4  Tipi di malattia

La classificazione delle malattie segue tradizionalmente il criterio eziologico; quindi, in base all’agente di malattia, esse possono essere suddivise in tre principali categorie:

A - Malattie e danni da fattori non biologici
Sono identificati in questa categoria i seguenti fattori:
• chimici (sostanze tossiche, trattamenti antiparassitari e con diserbanti);
• fisici (squilibri termici);
• meccanici (traumi e ferite procurate);
• meteorici e climatici (pioggia, neve, grandine, fulmine, umidità atmosferica);
• pedologici (squilibri idrici, asfissie radicali).

B - Malattie da fattori biologici non viventi
Sono identificati in questa categoria i seguenti fattori:
• carenze o eccessi nutrizionali, alterazioni di origine metabolica;
• alterazioni di origine genetica.

C - Malattie da fattori infettivi e parassitari
Sono identificati in questa categoria i seguenti fattori:
• virus, viroidi;
• batteri, fitoplasmi;
• funghi;
• fanerogame.

Dal punto di vista diagnostico le malattie possono invece essere suddivise come segue: 
trofiche o adattive
auxoniche o dello sviluppo
necrotiche (necrotossiche) o disadattive
vascolari o del ricambio idrico
lisogeniche (litiche); 
ipnochereutiche
Nelle malattie trofiche l’agente causale è sempre un organismo vivente che stabilisce un rapporto parassitario con la pianta; perciò la malattia appare come la conseguenza della sottrazione continua delle sostanze prodotte dalla pianta per la propria crescita e maturazione. Il legame anatomico tra ospite e parassita è prodotto dall’austorio del patogeno, che assicura una continuità alimentare tra i due simbionti. Funzionalmente l’alterazione principale è a carico della fotosintesi clorofilliana e si manifesta con depigmentazioni. Agenti di malattie trofiche sono funghi quali oidii, peronospore, carboni, carie, ruggini, oltre a fanerogame parassite. 
Nelle malattie auxoniche si hanno disturbi della crescita. Queste malattie possono essere provocate da fattori abiotici quali feddo o eccesso di umidità atmosferica, inquinamenti chimici, squilibri nutrizionali e fattori parassitari rappresentati sia da virus sia da batteri e funghi. Si possono fare rientrare in questa categoria anche le deformazioni (galle, cisti) provocate da insetti, acari e nematodi. 
Nelle malattie necrotiche, o necrotossiche, si ha la distruzione delle cellule dell’ospite. La morte cellulare è provocata fondamentalmente da un’alterazione della permeabilità differenziata per effetto di sostanze tossiche secrete dall’organismo patogeno. Esiti necrotici si possono avere anche per azione di fattori abiotici (sbalzi termici, siccità, carenze nutrizionali). 
Nelle malattie vascolari ad essere colpito è lo xilema, con conseguente occlusione delle trachee per opera di colonie batteriche o di ife fungine (si parla rispettivamente di tracheobatteriosi e di tracheomicosi). Un sintomo caratteristico è l’avvizzimento di foglie e di parti verdi. 
Nelle malattie lisogeniche, o litiche, gli agenti sono funghi e batteri che producono svariati enzimi in grado di lisare (scindere) le lamelle mediane e più in generale le strutture di sostegno delle pareti cellulari, con conseguente formazione di marciumi. 
Nelle malattie ipnochereutiche, causate da funghi, i tessuti attaccati sono quelli lignificati. Le conseguenze si manifestano con produzione di gomme, resine, mucillagini o con il disfacimento del legno (xilochereusi o carie).

     Stress abiotici
Le alterazioni dovute a cause diverse da quelle parassitarie o prodotte da agenti infettivi sono usualmente chiamate danni, quando sono provocate da avversità meteoriche e fisico-climatiche, mentre con il termine fisiopatie ci si riferisce alle sofferenze originate da stress di tipo idrico, termico, nutrizionale; gli inquinanti fitotossici dell’aria vengono generalmente esaminati nei danni, mentre le alterazioni prodotte dai prodotti fitosanitari [ 48 ] sono anche trattate come malattie iatrogeniche (cioè “generate da medicamenti”).

     DANNI
La grandine causa gravi danni ai vegetali [ 49 ] e nelle colture pluriennali l’effetto di una grandinata spesso si ripercuote su più anni. L’azione meccanica dei grumi di ghiaccio provoca ferite/distacco nei confronti di tutti gli organi più delicati (fiori, gemme), ma è anche in grado di lesionare frutti e foglie. Al danno meccanico si può facilmente aggiungere quello di patogeni che trovano nelle lesioni aperte facili vie di ingresso. Il fulmine provoca solo saltuariamente danni: i più colpiti sembrano essere gli alberi alti e isolati, e probabilmente la presenza di apparati radicali profondi, più o meno a contatto con la falda acquifera, induce un’attrazione della scarica elettrica [ 50 ]. 
Il vento può essere dannoso, in particolare quando è caldo e secco, perché disidrata oppure quando ha elevata velocità, perché ha effetti laceranti, ma anche quando trasporta pulviscolo sabbioso o nevoso in quanto provoca abrasioni. 
La neve provoca danni di tipo traumatico per rotture, specie in caso di nevicate precoci o tardive, ossia quando le piante (caducifoglie) sono vestite di foglie e perciò in grado di raccogliere carichi nevosi di peso anche superiore alla resistenza dei rami. 
I danni da inquinamento possono verificarsi attraverso i tre elementi con cui le piante sono a contatto (terra, acqua, atmosfera), ma è la presenza nell’aria di sostanze fitotossiche a provocare gli inconvenienti maggiori, perché il terreno, dove circola anche l’acqua, è dotato di un notevole potere assorbente e di una microflora demolitrice. 
Gli inquinanti fitotossici dell’aria possono agire direttamente provocando danni alla cuticola fogliare, interferenze sulla traspirazione, sulla fotosintesi e su altre funzioni, ma anche indirettamente, ad esempio acidificando il suolo con alterazioni degli equilibri delle popolazioni microbiche e dei rapporti tra specie patogenetiche e non patogenetiche. Tra gli inquinanti più comuni e maggiormente dannosi sono segnalate: 
• le anidridi, solforosa e solforica (prodotte in lavorazioni petrolchimiche e per combustione di carbone); 
• i derivati del petrolio, i gas naturali; 
• il fluoro e i suoi composti [ 51 ], prodotti nelle lavorazioni dell’alluminio, della ceramica, dei mattoni; 
• il cloro e l’acido cloridrico emesso nelle lavorazioni del vetro, nell’incenerimento di materie plastiche, nelle lavorazioni di questi prodotti nell’ambito dell’industria chimica.

     Stress idrici
Queste alterazioni possono essere causate sia da carenze sia da eccessi idrici. Una carenza graduale su una pianta agraria mesofita la induce a trasformarsi in senso xerofitico: la taglia diminuisce, le cellule rimangono più piccole e mostrano pareti più robuste, aumenta la pelosità e si ispessisce la cuticola. 
La carenza improvvisa provoca l’appassimento che, se prolungato, diventa irreversibile (avvizzimento); tipicamente nell’appassimento le foglie si deformano a doccia ripiegandosi verso il basso (epinastia) e a seccare per prime sono le parti più vecchie e quelle in cui la traspirazione è più intensa (margini fogliari). Nei fruttiferi l’insufficiente apporto di acqua determina una scarsa differenziazione delle gemme a fiore, i fiori risultano piccoli e poco colorati e tendono a cadere prematuramente, così come i frutticini, che peraltro non si accrescono regolarmente. Nelle annate asciutte il frumento e i cereali possono andare incontro al cosiddetto fenomeno della stretta, con sterilità parziale o totale dell’infiorescenza oppure formazione di cariossidi striminzite, povere di amido. 
Per comodità espositiva distingueremo gli effetti degli eccessi idrici in rapporto al terreno e all’atmosfera, anche se nella realtà le due situazioni sono frequentemente contestuali. 
Nel terreno un eccesso di acqua porta a condizioni di asfissia che alterano la fisiologia delle radici, le quali in scarsità di ossigeno assorbono con difficoltà i soluti, per cui si hanno fenomeni di carenza nutrizionale indotta. 
Nelle piante arboree l’asfissia radicale provoca una diminuzione delle reazioni difensive, con conseguente facilità di insediamento di agenti di marciumi radicali. 
Gli eccessi idrici nell’aria causano essenzialmente un aumento del turgore cellulare. Su frutti, fusti erbacei e organi in via di lignificazione, come i tralci di vite, tale aumento può arrivare fino allo scoppio delle cellule e gli esiti finali sono le spaccature; su foglie e baccelli le pustole molli, biancastre e poi tuberose, sono un tipico sintomo da eccesso. 
Fisiopatie complesse, legate a squilibri idrici, sono esemplificate dal marciume apicale del pomodoro [ 52 ] e anche dalla butteratura amara delle mele [ 53 ].

     Stress termici
Gli sbalzi termici, l’eccessivo calore e il gelo sono causa di alterazioni anche letali per le piante [ 54 ].

I danni da gelo, sulle piante in riposo, si evidenziano a carico delle gemme, i cui tessuti interni imbruniscono fino a necrosi con cascola dell’intero organo; talvolta, però, è solo una parte della gemma a subire il danno e, in tal caso, esso si manifesterà con lesioni e deformazioni sulle strutture che ne deriveranno (foglie, infiorescenze). Sui tessuti corticali il gelo produce screpolature, spacchi, distacchi o arrotolamento di porzioni della corteccia; sui rami le necrosi colpiscono prima le punte, che sono le parti meno lignificate. Forti abbassamenti termici possono causare danni di notevole entità anche sulle grosse branche e sul tronco, con spaccature che interessano la corteccia e il sottostante legno [ 55a ]. Altri sintomi da sbalzi repentini di temperatura sono le cipollature, consistenti nel distacco tra le cerchie legnose periferiche e quelle più interne, le cavità a becco di luccio (evidenti in sezione trasversale) all’interno dei tronchi e delle branche principali e, sempre a carico del legno, le linee del freddo per necrosi e successiva attività riparativa delle piante e ancora le cavità colmate da gomme o resine (tipiche nelle drupacee). Sui frutti si hanno le cinghiature e sulle foglie le allessature e altri sintomi ancora, come necrosi marginali, scollamenti dell’epidermide, clorosi, bollosità. 
I danni da eccessi termici sono generalmente meno frequenti e pericolosi di quelli da freddo e si ammette che sia il concorso di alta temperatura, siccità ed eccesso di luce a provocarli. 
I danni a carico delle foglie consistono in scottature e filloptosi anticipata; sui frutti di peperone, pomodoro, vite, melo le scottature prima danno luogo a sbiadimenti e in seguito a imbrunimenti con tacche depresse, note come colpo di pollice [ 55b ]; sulla corteccia di specie ombrivaghe (acero, carpino, faggio, abete, ecc.), per insolazione causata da potature o diradamenti, possono insorgere lesioni allungate con sfaldamento. 
Le lesioni e le spaccature provocate da stress termici costituiscono la sede di successivi e facili insediamenti di cancri.

     Squilibri nutrizionali
Le piante necessitano di 17 elementi nutritivi [ 56 ]: il carbonio (e in parte l’azoto nelle leguminose) è attinto dall’atmosfera, tutti gli altri ossigeno compreso, con l’assorbimento radicale sotto forma di sali disciolti e acqua. 
L’efficienza dell’assorbimento degli elementi minerali dipende da diverse condizioni: 
• concentrazione degli ioni nella soluzione circolante nel suolo; 
• effetti di sinergismo e antagonismo tra i vari ioni [ 57 ]; 
• presenza nel suolo di ossigeno in quantità adeguate (così ad esempio un’asfissia radicale genera indirettamente carenze in quanto la riduzione dei processi respiratori comporta una corrispettiva riduzione di energia necessaria per l’assorbimento dei soluti); 
• pH del terreno [ 58 ]; 
• estensione e funzionalità dell’apparato radicale. 
Lo squilibrio di uno o più elementi determina alterazioni metaboliche, che si esprimono con quadri sintomatologici molte volte diagnosticabili a vista [ 59 ]; tuttavia, a completamento della diagnosi, sono senz’altro utili, quando non indispensabili, analisi chimiche del terreno e fogliari. 
Le principali fisiopatie causate da squilibri nutrizionali sono elencate di seguito. 
Azoto Entra nella composizione della sostanza secca dei vegetali per un 2-4% e si trova negli acidi nucleici, negli aminoacidi e nelle proteine strutturali ed enzimatiche. 
Viene assorbito dal suolo essenzialmente come nitrato (dilavabile nel terreno) e anche come ione ammonio (in competizione con lo ione potassio) che, invece, è fissato dai colloidi argillosi carichi negativamente. 
I sintomi da carenza si manifestano, sulle foglie, con tipiche clorosi, mentre sulla pianta l’insufficiente apporto di N determina uno scarso sviluppo e un rallentamento del ciclo vegetativo. L’eccesso, che si manifesta rapidamente con un aumento dell’intensità del colore verde, ha l’effetto di allungare il ciclo vegetativo della pianta con ritardo nella maturazione dei frutti, inducendo inoltre una scarsa produzione di fiori ed esponendo la pianta stessa a un maggiore rischio di infezioni e a una minore resistenza agli stress ambientali. 
Fosforo È presente nel suolo come ortofosfato, solitamente associato a molecole organiche o legato a Fe, Al, Ca, ecc. Contrariamente all’azoto, è poco mobile nel terreno e viene assorbito al meglio con pH acido o sub-acido. I sintomi da carenza si manifestano in senso acropeto, con colorazioni tra il verde scuro e il bluastro o anche arrossamenti sulle foglie; le radici faticano a svilupparsi, così che anche la parte epigea tende a nanizzarsi. Fioritura e fruttificazione sono ritardate o compromesse. 
Potassio Questo elemento è abbondantemente presente nella composizione delle rocce silicee da cui viene lentamente dilavato e solubilizzato nel suolo. Nella pianta, al cui interno è molto mobile, esso interviene in molte e importanti attività metaboliche (traspirazione, ricambio idrico, trasporto degli elaborati, attivazione enzimi). 
La carenza di potassio porta in un primo tempo a una riduzione di crescita e complessivamente a una diminuzione delle produzioni, mentre aumenta l’esposizione della pianta a malattie e fitofagi; sulle foglie compaiono arrossamenti e macchie marginali che degenerano in necrosi con sollevamento delle parti imbrunite. Nei cereali la Kcarenza provoca le cosiddette “ginocchiature” (i culmi non si ergono dalla base della pianta, ma si piegano e si raddrizzano sui nodi, come in ginocchio). 
Calcio Si tratta di un elemento chimico molto diffuso sulla crosta terrestre; tuttavia a livello di terreno si possono riscontrare variazioni notevoli di contenuto. In natura si hanno specie vegetali con adattamenti specifici per suoli calcarei, altre specie invece sono calcifughe. Nella pianta il Ca regola l’attività di enzimi e ormoni, l’assorbimento ionico selettivo, la permeabilità delle membrane cellulari ed è presente nella costituzione delle sostanze pectiche delle pareti cellulari. Le carenze di calcio si manifestano specialmente a carico delle foglie più giovani che presentano apici e margini arrotolati, collosità, maculature clorotiche; gli apici vegetativi disseccano mentre la consistenza delle radici appare gelatinosa. 
Magnesio Viene assorbito come Mg++ ed entra nella costituzione della clorofilla. La carenza si esprime come clorosi fogliare internervale. 
Ferro Generalmente è presente in buona quantità nei terreni, tuttavia il suo assorbimento può essere ostacolato dall’antagonismo di altri elementi, da scarsa ossigenazione del suolo, da un pH basico. All’interno della pianta il Fe è poco mobile e viene impiegato nella biosintesi della clorofilla, per cui la carenza si manifesta tipicamente con clorosi (le foglie arrivano anche a sbiancarsi). 
Manganese Nel suolo ha un comportamento analogo al Fe e viene assorbito come ione Mn++. Nella pianta svolge essenziali funzioni nelle reazioni di ossidoriduzione, nell’attivazione di enzimi, nella formazione delle clorofille. La carenza provoca, in linea generale, clorosi internervale per compromissione dei cloroplasti. 
Zinco È implicato nella sintesi di proteine, RNA, amido e come cofattore enzimatico nella fase oscura della fotosintesi. Nei fruttiferi la zinco-carenza si manifesta con tacche gialle sulle foglie e arresto di crescita dei getti. 
Boro I borati solubili, assorbiti dalle radici, derivano da sedimenti marini e da residui di vegetazione in quanto il borosilicato tormalina, benché presente nel suolo, è insolubile. È elemento facilmente dilavabile ma fissato, con pH alcalino, dai colloidi argillosi. Nella pianta favorisce l’attività meristematica e la crescita degli apici vegetativi: dunque la carenza porta a un ritardo di crescita agli apici del germoglio e della radice; inoltre le foglie tendono a raggrinzirsi, a ispessirsi e ad assumere colorazioni bluastre o clorotiche. 
Rame Entra come componente essenziale in molti enzimi. La sua carenza nel terreno è poco comune. Nelle piante la carenza di questo elemento comporta appassimento dei germogli, clorosi fogliare, necrosi tissutale, diminuzione dei pigmenti, ritardo nella maturazione.

     Ferite, infezioni e compartimentazione
Le piante sono spesso soggette a danneggiamenti per ferite, le quali possono essere prodotte da organismi animali (fitofagi, roditori, uomo, ecc.) o da eventi fisici e traumatici (meteore, sbalzi termici, urti, ecc.) e, come tutti gli organismi, sono in grado di mettere in moto azioni atte a contenere il danno e a ripristinare l’integrità morfologica. 
I fenomeni riparativi sono suddivisi in: 
• riparazioni a struttura semplice senza neoformazione; 
• riparazioni a struttura semplice con neoformazione; 
• riparazioni a struttura composta. 
Nel primo caso la pianta impegna, adattandoli, sostanze o materiali istologici di cui era già a disposizione prima del trauma: un esempio è offerto dal tillo, una estroflessione di elementi cellulari già esistenti che occludono i vasi così da limitare la fuoriuscita e la perdita di linfa attraverso la ferita (abbiamo visto in precedenza che la formazione di tilli viene anche attivata in risposta a infezioni vascolari: in effetti si tratta di una modalità generica di reazione della pianta a una offesa). 
Nel secondo caso alcune cellule della pianta riassumono attitudini e funzionalità che avevano in fase di crescita giovanile: in questo caso ricompaiono nuovi elementi istologici a funzione riparatoria. Un esempio è offerto dal callo da ferita, un tessuto osservabile ai bordi di superfici di taglio di talee, innesti, ecc. 
Nel terzo caso si sommano due o più processi simili a quelli esposti sopra. Ad esempio, a seguito di una ferita profonda su un organo legnoso di un albero, gli elementi xilematici rimasti vitali producono inizialmente un parenchima per coprire la lesione; nel tempo questo parenchima suberizza, mentre parallelamente si forma ed entra in attività un meristema che, dopo essersi allineato ai bordi della ferita, produce nuovo libro e nuovo legno fino a livellare la ferita e a ricomporre l’integrità morfo-funzionale. 
Gli alberi, pur essendo immobili e quindi impossibilitati a sfuggire ad attacchi e a forze distruttive, sono i più grandi e longevi esseri viventi su questo pianeta. 
Una delle strategie di sopravvivenza a fronte di traumi, danneggiamenti di varia natura e infezioni, messa a punto in 400 milioni di anni di evoluzione, è rappresentata dalla compartimentazione: in altri termini, gli alberi si difendono dalle conseguenze di tali offese isolando la parte danneggiata e contestualmente formando nuove cellule in nuove posizioni, in modo da creare nuove strutture su quelle preesistenti. 
Una modalità di compartimentazione è semplicemente rappresentata dalla possibilità di eliminare, per distacco biologicamente programmato, parti che abbiano svolto la loro funzione (foglie, rami, frutti, semi); ma è nella struttura interna di tronco e branche che la logica della compartimentazione assume la sua piena espressione architettonica. 
L’anatomia degli alberi evidenzia che essi sono innanzitutto organismi incapaci di ricostruire tessuti già esistenti, ma perfettamente idonei a produrre nuovo tessuto, seguendo piani costruttivi ordinati e disposti secondo una gerarchia di compartimenti. Nella sezione di un tronco [ 60 ] i compartimenti maggiori sono le cerchie annuali, al cui interno si stabiliscono compartimenti di grado inferiore per mezzo dei raggi midollari; infine l’ultimo compartimento è rappresentato dalle singole cellule. 
Ed è proprio a questa logica che l’albero si affida per contenere ferite e infezioni. Esso reagisce isolando la regione colpita o ammalata in quattro modi: 
• rafforzando i compartimenti già esistenti; 
• creando una nuova barriera; 
• isolando ed escludendo le parti lese e generando nuovi tessuti; 
• riproducendo una sorta di “nuovo albero” su quello perduto [ 61 ].

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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