4  Applicazioni biotecnologiche e piante transgeniche

Da un certo punto di vista, le tecnologie transgeniche consentono di raggiungere in maniera più rapida e sicura quanto in passato gli agricoltori spesso ottenevano con lungo e paziente lavoro, cioè migliorare la produzione di una certa specie selezionando una caratteristica positiva per darle un vantaggio sulle altre. È dunque il miglioramento della produttività, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, una delle mete da raggiungere. Così sono state prodotte piante di mais, girasole, colza, patata, soia, pomodoro, legumi con proprietà particolari: maggior resistenza a virus, insetti, malattie ed erbicidi, a condizioni climatiche avverse, specie dall’aspetto più invitante, specie che resistono più a lungo sui banchi del supermercato. Le nuove tecnologie vengono usate in sinergia con i metodi classici di miglioramento, come l’impollinazione controllata e l’ibridazione, nonché la fusione protoplasmatica.

     I vettori di materiale genetico
Ottenere una pianta transgenica può sembrare relativamente più facile rispetto all’animale non solo perché le piante sono in grado di rigenerare l’intero organismo anche partendo da una sola cellula, ma anche perché il vettore è già presente in natura da milioni di anni, obiettivo che l’uomo cerca di ottenere con la sofisticata tecnica dell’ingegneria genetica. 
Il vettore è l’Agrobacterium tumefaciens [ 49 ], un batterio che vive nel terreno e parassitizza le radici delle piante inducendo la formazione di cellule tumorali. Queste cellule, infettate dal batterio, continuano a moltiplicarsi anche dopo che il batterio è eliminato dalla coltura, segno che hanno assunto nel loro genoma caratteristiche del batterio stesso. Si è constatato che la causa dei tumori è un plasmide Ti (Tumour inducing) presente nell’A. tumefaciens che riesce perfettamente ad integrarsi con il genoma della cellula vegetale. 
Con l’ingegneria genetica si sfrutta la capacità di un vettore (agrobatterio) di penetrare e integrarsi nella cellula, introducendolo nella pianta dopo aver eliminato i geni produttori del tumore, gli oncogeni T, e aver inserito al loro posto i geni che si vogliono trasferire alla pianta. 
Oltre all’A. tumefaciens, esiste un altro agrobatterio, l’Agrobacterium rhizogenes, che non provoca tumori, ma induce la formazione di numerose radici dette “radici pelose”. Questo batterio contiene il plasmide Ri (Root inducing) in grado di integrarsi parzialmente con la pianta [ 50 ]. Non provocando la formazione di tumori, l’A. rhizogenes rende più facile la rigenerazione di piante modificate geneticamente. Come vettori nelle piante, gli agrobatteri non hanno rivali, ma non tutte le specie vegetali vengono trasformate facilmente con questo metodo, poiché alcune, come mais, grano, riso, non sono ospiti naturali del batterio. Per introdurre geni esogeni in piante monocotiledoni si utilizzano il metodo dei protoplasti o il metodo biolistico
Con il metodo dei protoplasti le cellule vegetali sono trattate con enzimi litici (cellulasi) che sciolgono la parete cellulare, trasformando le cellule in protoplasti. 
Questi sono più facili da trasformare, potendo assorbire DNA nudo mediante un vettore chimico, tipo il polietilenglicole, o mediante elettroperforazione, ma non tutte le piante così ingegnerizzate si sono rigenerate positivamente. Il metodo biolistico (anche detto gene gun, pistola a geni) permette di “sparare” ad altissima velocità microproiettili di oro o tungsteno ricoperti di DNA all’interno delle cellule vegetali ancora dotate di pareti [ 51 ]. 
Tale metodo è ampiamente usato, ad esempio per la produzione del più comune cereale OGM, il mais BT. Anche le microiniezioni sono molto usate per iniettare il DNA nelle cellule. Queste non sono danneggiate perché la parete e la membrana cellulare riescono naturalmente a riparare le microlesioni, mentre le dimensioni della particella sono talmente piccole da non interferire con alcuna funzione cellulare [ 52 ]. 
Le piante transgeniche ottenute con l’aiuto dei plasmidi degli agrobatteri contengono anche geni di resistenza agli antibiotici che naturalmente rappresentano un problema che deve essere eliminato.

     Potenzialità delle piante transgeniche
Gli ambiti nei quali le piante transgeniche possono offrire le maggiori possibilità riguardano la quantità del prodotto, la qualità del prodotto e l’ambiente.
Affrontiamo il problema considerando il risultato che si vuole ottenere (raccolti più abbondanti, prodotti di maggior valore, maggiore disponibilità di aree coltivabili, minori rischi e minori costi) e la modalità con cui ottenerlo [ 53 ].
     PRODUZIONI PIÙ ABBONDANTI
La scarsa disponibilità di cibo in vaste aree del mondo e la crescita della popolazione umana pongono come prioritaria la produttività delle piante. Una pianta ha una buona resa se è ben nutrita attraverso la nutrizione sia organica sia minerale. La ricerca è volta a migliorare la fotosintesi e l’azotofissazione esistente, e a indurre nuove piante a compierla. 
Piante transgeniche per il miglioramento della fotosintesi: migliorare complessivamente il rendimento della fotosintesi vuol dire migliorare la produttività di una pianta. Le prove in laboratorio hanno evidenziato che l’intensità luminosa, la disponibilità di anidride carbonica e l’acqua funzionano come fattori limitanti; quindi, quando tutti i fattori ambientali vengono portati ai valori ottimali, si riesce ad aumentare l’attività fotosintetica. Oltre un determinato livello, tuttavia, l’attività della fotosintesi non aumenta più e ciò è causato da foto-ossidazione della clorofilla, alterazione dei colloidi plasmatici, inattivazione delle proteine enzimatiche, accumulo dell’amido primario che occupa un determinato spazio nella matrice del plastidio e quando è in eccesso danneggia l’apparato fotosintetico. La sintesi proteica per ripristinare le proteine danneggiate non è sufficientemente veloce e in questo caso si parla di stanchezza del plastidio. Per questo motivo si cerca di intervenire direttamente sulle cellule e di rendere più efficienti molti dei passaggi chiave nelle reazioni biochimiche fotosintetiche. 
La biologia molecolare ha portato a chiarire le basi genetiche della fotosintesi in organismi semplici come l’alga unicellulare Chlamydomonas [ 54 ] e si pensa di poter giungere nei prossimi anni a manipolare anche l’apparato fotosintetico delle piante superiori. 
Piante transgeniche autofertilizzanti: l’elevato costo di produzione dei fertilizzanti organici ha richiamato grande interesse sul problema della fissazione biologica dell’azoto. L’azoto è il componente indispensabile per la sintesi delle sostanze organiche, come le proteine e i nucleotidi, ed è necessario a tutti gli esseri viventi. Nonostante costituisca il 78% dell’atmosfera, solo pochi procarioti, alghe azzurre, batteri liberi (Clostridium) o in associazioni con leguminose (Rhyzobium), sono in grado di ridurre l’azoto atmosferico in ammoniaca e di incorporarlo direttamente in amminoacidi. Questo processo, detto fissazione dell’azoto, ha come componente fondamentale un enzima, la nitrogenasi, ed è molto dispendioso dal punto di vista energetico, poiché, per ridurre una sola molecola di azoto, sono necessari 25-30 ATP. 
Batteri come Rhyzobium meliloti, R. leguminosarum, R. japonicum, Azotobacter chroococcum, Azospirillum brasilense, Clostridium pasteurianum, Rhodopseudomonas capsulata, Anabaena, Gloeothece, Calothrix sono oggetto di ricerca, ma è soprattutto il Klebsiella pneumoniae ad essere utilizzato come modello. Sono stati isolati i geni responsabili dell’azotofissazione e ne sono stati identificati ben 17, denominati Nif (Nitrogen fixing) [ 55 ]. 
La ricerca si sviluppa su due fronti. 
1. Migliorare l’efficienza del processo di azotofissazione: per raggiungere questo effetto è necessario individuare i geni sia del batterio sia della pianta coinvolti nella simbiosi; occorre, infatti, comprendere le fasi di infettività, riconoscimento pianta-batterio, specificità dell’ospite. 
Gli interventi sono: 
- sui plasmidi dei batteri, per costruire plasmidi in grado di migliorare la capacità di formare noduli e di fissare l’azoto; 
- sui geni della pianta ospite, che controllano lo sviluppo dei noduli e sulla capacità della pianta di selezionare nella popolazione i rizobi migliori; 
- sulla batterizzazione, selezionando ceppi resistenti a fattori avversi (pH, agenti tossici, alte o basse temperature), clonando geni competitivi fra i vari ceppi di rizobio e manipolando geni per ottenere noduli solo dalle popolazioni efficienti (che fissano in abbondanza l’azoto). 
2. Inserire i geni batterici della fissazione dell’azoto nei cereali che non lo fanno naturalmente e la cui coltivazione intensiva dipende dall’uso di grandi quantità di fertilizzanti. Per trasferire anche ai cereali la capacità che hanno le leguminose di fissare l’azoto, si cerca di operare: 
- sui batteri, modificandoli in modo che si adattino a convivere con altre piante e non solo con le leguminose; 
- su altri batteri più adatti a simbiosi con cereali, cercando di inserirvi i geni Nif;
- sulle piante, cercando di trasferire i Nif direttamente nel loro genoma in modo da avere piante in grado di fissare l’azoto da sole. 
3. Utilizzare piante transgeniche che sappiano produrre ormoni e quindi assorbano meglio: alcuni microrganismi della rizosfera hanno la capacità di facilitare l’assorbimento dei nutrienti poiché, producendo sostanze auxino-simili, stimolano la crescita delle radici. Fra i microrganismi, il batterio Pseudomonas putida viene studiato allo scopo di inserire i geni responsabili della produzione ormonale direttamente nelle piante, affinché raggiungano una crescita migliore e quindi possiedano una maggiore capacità di assorbimento anche in ambienti ostili.

     PRODOTTI DI MAGGIOR VALORE
La sopravvivenza fisica di quasi quattro miliardi di persone, l’alimentazione e il benessere fisico degli altri due miliardi sono possibili, e lo saranno ancor di più in un futuro molto prossimo, se si riuscirà a migliorare il valore nutrizionale dei prodotti agricoli [ 56 ]. 
L’obiettivo dell’ingegneria genetica è quello di migliorare la qualità delle proteine, produrre piante con valore dietetico-nutrizionale bilanciato (riduzione di grassi e miglior rapporto carboidrati/amminoacidi), conservare i prodotti vegetali più a lungo. 
Piante transgeniche per le proteine di riserva: più del 70% delle proteine che fanno parte della nostra alimentazione proviene dai semi di leguminose e cereali e un’altra parte da tuberi e frutti. Le proteine vegetali, tuttavia, pur costituendo una base insostituibile dell’alimentazione di centinaia di milioni di persone, non sono sufficienti da sole a fornire un nutrimento completo, poiché sono carenti di alcuni amminoacidi essenziali di cui l’uomo non può fare a meno.
Per esempio, le proteine del mais sono carenti di lisina e triptofano, quelle del fagiolo di metionina e cisteina, quelle del frumento e del riso di lisina. L’obiettivo è quello di modificare, attraverso moderne biotecnologie, la composizione delle proteine vegetali in modo da renderle più bilanciate, più ricche e addirittura sufficienti da sole a nutrire l’uomo. I problemi nella realizzazione non mancano. Infatti, sono stati isolati i geni del granturco e del fagiolo e si è visto che le proteine di riserva non sono codificate da un unico gene ma da più geni, il cui numero varia a seconda del tipo di pianta. La modifica di un solo gene potrebbe non portare a variazioni significative della composizione globale della proteina la cui struttura tridimensionale, che viene determinata dalla sequenza degli amminoacidi nella catena, potrebbe essere alterata e alterare a sua volta la stabilità o il processo di accumulazione. Inoltre è necessario che il nuovo gene aggiunto venga espresso nel posto e nel momento giusto: se le proteine di riserva venissero sintetizzate e accumulate, non solo nel seme ma in altri organi, si avrebbero effetti dannosi nei confronti della pianta stessa. 
Per ora si è sperimentato che il gene della faseolina [ 57 ], proteina di riserva del fagiolo, introdotto utilizzando Agrobacterium in una pianta di girasole, viene espresso selettivamente nei semi di questa. 
Piante transgeniche con elevato valore dietetico/nutrizionale: probabilmente per un fine diverso, ma altrettanto importante per la salute umana e indirizzato soprattutto ai Paesi industrializzati e consumatori, si cerca di produrre piante che consentano una dieta meno ricca di grassi e con un rapporto proteine-zuccheri equilibrato. 
Tuberi di patata sono stati ingegnerizzati con il gene di origine batterica, ADP-glucosio-fosforilasi, ottenendo un aumento del 20-40% di amido; sono stati prodotti carote e altri ortaggi di misura standard per le confezioni, mini meloni senza semi, unidose per una persona; pomodori che, grazie al gene saccarosio-fosfato-sintetasi, hanno mostrato aumento di zuccheri e diminuzione di amido; riso contenente elevate quantità di vitamina A, ecc. 
Questa vitamina è assente nel riso e la sua carenza può generare cecità e morte nelle popolazioni dell’Asia che se ne nutrono in maniera prevalente. Una varietà di riso (riso dorato, riso d’oro o golden rice) è stata geneticamente modificata combinando il suo genoma con quello del Narciso (Narcissus pseudonarcissus) e di un battere, Erwinia uredovora, per fare in modo che nel chicco fosse sintetizzato il betacarotene, precursore della vitamina A. 
Piante transgeniche per prodotti più conservabili: la maturazione dei frutti è controllata dall’ormone etilene il quale, a sua volta, è sotto il controllo dei geni. Nel pomodoro [ 58 ] la rapida maturazione del frutto può causare problemi nel trasporto in località lontane o nella conservazione quando mancano idonei metodi di refrigerazione come nei Paesi del Terzo Mondo. Per evitare questo problema sono state create piante transgeniche utilizzando in questo caso gli RNA antisenso. 
Il nuovo gene espresso produce un RNA messaggero antisenso rispetto al gene normale già presente, in modo tale da bloccare l’RNA senso, deputato alla sintesi dell’enzima che regola la produzione dell’etilene. I pomodori restano verdi e sodi, anche se contengono sostanze nutrizionali (zuccheri e acidi tipici della specie) e sapori propri del frutto maturo. Quando si desidera farli maturare si pongono in celle con atmosfera ricca di etilene e in poco tempo diventano rossi e gustosi. Questi pomodori transgenici, chiamati Flavr Savr (Flavour Savour = “gusto saporito”), adatti al trasporto e alla conservazione, sono stati immessi in commercio nel 1994 con autorizzazione del FDA (Food and Drug Administration), ente governativo americano che ne ha accertata l’assoluta sicurezza per i consumatori e l’ambiente. 
Si pensa che questa tecnica possa essere applicata anche per altri frutti facilmente deperibili come banane, meloni, lamponi, fragole, cavolfiori. 
Piante transgeniche senza semi: lo sviluppo di frutti in assenza di fecondazione e pertanto privi di semi (partenocarpia) [ 59 ] è un carattere ricercato in orticoltura e frutticoltura, in quanto permette di produrre frutti in condizioni climatiche limitanti per la fecondazione e l’allegazione dei frutti. 
Lo sviluppo partenocarpico può essere ottenuto selezionando varietà con partenocarpia genetica o spruzzando il fiore con fitormoni auxinici, che inducono l’allegazione del frutto in assenza di fecondazione. Per costruire piante transgeniche partenocarpiche è necessario introdurre un gene che aumenti il contenuto e/o l’attività dei fitormoni auxinici negli ovuli. 
Piante transgeniche per la floricoltura: per fini puramente estetici, la floricoltura sta cercando di ottenere piante transgeniche che producano fiori con caratteristiche diverse. 
Utilizzando gli oligonucleotidi antisenso che inibiscono l’enzima che produce il pigmento, sono state ottenute petunie dalla corolla screziata di vari colori [ 60 ]. 
Con la tecnica del DNA ricombinante viene invece inserito un enzima capace di potenziare il colore per aumentarne l’intensità o il gene estratto da vegetali di colori diversi. In questo modo si sono ottenute rose blu.

     MAGGIORE DISPONIBILITÀ DI AREE COLTIVABILI
Molte zone del nostro pianeta non sono coltivate a causa delle difficili condizioni ambientali, che riguardano sia la litosfera (aridità, siccità, salinità dei terreni) sia il clima. 
Molti studi sono rivolti alla produzione di piante transgeniche resistenti a stress ambientali: nel deserto del Negev vengono coltivati cotone, meloni e altre verdure irrigandoli con acqua di mare [ 61 ]. 
Per proteggere le colture dal gelo sono già stati ingegnerizzati alcuni batteri antigelo (ice-minus). Si è visto che i responsabili delle gelate sulle foglie sono alcune proteine superficiali dei batteri Pseudomonas syringae, che fungono da nuclei di condensazione trasformando l’acqua in cristalli di ghiaccio. 
Se però manca questa proteina, la formazione di ghiaccio viene ritardata e l’acqua rimane allo stato liquido anche a temperature di alcuni gradi sotto lo zero. I batteri ice-minus sono stati ingegnerizzati in modo da rendere non funzionale lo specifico gene che codifica la proteina della nucleazione dei cristalli e vengono distribuiti sulle colture [ 62 ]. 
Sembra che questi batteri siano innocui per l’ambiente, anche perché muoiono dopo poco; tuttavia si è aperto un acceso dibattito sull’opportunità di diffondere microrganismi nell’ambiente e c’è chi teme che ne possano derivare sconvolgimenti climatici.

     MINORI RISCHI PER L’AMBIENTE E/O MINORI COSTI
Il tentativo di rendere le piante resistenti a ogni forma di aggressione, se da un lato consente forse di ridurre i costi e i pericoli dell’indiscriminato uso di prodotti fitosanitari, non può non porre interrogativi sulla possibilità di introdurre nell’ambiente forme di vita diverse da quelle naturali. 
Piante transgeniche resistenti alle malattie virali, batteriche e fungine: ogni anno una grande quantità dei prodotti agricoli viene persa a causa di attacchi di virus, batteri e funghi. 
Utilizzando l’ingegneria genetica si cerca di introdurre nelle piante geni che codificano per proteine in grado di interferire con la penetrazione dei patogeni o di degradare eventuali tossine prodotte da questi. 
Per combattere gli attacchi virali sono state prodotte piante di patata, melone, riso e tabacco che resistono a specifici virus come il virus del mosaico del tabacco, il virus X e il virus Y della patata, il virus alfa-alfa, ecc. [ 63 ]. Anche nei confronti di batteriosi o di malattie fungine, gli studi sono stati coronati da successo; ad esempio, nella pianta del tabacco sono stati individuati geni che codificano l’enzima acetiltransferasi capace di degradare la tossina prodotta dal batterio Pseudomonas syringae. 
Piante transgeniche resistenti agli insetti nocivi: per la difesa dagli insetti nocivi, senza ricorrere alle pericolose sostanze di sintesi finora utilizzate, l’attenzione è stata rivolta alle proprietà del Bacillus thuringiensis (Bt) in grado di produrre una proteina (Cry protein) tossica per gli insetti, ma non per i vertebrati. Sono state prodotte piante come mais Bt, soia Bt, patata Bt, ecc., contenenti il gene del Bacillus thuringiensis, capace di secernere nelle cellule vegetali la tossina in forma inattiva. Quando l’insetto morde la foglia, gli enzimi digestivi modificano la forma inattiva in tossica e l’insetto muore. 
Negli ultimi anni, i bioinsetticidi a base di Bacillus thuringiensis sono stati utilizzati soprattutto in agricoltura biologica perché privi di effetti secondari negativi sugli animali e sull’ambiente [ 64 ]. 
Esistono diversi geni Bt in grado di sintetizzare diverse proteine insetticide e con diversi meccanismi di azione legati al diverso gene promotore (promoter) responsabile della produzione della proteina insetticida. 
Esiste ancora un pericolo: selezionare insetti resistenti o almeno più tolleranti alle proteine Bt tossiche prodotte dalla pianta. Per ritardare il verificarsi di fenomeni di adattamento è stato suggerito di creare “zone rifugio” di mais normale nello stesso appezzamento o in campi adiacenti al mais Bt in cui gli insetti possono liberamente incrociarsi. 
Resistenza agli erbicidi: le erbe infestanti, crescendo fra le piante di coltura, riducono l’entità del raccolto; per questo motivo vengono distribuite nel terreno grandi quantità di erbicidi che, agendo in modo da alterare processi fisiologici come la fotosintesi e la sintesi proteica, possono danneggiare anche le piante agricole. La resistenza agli erbicidi è stata indotta inserendo nella pianta copie modificate dei geni, sempre di origine vegetale, il cui prodotto è il bersaglio dell’azione dell’erbicida.

FOCUS

BIOREATTORI PER PRODURRE SOSTANZE TERAPEUTICHE 

Microrganismi, animali e piante sono utilizzati come bioreattori per la produzione di sostanze ad uso terapeutico. Le piante sono le più promettenti perché rispetto ai microrganismi hanno un sistema di sintesi delle proteine più simile a quello dei mammiferi e rispetto agli animali non ospitano virus che potrebbero divenire dannosi per l’uomo. Inoltre, una volta ottenuta la prima pianta transgenica è possibile seminarne anche interi campi ottenendo una produzione pressoché illimitata che non si ottiene coi fermentatori batterici o a cellule di mammifero le cui dimensioni sono circoscritte. Anche i costi di mantenimento risultano di molto inferiori a quelli dei fermentatori per microrganismi o degli animali transgenici. L’utilizzo delle piante come bioreattori per la produzione di molecole e proteine ricombinanti d’interesse farmaceutico per la salute umana è chiamato “Plant Molecular Pharming”, che significa Agricoltura Farmaco-Molecolare ed è parte della cosiddetta “Red Biotechnology”.

NUOVE Biotecnologie Agrarie e Biologia Applicata
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