2  I batteri e le piante

I batteri, per vivere e riprodursi, hanno bisogno di ambienti ricchi di acqua ed essendo organismi eterotrofi, esigono sostanze organiche nutritive (come le vitamine) ed elementi in forma ionica. 
Con le piante stabiliscono rapporti di endofitia, tipica delle specie fitopatogene, e/o di epifitia. Nell’endofitia i batteri vivono proprio dentro alla pianta ospite occupando gli spazi interni (vasi xilematici, spazi intercellulari). 
Nel lume di trachee e tracheidi i batteri trovano un succo leggermente acido, piuttosto ricco di sostanze organiche e inorganiche, con elementi come N, P, K e Mg, importanti per il metabolismo batterico; viceversa il floema, pur essendo anch’esso ricco di sostanze nutritive, non è adatto alla crescita dei batteri, in quanto la concentrazione dei soluti è troppo elevata e determina un ambiente osmotico sfavorevole. 
Gli spazi intercellulari rappresentano un ambiente ottimale per i batteri poiché contengono gas e componenti emicellulosici e glicoproteine che formano una sorta di gel ricco di acqua, ioni e semplici molecole organiche. 
Come avviene anche nell’uomo e negli animali, all’interno delle piante possono essere ospitate specie batteriche saprofitarie, presenti anche nell’ambiente esterno, o anche potenzialmente patogene senza che vi siano alterazioni fisio-morfologiche. 
Nell’epifitia i batteri vivono all’esterno della pianta, ma in stretto contatto con la fillosfera e la rizosfera, nell’ambiente formato dagli essudati che le piante emettono e dal velo di acqua presente sulla superficie delle radici che si forma per eventi meteorologici sulle foglie. 
A livello della rizosfera la popolazione microbica è molto più numerosa rispetto a quella del terreno circostante e anche diversificata per composizione a causa dell’effetto selettivo prodotto dagli essudati radicali. 
Questa è rappresentata soprattutto da germi Gram-negativi asporigeni che comprendono anche specie fitopatogene (agrobatteri e pseudomonadi). 
La temperatura, come l’acqua, è un fattore determinante per la crescita batterica: in linea generale i batteri sono in grado di essere attivi e di riprodursi da un minimo 5-10 °C fino a un massimo di 33-40 °C, con un optimum di crescita attorno ai 20-25 °C; se invece la temperatura sale a 50 °C e più, essi muoiono in poco tempo. 
Anche la presenza di ossigeno è essenziale, perché per lo più i batteri fitopatogeni sono aerobi.

     Sintomatologia
Le fitopatie batteriche, dette anche batteriosi, si manifestano con quadri sintomatici riconducibili a sei tipologie. 
1. Iperplasie: sono caratterizzate da un accrescimento anomalo, in dimensione molto variabile, del tessuto vegetale con formazioni anomale tipo: 
tumori [ 9 ] (es. da Agrobacterium tumefaciens su numerosissime piante dicotiledoni): inizialmente i tumori sono di colore grigio-biancastro con superficie cerebriforme e consistenza morbida, poi disseccano e imbruniscono tendendo a disgregarsi; sono localizzati sovente su radici, colletto, punto di innesto; 
tubercoli [ 10 ] (es. da Pseudomonas syringae subsp. savastanoi su oleandro e olivo): localizzati su foglie, steli e radici della pianta ospite, hanno superficie dapprima liscia (di consistenza spugnosa) poi rugosa, percorsa da screpolature, e infine legnosa; 
proliferazione abnorme di germogli (es. da Rhodococcus fascians su fragola, geranio, ecc.): spesso la pianta convive con queste iperplasie, ma se è colpita negli stadi iniziali dello sviluppo, può essere seriamente danneggiata. 
2. Cancri: si manifestano su tronco, rami e branche di piante legnose e arbustive. Nelle aree colpite il tessuto corticale appare inizialmente idropico, leggermente rigonfio e inscurito; in seguito si manifesta un disseccamento del tessuto canceroso con bordo evidente e superficie depressa e percorsa da screpolature. Sotto la corteccia i tessuti appaiono idropici (cioè gonfi di liquido) e/o imbruniti. La parte della piante che sovrasta il cancro manifesta improvvisi disseccamenti di germogli, foglie, fiori, frutti, rami, branche. Se la penetrazione è avvenuta a partire dai fiori o dai germogli, questi disseccano e in seguito si manifesta il cancro. Gocciole di essudato batterico biancastro (che in seguito vira al bruno) possono fuoriuscire dalle lesioni cancerose. Tipici agenti di cancri sono Pseudomonas syringae, Xanthomonas campestris pv. pruni, Erwinia amylovora [ 11 ]. 
3. Marciumi molli: colpiscono organi carnosi in pieno campo, in serra e anche in magazzino, specie in condizioni di bagnatura ed elevata umidità. I tessuti colpiti emettono sovente odori sgradevoli e ospitano frequentemente altri esseri viventi saprofiti: batteri, nematodi, insetti. Causano marciumi molli Erwinia carotovora e batteri del genere Pseudomonas [ 12 ]. 
4. Maculature [ 13 ]: si manifestano sulle foglie, sui piccioli, sugli steli e sui frutti. Le maculature fogliari sono spesso delimitate dalle nervature e hanno quindi contorno angolare; inizialmente i tessuti si presentano idropici per poi necrotizzare (talvolta compare un alone clorotico, o idropico, dovuto appunto allo stato di sofferenza e alla scarsa idratazione dei tessuti). I tessuti disseccati vanno incontro a distacco con lacerazione del lembo fogliare. Sui frutti le maculature sono spesso colonizzate da microrganismi saprofiti secondari che causano marciumi. Sulle aree necrosate, in condizioni di elevata umidità, possono comparire essudati batterici. Causano tipicamente maculature i batteri dei generi Pseudomonas e Xanthomonas. 
5. Batteriosi sistemiche: sono causate da diversi batteri che si insediano nel tessuto vascolare; seguono uno sviluppo stentato della pianta, clorosi e infine avvizzimento [ 14 ]. 
6. Malformazioni e anomalie dello sviluppo: inverdimento dei petali (virescenza) [ 15 ], trasformazione degli organi fiorali in foglie (fillodia), scopazzi, vegetazione a rosetta, aborti fiorali, produzione di frutti piccoli e malformati, fioriture fuori stagione.

     Processo infettivo
I batteri penetrano nella pianta attraverso le aperture naturali: fiori, lenticelle, stomi, idatodi, tricomi. Le ferite provocate da avversità atmosferiche, dagli insetti e dall’uomo rappresentano importanti vie di penetrazione batterica. 
Alla penetrazione segue una fase di ancoramento in cui il patogeno entra in diretto contatto con l’ospite e consolida la sua presenza. 
Segue un periodo di incubazione in cui i batteri si moltiplicano ed esplicano l’azione patogenetica che, infine, si manifesta in forma sintomatica. Il ciclo infettivo si conclude con l’evasione (che può passare inosservata o essere appariscente), in genere sotto forma di essudati prodotti da ammassi di batteri immersi in un liquido mucillaginoso [ 16 ]. 
Uno schema illustrativo delle vie di penetrazione utilizzate dai batteri è visualizzabile nella Fig. [ 17 ]. 
La propagazione alle piante sane, dai focolai di infezione primaria, può avvenire tramite l’acqua piovana o di irrigazione, le operazioni colturali e, per alcune batteriosi, tramite gli insetti. Nella stagione vegetativa possono verificarsi più cicli infettivi. 
Condizione fondamentale per l’inoculazione batterica è la presenza di sottili film d’acqua sulle superfici entro cui i patogeni, passivamente o attivamente, giungono alle soluzioni di continuità tramite le quali entrano nel vegetale. 
Lo sviluppo epidemico delle batteriosi è favorito dall’elevata umidità ambientale [ 18 ] (più dell’80% di U.R.), da temperature elevate e forti dosi di inoculo. Sono maggiormente a rischio gli ambienti di coltivazione protetta (serre e colture idroponiche). 
I batteri fitopatogeni possono sopravvivere: 
• sulla superficie dei semi e anche al loro interno; 
• nei bulbi, tuberi e rizomi; 
• sulla superficie di foglie e rami; 
• dentro le gemme e le cicatrici fogliari; 
• nei tessuti colpiti; 
• nei residui colturali; 
• in terreno e acque di canali o di bacini di raccolta. 
Alcuni batteri, detti criogeni, hanno la capacità di generare nei tessuti vegetali cristalli di ghiaccio. 
Questa caratteristica, molto pericolosa per le colture, consente ai batteri di avere a disposizione substrati idonei al loro sviluppo e di generare ferite nei parenchimi tramite le quali invadere la pianta.

     Batteriosi vascolari
Nelle batteriosi vascolari l’habitat principale del patogeno è lo xilema e l’esito finale dell’infezione è rappresentato da avvizzimenti, con distribuzione settoriale o generalizzata. L’eventuale successiva colonizzazione di altri tessuti è secondaria, ma dà luogo a manifestazioni sintomatiche macroscopiche, quali marciumi e cancri; altri sintomi indotti dai fitobatteri vascolari sono clorosi, epinastie e nanismo. 
La penetrazione entro i vasi xilematici avviene in genere attraverso ferite e lesioni accidentalmente prodotte: l’apertura traumatica, mettendo in comunicazione i tessuti interni con l’esterno, determina un gradiente di pressione atmosferica che spinge le bolle d’aria (che si formano negli intertizi delle ferite) a entrare nei vasi danneggiati; contestualmente il liquido del vaso danneggiato viene risucchiato attraverso le punteggiature degli elementi xilematici rimasti integri, così che i batteri sono trasportati, più o meno profondamente, entro i vasi con il richiamo del liquido stesso. 
La pianta reagisce cercando di chiudere il lume delle trachee con gomme e tilli: se essa riconosce la presenza del batterio dannoso e mette in atto rapidamente le contromisure necessarie, l’infezione può essere bloccata; diversamente, segue la fase di ancoramento
I batteri dapprima sono adsorbiti e vincono le cariche elettrostatiche contrarie disponendosi con l’apice (che risente meno di tali forze repulsive) rivolto verso la superficie della cellula ospite, quindi aderiscono emettendo sostanze fibrillari [ 19 ]. 
Con l’adesione, che è stabile e irreversibile, i batteri entrano in stretto contatto con le cellule della pianta e consolidano in poche ore l’interazione producendo ulteriori polisaccaridi liganti, i quali svolgono anche la funzione sussidiaria di creare una sorta di sottilissimo cuscinetto sufficiente a impedire ai sistemi di difesa della pianta di riconoscere l’organismo invasore. 
All’ancoramento segue il periodo di incubazione, nel corso del quale i batteri si moltiplicano all’interno del lume dei vasi formando colonie immerse in una sostanza viscosa, prodotta dai batteri stessi, che appaiono come ammassi lenticolari lungo le pareti dei vasi; contestualmente liberano tossine che danneggiano irreversibilmente la membrana delle cellule della pianta, con perdita di turgore. 
L’infezione procede sia verso l’alto, in senso acropeto, sia verso il basso, in senso basipeto, prima lungo il vaso colonizzato, poi invadendo le trachee adiacenti, in quanto i batteri sfondano le pareti [ 20 ]. 
L’esito finale consiste nell’avvizzimento generale per compromissione della funzionalità dei vasi, a cui vanno aggiunti i danni metabolici causati dall’azione delle tossine prodotte dal batterio e messe in circolo. L’evasione del patogeno solitamente procede attraverso la formazione di sacche di marcescenza che si screpolano verso l’esterno originando lesioni di tipo canceroso.

     Batteriosi parenchimatiche
Nelle batteriosi parenchimatiche i patogeni si localizzano elettivamente negli spazi intercellulari dove possono provocare necrosi, lisi della lamella mediana delle celluli tissutali, ipertrofie e iperplasie, producendo quindi manifestazioni sintomatiche quali comparsa di aree edemose iniziali, maculature, marciumi molli, formazioni tumorali e alterazioni morfologiche. La deviazione della normale morfogenesi, con sintomi di nanismo, scopazzi e fasciazione, è indotta dallo sconvolgimento (provocato dal patogeno) del biochimismo che regola sviluppo e crescita della pianta, e relativi organi, senza però che vi sia uccisione delle cellule dell’ospite. 
Dal punto di vista patogenetico, le formazioni tumorali sono distinte in galle e tumori: nelle galle le cellule neoformate si mostrano fisiologicamente analoghe a quelle sane, mentre nei tumori le cellule hanno una propria autonomia metabolica, avendo la capacità di crescere in vitro, attecchire e svilupparsi se espiantate dalla pianta ammalata e trasferirsi su una sana: queste caratteristiche sono del tutto simili a quelle dei tumori che colpiscono gli animali. Nella patogenesi della galla sono implicati ormoni vegetali (acido indolacetico, citochine, auxine) che inducono ipertrofie e iperplasie: alcuni studi hanno dimostrato che l’accumulo di queste sostanze dipende da una loro diretta produzione da parte dei batteri (es. Pseudomonas syringae subsp. savastanoi, Ralstonia solanacerum). Nel caso di P. savastanoi, si è osservato che in una prima fase di ipertrofia a carico di cellule integre si ha mitosi con conseguente ingrossamento della galla per iperplasia. 
I tumori veri e propri si producono quando un ospite suscettibile è infettato attraverso una ferita da un ceppo virulento di Agrobacterium tumefaciens. L’esistenza della ferita appare indispensabile affinché il patogeno possa ancorarsi; la successiva trasformazione delle cellule vege- tali normali in cellule tumorali dipende da una temporanea complementarietà di condizioni metaboliche delle cellule dell’ospite e dei batteri. Il meccanismo di induzione tumorale è stato studiato a lungo e al riguardo si sono succedute ipotesi diverse: attualmente si sa che l’agrobatterio trasferisce nell’ospite un tratto di DNA plasmidico che va a inserirsi nei cromosomi delle cellule vegetali, le quali sono modificate geneticamente assumendo la capacità di sintetizzare fitormoni responsabili della successiva proliferazione cellulare. Tale attitudine rimane propria di queste cellule e si manifesta in seguito anche in assenza del batterio induttore.

     Batteri atipici: i micoplasmi
I micoplasmi potrebbero essere considerate le forme di passaggio tra virus e batteri. Sono speciali forme microbiche di piccolissime dimensioni, descritte la prima volta nel 1898 quali responsabili di una particolare pleuropolmonite dei bovini. Per questo motivo è entrato nell’uso chiamare questi germi PPLO (dall’espressione PleuroPneumonia Like Organism) e di includerli nel genere Mycoplasma. 
Le dimensioni sono dell’ordine del decimo di micrometro; sono privi di parete cellulare, per cui appaiono come minuti e fragili corpuscoli a forma di granelli, bastoncelli, filamenti. Sono in grado di riprodursi in assenza di cellule viventi e hanno un metabolismo autonomo. Per quest’ultimo motivo sono fondamentalmente diversi dai virus; nonostante un tempo venissero considerati solo forme batteriche più semplici e più piccole, oggi, sono nettamente distinti da queste e collocate in una classe a sé stante denominata Mollicuti. I micoplasmi, infatti, si diversificano dai batteri non solo per l’assenza di parete, ma anche a livello genetico, come è stato rilevato dalle prove di omologia fra gli acidi nucleici. Inducono forme patologiche nell’uomo (polmonite da micoplasma) e nei vegetali (flavescenza dorata). 
I micoplasmi vegetali sono detti anche fitoplasmi: sono microrganismi procarioti, simili ai micoplasmi (fino al 1993 erano infatti chiamati MLO = Micoplasma Like Organism), che si differenziano dai batteri per la mancanza della parete cellulare mentre per gli aspetti patogenetici ed epidemiologici sono per molti versi assimilabili ai virus. 
Essi infatti sono parassiti obbligati, incapaci di vivere e riprodursi al di fuori delle cellule vegetali ospiti e non hanno meccanismi di penetrazione attiva. Dal punto di vista epidemiologico sono trasmissibili per propagazione vegetativa o per vettore, mentre non è stata osservata la trasmissione per seme. Hanno un genoma di piccole dimensioni e aspetto vario (pleomorfismo) a causa dell’assenza di una parete in grado di conferire una struttura definita: pertanto si possono presentare in forma rotondeggiante, piriforme o filamentosa. I criteri specifici che i microrganismi devono possedere per essere inclusi fra i fitoplasmi sono i seguenti: 
• la microscopia elettronica a trasmissione deve rilevare procarioti pleomorfici mancanti di parete; 
• gli organismi devono essere reperiti nei tubi cribrosi del floema e in generale devono essere associati con malattie che causano sintomi di deperimento, giallumi e/o anomalie di sviluppo (particolarmente dei fiori); 
• gli organismi sono trasmessi da insetti che si alimentano nel floema: cicaline, cixiidi o psille; 
• gli organismi sono resistenti alla penicillina e altamente sensibili alle tetracicline; 
• il genoma di questi microrganismi è piccolo (530-1.350 kbp, 1 kbp = 1.000 coppie di basi azotate) e il contenuto di G (guanina) + C (citosina) è basso (23-29 mol % sul totale delle basi). 
I fitoplasmi si riproducono in vari modi (scissione binaria, gemmazione) traendo energia dal metabolismo cellulare dell’ospite, soprattutto dalle cellule floematiche dove solitamente si insediano. 
Alcuni sintomi sono riconducibili a danni prodotti a livello dei vasi cribrosi con relative conseguenze, come gli arrotolamenti del lembo fogliare.

APPROFONDIMENTO 23

Osservazione, isolamento e identificazione dei batteri 

Per identificare un ceppo batterico si possono fare osservazioni microscopiche e test biochimici che si basano sulle diverse caratteristiche metaboliche dei batteri. 


Osservazione al microscopio 

I batteri possiedono densità solo un po’ più alta di quella dell’acqua e perciò usando un microscopio ottico si vedono difficilmente in sospensione liquida perché sono quasi trasparenti. 

L’osservazione dei batteri può avvenire solo previa colorazione che consente di differenziare vari tipi morfologici (tramite la forma, la disposizione, la reazione di Gram, ecc.) e osservare determinate strutture (flagelli, capsule, endospore, ecc.). 

I coloranti sono composti organici contenenti dei radicali cromofori che producono colore e dei gruppi auxocromi salificanti. 

La maggior parte dei coloranti sono sali, ma vengono chiamati basici se la porzione colorata si comporta come una base, o coloranti acidi se si comporta come un acido. 

Lo studio della forma e struttura può essere fatto con preparati a fresco e con preparati fissati. 

Prima della colorazione i microrganismi sono generalmente sospesi in acqua o in altro liquido e distesi su un vetrino ben pulito in modo da formare uno strato sottile e uniforme. 

Dopo essiccamento all’aria, i microrganismi sono fissati chimicamente o più comunemente al calore, passando rapidamente il vetrino sulla fiamma. 


Laboratorio-Fissazione di un preparato 

Per preparare i batteri alla colorazione si prepara un vetrino con i microrganismi. 

Occorrente: sospensione di batteri, bunsen, colorante. 

Procedimento: 1) strisciare la goccia con la sospensione batterica sul vetrino in modo da formare un film né troppo sottile né troppo spesso; 2) asciugare all’aria, se il film si asciuga come uno strato opaco significa che è troppo spesso, se non si nota potrebbe essere troppo sottile; 3) passare il vetrino brevemente sulla fiamma per fissare il film batterico in modo che durante le procedure per la colorazione non venga lavato via; 4) pipettare sopra il colorante e aspettare circa un minuto, per fare in modo che penetri nelle cellule; 5) lavare con acqua per asportare il colorante; 6) tamponare il vetrino; 7) osservare al microscopio. 

Le tecniche di colorazione possono essere suddivise nelle seguenti tipologie. 


Colorazioni semplici 

Rendono le cellule meglio evidenziabili all’osservazione microscopica. Richiedono l’uso di un solo colorante (es. blu di metilene, cristal violetto, fucsina basica). La colorazione semplice è utilizzata per valutare la forma, la disposizione e le dimensioni dei batteri, non consente però di evidenziare i dettagli della struttura interna. 


Laboratorio-Colorazione semplice 

Obiettivo: i batteri sono ovunque, non c’è ambiente, neppure la casa più pulita, che ne sia priva. Proviamo ad evidenziarli nel terreno, nell’acqua, negli alimenti che consumiamo. 

Occorrente: latte non pastorizzato o lasciato a temperatura ambiente per 12- 18 ore, infuso di fieno preparato da due giorni, piante di fagiolo o altre leguminose (fave, trifoglio) vicine alla fioritura, vetrini, microscopio, bunsen, carta da filtro, acqua distillata, xilolo, alcol a 95°, blu di metilene, soluzione di fucsina fenicata, stereomicrosopio, lametta, aghi mancanti, soluzione fisiologica (soluzione di NaCl 0,9%), pipette, ansa. 

Procedimento 

Nel latte: 1) porre una goccia di latte su un vetrino; 2) stenderla con l’ansa; 3) lasciare asciugare; 4) fissare passando il vetrino velocemente alla fiamma; 5) immergere in xilolo per 1 minuto e asciugare all’aria; 6) immergere in blu di metilene per 0-15 secondi; 8) sciacquare e asciugare a temperatura ambiente; 9) osservare a forte ingrandimento. 

Nell’infuso di fieno: 1) porre una goccia di latte su un vetrino; 2) disperdervi un poco della muffa superficiale dell’infuso; 3) lasciare asciugare all’aria; 4) fissare passando il vetrino velocemente sulla fiamma; 5) aggiungere il colorante (blu di metilene o soluzione fucsina fenicata) fino a coprire il materiale; 6) attendere 4-5 minuti poi sciacquare sotto acqua corrente; 7) lasciare asciugare all’aria; 8) osservare a forte ingrandimento. 

Nelle leguminose: 1) estirpare delicatamente le piante senza rompere le radici; 2) lavare le radici sotto acqua corrente con cautela; 3) prelevare un tubercolo integro e di colore chiaro; 4) porre sotto lo stereomicroscopio; 5) dividere il tubercolo a metà con la lametta; 6) prelevare un poco del materiale scuro al centro e stemperarlo in una goccia di soluzione fisiologica posta su un vetrino portaoggetti; 7) coprire con il coprioggetti e osservare a forte ingrandimento. 


Colorazioni complesse 

Sono largamente impiegate nell’identificazione dei batteri (colorazioni differenziali) perché evidenziano non solo la morfologia, ma anche determinate caratteristiche. Esse richiedono l’uso di due coloranti. Una delle colorazioni differenziali più comuni è la colorazione di Gram sulla base della quale i batteri si dividono in due gruppi principali, Gram-positivi e Gramnegativi. In seguito alla colorazione i batteri Gram-positivi si colorano in blu-violetto, mentre i Gram-negativi si colorano in rosso. Il diverso comportamento dei due gruppi di batteri è dovuto alla differente struttura della parete cellulare. 


Test preliminari di orientamento per procedere all’identificazione 

Per indirizzare il ricercatore verso la scelta di successive procedure di identificazione si fanno anche test di rapida esecuzione che non richiedono tempi di incubazione. 


Test KOH È un metodo alternativo alla colorazione di Gram, poiché i lipidi presenti nella parete dei Gram negativi vengono disciolti dal trattamento con KOH dando luogo ad una sostanza mucosa, mentre i Gram-positivi non mostrano alcun cambiamento chimico-fisico. 

Laboratorio 

Occorrente: KOH al 3%. 

Procedimento: 1) porre su un vetrino portaoggetti una goccia di KOH al 3%; 2) stemperare una porzione della colonia batterica; 3) agitare velocemente con un’ansa; 4) sollevare di tanto in tanto per evidenziare la formazione di un filamento mucoso. Se si forma il filamento la reazione è positiva e i batteri vengono considerati Gram-negativi, se non si forma la reazione è negativa e i batteri vengono considerati Gram-positivi. 


Test della catalasi Permette di individuare i batteri aerobi. Questi producono piccole quantità di acqua ossigenata (perossido di idrogeno H2O2) che neutralizzano scindendola mediante l’intervento dell’enzima catalasi in O2 e H2O. 

Laboratorio

Occorrente: soluzione 30% (10 volumi) di acqua ossigenata. 

Procedimento: 1) sospendere un frammento di una colonia in una goccia di soluzione al 30% (10 volumi) di acqua ossigenata; 2) osservare la comparsa immediata di bollicine prodotte dall’ossigeno derivato dalla reazione: 2H2O2→ 2H2O + O2 è indicativa della presenza della catalasi. 


Test dell’ossidasi 

Permette di distinguere e separare gli enterobatteri (tutti ossidasi negativi) dagli Pseudomonas. Alcuni batteri posseggono l’enzima citocromo ossidasi, la cui presenza può essere messa in evidenza dalla ossidazione di un accettore artificiale di elettroni la tetra-metil-para-fenilendiammina. 

Laboratorio 

Occorrente: colonia cresciuta sulla superficie dell’agar, tetra-metil-para-fenilendiammina all’1%. 

Procedimento: 1) distendere parte della colonia su carta da filtro; 2) aggiungere una goccia di tetra-metil-para-fenilendiammina all’1% preparata di fresco; 3) osservare in caso di positività una colorazione rosa che tenderà a intensificarsi fino a viola intenso. Se la reazione è negativa non si osserverà nessuna variazione cromatica. 


Test biochimici 

Questi test mettono in evidenza le proprietà metaboliche solo di alcuni batteri e non di altri, coinvolgono numerose proprietà fisiologiche e danno risultati coltivando i batteri in terreni selettivi e arricchiti. 

Laboratorio 

1 - Test Rosso metile 

Si basa sul principio che alcuni batteri fermentanti producono una miscela di acidi sufficiente ad abbassare il pH al di sotto di 4,3. 

Si attua in terreno glucosato con aggiunta dell’indicatore Rosso metile dopo incubazione. 

Differenzia le colture di Escherichia (rosse) da Enterobacter e Klebsiella (gialle).


2 - Test Fermentazione dei carboidrati 

È utilizzato per differenziare gli enterobatteri. Si basa sulla loro attività fermentativa con produzione di acidi e/o gas durante la crescita. Si attua in terreno liquido con il carboidrato e un indicatore di pH (es. rosso fenolo). 


3 - Test del citrato 

Essendo unica fonte di C determina un’alcalinizzazione del terreno. Si attua in terreno con aggiunta di citrato e un indicatore di pH (es. blu di bromotimolo) per evidenziare il pH alcalino. Serve a differenziare Klebsiella e Enterobacter da Escherichia o Edwardsiella da Salmonella. 


4 - Test Decarbossilasi 

Si attua in terreno arricchito di amminoacidi più l’indicatore porpora di bromocresolo che vira a violetto se l’enzima è attivo. Si basa sul principio che la decarbossilazione di amminoacidi libera CO2 e ammine. Aiuta a determinare il gruppo batterico tra gli enterobatteri. 


5 - Test Liquefazione della gelatina 

Si basa sul fatto che molti batteri posseggono proteasi e idrolizzano la gelatina. Si attua in brodo nutritivo con l’aggiunta di gelatina al 12%. Se la gelatina è idrolizzata il terreno rimane liquido anche dopo il raffreddamento. 


6 - Test Produzione di H2S L’H2S 

Viene prodotto in seguito alla degradazione di amminoacidi contenenti gruppi solforici o dalla riduzione del tiosolfato. La formazione di H2S si evidenzia dalla precipitazione di solfuro ferroso nero. Si attua su terreni ricchi di ferro. 


7 - Test Indolo 

Il triptofano presente nelle proteine è convertito a indolo la cui presenza è evidenziata dall’aggiunta di reattivi (dimetilaminobenzaldeide). Permette di differenziare Escherichia (+) da Klebsiella /Enterobacter (-). 


8 - Test Riduzione del Nitrato 

Il nitrato può fungere da accettore di elettroni (respirazione anaerobia) riducendosi a NO2- o N2 in brodo nutritivo con nitrato. Dopo l’incubazione la presenza di nitriti è evidenziata dall’aggiunta di acido sulfanilico (colore rosso). 


9 - Test di fermentazione ossidazione (O/F)

Alcuni microrganismi producono acidi solo quando crescono in condizioni di aerobiosi. Aiuta a differenziare Micrococcus (solo produzione aerobica degli acidi) da Staphylococcus (produzione di acidi anaerobia). Pseudomonas (produzione aerobica degli acidi) da enterobatteri (produzione di acidi anaerobia). 


10 - Test Idrolisi dell’amido 

La soluzione Iodio iodurata dà un colore blu in presenza di amido. I batteri sono fatti crescere in un terreno agarizzato contenente amido. Dopo l’incubazione si inonda la piastra con liquido di Lugol e si guarda l’eventuale zona di chiarificazione intorno alle colonie. Aiuta a identificare batteri capaci di idrolizzare l’amido (ad es. Bacillus). 


11 - Test Fenilalanina deaminasi 

Si attua in terreno arricchito in fenilalanina a cui si aggiunge, dopo la crescita, cloruro ferrico per determinare un colore verde. Caratterizza il genere Proteus e il gruppo Providencia. 


12 - Test Ureasi 

L’urea (H2N-CO-NH2) viene scissa a 2NH3 + CO2. Si attua in terreno contenente urea al 2% e fenolo come indicatore dell’innalzamento di pH. Permette ad esempio di distinguere Klebsiella (+) da Escherichia (-). 


13 - Test Voges-Proskauer (VP) 

Aggiungendo il reattivo alfa-naftolo dopo incubazione in ambiente con fermentazione dello zucchero si ottiene colore rosso se positivo. Caratterizza i ceppi di Bacillus.

     Difesa dalle batteriosi: il PSA dell’actinidia
Una importante malattia dell’actinidia è un cancro causato da un battere, Pseudomonas syringae pv. actinidiae (acronimo: PSA). Esso, dopo essere penetrato nelle piante attraverso le lenticelle, le microferite e i tagli da potatura, si moltiplica all’interno dei tessuti vascolari ostacolando e interrompendo la normale circolazione dei liquidi linfatici, provocando in conseguenza danni anche molto seri. La malattia, che può decorrere per un certo periodo in forma asintomatica, si manifesta sulle foglie con maculature necrotiche circondate da un alone giallo, con avvizzimento dei germogli, e tipicamente con cancri su rami e fusto con fuoriuscita di essudati di aspetto lattiginoso e colature di linfa che assume un colore ferruginoso per ossidazione; scorticando il tessuto sottostante appare rossastro [  22  ,  23  ]. 
A causa della sua gravità, questa avversità è soggetta a misure legislative per limitarne la diffusione. 
In campo possono essere adottati provvedimenti intesi a contenerne la diffusione e a contrastare l’insediamento sulle piante. 
Il contenimento di attua con le seguenti azioni: 
• segnare le piante sintomatiche e rimondarle dalle parti colpite preferendo giornate asciutte; 
• disinfettare gli attrezzi impiegati sulle piante con benzalconio cloruro; 
• coprire i tagli più grandi con colla vinilica addizionata con un rameico; 
• bruciare le pari asportate oppure interrarle profondamente oppure cospargerle di calce e ricoprirle con telo di plastica trasparente; 
• effettuare le potature su vegetazione asciutta. 
Le indicazioni tecniche per la difesa sulle piante prevedono: 
• trattamenti con rameici dopo la raccolta (entro 24-48 ore); a metà caduta foglie; a completa caduta foglie; 
• in assenza di una buona calcitazione del terreno (previa analisi), apportare questo elemento con due concimazioni (autunnale e primaverile); 
• interventi in via preventiva con attivatore delle difese della pianta (acibenzolar-S-methyl), mediante applicazioni fogliari o irrigazioni al suolo (max 6-8 trattamenti con intervallo di 2-3 settimane); 
• in prove sperimentali è stato impiegato il solfato dodecaidrato di Al e K all’80% (LMA 80) che ha mostrato performance interessanti e potrebbe diventare un sostitutivo del rame (le quantità di rame utilizzabili in agricoltura sono state recentemente limitate per effetto di normative europee).

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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