4  La sintesi delle proteine

L’informazione contenuta nel DNA dei geni è talmente importante che la cellula non può rischiare di danneggiarla, per cui esegue una copia di lavoro del gene corrispondente.
L’operazione di copiatura è detta trascrizione e consiste nella formazione di un acido nucleico, l’RNA, che viene usato come “stampo” per la produzione di una specifica proteina. Il percorso che porta alla formazione della proteina di svolge in due tempi: trascrizione e traduzione (A2).

     Trascrizione
La doppia elica di DNA si apre e si chiude al comando di opportuni indicatori solo per una parte, chiamata geneche contiene le informazioni da “trascrivere” e le copia sull’mRNA [  12  ].
Esistono diversi tipi di geni; i principali sono quelli strutturali che codificano per proteine strutturali ed enzimi e quelli regolatori che codificano per proteine, la cui funzione è regolare l’espressione di altri geni. All’inizio e alla fine di ogni gene esistono sequenze, dette elementi genici regolatori, coinvolte nella regolazione dell’espressione genica.
Un gene regolatore codifica una proteina in grado di controllare la trascrizione legandosi, sul DNA, a uno o più siti specifici.
Sia nei procarioti che negli eucarioti la trascrizione consta di tre fasi fondamentali, inizio, allungamento e terminazionedelle quali la prima e l’ultima sono dettate da specifiche sequenze nucleotidiche del DNA.
1. La fase di inizio avviene grazie a un processo biochimico catalizzato dagli enzimi RNA polimerasi che, dopo aver riconosciuto uno specifico promotore, cioè una sequenza di nucleotidi che in genere si trovano subito a monte del gene da trascrivere (“a monte” significa verso l’estremità 5’ della sequenza di RNA o l’estremità 3’ del filamento di senso del DNA), svolgono la doppia catena di DNA e iniziano a muoversi sullo stampo. Soltanto una delle due eliche di DNA, detta elica stampo, viene trascritta in RNA.
2. Nella fase di allungamento le RNA-polimerasi aggiungono alla catena di RNA nuovi ribonucleotidi complementari alla sequenza di DNA del filamento stampo procedendo dall’estremità 3’ all’estremità 5’ e unendosi fra loro con un legame fosforico 3’ OH } 5’ OH. La doppia elica del DNA si riavvolge e la catena di RNA in formazione, detta trascritto, è via via rilasciata. L’insieme di tutti i trascritti (RNA messaggeri o mRNA) di un dato organismo o tipo cellulare è detta trascrittoma.
3. La fase di terminazione si verifica quando la RNApolimerasi raggiunge specifiche sequenze di DNA chiamate terminatori. L’RNA polimerasi si stacca e l’RNA è rilasciato come trascritto.

     Traduzione
Nei ribosomi, richiamato dalle triplette di mRNA, si avvicina un altro intermediario, il tRNA (RNA di trasporto), che possiede la tripletta complementare (anticodone) e trasporta l’amminoacido.
Il tRNA è costituito da circa 80 nucleotidi, ha struttura bidimensionale ed è ripiegato a trifoglio per mezzo di legami a idrogeno. A una estremità vi è la tripletta chiamata anticodone che è specifica per un determinato codone dell’mRNA.
All’altra estremità il tRNA si lega all’amminoacido. Come la trascrizione anche la traduzione si svolge in tre fasi: inizio, allungamento e terminazione.
1. La fase di inizio comincia quando la subunità ribosomiale più piccola si attacca al filamento di mRNA presso l’estremità 5’, ponendo in evidenza il primo codone di questo filamento cui va ad appaiarsi l’anticodone del primo tRNA (il codone dell’mRNA di solito è (5’) - AUG - (3’), complementare all’anticodone (3’) - UAC - (5’) del tRNA). La combinazione fra subunità ribosomiale più piccola, tRNA e mRNA, è detta complesso d’inizio.
Una volta che questo complesso si è formato, la subunità ribosomiale più grande si attacca a quella più piccola e il tRNA d’inizio va a collocarsi nel sito P (peptidico) della subunità più grande. L’energia necessaria per questa tappa è fornita dalla idrolisi della guanosina trifosfato (GTP) [  13  a pagina seguente].
2. La seconda fase di allungamento prevede che la subunità minore scorra lungo l’mRna, permettendo al t-Rna legato alla subunità maggiore di leggere il messaggio e di far corrispondere alla specifica tripletta l’amminoacido giusto. Quando l’anticodone del tRNA riconosce il codone dell’mRNA l’amminoacido trasportato si lega all’amminoacido precedente con un legame peptidico.
Il tRNA si stacca e si libera nel citoplasma.
3. La fase di terminazione si verifica quando sull’mRna si trova il codone di stop (UGA, UAA,UAG) e non esiste nessun anticodone complementare sul t-Rna tale da associarsi a un amminoacido.
Nella subunità maggiore si inserisce il fattore di terminazione che stacca la proteina mentre il ribosoma viene rilasciato e sospeso nel citoplasma.
I vari amminoacidi vengono assemblati secondo il messaggio codificato dall’mRNA. Il segnale di stop è dato da una tripletta non senso: la sintesi termina, la proteina si stacca dal ribosoma e acquista la propria struttura definitiva.

APPROFONDIMENTO 2

“Un gene, una proteina”
È il motto che riassumeva il credo della biologia (dogma centrale) a metà degli anni ‘50 dello scorso secolo [  14  ].


La proteina, che è sempre sintetizzata sui ribosomi nel citosol, può seguire due principali percorsi: la via citoplasmatica e la via secretoria [  15  ].
La prima riguarda le proteine destinate a rimanere nel citoplasma o a raggiungere il nucleo, i mitocondri, i cloroplasti e i perossisomi. Il percorso è intrapreso da proteine completate e rilasciate dai ribosomi e, poiché il processo avviene dopo che la sintesi della proteina è giunta a completamento, è detto di traslocazione post-traduzionale.
La via secretoria, detta anche vescicolare, interessa le proteine che andranno a far parte delle membrane come proteine intrinseche, localizzandosi nei lisosomi, nel reticolo endoplasmatico e nell’apparato di Golgi. Queste proteine entrano nel reticolo endoplasmatico (ER) mentre sono ancora in fase di sintesi e il processo viene perciò chiamato traslocazione cotraduzionale.
È la composizione in amminoacidi della proteina a decretarne la destinazione perché può contenere segnali di smistamento in grado di dirigerne la consegna verso posizioni fuori dal citosol.
Si tratta di alcune corte sequenze di circa 20 amminoacidi idrofobici, dette sequenze segnale, che vengono riconosciute da una particella di riconoscimento del segnale (SRP) formata da 6 proteine e da un piccolo RNA citoplasmatico (srpRNA).
Una peptidasi di segnale rimuove dalla proteina queste sequenze segnale, una volta che lo smistamento è completato.
Anche se la maggior parte delle proteine non contiene nessun segnale di smistamento e resta, quindi, all’interno del citosol, il movimento delle altre proteine da un compartimento all’altro all’interno di una cellula può avvenire attraverso tre meccanismi principali, ciascuno dei quali è guidato da particolari segnali di smistamento presenti nelle proteine trasportate e riconosciuti dai SRP complementari.
1. Trasporto attraverso i pori: avviene tra citosol e nucleo, dove i pori nucleari fungono da cancelli selettivi che trasportano attivamente grossi complessi macromolecolari.
2. Trasporto transmembrana: è operato da proteine traslocatrici, legate alla membrana, che trasportano direttamente alcune proteine specifiche dal citosol in uno spazio distinto (ER o mitocondrio).
3. Trasporto vescicolare: avviene attraverso vescicole di trasporto passando da un compartimento a un altro.

   5  L’espressione genica

La serie di eventi attraverso cui l’informazione contenuta in un gene (costituita di DNA) viene convertita in una proteina corrispondente è detta espressione genica.
Molte proteine, come le RNA polimerasi, le proteine ribosomiali, gli enzimi che regolano il metabolismo, le proteine del citoscheletro, sono comuni a tutte le cellule, ma altre sono abbondanti solo in cellule specializzate.
Infatti, poiché le cellule hanno caratteristiche e funzioni differenti, pur avendo lo stesso patrimonio genetico, ovvero lo stesso DNA, attivano o esprimono solo determinati geni e codificano unicamente le proteine necessarie alla loro funzione specifica (ad es. l’emoglobina è espressa solamente nei globuli rossi).

     La regolazione dell’espressione genica
L’organizzazione dei geni è diversa a seconda che si considerino organismi procarioti ed eucarioti: nei primi, il gene è costituito esclusivamente da sequenze codificanti, nel secondo anche da sequenze non codificanti. Le sequenze di DNA che codificano le proteine sono dette esoni e sono intercalate da sequenze non codificanti lunghe anche migliaia di nucleotidi, dette introni.
La maggior parte dei geni procarioti è priva di introni e consta di un’unica sequenza ininterrotta di DNA codificante, definita cistrone. Pertanto ogni loro gene codifica una proteina specifica mentre negli eucarioti la presenza di introni fa sì che gli esoni, saldati secondo combinazioni diverse, codifichino proteine diverse. Ciò spiega la grande versatilità dei geni degli eucarioti la cui espressione non avviene in tutte le cellule e in ogni momento della loro vita. Esse infatti, pur possedendo lo stesso DNA, sono differenti nell’aspetto e nelle funzioni a seconda dei tessuti diversi nei quali si trovano. La specializzazione delle cellule è dovuta ai differenti geni che si esprimono a seconda del programma di sviluppo di un determinato tessuto.
Il meccanismo attraverso il quale viene attivata o inattivata la trascrizione dei geni, in base alle condizioni ambientali, alla fase dello sviluppo e al tipo di tessuto in cui si trova la cellula, è detto regolazione genica.
La complessità dei processi di regolazione è molto fine e aumenta salendo la scala evolutiva. Infatti, mentre nei procarioti il gene può essere espresso o non espresso, negli eucarioti l’espressione del gene può essere dosata, ossia può essere espresso al 100% oppure solo al 70%, al 50% o al 10%.
Studiare la regolazione dell’espressione di un gene significa non solo accertarne l’effetto, ma anche comprendere in quali tessuti e in quali condizioni viene espresso.

     La regolazione genica nei procarioti
Nei procarioti il cromosoma è un unico filo che può raggiungere, se disteso, i 1.000-1.500 millimicrometri e poiché la cellula non supera i 2-3 millimicrometri, il DNA batterico è riavvolto più volte su se stesso e compattato da RNA specifici. Il DNA contiene tutti i geni, organizzati in gruppi (clusters), che sono utili alla crescita e alla riproduzione della cellula e che, tuttavia, devono essere regolati affinché le proteine vengano prodotte nella giusta quantità solo quando sono necessarie reprimendo tutti i geni che non sono necessari e attivandoli solo nel momento
in cui servono.
Nei procarioti i geni sono riuniti in gruppi secondo un modello definito operone, costituito da promotore, operatore e geni che codificano le proteine strutturali.
Un solo enzima, l’RNA-polimerasi, è responsabile della sintesi di rRNA, tRNA e mRNA.
La trascrizione inizia quando l’mRNA aderisce al DNA in un sito specifico, detto promotore, che possiede due sequenze fondamentali: la sequenza riconosciuta dall’RNA polimerasi, detta sequenza di riconoscimento, e il TATA box (ricco di coppie di basi AT), che si trova più vicino al sito di inizio in corrispondenza del quale la doppia elica del DNA si apre ed espone il filamento stampo [  16  ].
La trascrizione è controllata da un gene regolatoreche può trovarsi in qualsiasi punto del cromosoma batterico e codifica per una proteina detta repressore, che si lega all’operatore.
Quando deve essere ostacolata la funzione dell’RNApolimerasi e impedita la trascrizione del RNA-messaggero, il regolatore codifica la proteina repressore che si lega all’operatore.
Quando, invece, deve avvenire la sintesi di una proteina, si forma nel citoplasma una molecola detta induttore che si lega al repressore impedendogli di legarsi all’operatore e la trascrizione può iniziare. Nei procarioti la traduzione avviene quasi contemporaneamente alla trascrizione.
Infatti man mano che il messaggio contenuto nel DNA viene trascritto nel filamento di mRNA, a quest’ultimo si legano i ribosomi. I modelli di controllo dell’espressione genica più conosciuti nell’Escherichia coli sono quelli legati alla funzione dell’operone lattosio (operone lac) e dell’operone triptofano.

     OPERONE LAC
L’operone lac è stato studiato nelle cellule di E. coli che, utilizzando il lattosio come alimento, necessitano dell’enzima galattosidasi per scindere la molecola di lattosio, un disaccaride, nei suoi due monosaccaridi (glucosio e galattosio).
Nell’operone lac sono presenti tre geni strutturali che codificano per i tre enzimi che degradano il lattosio:
b-galattosidasi, che converte il lattosio in glucosio e galattosio e viene codificata dal gene Z;
permeasi, che trasporta il lattosio nella cellula ed è codificata dal gene Y;
transacetilasi, di cui è sconosciuta la funzione per il metabolismo del lattosio codificata dal gene A contiguo alle precedenti. Tutti e tre i geni sono trascritti in una singola molecola di RNA messaggero per cui si sintetizzano insieme [  17  ].
Oltre a questi geni strutturali si trovano sull’operone lattosio altre tre componenti regolatrici.
Il gene per il repressore Lac, definito come gene Iche codifica per una proteina capace di bloccare l’espressione dei geni Z, Y e A.
Il secondo gene è il sito promotore Lac, definito gene P, che è la regione del DNA cui si lega la RNA polimerasi per iniziare la trascrizione dei geni strutturali Z, T e A. Il terzo gene regolatore è il sito operatore Lacdefinito come gene O, che è la regione del DNA cui si lega il repressore Lac.
Quando nel terreno di coltivazione è presente il lattosio, alcune sue molecole agiscono da induttori, cioè si legano al repressore prodotto dal gene regolatore e lo inattivano staccandolo dall’operatore. L’RNA polimerasi inizia a spostarsi lungo la molecola del DNA trascrivendo sull’RNA-messaggero i geni strutturali dell’operone e provocando la sintesi degli enzimi che degradano il lattosio [  18  ].

     OPERONE TRIPTOFANO
Mentre l’operone lac è catabolico, cioè porta alla demolizione del lattosio, l’operone triptofano è anabolico, cioè permette la sintesi del triptofano a partire da altri prodotti.
L’operone triptofano (trp) è composto da: un gene regolatore che codifica per una proteina detta repressore; un gene promotore; un gene operatore e 5 geni strutturali che portano l’informazione per gli enzimi in grado di sintetizzare l’amminoacido triptofano. Il compito dell’operone triptofano (trp) è bloccare la sintesi di tali enzimi, quando l’amminoacido è già presente nel mezzo di coltura, e di attivarla quando la cellula ne è carente.
Il repressore del triptofano è sintetizzato in forma inattiva e si lega all’operatore solamente nel caso in cui prima si sia legato a un corepressore (repressione da prodotto finale) che è il triptofano stesso. In questo modo, attivando il repressore, non vengono prodotti quantitativi inutili di amminoacido.
Tuttavia, se la sua concentrazione diminuisce, il corepressore-triptofano si stacca dal repressore che non può legarsi all’operatore e quindi la RNA polimerasi può trascrivere i geni.
L’espressione dell’operone trp è anche regolata con il meccanismo dell’attenuazione, che è un ulteriore livello di controllo che si esercita durante la traduzione. Il sito di attenuazione è posto più a valle di quello di inizio della trascrizione che nei procarioti è accoppiata e contemporanea alla traduzione [  19  ].
Quando sono presenti quantità elevate di trp, i geni non vengono espressi, quando invece sono presenti quantità limitate di trp, i geni sono espressi a livelli più bassi. Perciò il grado di espressione dei geni per la sintesi del triptofano è inversamente correlato alla presenza di questo amminoacido.

     La regolazione genica negli eucarioti
Negli eucarioti esistono tre RNA polimerasi diverse: RNA polimerasi I, che sintetizza l’rRNA; RNA polimerasi II, che sintetizza l’mRNA; e RNA polimerasi III, che sintetizza tRNA e rRNA. Esse funzionano sempre in direzione 5’ e 3’ producendo un filamento di RNA antiparallelo allo stampo di DNA e non si legano direttamente al DNA durante la fase iniziale della sintesi dell’RNA.
L’inizio della trascrizione è mediato da fattori trascrizionali, detti fattori generali di trascrizione o GTF, che sono specifici per ciascuna polimerasi e riconoscono sequenze di DNA promotrici in grado di legare le proteine regolatrici o fattori regolatori (attivatori e repressori) che aiutano o inibiscono la trascrizione del promotore.
Questo è lungo in genere circa 40 coppie di basi, si estende a monte o a valle del sito d’inizio della trascrizione ed è costituito da diversi elementi cui si legano sia i fattori trascrizionali specifici sia i fattori regolatori, che dopo aver riconosciuto il promotore, creano una struttura riconosciuta dall’enzima.
I geni eucarioti sono regolati anche da sequenze attivatrici, dette enhancer o siti intensificatori (hanno la funzione di aumentare l’efficacia dei promotori nell’attivazione e nella frequenza della trascrizione), o repressorie, dette silencer che invece rallentano o inibiscono totalmente la trascrizione di un gene legandosi al repressore, in modo che l’RNA polimerasi non è in grado di iniziare la trascrizione (meccanismo di silenziamento genico). Sia le une che le altre sono poste anche a grande distanza dal gene stesso. L’RNA sintetizzato dalle RNA polimerasi viene definito pre-mRNA o trascritto primario che, a differenza di quanto avviene nei procarioti, non è direttamente utilizzabile, ma necessita di essere processato prima di essere esportato dal nucleo e tradotto.
Gli eventi di maturazione del trascritto primario sono tagli, splicing, modificazione delle estremità, capping (rivestimento dell’estremità 5’ dell’RNA) e poliadenilazione dell’estremità 3’ dell’RNA [  20  ].
Lo splicing (A3) è un processo che si verifica in quanto i cromosomi eucariotici contengono segmenti codificanti, chiamati esoni, separati da segmenti di DNA non codificanti (introni).
Inizialmente, all’interno del nucleo, sia gli introni che gli esoni vengono trascritti in una molecola di pre-mRNA da cui poi vengono rimossi gli introni mentre gli esoni sono saldati (splicing = saldatura) insieme per originare un mRNA maturo [  21  ].
Il capping prevede l’aggiunta, attraverso un legame 5’-5’, di un “cappuccio” di 7-metilguanosina, all’estremità 5’ del trascritto dell’mRNA (struttura CAP). L’RNA subisce il capping quando è lungo 20-40 nucleotidi, cioè quando è al punto di transizione tra la fase di inizio e quella di allungamento.
La funzione del capping è quella di proteggere l’mRNA dalla degradazione da parte delle esonucleasi e di facilitare e stabilizzare l’attacco al ribosoma all’estremità 5’ dell’mRNA, che rappresenta la prima tappa del processo di traduzione.
La poliadenilazione prevede l’aggiunta all’estremità 3’ di una sequenza di circa 80-250 adenine, detta coda di poli(A), dopo la trascrizione.
La funzione della poliadenilazione è quella di favorire l’esporto dell’mRNA dal nucleo al citoplasma. Una volta raggiunto il citoplasma, la coda di poli(A) al 3’ protegge l’mRNA dalla degradazione da parte delle esonucleasi.
Come il cappuccio al 5’, la coda di poli(A) aumenta la stabilità degli mRNA e ne incrementa l’efficienza durante la trascrizione facendo sì che l’RNA maturo eucariotico sia più duraturo di quello procariotico [  22  ]. Negli eucarioti anche quel complesso di proteine e DNA che nel nucleo costituisce la cromatina, presiede alla regolazione dei geni e influenza notevolmente l’espressione dei geni. I geni espressi e i geni inespressi sono infatti associati a stati della cromatina diversi.
Ciò dipende dalla presenza di proteine che avvolgono il DNA in maniera diversa o da modificazioni particolari del DNA stesso (metilazione del DNA, acetilazione degli istoni, ecc).

APPROFONDIMENTO 3

Lo splicing alternativo
Ad aggiungere complessità ai meccanismi di regolazione dell’espressione genica sta il fatto che il processo di splicing di alcuni trascritti primari di un gene può avvenire con modalità diverse.
Infatti, generalmente gli esoni sono distinti nettamente dagli introni e la trascrizione dei geni in pre-mRNA avviene sempre con lo stesso tipo di splicing, ma può succedere che a seconda della proteina di cui la cellula ha bisogno, uno stesso pre-mRNA possa subire un tipo diverso di splicing producendo molecole diverse di RNA, ognuna delle quali codifica per una proteina differente.
Questo meccanismo è detto splicing alternativo: nel mRNA maturo possono comparire zone che in altri casi erano state rimosse oppure possono scomparire zone che in altri casi erano state mantenute.
Durante il processo può infatti verificarsi l’inclusione di un introne, che a tutti gli effetti, potrebbe portare alla codifica di una proteina, o la delezione di un esone o la delezione dell’introne con una parte più o meno ampia dell’esone.
La cellula è in grado di leggere o tralasciare parti differenti di DNA a seconda delle sue necessità; pertanto, poiché uno stesso filamento di DNA contiene le informazioni per la sintesi di diverse proteine, la stessa catena uguale di DNA in cellule diverse produce proteine diverse.
Ne è un esempio la proteina strutturale tropomiosina che regola la contrazione delle cellule muscolari dei mammiferi: l’unico trascritto primario del gene può subire splicing, determinando l’origine di mRNA differenti in cinque tessuti distinti (nel muscolo scheletrico, nella parte interna del muscolo liscio, nei fibroblasti, nelle cellule del fegato e del cervello) che fanno sintetizzare varianti specifiche della proteina.
La tropomiosina prodotta nel muscolo striato è diversa da quella prodotta dallo stesso gene, ma nel muscolo liscio o nei fibroblasti, nel cervello e nel fegato. In realtà tessuti e organi diversi hanno bisogno di forme differenti della stessa proteina, la cui struttura è funzionale al tipo di azione richiesto in quel particolare contesto.
Si calcola che nell’uomo il 60% dei trascritti subisca splicing alternativo e in un caso su venti un pre-mRNA possa dare origine a vari mRNA maturi che codificano per proteine differenti, pur essendo trascritti dallo stesso gene. Lo splicing alternativo di una serie di geni è responsabile della determinazione del sesso nel moscerino dell’uva (Drosophila melanogaster) mentre nei mammiferi è responsabile della formazione di moltissimi anticorpi a diversa specificità, partendo da un esiguo gruppo di geni.

     La genetica dei virus
I virus sono entità molto semplici sia per quanto riguarda la struttura che per le componenti biochimiche.
Sono parassiti obbligati perché non possono riprodursi da soli e devono costringere il sistema della cellula che li ospita a sintetizzare le proteine o l’intero genoma virale.
I virus possono essere parassiti di batteri, di animali o di piante e sono detti rispettivamente fagi o batteriofagivirus degli animali e virus delle piante. Il genoma virale può essere costituito da RNA o da DNA che in alcuni virus non è a doppia elica, ma a singolo filamento.
I primi sono detti virus a RNA e di solito si replicano nel citoplasma; i secondi sono virus a DNA e si replicano di norma nel nucleo della cellula ospite.
L’intera particella virale infettiva, detta virione, è costituita da acido nucleico e da un involucro proteico, detto capside, che oltre a proteggere l’acido nucleico ha un ruolo determinante nel processo di infezione dell’ospite.
In alcuni virus è presente una membrana, detta envelope o pericapside, che deriva da un frammento di membrana citoplasmatica della cellula infettata ed è costituita da una doppia membrana fosfolipidica e da glicoproteine.
In generale, il genoma virale codifica per le proteine del capside e per alcuni enzimi essenziali per la penetrazione nella cellula, la replicazione del genoma e l’espressione genica.
I virus possono replicarsi solo all’interno di una cellula ospite, sfruttandone l’apparato metabolico e utilizzando informazioni genetiche proprie; la moltiplicazione avviene però solamente nelle cellule suscettibili al virus, cioè provviste di specifici recettori superficiali e in grado di compiere le fasi replicative del suo genoma.

     IL PROCESSO MOLTIPLICATIVO SI DIVIDE IN VARIE FASI
1. attacco o adsorbimento del virus alla membrana cellulare;
2. penetrazione del virus o del suo acido nucleico nel citoplasma della cellula; i batteriofagi iniettano i loro acidi nucleici direttamente nel citoplasma della cellula ospite, altri virus entrano per pinocitosi;
3. perdita degli involucri virali ed esposizione dell’acido nucleico;
4. espressione genica e replicazione (sintesi delle macromolecole, cioè DNA, RNA e proteine virali). Sono diverse le strategie replicative dei virus, ognuno dei quali si moltiplica in maniera differente, sfruttando enzimi e organuli della cellula ospite;
5. formazione del capside contenente il DNA virale (nucleocapside);
6. liberazione o fuoriuscita del virus dalla cellula rilasciato sia per lisi cellulare che per pinocitosi.
Il ciclo replicativo virale è molto rapido e si completa in 8-24 ore. Ciascuna di queste fasi è complessa e tipica di ogni specie. I fagi hanno due meccanismi replicativi: il ciclo litico e il ciclo lisogeno. Entrambi porteranno alla lisi della cellula ospite, ovvero alla sua degradazione, ma con modalità e tempistiche diverse.
Il ciclo litico consiste nell’iniezione da parte del virus del proprio corredo genetico all’interno dell’ospite (1) dove il genoma prende la forma circolare e va a costituire un plasmide (2). Il plasmide virale viene quindi replicato, trascritto e tradotto automaticamente dall’ospite, in quanto gli apparati di trascrizione e traduzione non sono in grado di discriminare il proprio genoma da quello virale.
Il genoma virale contiene i geni che codificano per le proteine che costituiscono il virus stesso, le quali verranno sintetizzate (3) e successivamente assemblate fra loro nella maniera corretta (4). In seguito, i capsidi neosintetizzati incorporano al loro interno una singola copia del genoma virale (5), replicatosi sempre nella cellula. Una volta che i virus completi raggiungono un certo numero, la cellula ospite subisce una lisi (6), liberando una grande quantità di virus, ora virioni, all’esterno, pronti ad infettare le cellule vicine [  24  ].
Il ciclo lisogeno, invece, differisce dal precedente in quanto il genoma virale non resta separato da quello dell’ospite, ma si integra al suo interno, mediante l’interazione con particolari sequenze genetiche che ne permettono inserzione (7). Il genoma virale in questa forma prende il nome di profago e viene replicato insieme al resto del corredo genetico dell’ospite (8), cosicché ogni cellula figlia presenta il profago (9), che rimane in condizione di inattività fino a quando stimoli esterni non ne determinano l’uscita (escissione), alla quale segue la lisi della cellula con un meccanismo del tutto analogo a quello del ciclo litico.
La maggior parte dei virus animali sono a RNA con pericapside e penetrano nella cellula ospite attraverso legami tra i recettori della membrana plasmatica e le glicoproteine del capside. L’RNA virale viene usato come stampo per produrre sia un nuovo RNA virale sia mRNA per la sintesi di proteine virali.
Le proteine del capside vengono assemblate intorno all’RNA e le glicoproteine sono trasportate sulla membrana cellulare. Le particelle virali escono dalla cellula per gemmazione [  25  ].
I retrovirus contengono all’interno del capside la trascrittasi inversa, enzima che guida la sintesi del DNA a partire da uno stampo di RNA. Il DNA entra nel nucleo e si integra nei cromosomi della cellula ospite originando un pro virus.
Il DNA provirale viene trascritto dalla RNA polimerasi in molecole di RNA virali che fungono da mRNA per la sintesi di proteine virali e l’assemblaggio di nuove particelle virali [  26  ].
Fra i virus ad RNA vanno ricordati i coronavirus (CoV), un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi e anche letali.
Il singolo filamento di RNA è molto più grande di quello di altri virus a RNA, essendo costituito da una sequenza che va da 26 a 32 mila basi nucleotidiche e codifica per 7 diverse proteine virali. L’RNA è rivestito da un nucleocapsideuno strato costituito dalla proteina M o matrice e un pericapside, composto da un doppio strato fosfolipidico derivato proprio dalle cellule infettate.
I coronavirus hanno dimensioni comprese tra gli 80 e i 160 nm e al microscopio elettronico, mostrano un aspetto simile a una corona dovuto a punte a forma di martello (dette spicole) presenti sulla superficie. Si tratta di glicoproteine S che si incastrano con le proteine presenti all’interno del tratto respiratorio e più precisamente nelle cellule epiteliali della mucosa e nel tessuto alveolare polmonare.
Sfruttando questo meccanismo, il coronavirus può avere accesso alla cellula, iniettarvi il suo RNA e sfruttare gli organuli cellulari per replicarsi. Le copie prodotte lasciano poi la cellula, andando a infettarne altre.
I coronavirus furono identificati a metà degli anni ‘60 del secolo scorso e nell’ultimo ventennio si sono imposti all’attenzione del mondo per tre motivi: l’epidemia di SARS, tra il 2002 e il 2003, l’epidemia di MERS, tra il 2012 e il 2013, e la pandemia di SARS-CoV-2, iniziata a fine dicembre 2019 [  27  ]. Il virus responsabile di quest’ultima è un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato in precedenza nell’uomo alla cui malattia l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha attribuito il nome di Covid-19. Si ipotizza che i primi casi umani in Cina di tale malattia siano derivati da una fonte animale che però non è stata ancora identificata.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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