APPROFONDIMENTO 9
Genetica e genomica nella vite
La vite è una pianta di grande importanza economica e culturale, di essa, nel corso degli ultimi decenni, sono state particolarmente approfondite le conoscenze biochimiche e genetiche, grazie alle notevoli opportunità offerte dalle informazioni sugli acidi nucleici (DNA e RNA) e, soprattutto, dalla possibilità di manipolarli in laboratorio.
Dal punto di vista biochimico, infatti, tutti gli eventi metabolici, che hanno luogo all’interno delle cellule dei diversi tessuti della pianta e che determinano la produzione e l’accumulo di metaboliti di interesse viticolo-enologico sono analizzati in modo talmente dettagliato che ogni singolo gene o suo prodotto, la proteina, o le interazioni fra i singoli eventi biochimici sono oggetto di ricerca.
Dal punto di vista genetico, sono molte le opportunità fornite dallo studio degli acidi nucleici. A differenza delle specie erbacee annuali, le ricerche di miglioramento genetico a breve termine della vite (come anche quelle delle altre specie legnose da frutto), hanno sofferto delle limitazioni dovute sia alla necessità di ampi spazi, indispensabili per raccogliere grandi collezioni di germoplasma o per lo studio delle numerose progenie ottenute da incrocio, sia ai lunghi tempi dei cicli biologici che intercorrono tra due generazioni e ai conseguenti elevati costi di gestione .
Con la nascita di una nuova scienza, la genomica, che studia e consente di dedurre l’intera informazione genetica contenuta nel genoma di un individuo, in termini sia di contenuto di DNA nei cromosomi della specie in esame, sia di struttura, funzione ed evoluzione del DNA stesso, si è realizzata una profonda svolta nella ricerca.
Marcatori molecolari
I marcatori molecolari sono tecniche utili a individuare le differenze esistenti nel DNA tra diverse varietà di vite o anche all’interno di una stessa varietà, rilevando le difformità tra due cromosomi omologhi a livello di singolo locus (cioè di una specifica posizione su un cromosoma).
La vite, come la maggior parte delle piante coltivate, è un individuo diploide, contiene cioè coppie di cromosomi omologhi per un totale di 38 cromosomi, di cui 19 di origine paterna e 19 materna, tra loro quasi identici, diversi solo per una piccola percentuale di nucleotidi che li compongono. Queste coppie di cromosomi si separano durante la meiosi, l’evento biologico con cui vengono prodotti i gameti (polline e ovulo) negli organi riproduttori del fiore (antere e ovari). Il granulo pollinico e l’ovulo, che contengono ciascuno 19 cromosomi singoli si ricongiungono nelle 19 coppie di omologhi nello zigote (prima cellula embrionale), da cui si originerà l’embrione contenuto nel seme all’interno dell’acino.
I primi marcatori molecolari definiti “anonimi”rilevavano l’esistenza delle variazioni nella sequenza dei nucleotidi della catena del DNA ma non identificavano di quale differenza si trattava. Recentemente è stata scoperta una nuova categoria di marcatori molecolari che indaga variazioni o polimorfismi di un singolo nucleotide (snp) oppure inserzioni o delezioni di pochi nucleotidi (da alcune decine a poche migliaia). Lo sviluppo di questa nuova categoria di marcatori è legata alla conoscenza della sequenza del DNA: non si tratta più di marcatori anonimi, ma identificabili all’interno di sequenze note, sia geniche che inter-geniche. Le differenze di singoli nucleotidi tra due cromosomi omologhi, e ancora di più tra cromosomi di varietà diverse, rappresentano oltre l’80%, fino anche al 90%, delle differenze rilevabili.
Mappe genetiche e mappe fisiche
Sulle distanze relative tra marcatori molecolari si fonda la costruzione di una mappa genetica. Questa può essere paragonata a una carta stradale che spiega le posizioni delle città lungo una strada: essa, infatti, illustra la disposizione dei geni sui cromosomi e le distanze genetiche tra i vari geni. Un’informazione importante può essere, ad esempio, quella di sapere se geni con funzioni analoghe sono sullo stesso cromosoma e se sono vicini l’un l’altro. Lungo le mappe genetiche la distanza viene misurata in unità di mappa che corrisponde alla frequenza di ricombinazione (crossing-over durante la formazione dei gameti) pari all’1 % tra due geni. Quindi una unità di mappa è la distanza tra coppie di geni per i quali viene prodotto un ricombinante su 100. Le unità di mappa vengono chiamate anche centi- Morgan (cM) in onore di T.H. Morgan, il primo a concludere che le frequenze di crossing-over per geni concatenati potessero essere correlate alla distanza che separa i geni sul cromosoma.
Nella vite la maggior parte delle mappe genetiche di prima generazione era basata su marcatori molecolari anonimi. Recentemente lo sviluppo di marcatori molecolari funzionali (all’interno dei geni), basati su polimorfismi di un singolo nucleotide, ha consentito di rafforzare le basi per la mappatura di tratti di natura quantitativa e per l’identificazione di geni deputati a funzioni di interesse.
Oggi, la mappa genetica di vite più densa è comprensiva di 1.134 marcatori molecolari distribuiti su 19 cromosomi omologhi e deriva dall’integrazione dei risultati ottenuti da tre diversi incroci tra le varietà Pinot Noir, Syrah, Grenache, Cabernet Sauvignon e Riesling.
Le mappe genetiche sono utili anche per l’ancoraggio alle mappe fisiche. Lo sviluppo di mappe fisiche e la loro integrazione con mappe genetiche sono necessari per isolare efficientemente e clonare geni di interesse applicativo.
Una mappa fisica è costituita da regioni (sequenze) fisicamente identificabili di DNA ed è costruita come un puzzle di frammenti di DNA di grandi dimensioni in parte sovrapponibili. La corretta disposizione dei frammenti viene controllata e confermata dalla presenza di numerosi marcatori molecolari, che sono già stati posizionati sulle mappe genetiche.
Una mappa fisica consiste, quindi, nell’assemblaggio di larghi frammenti di DNA (cloni BAC XX) che si sovrappongono sulla base della loro similarità e della presenza di marcatori molecolari comuni. Si originano librerie geniche e genomiche il cui sviluppo nella vite è in continua crescita, sia per varietà di élite, come Pinot Noir e Cabernet Sauvignon, ma anche per viti selvatiche utilizzate per la ricerca dei geni che determinano le resistenze alle malattie più comuni. Queste librerie possono essere usate sia per lo sviluppo di mappe fisiche localizzate in cromosomi specifici, sia per lo sviluppo di mappe fisiche dell’intero genoma [ 58 ].
Librerie geniche e librerie genomiche
La scoperta di elementi, i plasmidi, costituiti da DNA circolare e indipendenti dal cromosoma delle cellule batteriche, è stata una delle scoperte fondamentali della biologia e della genetica molecolari.
La possibilità di “spezzettare” un intero genoma in frammenti di piccole e variabili dimensioni (da inserire e mantenere in elementi a DNA indipendenti che mimano un cromosoma artificiale batterico, simile ad un plasmide detto BAC) ha consentito lo sviluppo di tecnologie molecolari e strumentali che permettono oggi di leggere le sequenze del DNA di geni e anche di interi genomi.
Da circa una trentina d’anni è possibile “spezzettare” i cromosomi e anche i singoli geni, di qualsiasi organismo e moltiplicarli in colonie batteriche o attraverso PCR, conservandoli in ordinate librerie genomiche o geniche utili per il sequenziamento del DNA o la produzione artificiale di proteine in colonie batteriche da purificare in vitro per verificarne la funzione biologica. Questi frammenti di DNA di particolare interesse vengono poi mantenuti in colonie batteriche clonali (dove ogni cellula è identica all’altra) in congelatori a 280 °C per un tempo pressoché illimitato.
Sequenziamento di genomi e di geni
Il sequenziamento è una procedura che ha come obiettivo quello di determinare l’esatta sequenza di nucleotidi del DNA. All’interno di questa sequenza sono codificati i geni dell’organismo in esame, nonché le istruzioni per esprimerli nel tempo e nello spazio (regolazione dell’espressione genica) [ 59 ].
Sono state ideate diverse strategie per ottenere la sequenza nucleotidica del DNA.
La prima era un metodo chimico, ideato da Maxam e Gilber nel 1965, seguito nel 1975 da una strategia enzimatica tutt’ora diffusissima, il metodo di Sanger, che ricevette per questo il suo secondo premio Nobel. Recentemente sono state realizzate tecnologie estremamente innovative, come la tecnica detta di pirosequenziamento, estremamente rapide ma in grado di sequenziare solo da poche decine a alcune centinaia di nucleotidi per volta.
La vite è stata la prima pianta arborea da frutto ad avere sequenziati i 480 milioni di nucleotidi che ne costituiscono il genoma. A questo lavoro hanno partecipato due progetti distinti: il primo ha visto protagonista l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (IASMA) in collaborazione con aziende private (Myriad Genetics Inc. e 454 Life Science); il secondo ha coinvolto un consorzio pubblico italo-francese che ha scelto di sequenziare, mediante il metodo Sanger, una linea altamente omozigote, originariamente derivata da un incrocio tra Pinot Noir ed una vecchia varietà, in seguito autofecondata per sei generazioni, al fine di facilitare l’assemblaggio di 12 equivalenti genomici ed assegnare le funzioni biologiche dei geni identificati. L’IASMA ha utilizzato, invece, una strategia ibrida (Sanger e pirosequenziamento), sulla varietà Pinot Noir clone ENTAV 115 con obiettivi molteplici: l’assemblaggio di 11 equivalenti genomici, l’integrazione tra genoma e mappe genetiche, l’identificazione dei geni e la individuazione del massimo numero di polimorfismi all’interno di essi. Questi, sia in regioni geniche che inter-geniche, sono di grande interesse per i biologi addetti al miglioramento genetico. Il Pinot Noir studiato è, ad esempio, altamente eterozigote (polimorfico) e presenta in pratica due “genomi” chiaramente distinguibili tra loro con una netta differenza in termini di sequenza nucleotidica, che ha permesso di identificare alcuni milioni di polimorfismi a singolo nucleotide. Dati come questi e altri ottenuti con il risequenziamento di numerose varietà coltivate e selvatiche rappresentano una risorsa basilare per l’analisi di tratti di interesse di natura quantitativa, a base genetica complessa.
Post-genomica della vite
La disponibilità di un così elevato quantitativo di informazioni permette di identificare i geni e le relative proteine che ogni tessuto e ogni organo della vite utilizza nelle più varie situazioni della vita della pianta. Entrati ormai nell’era postgenomica della vite, ulteriori analisi, tramite strumenti come i DNA microchip che contengono in spazi ridottissimi di un quadrato di un centimetro di lato, l’intero genoma depositato e l’intero set di geni coinvolti in ogni fenomeno biologico che la pianta si trova ad affrontare, permettono di capire come questo fenomeno viene “vissuto” dalla pianta. Ad esempio, è oggi possibile confrontare, mediante l’uso dei microchip, due tessuti fogliari che si trovano in situazioni profondamente diverse tra loro come un diverso livello nutritivo oppure in presenza o assenza di un patogeno fungino sulla superficie della foglia o della bacca.
Questi strumenti consentiranno di intervenire in maniera mirata nel controllo sia dei patogeni, che in quello dei nutrienti o dello stato idrico della pianta, in modo tale che l’intervento antropico sia mirato a ottenere una maggiore efficienza e un maggiore rispetto per l’ambiente e, di riflesso, una maggior soddisfazione del consumatore.