2 I virus vegetali o fitovirus
Si è sottolineato che i fitovirus non sono in grado di superare da soli la barriera dei tessuti di rivestimento delle piante e neppure di penetrare attivamente nelle cellule qualora il virus non sia già presente nella pianta stessa per trasmissione verticale, dovuta cioè a seme o altro materiale di propagazione infetto; negli altri casi il processo patogenetico si avvia solo in presenza di un qualche evento che comporti l’introduzione del virus nell’ospite o per trasmissione meccanica (ferite e/o contatto con materiale infetto come le forbici per la potatura), ma soprattutto, come vedremo, grazie alla presenza di vettori biotici, fra i quali i maggiori responsabili sono gli insetti.
La diffusione all’interno della pianta, e con ciò la progressione della malattia, può procedere o attraverso le cellule adiacenti il sito di inoculo iniziale, e si ha in tal caso l’infezione localizzata, oppure in tutta la pianta attraverso i sistemi di conduzione, e allora si ha l’infezione sistemica.
I fitovirus si muovono di cellula in cellula attraverso i plasmodesmi, particolari strutture di connessione proprie dei tessuti vegetali, oppure tramite la formazione di strutture tubulari di connessione.
Se raggiungono i tessuti conduttori, essenzialmente quelli floematici, le singole particelle virali possono essere trasportate a distanza nei vari organi della pianta e poi dal floema passano, ad esempio, in una foglia originando nuovi cicli infettivi (infezione secondaria).
In certi casi i virus sono inoculati direttamente nei vasi floematici.
La velocità di diffusione dei fitovirus è assai bassa quando migrano per contiguità intercellulare, mentre è misurabile in cm/ora quando sono trasportati con la corrente linfatica.
L’infezione da fitovirus provoca nella pianta alterazioni fisiologiche e metaboliche a cui solitamente si correlano le espressioni sintomatiche macroscopiche.
Così la distruzione dei pigmenti clorofilliani dà luogo a maculature, screziature, giallumi [ 16 ], anche se disturbi all’attività fotosintetica, relativi sia alla fase luminosa sia a quella oscura, non si evidenziano necessariamente con sintomi visibili. Possono essere interessati anche i processi respiratori, che di solito (ma non sempre) tendono a incrementare di intensità, almeno in alcune fasi della patogenesi infettiva. La replicazione del virus, che avviene a spese dei metaboliti cellulari, provoca evidentemente interferenze negative sul metabolismo degli acidi nucleici e di quello delle proteine, nonché anomalie nel biochimismo di carboidrati, acidi organici, composti fenolici, fosforo e altre sostanze implicate in varie attività funzionali come la crescita, con l’effetto di produrre una vasta gamma di sintomatologie collegate allo sviluppo della pianta (ad esempio nanismo, getti o foglie soprannumerarie, fasciazioni, laciniature, arricciamenti, escrescenze fogliari crestiformi [ 17 ]).
Risposte della pianta all’infezione
L’ingresso di fitovirus dà avvio a un processo il cui sviluppo ed esito finale sono determinati da diversi elementi dipendenti, ad esempio, dallo specifico binomio virus/ospite e da condizioni ambientali o interne all’ospite. Quando l’infezione rimane localizzata (ossia le particelle virali, dopo una prima fase di intensa replicazione nel sito di ingresso, non si diffondono ulteriormente), si manifesta con un danno necrotico circoscritto e tale localizzazione è nota come reazione di ipersensibilità; invece in caso di sistemizzazione, ossia quando il virus si moltiplica espandendosi progressivamente di cellula in cellula ed eventualmente raggiunge i tessuti conduttori, viene distribuito ai vari organi dell’ospite generando nuovi siti di infezione.
La resistenza è detta attiva quando viene impedita l’inoculazione del virus, ma principalmente quando l’ingresso del patogeno scatena una reazione di tipo biochimico di cui la reazione di ipersensibilità è una delle più efficaci; si parla di resistenza passiva, invece, quando il virus non trova nella pianta particolari fattori coadiuvanti (helper host factors).
Relativamente alla tipologia, la resistenza può essere definita:
• immunità;
• resistenza costitutiva;
• resistenza acquisita.
L’immunità è l’assenza di risposta patologica della pianta: ovvero quest’ultima non è un ospite per un dato virus (non-host resistance).
L’immunità può essere dovuta all’assenza nell’ospite di quei fattori di cui la particella virale ha bisogno per potersi replicare e/o diffondere con successo oppure a un ambiente citoplasmatico sfavorevole al virus (valori di pH, presenza di sostanze antagoniste).
In altri termini nell’immunità non c’è interazione tra definite specie virali e determinate piante (ad esempio le gimnosperme raramente si ammalano di virosi); potrebbe essere considerata concettualmente una forma estrema di resistenza.
La resistenza costitutiva è interpretata su basi genetiche e pertanto è ereditabile.
Si manifesta, ad esempio, con la presenza, nell’ambito di una specie vegetale suscettibile, di cultivar (o specie affini) viceversa resistenti; si trasmette alla discendenza come carattere dominante.
I meccanismi attraverso cui si realizza possono essere molteplici: nei confronti del vettore, nei confronti della diffusione intercellulare o sistemica del virus, come reazione di ipersensibilità.
La resistenza acquisita si ha quando una pianta, per effetto di un’esposizione a un agente infettivo, a una sostanza chimica o ad altro fattore, acquisisce la capacità di opporsi a una infezione virale compatibile.
Un tipo di resistenza acquisita è la protezione incrociata o preimmunità (cross-protection): essa si concretizza allorché una pianta, inoculata con un ceppo virale (ceppo protettore), mostra successivamente resistenza verso altri ceppi dello stesso virus. La protezione incrociata si può verificare sia quando il virus è inoculato artificialmente sia quando è introdotto da un vettore naturale.
Si tratta di un fenomeno specie-specifico, cioè strettamente vincolato a un dato binomio “ceppo di virus/pianta ospite”: in altri termini, un determinato isolato virale può essere un efficace protettore per una pianta coltivata suscettibile a quella virosi, mentre se inoculato su un’altra specie di ospite ugualmente suscettibile alla stessa malattia, può non indurre apprezzabili effetti.
Benché il fenomeno appaia similare a quello delle vaccinazioni degli animali, si tratta di un’analogia solo esteriore in quanto la pianta non possiede un sistema immunitario proprio; tuttavia, per alcuni aspetti e implicazioni si può stabilire un qualche parallelismo sull’impiego di questa forma di resistenza a fini profilattici. I meccanismi attraverso cui la protezione incrociata si realizza non sono ancora definitivamente chiariti e oggi si propende a metterli in relazione con il fenomeno del silenziamento genico.
Trasmissione e diffusione dell’infezione
In via generale si parla di trasmissione verticale quando il virus si propaga con la progenie della pianta infetta, tramite seme, bulbi, talee o altro materiale di propagazione; il concetto è esteso anche nel caso in cui una pianta sana sia impollinata con polline infetto e con la fecondazione il virus passi nell’embrione.
La trasmissione orizzontale si realizza quando i fitovirus, provenienti da una pianta ammalata, vengono introdotti in una pianta sana (è considerata orizzontale anche la trasmissione mediante polline nel caso in cui esso funga semplicemente da mezzo di trasporto fisico delle particelle virali che poi vadano ad infettare cellule non riproduttive della nuova pianta penetrando, ad esempio, attraverso microlesioni).
Rispetto alla modalità, si distinguono i seguenti casi di trasmissione: per seme, per polline, da materiale di propagazione vegetativo, per contatto, per vettore.
La trasmissione per seme è relativamente poco diffusa, ma è importante in alcune virosi. Sotto il profilo epidemiologico può comportare rischi tutt’altro che trascurabili considerando che da un seme infetto si genera una pianta infetta, che può diventare la fonte di cicli di infezione successivi, veicolati ad esempio da vettori animali, sulle piante di una intera coltivazione.
Questa modalità, quindi, rappresenta una strategia di sopravvivenza del virus da un ciclo colturale all’altro della sua pianta ospite. Il virus può essere localizzato nell’embrione oppure su altre parti del seme come il tegumento e, in tale caso, essendo piuttosto resistente, infetterà la plantula solo se accidentalmente si produrranno microlesioni durante la germinazione.
I virus, quando sono trasmissibili per seme, lo sono anche per via meccanica e hanno la caratteristica di indurre nelle piante infettate in origine sintomi macroscopici, come maculature e mosaici, mentre in quelle nate da seme infetto non si presentano solitamente segni evidenti della virosi.
La trasmissione orizzontale per polline è stata osservata in pochi virus e in alcuni casi è collegata all’attività di insetti che si imbrattano con il polline virosato e lo trasferiscono visitando altre piante.
La trasmissione per propagazione vegetativa che avviene attraverso un organo della pianta (bulbi, tuberi, rizomi) o una sua parte (talee, margotte, gemme), è possibile per la generalità dei virus. Quest’ultima circostanza è sfruttata anche a fini diagnostici, tramite innesti su piante indicatrici.
La trasmissione per contatto è piuttosto rara in natura, attuandosi in pratica per sfregamento, ad esempio tra le foglie di una pianta ammalata e quelle vicine di una sana: in tal modo si producono microferite attraverso cui il succo della pianta infetta viene a contatto con parti esposte di quella sana. Più spesso è l’uomo che trasferisce il virus meccanicamente con le operazioni colturali e gli attrezzi di lavoro. La modalità di trasmissione per contatto è sfruttata a scopi diagnostici su piante indicatrici (trasmissione per succo).
La trasmissione per vettore è indubbiamente quella di maggiore interesse anche sotto il profilo scientifico. Infatti il vettore non è semplicemente un veicolo inerte, come un attrezzo da lavoro, ma un organismo vivente che stabilisce un rapporto biologico, anche complesso, o quantomeno legato a qualche aspetto della sua attività funzionale [ 19 ]. Gli organismi vettori appartengono a svariati gruppi tassonomici: Artropodi, Nematodi, Protozoi, Funghi.
Modalità di trasmissione per vettore
• fasi temporali; • efficienza;
• specificità; • tipologia.
Le fasi temporali sono così identificabili:
• periodo di acquisizione, dato dall’intervallo di tempo necessario affinché il vettore acquisisca il virus (ad esempio nel caso di un insetto con apparato boccale pungentesucchiante, può corrispondere a quello breve delle punture di assaggio o a quello più lungo delle punture di nutrizione);
• periodo di latenza, dato dall’intervallo di tempo necessario affinché il vettore diventi infettante, periodo che può variare da zero (ossia non esiste) a qualche giorno;
• periodo di ritenzione, dato dall’intervallo di tempo in cui il vettore rimane infettante;
• periodo di inoculazione, dato dall’intervallo di tempo necessario al vettore per inoculare il virus nella pianta.
L’efficienza esprime l’attitudine di un dato vettore a trasmettere un determinato virus.
La specificità esprime il grado di interazione e, di conseguenza, di esclusività del rapporto virus/vettore, grado che può sia riguardare vettori afferenti a un gruppo tassonomico (ad esempio, un virus che viene trasmesso da più di una specie di vettori, ma appartenenti allo stesso livello gerarchico di taxa) sia rimanere più strettamente circoscritto a una o pochissime specie affini. Inoltre la specificità è riferibile anche alla modalità di trasmissione (ad esempio, i virus di un dato genere sono trasmessi di regola con le stesse modalità).
Sintetizzato il quadro complessivo della trasmissione, è opportuno soffermarsi sugli aspetti della trasmissione per vettore biotico. Si distinguono le seguenti tipologie: nonpersistente, semipersistente, persistente (a sua volta suddivisa in propagativa e circolativa).
La trasmissione non-persistente si realizza unicamente con gli insetti del gruppo degli afidi (provvisti di apparato boccale pungente-succhiante), i quali trattengono sugli stiletti boccali le particelle virali che si denaturano in breve tempo se l’afide non punge un tessuto sano inoculando il virus.
Nella trasmissione semipersistente il periodo di ritenzione è di pochi giorni. In questa modalità le particelle virali si localizzano tipicamente sulla superficie di rivestimento del tratto iniziale del canale digerente dell’insetto vettore: indipendentemente dalla capacità di sopravvivenza del virus, questo viene eliminato con le mute dell’insetto che coinvolgono anche i primi tratti dell’epitelio di rivestimento dell’apparato digerente.
La trasmissione persistente ha un periodo di ritenzione lungo anche quanto l’intera vita del vettore. I virioni in questo caso non si limitano a rimanere sulla superficie esterna o comunicante con l’esterno del vettore, ma passano nell’interno del suo corpo fino ad arrivare alle ghiandole salivari e di lì sono inoculati con le punture. Nell’ambito della trasmissione persistente si distinguono i virus propagativi, che si replicano nel corpo del vettore, e i virus circolativi, che si limitano a circolare senza moltiplicarsi. Nella modalità di trasmissione persistente la specificità tra virus e vettore è molto alta: il fatto si spiega con l’elevato grado di interazione che necessariamente si deve stabilire tra le due entità, leggibile anche alla luce di strategie evolutive. Le interazioni si verificano, ad esempio, a livello intestinale dove l’assorbimento del virione è regolato da specifici recettori o mediato da proteine del capside del virus; oppure sono espresse dalla presenza di sostanze idonee a proteggere le particelle virali dalla degradazione enzimatica (in un caso si è dimostrato che tali sostanze sono prodotte da un batterio vivente in endosimbiosi nel corpo dell’insetto). Nella trasmissione persistente propagativa si possono verificare casi in cui i fitovirus, oltre a riprodursi all’interno del vettore, passano anche nella sua progenie. A titolo esemplificativo, nell’ambito della trasmissione persistente descriviamo brevemente quella del TSWV (Tomato Spotted Wilt Virus), agente di malattia su molte specie vegetali, attuata principalmente dal tripide Frankliniella occidentalis.
La femmina di questo insetto ovidepone infliggendo l’ovodepositore appena sotto l’epidermide fogliare; di conseguenza le forme giovanili (neanidi) che sgusciano iniziano ad alimentarsi pungendo e aspirando i succhi cellulari, acquisendo in tal modo le particelle del TSWV eventualmente presenti nei tessuti della pianta.
Durante la fase di neanide, questo tripide presenta una particolare disposizione anatomica dei suoi organi interni, tale che le ghiandole salivari sono unite a un tratto dell’intestino: attraverso tale connessione il virus, che tra l’altro è in grado di replicarsi nelle cellule epiteliali dell’intestino, passa nelle ghiandole della saliva. Con lo sviluppo dell’insetto la connessione si interrompe, ma il virus rimane nelle ghiandole salivari. Per effetto di mute le forme giovanili passano dallo stadio neanide I a quello neanide II e, successivamente, a quelli di pre-ninfa e ninfa (fasi in cui vengono abbozzate le ali, ma l’insetto non si nutre) e, infine, a quello di adulto alato in grado di trasferirsi su altre piante propagando l’infezione [ 20 ].
Metodi diagnostici
Tuttavia, quando si presume la presenza di un virus e si rende necessario, ad esempio per motivi epidemiologici, verificare la consistenza del sospetto, si deve necessariamente ricorrere a metodiche di laboratorio, atte in ogni caso a rilevare e identificare (e a confermare se opportuno) il fitovirus.
Oggi la diagnosi delle virosi segue criteri che, più esattamente, sono definiti metodi di rilevamento. In alcuni casi i virus provocano caratteristiche alterazioni, visibili in microscopia, entro la cellula infetta [ 21 ].
PIANTE INDICATRICI
La diagnosi mediante l’utilizzo di piante indicatrici è stata storicamente importante per gli agenti di malattie virali e virus-simili e ancora oggi trova impiego perché garantisce alti margini di affidabilità, è economica, è praticabile anche quando non si disponga di laboratori particolarmente attrezzati e infine non richiede competenze specialistiche.
Questa metodologia consiste nel trasferire il virus, mediante inoculazione artificiale, dalla pianta presunta infetta a una sana di cui si conosca la suscettibilità a quel virus e che all’infezione risponda con una sintomatologia esteriore ben visibile e caratteristica.
Quali indicatori biologici si scelgono piante che si caratterizzano per rapida crescita e semplice coltivazione.
Dal momento che un buon numero di virus è trasmissibile per contatto, in via generale l’inoculazione viene praticata mediante semplice strofinamento di foglie della pianta indicatrice con succo della pianta infetta.
Il succo si ottiene per triturazione di tessuti ammalati in soluzione tampone, mentre l’area della pianta indicatrice su cui esso sarà strofinato viene previamente cosparsa con polvere abrasiva, in modo da provocare microferite attraverso cui i virus penetreranno.
DETECTION METHODS: RILEVAMENTO E IDENTIFICAZIONE
Il significato di questa procedura diagnostica è reso in italiano con i termini “rilevamento” e “identificazione”. Lo scopo è accertare la presenza del virus nei campioni vegetali e identificarne contestualmente la specie.
Tali metodi si basano su diverse tecniche, che possono essere di tipo sierologico o molecolare, entrambe analoghe, anzi derivate, da quelle in uso in campo medico.
La diagnosi sierologica, di cui esistono numerose varianti, sfrutta la reazione antigene-anticorpo. Poiché le piante non hanno un sistema immunologico, gli anticorpi vengono ricavati da cavie animali previamente inoculate con una data specie di fitovirus: l’animale produrrà, nei confronti del virus specifici, anticorpi che vengono prelevati dal suo siero per allestire i reagenti di laboratorio.
Questo antisiero viene fatto reagire con succo estratto dalla pianta da diagnosticare su un idoneo substrato: l’avvenuta reazione è resa visibile grazie a sostanze che, per effetto di tale reazione, agiscono sul substrato modificandone il colore (questa tecnica è anche quantitativa, poiché l’intensità del colore è proporzionale alla quantità di particelle virali presenti).
Da quanto detto si tratta di tecniche che non servono genericamente a individuare la presenza di virus, ma ogni antisiero è specifico per un determinato fitovirus; quindi, nella pratica (non potendosi evidentemente effettuare tutti gli incroci possibili, se non altro per ragioni economiche), occorre che ci sia preventivamente una ipotesi diagnostica ottenuta mediante esperienza e osservazione dei sintomi visivi.
La diagnosi molecolare, anch’essa attualmente sviluppata in diverse varianti, sfrutta invece quelle tecniche di laboratorio che, partendo da una infinitesima quantità di acido nucleico (DNA, RNA) dell’organismo da identificare, lo amplificano, ossia lo replicano artificialmente fino a ottenerne una quantità che può essere rilevata con opportuni accorgimenti e sistemi.
MODERNE TECNICHE DIAGNOSTICHE
Qui considereremo due tecniche sierologiche, quella conosciuta con l’acronimo ELISA (Enzyme-Linked Immuno- Sorbent Assay) e quella chiamata lateral-flow. L’ELISA è un saggio basato su una reazione antigene-anticorpo, la quale viene rivelata grazie a un enzima coniugato con l’anticorpo in grado di produrre, in caso di positività, un viraggio di colore del substrato con cui si opera.
Poiché l’intensità del colore è proporzionale alla concentrazione dell’antigene presente, con questa metodica si ottiene anche una diagnosi di tipo quantitativo.
Per la preparazione di anticorpi ci si serve di animali da laboratorio in cui il fitovirus è inoculato in modo da indurre una reazione del sistema immunologico dell’animale.
Il rivestimento capsidico si comporta infatti da antigene, nei confronti del quale i linfociti dell’animale producono specifici anticorpi che si diffondono nel sangue, più esattamente nella frazione liquida (il siero).
Un siero ricavato in questo modo è detto antisiero rispetto alla specie virale di partenza: esso, anche al di fuori del corpo dell’animale che lo ha prodotto, è capace di dar luogo alla reazione antigene-anticorpo senza perdere la specificità. Gli anticorpi, dal punto di vista chimico, sono proteine chiamate immuno-globuline di cui esistono varie tipologie identificate con una sigla: quelle impiegate nei test sierologici sono le IgG. La metodica prevede alcune varianti raggruppate in due tipologie principali: ELISA diretta ed ELISA indiretta.
Nel metodo diretto si sensibilizza la piastra con un anticorpo che intrappola le particelle virali successivamente introdotte con il campione da testare; quindi viene aggiunto l’anticorpo coniugato che si lega a “sandwich” e infine il substrato su cui agisce l’enzima e che lo fa virare di colore (il tutto viene regolato da tempistiche precise e lavaggi.
Questo metodo offre il vantaggio della semplicità esecutiva a scapito, però, di qualche imprecisione per l’interferenza provocata dall’enzima coniugato [ 24 ].
Nei metodi indiretti (ad esempio TAS-ELISA = Triple Antibody Sandwich-ELISA), più laboriosi ma con migliore reattività, sul virus catturato dal primo anticorpo è applicato un secondo anticorpo specifico preparato in animale diverso per evitare interferenze (il primo in pollo, il secondo in coniglio in quanto le IgG di uccelli e mammiferi non reagiscono tra loro). Segue un ulteriore passaggio con anticorpo anti-IgG, specifico per l’anticorpo di coniglio e coniugato con la proteina enzimatica (esso proviene da un terzo animale, la capra, ed è detto coniugato universale perché non specifico per il virus). Il lateral-flow è un test diagnostico rapido di tipo immunocromatografico.
Il dispositivo è un supporto cromatografico nitro-cellulosico su cui sono stati fatti seccare in bande successive da sinistra a destra:
• una prima linea di anticorpi anti-virus, specifici per un determinato virus, coniugati con tintura rossa di oro colloidale, preparati in coniglio;
• una seconda linea con gli stessi anticorpi;
• una terza linea formata invece da anticorpi anti-IgG di coniglio; la striscia si chiude con materiale assorbente: questo serve a facilitare lo scorrimento del campione da saggiare, sotto forma di succo in soluzione, una goccia del quale viene infatti posta su un cuscinetto all’inizio della striscia [ 25 ].
Il tutto può essere allestito con una copertura, provvista di finestre per protezione, che offre una lettura dei risultati più comoda.
La soluzione liquida contenente il campione reidrata il reattivo della prima linea (anticorpi coniugati con oro colloidale che vanno in soluzione) e il tutto scorre per capillarità verso il materiale assorbente.
Se nel campione non sono presenti particelle virali, il liquido passerà indenne attraverso la linea degli anticorpi virali, ma sarà arrestato dalla linea degli anticorpi anti-IgG: la conseguente precipitazione dell’oro colloidale si renderà visibile con la formazione di una banda di colore rosso.
Se invece il virus è presente, esso reagirà con la linea dei suoi specifici anticorpi e dunque sarà intrappolato con la parte di oro colloidale con cui si è coniugato (anche in questo caso la reazione viene rivelata dal precipitato rosso); la parte in eccesso contenente l’oro colloidale continuerà a migrare fino alla seconda linea di anticorpi anti- IgG, con ulteriore formazione di una seconda banda rossa.
Dunque la positività al virus saggiato si manifesta con la comparsa di una doppia banda, mentre la negatività con la comparsa di una sola.
La figura [ 26 ] illustra come viene eseguito il saggio. Una foglia del campione è posta in una bustina di plastica, già predisposta e contenente un foglietto di materiale adatto a triturare; poi si aggiunge una soluzione tampone contenente un detergente non-ionico e un antiossidante e si passa sopra con un qualsiasi oggetto, a mo’ di pestello, in modo da spappolare i tessuti (a) e far andare il succo vegetale in soluzione.
Si prelevano ora poche gocce che vengono deposte sul cuscinetto iniziale (b) ovvero nella prima finestra se il dispositivo ne è dotato; si attende qualche minuto affinché il liquido scorra e reagisca.
In (c) è rappresentato il materiale occorrente e il risultato delle prove (si testava per due tipi di virus su foglia di tabacco, ToMV e TSWV).
L’intensità della colorazione è proporzionale alla concentrazione di particelle virali e nella dimostrazione il supporto reattivo per il virus TSWV ha dato un esito debolmente positivo.
FOCUS
TEST RAPIDI ELISA
La tecnologia ELISA attualmente è disponibile anche per test rapidi da effettuare in campo. Il saggio con ImmunoStrip è assai semplice: si preleva un frammento del campione (foglia) dove si sospetta sia presente il patogeno, lo si immette in una busta contenente una soluzione tampone, si schiaccia con una penna o altro per far uscire il succo, quindi si introduce direttamente nella busta la striscia e la si mette a contatto con il liquido (sono predisposti dei segni per guidare correttamente l’operazione). Si attende il tempo prescritto, quindi si estrae la striscia e si legge il risultato in base alle istruzioni fornite. Sono in commercio kit per la diagnosi rapida di svariati patogeni (funghi, batteri, virus).
Strategie di lotta
TERAPIA E PRODUZIONE DI MATERIALE SANO
Le virosi non sono ordinariamente curabili, per lo meno su coltivazioni in pieno campo; tuttavia esistono alcune terapie praticabili in laboratorio e c’è anche la possibilità di realizzare applicazioni pratiche in coltura basate sul fenomeno della protezione incrociata. Le tecniche terapeutiche di laboratorio sono la termoterapia e la coltura in vitro degli apici meristematici.La prima sfrutta la differente sensibilità al calore di pianta ospite e fitovirus. Questi ultimi, infatti, non sopportano temperature relativamente elevate, ma ancora compatibili con la sopravvivenza della pianta infetta.
Quando si debba risanare materiale di propagazione si può impiegare acqua a 50 °C in cui immergere, ad esempio, bulbi o tuberi per 30-60 minuti: i semi possono essere trattati a secco con temperature più alte, fino a 85 °C, per non più di un quarto d’ora; le piante in vaso, invece, vengono poste in celle climatiche e mantenute, previa fase di acclimatamento, a temperature di 30-40 °C per periodi che possono prolungarsi per parecchie settimane, talvolta variando alternativamente i parametri di illuminazione e temperatura [ 27 ].
La coltura degli apici meristematici si basa sulla constatazione che questa porzione di tessuto di regola non è raggiunta o infettata dal virus. La ragione per cui gli apici vegetativi rimangono indenni è attualmente interpretata con argomenti di genetica molecolare.
Il prelievo dei meristemi apicali frequentemente viene fatto precedere da termoterapia: il tessuto espiantato è messo in coltura secondo le usuali tecniche in vitro; la salubrità delle piantine che si originano è rigorosamente controllata e successivamente esse sono impiegate per produrre materiale di propagazione sano coltivato in serre chiuse e poi controllate affinché tale materiale non venga infettato da vettori.
PREVENZIONE E LOTTA AI VETTORI
Per “esclusione” si intendono tutte quelle pratiche, prevalentemente legislative, supportate dalle moderne tecniche diagnostiche dei test rapidi in campo, finalizzate alla vigilanza sui traffici e sulla certificazione fitosanitaria dei materiali propagativi messi in commercio, tali da impedire introduzione e diffusione di piante o parti di piante virosate in grado di costituire in loco nuovi serbatoi di infezione.
Per “eradicazione” si intendono le pratiche, legislative ed agronomiche, volte a eliminare possibili focolai di infezione e si concretizzano con l’estirpazione e la distruzione delle piante infette.
La lotta ai vettori fa parte delle procedure ordinarie per arginare la propagazione dei fitovirus (ovviamente per quelli ritenuti più pericolosi e che, normalmente, sono trasmessi da insetti).
In questi casi è essenziale in primo luogo individuare con sicurezza l’agente che funge da vettore, quindi studiarne la biologia per mettere a punto sistemi di monitoraggio e strategie mirate di intervento.
Le virosi delle piante
La possibilità di sfruttare la capacità di difesa della pianta, come avviene con le vaccinazioni negli organismi animali, sono assai limitate per l’assenza nella pianta di un vero sistema immunitario. A questo proposito esiste in realtà la possibilità di indurre una forma di resistenza sistemica indotta nella pianta: la protezione incrociata o premunità (cross protecion), attraverso la pre-infezione con una variante non virulenta del patogeno. Questo fenomeno fu scoperto nel 1929, ma nella pratica ha trovato un impiego limitatissimo: consiste appunto nell’infettare giovani piantine, prima della messa dimora, con un ceppo virale che mostri solo una lieve patogenicità. L’unico mezzo di risanamento di una pianta ammalata come abbiamo visto è la termoterapia, diversamente occorre agire in via preventiva e/o intervenire sulla trasmissione.
TOMV: TRASMISSIONE E POSSIBILITÀ DI CONTROLLO
Nel caso del virus del mosaico del pomodoro (ToMV) [ 28 , 29 ], ad esempio, la trasmissione si realizza prevalentemente per via meccanica, tipica della famiglia dei Tobamovirus a cui appartiene (è molto affine al virus del mosaico del tabacco), cioè senza la necessità di specifici vettori, ma anche in via verticale attraverso il seme. Il ToMV è un virione stabile (nei succhi vegetali ad esempio sopporta temperature fino a 90 °C) in grado di conservarsi sui residui nel terreno per molti mesi, dunque è capace di infettare attraverso le radici le piante di una successiva coltura. La modalità di trasmissione in campo può avvenire attraverso le operazioni colturali in quanto questo virus facilmente rimane su abiti, attrezzi e mani degli operatori, ma può anche passare da una pianta all’altra per semplice sfregamento fogliare.
Tenuto conto della biologia e della epidemiologia di questa virosi, il controllo si attua con le seguenti misure:
• Impiego di varietà di pomodoro resistenti (ne esistono parecchie).
• Impiego di sementi certificate esenti da virus o, in alternativa, disinfezione dei semi in una soluzione di trifosfato di sodio al 10% per almeno 15 minuti, oppure a secco mantenendo i semi per 2-4 giorni a una temperatura di 70 °C.
• Ispezione delle piantine prima dell’acquisto, scartando quelle in cui appaiono sintomi sospetti.
• Non piantare su appezzamenti dove in precedenza erano state osservate piante sintomatiche.
• Lavarsi le mani con sapone prima e durante le operazioni colturali.
• Disinfettare regolarmente gli attrezzi da lavoro (una modalità semplice ed efficace consiste nel tenerli in ammollo 1 minuto in una soluzione acquosa al 20% peso/volume di latte magro in polvere).
• Nel corso delle potature alternare un paio di forbici, in modo da poterle disinfettare nell’intervallo.
• Evitare di fumare o usare prodotti contenenti tabacco nell’appezzamento (il tabacco può contenere TMV o ToMV, entrambi infettivi su pomodoro).
• Monitorare regolarmente le piante ed eliminare quelle che mostrano sospetti sintomi di ToMV o TMV (iniviandole possibilmente a un Laboratorio di diagnostica).
• Distruggere le piante ammalate e non usarle per il compost.
• A fine stagione bruciare tutte le piante nelle aree che siano risultate infettate, e disinfettare sostegni, fili e ogni altra attrezzatura presente.