asiatica ha un tasso di crescita esponenziale, perciò può diventare rapidamente dannosa. 
Poiché si tratta di un insetto assai polifago, sono parecchie le colture a rischio. In questi anni, i danni si sono avuti soprattutto sui fruttiferi. 
Ad esempio (2019) nel Nord Italia si è stimata una perdita a oltre 356 milioni di euro, e nella sola Emilia, nel settore della coltivazione delle pere si sono perse 114.000 tonnellate di prodotto. 
Danni consistenti si sono registrati su altre colture quali pesche e nettarine; in Lombardia anche su pomodoro, soia e mais; in Piemonte su actinidia e nocciolo; in Trentino soprattutto su mele. Non sono indenni altre importanti colture come la vite e l’olivo. 
Per questa cimice sono state identificate circa 300 piante ospiti, coltivate e spontanee, su cui essa si può nutrire. 
Halyomorpha halys (in inglese BMSB = Brown Marmored Stink Bug) è facilmente distinguibile da altre cimici per la presenza di alcuni particolari [ 60 ]. Le neanidi appena sgusciate e ancora nella 2a età hanno la parte anteriore e le zampe nere e il dorso di colore per lo più aranciato, con striature trasversali brune, in 3a età appaiono nell’insieme scure con bande chiare su zampe ed antenne, nel 4o e 5o stadio (pre-ninfa e ninfa) sono sempre più evidenti gli abbozzi alari. Il suo sviluppo ha una durata in campo di 2-4 mesi e comprende quindi 5 stadi pre-immaginali [ 61 ]. 
In Italia è in grado di effettuare un paio di generazioni all’anno; a fine stagione, con l’approssimarsi del periodo invernale, tende a ripararsi anche massivamente nelle abitazioni, dunque oltre che dannoso all’agricoltura è anche un insetto molesto. 
Questa cimice si nutre perforando e succhiando tessuti vegetali, con conseguente formazione di zone necrotiche sulle foglie e deformità sulla superficie dei frutti [ 62 ]; l’immissione di saliva inoltre danneggia sapore e aspetto di questi ultimi. È stato appurato che essa emette due tipi di saliva: una “acquosa” che serve a mobilizzare i liquidi organici e digerirli dopo averli risucchiati all’interno del corpo; una seconda che si indurisce attorno agli elementi boccali impedendo che i succhi aspirati fuoriescano dalle fessure tra le componenti dell’apparato boccale. 
L’impiego di insetticidi si è dimostrato non risolutivo, sia perché non ne esistono di specifici in grado di provocare una mortalità del 100% (le forme meno vulnerabili sono gli adulti), sia a causa del comportamento e della biologia di questo insetto [ 63 ] che è estremamente mobile (può spostarsi in volo in media di un paio di chilometri al giorno, ma ci sono report di distanze superiori a 100 km e fino a 26 metri di altezza; le forme giovanili percorrono camminando circa 20 metri al giorno), e può sopravvivere su arbusti e specie vegetali spontanee e ornamentali [ 64 ]. Inoltre dove si è impostata la difesa con ripetuti interventi insetticidi (come ad esempio negli USA), vi è stata una forte riduzione degli antagonisti che tenevano a freno altre categorie di insetti dannosi; si hanno poi ripercussioni sugli impollinatori. 
Tutto ciò ha indotto a moltiplicare sforzi e ricerche per trovare mezzi e metodi diversificati in un quadro di management integrato e multidisciplinare. 
In questo approccio, gli insetticidi rimangono sempre un mezzo importante e, in generale, la varie molecole testate si sono mostrate attive: le migliori perfomance sono state ottenute da quelle con potere abbattente come i piretroidi, essendo l’efficacia residuale molto ridotta (cioè la mortalità delle cimici entrate in contatto col prodotto successivamente al trattamento); questo comporta la necessità che le cimici vengano direttamente investite dall’insetticida e, di conseguenza, vanno calibrate le modalità di impiego. Le ore migliori per effettuare i trattamenti sono quelle fresche del primissimo mattino, soprattutto in estate, quando le cimici sono ancora poco mobili. Negli USA sono stati sperimentati trattamenti a file alterne e perimetrali; questi ultimi sono consigliabili per impianti superiori ai tre ettari. Prove effettuate nel modenese hanno dimostrato che si possono ridurre gli interventi insetticidi del 45%, in tal modo si preserva l’entomofauna utile e si mantiene all’interno del frutteto l’uso di tecniche di confusione sessuale o gli interventi mirati con virus entomopatogeni contro insetti-chiave, come la carpocapsa per le pomacee. 
Sono stati testati con soddisfacenti esiti anche insetticidi chitino-inibitori che interferiscono sullo sviluppo delle forme giovanili; data la loro modalità di azione è essenziale un accurato posizionamento del trattamento, individuabile anche attraverso trappole di monitoraggio (poste ai bordi dell’appezzamento). Questi insetticidi trovano una efficacia maggiore se applicati contro le forme giovanili di prima generazione, nell’anno che compaiono (intorno al mese di giugno) [ 65 ]. 
Sono stati identificati i feromoni di aggregazione di questa cimice, attrattivi su tutti gli stadi di entrambi i sessi, e sono in fase di sperimentazione strategie sull’utilizzo in campo di tali sostanze, sia per il monitoraggio sia nell’ambito di metodologie attract&kill. Sono disponibili diversi modelli di trappola e di dispenser al feromone [ 66 ]. 
Una tecnica innovativa di attrazione, derivata da una disciplina chiamata biotremologia che si occupa delle comunicazioni vibrazionali, si basa su trappole vibrazionali [ 67 ]. 
Gli insetti comunicano infatti non solo per mezzo di segnali chimici, ma anche con vibrazioni la cui specificità è data dalla frequenza e dal ritmo. Una prima sperimentazione di campo basata su emissioni di vibrazione di disturbo ha riguardato la cicalina che trasmette il fitoplasma della flavescenza dorata della vite e in questa direzione è stato avviato uno studio analogo per la cimice asiatica. 
Un’altra linea di ricerca innovativa è rappresentata dall’impiego di concimi fogliari, a effetto batteriostatico/ battericida, sulla vegetazione dove avvengono le ovideposizioni: le femmina infatti rilascia sulle uova batteri specifici (quello di H. halys si chiama Candidatus pantoea carbekii), che vivono come simbionti nell’intestino della cimice e che risultano indispensabili per la vita della prole. 
Nei test di laboratorio sono stati impiegati fertilizzanti a base di Cu + Zn oppure Mn + Zn complessati con acido citrico (il primo è stato sperimentato anche contro Xylella fastidiosa dell’olivo) e da idrossido di Cu 50%, addittivati con pinolene (un adesivante/bagnante di origine naturale), tali prodotti oltretutto non interferiscono con l’attività dei parassitoidi oofaghi. 
Questa metodologia rientra in un approccio chiamato Gestione della Risorsa Microbica (MRM = Microbial Resource Management) e l’implementazione in protocolli di lotta prende il nome di Controllo Simbiotico (CS). 
La protezione attualmente più efficace è data da un mezzo meccanico semplice ma costoso, la rete anti-insetto [ 68 ], disponibile in diverse soluzioni, anche in rapporto alla coltura da proteggere. 
Per un più stabile controllo, la strategia migliore è l’immissione di antagonisti. Purtroppo di indigeni non ne sono stati trovati di efficaci: inizialmente un buon candidato sembrava essere l’imenottero calcidoideo Anastasus bifasciatus [ 69 ], ma in prove di campo ripetute si è rivelato deludente. Nelle zone di origine esiste, invece, un efficace limitatore, Trissolcus japonicus, un imenottero scelionide parassitoide oofago chiamato comunemente vespa samurai: le femmine depongono le uova dentro quelle della cimice e la larva della vespa si sviluppa a spese di queste ultime [ 70 ]. Qualche esemplare è stato casualmente rintracciato anche in Italia (non si sa come sia arrivato), ma per la lotta biolgica bisogna allevarli e operare lanci di molte centinaia di individui nei siti prescelti. Rispetto a questa soluzione occorre inoltre tenere conto della Direttiva 92/43/CE sulla conservazione degli habitat naturali, per cui l’introduzione di un antagonista alieno richiede un iter legislativo complesso che passa attraverso un Decreto del Ministero dell’Ambiente, in virtù del quale Regioni e Provincie autonome possono richiedere formalmente l’autorizzazione ai lanci. La gestazione del decreto è stata non facile, ma a partire dal 2020 sono iniziati i primi lanci in alcune Regioni settentrionali dove il problema della cimice asiatica è più sentito.

     Richiami per singole colture
     Pero
Cimice asiatica 
Danni La cimice provoca danni sulle pere per effetto di punture [ 71 ] effettuate sia precocemente sui frutti in accrescimento sia anche tardivamente in post-raccolta, inoltre ‘sporca’ con le deiezioni. 
Difesa Oltre ai mezzi e metodi riferiti sopra, in frutticoltura le reti anti-insetto rappresentano uno strumento di controllo valido e sostenibile. L’efficacia non è assoluta a causa della biologia dell’insetto e della necessità di permettere l’impollinazione delle piante: per ottenere la migliore protezione occorre chiudere le reti nella fase fenologica di caduta-petali; le neanidi possono superare le maglie della rete, ma essendo poco mobili il danno arrecabile è contenuto. 
Esistono due tipologie di reti: a monoblocco e a monofila [ 72 ]. Le prime comportano un investimento limitato e hanno mostrato una efficacia intorno al 60-80%; le seconde sono consigliabili in agricoltura biologica e negli impianti con allevamento in parete e hanno una performance di oltre l’80% di riduzione del danno. 

     Nocciolo
Cimice asiatica 
Una semplice tecnica di monitoraggio, impiegata in particolare nella corilicoltura (dove il cimiciato è una problematica importante anche a prescindere da H. halys), consiste nel piazzare sotto i noccioli teli e poi, al mattino presto, scuotere i rami per far cadere gli insetti e quindi procedere a una valutazione empirica (non sono state determinate soglie di intervento). 
Il monitoraggio in corilicoltura è raccomandato per individuare la presenza in campo in particolare degli insetti che hanno svernato, in modo da intervenire con insetticidi abbattenti [ 73 ]. 
Sempre in questo settore risulta utile una sorta di cattura massale a fine stagione, ponendo nei pressi di frabbricati rurali e magazzini, dove presumibilmente le cimici cercheranno riparo per l’inverno, pannelli impregnati di colla entomologica, provvisti di un dispenser al feromone. 
Con la metodologia attract&kill si impiegano le trappole piramidali in rete (chiamate “totem”) impregnate di insetticida abbattente (alfa-cipermetrina) e dotate di attrattivo al feromone. Il posizionamento ritenuto migliore consiste nel formare con tali trappole una sorta di barriera a fianco dell’appezzamento [ 74 ]. In alternativa è possibile cercare di far concentrare gli insetti in zone circoscritte sui bordi degli appezzamenti, seminando come “esca” ad esempio leguminose precoci, e impiegando come attrattivi dei diffusori al feromone particolarmente potenti (attualmente non disponibili in Italia) oppure aumentando il numero di quelli in commercio (negli USA questa tecnica ha dato risultati soddisfacenti).

     Colture agro-industriali
Cimice asiatica
H. halys risulta dannosa per molti seminativi. Su soia [ 75 ] le punture provocano aborti fiorali, semi striminziti e immaturi. Inoltre gli attacchi sono correlabili alla sindrome dello stay green: la pianta non riesce a maturare e tende a rivegetare. 
Su mais [ 76 ] i danni si manifestano soprattutto sul seminato di secondo raccolto, con presenza del parassita quando si sta formando la spiga ancora avvolta nella guaina: le punture raggiungono le cariossidi che poi risulteranno macchiate e di minore valore merceologico; l’attacco può anche favorire lo sviluppo di infezioni fungine. 
Girasole [ 77 ] e sorgo [ 78 ] non sono esenti da attacchi, tuttavia su queste colture non ci sono al momento valutazioni specifiche sulla dannosità. 
La cimice asiatica, avendo come range circa 300 ospiti, può danneggiare molte piante coltivate, dalle ortive ai fruttiferi, a quelle sopra citate, ad esempio si segnalano: pomodoro, peperone, acero, rovere, rose, frassino, vite (dove oltretutto un danno, non secondario, è rappresentato dalla contaminazione diretta del mosto in caso di raccolta meccanica dell’uva che può causare lo sgradevole difetto, chiamato cimiciato, già conosciuto in precedenza perché dovuto anche alle cimici locali, e che è di difficile correzione), ecc.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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