Mezzi di lotta biologici e biotecnologici
I mezzi di lotta biologici sono direttamente derivati dall’utilizzo di altri organismi viventi, di natura animale (insetti, acari, nematodi) o vegetale (funghi, batteri), così come anche da quei virus che hanno la capacità di contrastare organismi dannosi per l’agricoltura, per le foreste e per il verde urbano e privato. In natura esistono già di per sé organismi antagonisti e, come tali, limitatori naturali della diffusione di altri organismi e fra questi anche di quelli dannosi: quindi uno dei capisaldi della lotta biologica è proprio la loro preservazione. Tuttavia, è anche possibile introdurre in un dato ambiente gli organismi “utili”, dopo averli prelevati da altro ambiente e acclimatati (così è successo nelle prime esperienze di lotta biologica), oppure allevarli in laboratorio per poi lanciarli sulla coltura da difendere (attualmente esistono ditte specializzate nella produzione di una vasta gamma di agenti di lotta biologica, commercializzati poi in apposite confezioni [ 24 ]). L’applicazione della lotta biologica come mezzo specifico di controllo degli insetti dannosi risale alla fine dell’800, quando fu introdotto in USA il coleottero coccinellide australiano Rodolia cardinalis, predatore della grande cocciniglia cotonosa, Icerya purchasi, proveniente anch’essa dal continente australiano e che stava provocando gravi danni agli agrumeti californiani. Si trattò di un’operazione progettata a tavolino grazie all’iniziativa di C.V. Riley, capo del Federal Entomological Service del Dipartimento dell’Agricoltura americano, e poi realizzata grazie a un collaboratore, A. Koebele, che si recò in Australia per individuare e raccogliere i nemici naturali della cocciniglia dannosa. Un altro entomologo, D.W. Coquillet, si occupò di allevare e acclimatare la specie rivelatasi più promettente e, infine, furono preparati 10.000 esemplari di R. cardinalis per il primo lancio. Il progetto si dimostrò valido e fu coronato da successo in campo. In Italia questo coccinellide fu introdotto nel 1901, per combattere I. purchasi, da Antonio Berlese, insigne entomologo di cui avremo ancora occasione di parlare a proposito della lotta biologica.
Nel settore fitopatologico i mezzi biotecnologici hanno specifici ambiti di impiego riferibili a:
1. interferenza con le attività metaboliche vitali degli organismi nocivi (in pratica si impiegano come i prodotti fitosanitari chimici);
2. monitoraggio della presenza di fitofagi;
3. cattura massale dei fitofagi;
4. disturbo delle attività comportamentali e relazionali degli insetti dannosi;
5. autocidio.
Nel primo ambito, si tratta in pratica di prodotti fitosanitari che si applicano come quelli chimici: attualmente sono rappresentati dagli insetticidi denominati IGR e MAC, che interferiscono con vari meccanismi sullo sviluppo dell’insetto.
Nel secondo ambito si tratta di feromoni attrattivi, sessuali o di aggregazione, impiegati in trappole per la cattura di insetti adulti, sia per individuarne semplicemente la presenza in una circoscritta area sia soprattutto per monitorarne il ciclo attraverso l’intensità delle catture nel tempo (picchi di sfarfallamento) e di conseguenza posizionare gli interventi con insetticidi [ 25 ].
Nel terzo ambito le trappole innescate, con il solo feromone o con aggiunta di altri attrattivi e anche insetticidi, vengono distribuite secondo criteri standardizzati in numero elevato entro il perimetro della superficie aziendale o più spesso di un intero comprensorio agricolo (es. in olivicoltura contro la mosca), con lo scopo di catturare e neutralizzare quanti più parassiti possibile per abbatterne la popolazione e limitare i conseguenti livelli di infestazione.
Nel quarto ambito vengono allestiti erogatori (dispenser) di feromoni, tipicamente di richiamo sessuale, disposti con criteri analoghi al caso appena descritto, però con lo scopo di disorientare gli adulti nella ricerca del partner, limitando quindi gli accoppiamenti e in definitiva abbattendo, fino quasi ad annullare, il tasso di riproduzione.
Nel quinto ambito la tecnica dell’autocidio (interessante dal punto di vista scientifico, ma ancora di limitate possibilità di attuazione concreta) consiste nella sterilizzazione di individui maschi che vengono poi liberati e quindi entrano in competizione con gli altri maschi, ma dal loro accoppiamento risultano solo uova sterili. Il successo di questo metodo dipende da alcuni fattori:
- la possibilità di allevare in grande quantità gli insetti;
- gli insetti devono essere molto mobili e invadere l’ambiente;
- le femmine devono essere monogame;
- la superficie trattata deve essere molto estesa;
- gli insetti immessi non devono creare danno.