1  I virus: aspetti generali

     Caratteri specifici
I virus (o virioni o particelle virali) sono sistemi biologici essenziali sprovvisti di apparato cellulare, ma costituiti semplicemente da acido nucleico racchiuso in un involucro proteico (capside); essi sono in grado di replicarsi solo all’interno di cellule ospiti: pertanto sono entità infettanti
I virus possiedono alcune caratteristiche proprie dell’essere vivente (fondamentalmente la capacità di riprodursi), ma sono sprovvisti di un’organizzazione cellulare e, poiché la loro moltiplicazione avviene all’interno delle cellule dell’ospite di cui sfruttano le attività fisiologiche e biochimiche, sono da considerarsi parassiti obbligati. La gamma degli ospiti dei virus comprende tutti i gruppi di viventi, dai procarioti (come i batteri) agli eucarioti unicellulari (come i protozoi) fino ai funghi, alle piante e agli animali (uomo compreso). 
I virus dei vegetali, o fitovirus, si caratterizzano per non avere strutture atte a penetrare attivamente nelle cellule dell’ospite, nè da esse sono espulsi per gemmazione o dissoluzione cellulare, per cui la loro diffusione nei tessuti avviene tramite i plasmodesmi. Hanno un genoma di piccole dimensioni, a volte suddiviso in distinte particelle (e l’infezione si realizza solo quando tutte le particelle penetrano nella cellula); infine il loro aspetto, oltre che tondeggiante, come quello dei virus degli animali, può essere allungato a bastoncino o anche filamentoso. 
Avendo un loro genoma, sono in grado di partecipare e contribuire attivamente al flusso evolutivo naturale, con grande capacità di adattamento e colonizzazione dell’ambiente: da questo punto di vista possono essere equiparati ai viventi propriamente detti e quindi classificati in modo formale. Della sistematica virale si occupata il Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus
Oltre ai virus, vi sono altri agenti infettanti simili che in passato, prima dell’avvento delle moderne tecniche di rilevamento e identificazione, venivano definiti virus-simili
I viroidi sono entità infettive sub-virali che, come i virus, indirizzano a loro beneficio le attività biologiche della cellula ospite per replicarsi, ma da questi ultimi si differenziano sia sotto l’aspetto morfologico sia sotto quello funzionale. Al momento sono stati individuati solo nelle piante superiori [ 1 ]. 
I viroidi non possiedono capside, hanno un genoma costituito da un filamento di RNA chiuso ad anello e di dimensioni ancor più modeste di quello dei virus delle piante. Non sono in grado di dirigere e presiedere la sintesi di proteina, cosicché per replicarsi (processo che avviene all’interno del nucleo della cellula ospite anziché nel citoplasma, come nella generalità dei fitovirus), sfruttano gli enzimi prodotti dall’ospite. 
La diffusione dei viroidi all’interno della pianta avviene, come per i virus, attraverso i plasmodesmi e all’interno del tessuto floematico dove sono in grado di replicarsi. Anche la sintomatologia, la patogenesi e l’epidemiologia sono simili a quelle dei virus.

     I PRIONI
I prioni sono proteine che possono assumere due forme diverse, una normale e una errata: se assumono la forma errata possono indurre prioni normali a trasformarsi per assumere anch’essi quella forma, e sono talmente contagiosi che una piccola quantità può infettare e far ammalare un intero organismo. 
Questo può avere conseguenze molto gravi man mano che aumentano nel corpo i livelli di proteina prionica trasformata. Ad esempio, l’errato ripiegamento del prione PrP provoca degenerazioni mortali del sistema nervoso sia nell’uomo che in altri mammiferi. 
La prima malattia da prioni riconosciuta e descritta è stata lo “scrapie”, un morbo delle pecore il cui nome si deve al prurito che provoca agli animali che ne sono affetti. Nel tempo lo scrapie è divenuto il morbo capostipite di alcune malattie che interessano altri mammiferi denominate “encefalopatie spongiformi trasmissibili” (TSE) come l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), nota col nome di sindrome della mucca pazza. Ci sono molte malattie umane del gruppo dell’encefalopatia spongiforme: tra esse, la malattia di Creutzfeldt-Jakob e l’insonnia fatale familiare, che si sospetta siano trasmesse dagli stessi agenti infettivi, relativamente nuovi, chiamati prioni. 
Il termine prione (prion) è un acronimo, coniato molti anni fa da Stanley Prusiner che, invertendo un po’ le lettere, intendeva indicare il responsabile in una particella infettiva proteica. La scoperta che la malattia fosse trasmessa da una sola proteina pura valse a Prusiner il Nobel per la Medicina nel 1997. L’eccezionalità della scoperta consiste nell’identificazione di un agente infettivo in grado di trasmettere la malattia, ma privo di qualunque tipo di acido nucleico. Non si conoscono meccanismi biologici per cui una proteina sia lo stampo di se stessa. 
Prusiner ipotizzò che tutti i mammiferi contengano nel loro DNA il gene per la proteina prionica innocua. Una mutazione minima (una sola base diversa), o una diversa conformazione nella struttura secondaria, può modificarla e trasformarla in un prione infettivo. 
Forse l’incontro tra prioni infettivi e prioni innocui modifica quest’ultimi che, non potendo partecipare al normale turnover proteico, si accumulano nei tessuti e li danneggiano irreversibilmente.

     Morfologia e struttura
L’architettura dei virus è assai semplice: un genoma racchiuso in un involucro protettivo di natura proteica, detto capside (o capsidio). 
L’acido nucleico presente nei virus può essere RNA o DNA, mai però entrambi insieme. La molecola di RNA è lineare e può essere a un singolo filamento (ssRNA) oppure a doppio filamento (dsRNA); la molecola di DNA invece si presenta in forma circolare e anch’essa può essere a singolo (ssDNA) o a doppio filamento (dsDNA). Il capside è costituito da sub-unità di un medesimo o differente tipo di sostanza proteica. Le sub-unità si presentano all’osservazione in microscopia elettronica in forma di strutture chiamate capsomeri, a loro volta definiti da aggregati di sub-unità morfologicamente caratterizzate. La struttura architettonica del capside e il relativo aspetto esteriore dipendono dal modo in cui le unità si compongono: se l’assemblaggio avviene secondo la simmetria di rotazione cubica si genera un involucro tipo icosaedro, ossia un solido a 20 facce che richiama, nella forma, ma anche nella solidità, quello delle cupole geodetiche [ 2 ]; se invece l’impacchettamento si realizza secondo la simmetria elicoidale, si otterrà un astuccio di forma tubulare.

     Biologia
Le proteine di cui è costituito il capside dei fitovirus sono dette proteine strutturali. Esse tuttavia non hanno solo funzione costitutiva nella strategia di sopravvivenza dei virus, potendo infatti espletare diversi ruoli, quali: 
svolgere la funzione di proteine di movimento ausiliari, idonee cioè a facilitare la diffusione del virus nell’ospite; 
favorire la trasmissione dell’infezione; nel caso di fitovirus, ad esempio, consentendo alle particelle virali di fissarsi su specifici recettori dell’apparato boccale di insetti vettori oppure di essere adsorbite e replicarsi all’interno del corpo dell’insetto, così da conservarsi ed essere successivamente trasferite su nuovi ospiti visitati dall’insetto. 
Sostanze di natura proteica possono trovarsi inoltre nel genoma e per questa ragione sono chiamate proteine genomiche: esse sono implicate in particolare nelle fasi iniziali del processo di replicazione. Il ridotto numero di geni comporta un’espressione genetica semplice imperniata su geni precoci e geni tardivi. I primi entrano in azione nelle prime fasi dell’infezione dirigendo la sintesi di proteine enzimatiche implicate nella replicazione del materiale nucleico virale (ad esempio RNA polimerasi), i secondi sono collegati soprattutto alla sintesi delle proteine del capside. 
Gli eventi che si susseguono nel ciclo replicativo di un fitovirus, una volta che esso è entrato nella cellula ospite, sono: decapsidazione, traduzione dei geni precoci, trascrizione del RNA, traduzione dei geni tardivi, assemblaggio genoma-capside, diffusione della progenie [ 3 ].

     Classificazione
La classificazione dei virus è un problema difficile e può essere affrontato da diversi punti di vista. I virus possono essere suddivisi a seconda delle cellule che infettano (virus animali, vegetali, dei batteri) o delle modalità di riproduzione o in base alle proprietà immunologiche; oggi si preferisce considerare la struttura interna o esterna. 
Secondo la struttura interna si possono distinguere: 
- virus che contengono DNA. Esempi sono: il virus del mosaico del cavolfiore, l’adenovirus (responsabile di affezioni respiratorie e congiuntivali), il virus dell’Hepatite B, gli Herpesvirus (Herpes simplex, Herpes zooster, varicella). 
- virus che contengono RNA. Sono detti anche retrovirus ovvero “virus a ritroso”. In essi infatti la trasmissione dell’informazione genetica avviene al contrario: (RNA➜DNA➜RNA➜proteine) rispetto alle regole generali (DNA➜RNA➜proteine). Esempi sono i virus che parassitano le cellule vegetali e i virus animali: Enterovirus (virus della poliomielite), Rift Valley Fever Virus, Paramixovirus (influenza, parotite, morbillo, virus parainfluenzali), Rotavirus (virus delle diarree dei bambini), HIV (virus che causa l’AIDS). 
Secondo la struttura esterna è stata rivelata la presenza di tre principali tipi di simmetria: 
- simmetria cubica: la forma poliedrica dell’icosaedro, composto da 20 facce triangolari e da 12 vertici, è una delle più comuni (es. Herpes simplex); 
- simmetria a spirale: i capsomeri sono avvolti in una spirale tubolare o sferica (es. virus del mosaico del tabacco); 
- simmetria binaria: possedendo una testa ed una coda esiste una doppia simmetria (es. batteriofago).

     Inquadramento tassonomico
Classificare i virus è compito del Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus (ICTV), che si serve sostanzialmente di otto criteri, di tipo morfologico-strutturale, immunologico, fisico-chimico, sintomatologico-patologicoepidemiologico: in realtà, a causa delle differenze tra virus dei vegetali e virus degli animali, un inquadramento tassonomico condiviso si è realizzato solo in tempi recenti. 
Le famiglie di fitovirus attualmente riconosciute sono 20 e comprendono una novantina di generi diversi (un’alta decina di generi risultano non classificati in famiglie); le unità tassonomiche possono essere anche ordinate prendendo a riferimento il tipo di acido nucleico di cui è costituito il genoma, cioè a DNA oppure a RNA, e anche se è a singolo filamento (ss = single stranded) o a doppio filamento (ds = double stranded). 
La sistematica dei virus prevede i seguenti taxa: 
ordine
famiglia
genere
specie
I suffissi per la nomenclatura per i primi due taxa sono analoghi a quelli tradizionali: 
• virales per l’ordine, 
• viridae per la famiglia, 
• mentre il nome del genere termina sempre con -virus. 
Attualmente non tutte le specie sono assegnate a un genere e alcune lo sono solo in via provvisoria. 
Il nome della specie deriva abitualmente da quello della pianta ospite principale oppure dalla pianta in cui il virus fu identificato per la prima volta. 
Il nome è sempre accompagnato dalla sintomatologia più caratteristica: nell’uso più corrente (validato dall’ICTV nel 1990) è espresso in lingua inglese; è solitamente sintetizzato come acronimo e inoltre non è accompagnato da quello del genere. 
La radice dei nomi assegnati ai generi ordinariamente è la contrazione del nome della specie più rappresentativa; altre volte trae origine dall’aspetto morfologico o, ancora, può derivare dall’ospite principale o anche da specifiche caratteristiche epidemiologiche. 
Ad esempio: il virus che provoca decolorazioni a mosaico su cetriolo in inglese si identifica come: “Cucumber mosaic virus”, che è nome di specie con acronimo (CMV) e forma la radice del nome del genere Cucumovirus [  10  ,  11  ]. 
L’inquadramento sistematico dei viroidi è limitato ai taxa della famiglia, del genere, della specie. 
Anche qui la desinenza per la famiglia è -idae, mentre per il genere è -viroid; infine per la specie il nome in inglese termina in -viroid con il consueto acronimo. 
Ad esempio CCCVd = Coconut cadang-cadang viroid, da cui deriva anche il nome assegnato al genere, ottenuto per abbreviazione, che fa Cocadviroid. 
I fitoplasmi che tempo addietro erano ancora considerati dei virus (1960-70), dal punto di vista tassonomico sono oggi assegnati alla classe dei Mollicutes: questo gruppo, peraltro piuttosto eterogeneo, comprende entità saprofite e patogene per gli animali e anche per l’uomo. 
Dal punto di vista della nomenclatura è stato introdotto, come si è gia accennato, il termine di Candidatus Phytoplasma (Ca. P.) per individuare una unità assimilabile al genere, cui segue una declinazione di specie: ad esempio Ca. P. vitis, agente della flavescenza dorata della vite.

11 Classificazione dei fitovirus (FAMIGLIA • Genere) con indicati la caratteristica dell’acido nucleico, ciascun genere e per la relativa specie tipo con il relativo acronimo (Fonte L. Giunchedi, Manuale dell’Agronomo, REDA).

     Riproduzione
I virus si riproducono solo a spese e all’interno di un organismo ospite vivente (cellule di organismi animali e vegetali o batteri) ad opera del loro acido nucleico, che indirizza il metabolismo della cellula ospite verso la sintesi di materiale virale. 
Riproduzione dei virus a DNA Per comprendere bene il complesso fenomeno della riproduzione dei virus a DNA è opportuno considerare la riproduzione dei virus dei batteri (batteriofagi), poiché essi costituiscono un modello più semplice. 
I batteriofagi sono virus patogeni che attaccano i batteri distruggendoli. Hanno simmetria binaria e sono costituiti da una testa (un prisma esagonale di circa 1.000 capsomeri di natura proteica che racchiude il DNA) e da una coda (una tunica contrattile, di natura proteica, che racchiude una cavità che si continua con quella della testa, in cui si trova ancora DNA). All’interno della cellula batterica il batteriofago (o semplicemente fago) si moltiplica in quattro fasi [ 12 ]. 
Adsorbimento Di solito è specifico: un determinato fago si lega ad una precisa specie batterica. Talvolta uno stesso fago può legarsi a più specie batteriche. 
Penetrazione Dalla piastra e dalla coda del fago si libera un enzima litico che produce un piccolo foro sulla parete cellulare del batterio. Attraverso il foro, il fago, che resta fuori, spinge come da una siringa il suo DNA all’interno del batterio. 
Riproduzione Non sono passati che cinque o sei minuti dall’adsorbimento. Il DNA penetrato si unisce al DNA batterico e ne indirizza il metabolismo verso la produzione di nuove molecole di DNA virale. Si formano anche nuovi involucri proteici virali. 
Liberazione Le particelle virali complete si assemblano. I nuovi fagi (da qualche decina a qualche centinaio) maturano e, dopo la lisi del batterio, si liberano nell’ambiente. 
Riproduzione dei virus a RNA (retrovirus) I retrovirus contengono come materiale ereditario RNA, anziché DNA, e un enzima particolare, la trascrittasi inversa (RNase), che consente la sintesi di una molecola di DNA usando RNA virale come stampo. 
Sul capside proteico, ricoperto da un involucro lipidico, sono presenti catene polipeptidiche che si legano ai recettori di membrana della cellula ospite per iniziare il processo di infezione [ 15 ]. 
È importante sottolineare, però, una differenza: quando un virus infetta una cellula animale o vegetale, pare che, a differenza della cellula batterica, sia proprio la cellula ad intervenire attivamente perché l’intero virus penetri. 
Il fenomeno è un vero processo di ingestione definito viropessi, durante il quale la cellula ospite ingloba il virus attraverso l’invaginazione della sua membrana cellulare, cui segue la formazione di una vescicola intorno al materiale inglobato, che entra così nella cellula.

APPROFONDIMENTO 21

Il virus HIV 

Il virus che causa l’AIDS [ 13 ] (Acquired Immune Deficiency Syndrome) è un retrovirus. 

La sua struttura [ 14 ] piuttosto complessa comprende due copie di RNA del genoma, un involucro formato da due glicoproteine, una struttura proteica più interna e tre enzimi: 

trascrittasi inversa, che copia l’RNA in due copie di DNA; 

integrasi, che inserisce il DNA nella cellula ospite; 

proteasi, che catalizza la riproduzione dei nuovi virus HIV. 

Il virus ha affinità per le cellule del sistema immunitario, i linfociti TCD4, che, in condizioni normali, stimolano l’organismo a produrre sistemi di difesa. L’organismo colpito da HIV, che distrugge i TCD4, vede i suoi poteri di difesa ridotti o annullati e diviene sensibile anche ad infezioni normalmente non pericolose. 

Sieropositivi sono quegli individui che, infettati da HIV, possiedono nel sangue gli anticorpi contro il virus, ma non ancora i sintomi della malattia, poiché l’RNA del virus è stato trascritto nel DNA, ma è rimasto quiescente, duplicandosi solo ogni volta che la cellula si divide. 

Occorre che la trascrittasi inversa dia il segnale di produzione di nuovi RNA virali e la malattia si manifesterà. 

L’HIV è trasmesso attraverso il sangue o altri liquidi biologici. Le possibili strade con cui si contrae l’infezione sono pertanto: trasfusioni di sangue o derivati di sangue infetti, uso di siringhe già usate tra persone infette e non, rapporti etero ed omosessuali tra persone infette e non, trasmissione da madre infetta a bambino. 

Per il momento la lotta all’AIDS si basa soprattutto sulla prevenzione: evitare contatto con sangue infetto, astenersi da rapporti sessuali a rischio e utilizzare i profilattici, ma l’unica speranza per far fronte all’epidemia è trovare in breve tempo un vaccino. 

Nel 1986 si è scoperto un farmaco capace di interferire in vitro con la trascrittasi inversa; la sua sperimentazione clinica consentì di ridurre fortemente il numero di infezioni nei pazienti affetti da AIDS. 

Le difficoltà di produrre un vaccino efficace nascono anche dall’enorme variabilità del virus. 

Studi recenti sono volti a ridurre la capacità di replicazione del virus, in modo da consentire all’organismo infettato di elaborare una risposta immunitaria con anticorpi specifici.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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